Anteriormente allo svolgimento a Roma (25 e 26 novembre 2023) del 101° Congresso Nazionale del CAI, questo documento di riflessioni di alcune sezioni del CAI dell’arco alpino è stato consegnato ai tre tavoli di lavoro, per contribuire, nell’interesse comune, alle discussioni che avverranno prima, durante e dopo il Congresso.
Relazione sintetica per Tavoli lavoro del 101° Congresso CAI
Premessa
a cura dei Coordinamenti di Sezioni e delle Conferenze stabili di Est Monte Rosa, Val Camonica e Sebino, ASCA Carnia-Canal del Ferro-Valcanale, Alpi del Sole e Dolomiti Bellunesi
7 ottobre 2023
Il primo tavolo “Il CAI Per il Capitale Naturale” si propone di passare da una generica definizione di ambiente a quella di Capitale naturale inteso come lo stock di risorse naturali, organismi viventi, aria, acqua, suolo e risorse geologiche che contribuiscono alla produzione di beni e servizi per l’uomo e che sono necessari per la sopravvivenza dello stesso ambiente che li genera.
Il secondo tavolo “Il CAI, la frequentazione responsabile della Montagna, i nuovi comportamenti consapevoli” chiama tutti a confrontarsi con i quotidiani e attuali modi di vivere e frequentare la montagna stessa e la loro sempre maggiore inadeguatezza, se rapportati ai mutamenti strutturali che montagna affronta a causa dei cambiamenti climatici.
Il terzo tavolo “Il CAI per lo sviluppo della Montagna – economia e politiche territoriali” è una proposta complessiva che chiama la politica, le forze sociali, le altre Associazioni di protezione ambientale e di tutela culturale a confrontarsi sui processi di sviluppo montano.
La relazione che una parte delle sezioni del CAI dell’arco alpino propone come oggetto di riflessione ai tavoli congressuali non intende in alcun modo sostituirsi agli oggetti proposti ma vuole contribuire con le proprie riflessioni, nell’interesse comune, alle discussioni che avverranno prima, durante e dopo il Congresso. Per questo motivo la nostra iniziativa non ha nessuna intenzione alternativa bensì integrativa e migliorativa dei documenti e delle riflessioni che l’intero Club Alpino Italiano mette in discussione nel suo centunesimo Congresso.
Anche il fatto che la nostra relazione sia stata condivisa dalle sezioni alpine non ha nessun significato conflittuale nei confronti delle sezioni che operano nel resto del territorio italiano. Vi è un solo interesse, ed è quello del CAI che, benché abbia l’aggettivo “alpino”, si occupa anche degli altri territori in quota e della tutela dei biomi anche nei territori urbani e di pianura. Se si considera che il CNSAS, pur avendo anch’esso l’aggettivo “alpino”, interviene in tutti gli ambiti in cui sia mobilitata la protezione civile si comprende come una divisione su base geografica non abbia alcun significato dal punto di vista di tutti gli associati al nostro sodalizio.
Prendendo l’iniziativa per proporre una relazione analitica della situazione nelle 18 province alpine in cui operano le nostre sezioni, il nostro solo intento era quello di porre in evidenza un problema centrale rispetto ai programmi che il nostro centunesimo Congresso ha posto al centro delle sue riflessioni. Un problema che riguarda tutti gli ambiti montani del nostro paese a partire dall’Appennino ligure fino alle montagne della Sicilia e della Sardegna. Ovviamente ci siamo occupati della realtà montana che conosciamo bene e su cui abbiamo potuto riflettere con cognizione di causa, ed è per questo motivo che la nostra relazione offre il suo contributo partendo dalla conoscenza di questo territorio specifico ben sapendo che parte delle riflessioni che proponiamo valgono anche per molte altre realtà territoriali. Anche in questo caso ogni contrapposizione tra la realtà e alpina e il resto delle montagne italiane sarebbe una manifestazione di scarsa intelligenza. E proprio perché abbiamo fiducia nelle competenze dei soci e dei delegati al Congresso che abbiamo ritenuto fosse opportuno presentare in modo formale le nostre osservazioni.
A questo proposito abbiamo predisposto con l’aiuto del sociologo Diego Cason e dell’antropologo Annibale Salsa una relazione analitica di 34 pagine nella quale si valutano un insieme di situazioni che ci hanno indotto ad agire insieme. Ci è stato fatto osservare che i responsabili dei lavori congressuali non potevano prendere in considerazione un’analisi così corposa e ci hanno chiesto di presentare una sintesi che permettesse loro di considerare la nostra proposta e di porla in discussione. Questa richiesta è giustificata e quindi procediamo a sintetizzare le nostre conclusioni che sono supportate dalla relazione analitica citata che alleghiamo. In questo modo chiunque abbia tempo e desiderio potrà comprendere perché abbiamo preso questa iniziativa e avrà modo di comprenderla nel dettaglio, mentre chi si occupa dell’organizzazione congressuale conosce già benissimo la situazione e quindi non ha bisogno di essere convinto a fare alcunché.
Per proteggere l’ambiente montano servono comunità solide e consapevoli di montanari
di Diego Cason e Annibale Salsa
La realtà contemporanea sembra proporre una visione binaria dell’ambiente in cui viviamo. Il primo è quello urbano e rurale di pianura nei quali ogni operazione umana è permessa asservendo il territorio alle esigenze dei residenti. Il secondo è quello rurale marginale e montano dove esistono la gran parte delle aree protette, e si presume che in questi luoghi i residenti debbano sparire affinché l’ambiente rimanga intonso e selvaggio. Ovviamente questa visione è falsa. Anche nelle aree urbane e di pianura esistono valori ambientali da tutelare e anche in montagna esistono dei residenti che hanno necessità di vivere nel luogo in cui stanno perché si occupano della manutenzione quotidiana del paesaggio montano mantenendolo accessibile e sicuro. È noto a tutti che uno dei processi in corso è il massiccio trasferimento della popolazione mondiale dalle aree rurali a quelle urbane. Questo avviene anche nel nostro territorio alpino (ma vale per tutta la montagna italiana) e ha creato un problema ineludibile per il Club Alpino Italiano. I territori in quota rischiano di essere totalmente sguarniti di una popolazione residente stabile e competente nell’affrontare i diversi problemi che pone la cura di un territorio obliquo, verticale e fragile. Si sottolinea che il paesaggio è sempre il risultato di una relazione tra l’evoluzione spontanea di un territorio e l’azione che gli uomini esercitano, praticamente e culturalmente, su questi spazi trasformandoli in luoghi pieni di significato. Le montagne italiane sono l’esempio più evidente di questa relazione per comprendere i paesaggi italiani. Riteniamo che le montagne abbandonate non diventerebbero il regno della wilderness ma spazi di degrado ambientale e culturale irreversibile. Per questo motivo riteniamo che il nostro sodalizio debba porsi come obiettivo la tutela delle comunità e delle culture della montagna italiana al fine di poter raggiungere gli obiettivi di tutela ambientale che correttamente il CAI pone al centro della propria attività associativa. Non vi è affatto un conflitto tra la tutela dell’ambiente e la tutela delle comunità che popolano le montagne italiane, vi è invece la necessità di supportare le une per garantire gli equilibri e la tutela dell’altro. A nostro parere è quindi necessario identificare le politiche di consolidamento delle comunità umane montane come il secondo pilastro strategico delle attività del nostro sodalizio. Ogni associato potrà verificare, leggendo ad esempio il Bi-decalogo, che non vi è abbastanza attenzione e chiarezza su questo tema (1).
Questo ci preoccupa molto da due punti di vista:
- Perché può mettere in discussione l’autorevolezza del CAI presso i residenti nelle comunità in quota, fatto che indebolirebbe notevolmente la nostra storica e preziosa efficacia operativa;
- Perché ciò assimilerebbe in modo automatico il CAI alle altre associazioni naturalistiche facendo perdere alla nostra associazione l’immagine di un sodalizio capace di trovare l’equilibrio tra le giuste rivendicazioni di tutela ambientale e le altrettanto giuste rivendicazioni di riconoscimento del ruolo che i Montanari svolgono a tutela dei biomi e delle culture delle montagne italiane.
Ci sono apparsi due motivi sufficienti per indurci a prendere questa iniziativa e proporre al Congresso le nostre riflessioni al proposito. La nostra relazione analizza:
a – La visione distorta del territorio alpino quando lo si considera un territorio naturale mentre è il frutto di una secolare attività umana.
b. L’evoluzione della demografia alpina che evidenzia come le aree in quota (poste al di sopra degli 800 m.s.l.m. di quota media) hanno un tasso di diminuzione dei residenti che è il doppio di quello relativo alle quote più basse o di pianura.
c. L’evoluzione dell’agricoltura alpina (ma vale anche per le altre montagne italiane) dove si evidenzia come il numero delle aziende agricole e gli ettari di superficie agricola utilizzata si sia ridotta (al di sopra degli 800 m.s.l.m. di quota media) in modo molto più rilevante che alle quote più basse o in pianura. Ad esempio, in Valle d’Aosta la variazione delle aziende è stata del -46% e la SAU (Superficie Agricola Utilizzata) è diminuita del -71% dal 2010 al 2020.
d. L’evoluzione delle abitazioni non occupate dove si evidenzia come le abitazioni non occupate (al di sopra degli 800 m di quota media) siano il doppio di quelle alle quote più basse o in pianura e anche la variazione del loro numero negli ultimi vent’anni è doppia. Le abitazioni non occupate in quota sono il 46% del totale provinciale contro i 14,7% di quelle occupate.
e. L’evoluzione delle imprese, delle unità locali e degli addetti dove si evidenzia che le imprese (al di sopra degli 800 m di quota media) sono 29 ogni 100 abitanti contro le medie regionali pari a 38, gli addetti sono 3,5 per impresa contro i 4,6 delle medie regionali.
f. L’evoluzione del consumo di suolo, dove si evidenzia che questo fenomeno (al di sopra degli 800 m di quota media) è decisamente inferiore rispetto a quello che si registra alle quote più basse, escludendo le stazioni turistiche più rilevanti. Ciò dovrebbe indurre a politiche di conservazione ambientale più estese e radicali nei territori in cui il consumo di suolo è più rilevante, invece accade l’esatto contrario. Come se consumare il suolo e distruggere gli ambienti naturali in bassa quota forse ammesso e in alta quota fosse proibito, mentre un elementare principio di giustizia richiederebbe un equilibrato trattamento in entrambi gli ambiti.
g. L’evoluzione del turismo alpino, dove si evidenzia che la pressione turistica nelle province interamente montane è molto più elevata che nella media italiana e delle sei regioni alpine (9,5 arrivi per abitante contro 1,4 e 1,8 e 38 presenze per abitante contro 7 e 8,6). Gli indici di Bolzano sono 15 e 64 e a Canazei sono 59 e 364!
h. L’analisi degli effetti del riscaldamento globale e del cambiamento climatico sulle Alpi, dove si evidenzia che i valori medi annuali della temperatura minima e massima dal 1991-2020 nelle Alpi sono rispettivamente -2,4°C e 4,4°C, con un tasso di riscaldamento di 0,5°C/10 anni. Se le emissioni di questi gas continueranno ad aumentare senza freno, entro la metà del XXI secolo nelle Alpi la temperatura media annuale aumenterà di altri 2,1 3,9 °C. Ognuno può immaginare quali sarebbero le conseguenze sui residui ghiacciai alpini, sul regime delle acque del reticolo idrico, sul clima e di conseguenza sulla vegetazione alpina.
Affidiamo con totale fiducia queste nostre riflessioni alla discussione all’interno dei Tavoli e al giudizio dei Soci e dei Delegati del Club Alpino Italiano.
Note
(1) Qui si può scaricare il documento della nostra proposta di modifica del Bi-decalogo.
A me lascia perplesso questo:
“in montagna esistono dei residenti che hanno necessità di vivere nel luogo in cui stanno perché si occupano della manutenzione quotidiana del paesaggio montano mantenendolo accessibile e sicuro.”
Ovvero, non esistono residenti che fanno altro? Chi l’ha scritto ha idea di cosa scrive, sociologo o antropologo che siano?
Luciano, vuoi sapere se a livello istituzionale il CAI abbia fatto qualcosa?
A mio avviso, bisognerebbe ricordarsi che il CAI, come altre entità, è un’associazione ed è quindi composta da tantissimi individui.
Questi membri spesso dimenticano che, iscrivendosi, accettano e assorbono lo statuto. Non c’è, dunque, bisogno che, per esempio, si costituisca una commissione per la manutenzione dei sentieri, dovremmo sentirci tutti chiamati a farlo.
c’è qualcuno che è a conoscenza dell’impegno del CAI per l’ambiente? C’è qualche regione virtuosa che può essere presa come paragone?
“Riteniamo che le montagne abbandonate non diventerebbero il regno della wilderness ma spazi di degrado ambientale e culturale irreversibile.”
Non mi convince molto questa affermazione, che a mio parere non trova riscontro nella realtà. Nella mia regione lo spopolamento della montagna ha fatto sì che interi paesi abitati fino agli anni 50, dove la vita era estremamente dura anche a causa dell’isolamento, e successivamente abbandonati, siano in alcuni casi già stati completamente riassorbiti dalla Natura. Dove si possa definire degradante questo naturale (in tutti i sensi) ritorno ad un tempo in cui gli uomini non si erano ancora insediati in questi ambienti, non mi è chiaro. Quanto alla cultura sarebbe necessario spiegare a cosa ci si riferisce, il sospetto è che qualcuno confonda cultura con tradizione, o addirittura con attività economica/sportiva (la ben nota cultura dello sci).
“a – La visione distorta del territorio alpino quando lo si considera un territorio naturale mentre è il frutto di una secolare attività umana.”
Ma come si può fare un’affermazione così generica, trattando un insieme estremamente complesso quale la montagna come se si parlasse di pianura? Un’affermazione simile la posso tollerare se la trovo su facebook, ma non in una relazione di un congresso del CAI. Solo come esempio: una gran parte del territorio alpino della mia regione ha visto solo il passaggio di qualche temerario cacciatore all’inseguimento della selvaggina. Come possano aver modificato l’ambiente, aldilà delle loro vaghe tracce di passaggio, non mi è chiaro.
“Come se consumare il suolo e distruggere gli ambienti naturali in bassa quota forse ammesso e in alta quota fosse proibito, mentre un elementare principio di giustizia richiederebbe un equilibrato trattamento in entrambi gli ambiti”.
Questo passaggio è addirittura incommentabile. Ma hanno riletto cos’hanno scritto?
In effetti non lo trovo così ricco di spunti.
Soprattutto ritengo debole la tesi secondo la quale un paesaggio, per essere tale, ha bisogno di conservare la presenza umana.
Darei luce, invece, all’importanza di preservare l’identità culturale di certe comunità che, scomparendo dal luogo che abitano si dissolvono.
Ma non credo sia, purtroppo, il tempo storico adatto per chiedere manforte ai governi che, al contrario, fanno di tutto per standardizzare.
Mi chiedo in quale modo il Cai possa intervenire per far cambiare rotta alle tendenze attuali che vedono lo spopolamento delle montagne.
Nell’area etnea a me par di osservare il fenomeno contrario, con diversi nuclei che vengono a vivere anche al di sopra dei paesi e svariate realtà produttive che nascono, riprendendo vecchie pratiche e tradizioni.
Bonne année à tous.
Encore beaucoup de bons articles sur Gogna Blog,
Et une bonne année pour la montagne que nous aimons.
Iniziare l’anno con un articolo così “stimolante” va bene per chi ha terminato quello precedente con i botti di mezzanotte, i brindisi e gli auguri.