Renzo Debertolis

Renzo Debertolis
di Manuela Crepaz
(pubblicato su aquilemagazine.it nel 2013)
Foto per gentile concessione della famiglia Debertolis

Il compito è toccato a me: scrivere il ritratto del Renzo. E io ho chiesto a Gino Callin di aiutarmi, che, come mi confida Narci Simion, è il più ferrato in materia. Gino, da grande giornalista qual è, ha saputo condensare il suo ritratto in poche righe, in occasione della sua scomparsa nel 2009 su Strenna Trentina 2011: “Questo era il Renzo, innamorato delle sue montagne, oltre che figura di grande carisma; un uomo, insomma, che si è sempre fatto stimare per lealtà, per lungimiranza, per grande sensibilità, che si stemprava spesso in dolcezza, malgrado la scorza apparentemente dura e ruvida, del suo temperamento. Infatti, sapeva assumere spesso atteggiamenti burberi e aggressivi quando voleva far valere le sue ragioni e i principi dei quali era convinto. Come, altrettanto, sapeva far sentire, senza riserva di sorta, la sua carica affettiva, e la sua disponibilità verso tutti”.

Renzo Debertolis (a sinistra) e Pietro De Lazzer

Renzo Debertolis nasce nel 1937 a San Martino di Castrozza. Diventa Guida Alpina nel 1965 e cinque anni dopo è eletto capogruppo delle Guide Alpine “Aquile” di San Martino di Castrozza e Primiero. Erano gli anni in cui non tutte le cime erano state “addomesticate”, pertanto anche lui, come altri alpinisti, si prende le proprie soddisfazioni, centrando centinaia di ascensioni e aprendo una quindicina di vie nuove sulle Pale di San Martino, che Renzo meticolosamente ha trascritto:

  • il Campanile Gilli, dedicato alla guida alpina Carlo Zagonel, scalato assieme a Claudio Longo e Giampaolo Depaoli (V e VI, 27 giugno 1964, ore 6);
  • la Est della Cima dei Cantoni, Via De-Bertolis-Longo (V e VI, 22 settembre 1965, ore 11);
  • la prima invernale della via Leuchs sulla parete ovest del Cimon della Pala con Piero Delazzer, Quinto Scalet, Giulio Faoro (in tre giorni, dal 31 gennaio al 2 febbraio 1966);
  • la prima invernale sulla Cima di Roda con Claudio Longo e Camillo Depaoli (10 marzo 1966, ore 6);
  • la via nuova sulla Cima Rodetta con la giovanissima Marzia Bonsembiante (III e IV, 1 settembre 1966, ore 4);
  • la via nuova sulla Ovest della Cima della Madonna con Claudio Longo (20 ore, 80 metri, artificiale, V e VI, 15-16 settembre 1966);
  • la via nuova sulla Cima delle Scarpe con Giulio Faoro (Via Loredana, III e IV, 19 settembre 1967 ore 4);
  • la prima invernale sulla Nord del Cimon della Pala l’1 e 2 febbraio 1970 nel Centenario del Cimone, con Piero Delazzer, Emilio Marmolada, Alessandro Partel, Claudio Longo, Giampaolo Depaoli;
  • sul Campanile Nuovo, prima ascensione della via LuiBruMar, con Edo Zagonel e Claudio Longo (V, 3 settembre 1971);
  • la Punta Caterina sul Campanile Nuovo, con Lionello Tirindelli il 18 settembre 1971;
  • la via nuova sulla parete est del Campanile Bettega con Giampietro Scalet e Franco Dellantonia, battezzata Via dei Giovani (V, 24 ottobre 1971);
  • la prima invernale sulla Croda del Cimon ancora con Giampietro Scalet e Franco Dellantonia il 13 febbraio 1972;
  • la via nuova sulla Cima Rodetta, la Via degli Albergatori, assieme a Giampietro Scalet e Alberto Motter (IV e V, 8 ottobre 1972);
  • la prima invernale sulla via Dimai al Cimon della Pala con Piero Delazzer, il 6 febbraio 1973.
Renzo Debertolis, primissimi anni Sessanta

Mi racconta Marilena, la solare ragazza che Renzo ha sposato nella chiesetta di Passo Rolle nel settembre del 1968: “Nella testa aveva la montagna e la mamma: prima i sassi e la mamma, poi il lavoro, poi la famiglia”. La famiglia entra comunque nella storia. In quell’anno, infatti, nasce la prima figlia, Caterina, a cui Renzo nel ’71 dedica, sul Campanile Nuovo, la Punta Caterina. Quindici giorni prima, Renzo e gli amici Claudio e Edo aprono sulla stessa cima la LuiBruMar, battezzata così dalle prime tre iniziali dei nomi delle consorti cui è stata dedicata la via: Luigina Longo, Bruna Zagonel e Marilena Debertolis. In vetta, si sceglierà il nome del nuovo arrivo in casa Debertolis. Infatti, il 30 agosto era nato il secondo figlio di Renzo. I tre alpinisti sulla cima scrivono ognuno un nome su un biglietto, lo mettono in un cappello ed estraggono Matteo.

Ma la più grande impresa alpinistica di Renzo è stata l’organizzazione della spedizione trentina al Dhaulagiri I, nel 1976, la terza spedizione italiana che ha conquistato un 8ooo, la quattordicesima che ci provò e la prima italiana che ci riuscì nel primo pomeriggio del 4 maggio. Grazie a dei grandi alpinisti come Gian Paolo Zortea e Silvio Simoni che arrivarono agli 8195 metri della vetta (così segnava l’altimetro di Gian Paolo), Luciano Gadenz, i fratelli Camillo e Gian Paolo Depaoli, Gian Pietro Scalet, Edoardo Edo Zagonel, Francesco Santon, Sergio Martini, Luigino Henry, il medico Achille Poluzzi e i quattro sherpa, si è scritta una pagina storica dell’alpinismo himalayano che ha avuto un’ampia eco sulla stampa del tempo, grazie alla cronaca puntuale di Gino Callin su L’Adige, che non si era ancora affievolita nel 1984 quando Bruno Cagol scriveva: “Capo del tentativo era Renzo Debertolis: rifiuta ancora oggi l’investitura, ribadendo che il merito fu di tutta l’equipe.

Renzo Debertolis al Dhaulagiri

Nel giro di pochi mesi, un vero e proprio record, l’impresa fu decisa, studiata ed attuata. Una prova di serietà e di professionalità realizzata grazie all’abnegazione e ai personali sacrifici”. Ricorda ancora Gino Callin: “La spedizione fu il suo capolavoro, non solo per l’impegno professionale, ma anche per quello umano. Pareva fosse tutto contro di lui, dai disguidi per il trasporto aereo alla contrarietà, non poco accanita, delle mogli dei partecipanti alla spedizione. Ma il Renzo era intestardito sempre più nel portare a compimento l’impresa. E ci riuscì, malgrado i mille ostacoli di ogni natura che, talvolta, sembravano proprio imporre la rinuncia al suo progetto. Fu invece un trionfo, e ben meritato. Fu un’impresa di grande risonanza e che assicurò ulteriore prestigio al sodalizio delle Aquile di San Martino e all’intera valle di Primiero”.In barba a quello che dice Callin, in quell’occasione, la moglie Marilena ha svolto un ruolo importante, facendo da trait d’union tra le pochissime notizie che arrivavano dal Nepal e le compagne degli alpinisti in spedizione. Era la più “grande” e coraggiosa e aveva fiducia in Renzo, così toccava a lei, nei lunghi momenti di attesa, confortare e far coraggio a chi li aspettava a casa con ansia. Si è poi prodigata nell’organizzare assieme agli altri i festeggiamenti per l’eroica impresa al ritorno della spedizione del gruppo. Storiche le foto dell’arrivo all’aeroporto di Malpensa e l’accoglienza ai Masi d’Imer.

Trent’anni dopo, Renzo mi aprì i suoi archivi, mostrandomi le foto e i documenti che con cura conservava. Mi ha raccontato della spedizione, sfogliando il grande libro di legno: fu un’esperienza unica in un’atmosfera magica, giù nel suo piccolo regno sotto l’Enoteca. Me lo aveva anche prestato. È stato un atto di grande fiducia, ne vado ancora orgogliosa, perché sapevo quanto ci teneva. Matteo sta riordinando tutta la mole di materiale dell’epoca: ha un valore inestimabile, come il suo raccoglitore che da qualche mese mi tengo vicino, come la coperta di Linus. Contiene la storia delle ‘Aquile’ dalle origini (perfino il santino per la morte di Michele Bettega nel 1937) al 30 dicembre 2000: sono articoli di giornale, relazioni di scalate, lettere di ringraziamento e di lode. Ma questa è un’altra storia, per la prossima volta.

Per tutti, Renzo era El Trapano, anche ufficialmente! Si legge infatti in una corrispondenza di Giuliano Conci, presidente della SAT sezione di Primiero e San Martino del 5 novembre 1970 con cui si congratula per il superamento dell’esame di Guida Alpina (ci aveva messo tanto a diventare guida, perché il pezzo di carta gli interessava poco): “Carissimo Renzo, (Socio recuperato!), è con vero compiacimento che gli amici Satini commentano la tua nota bravura e la conseguente conquista della patente di Guida Alpina. Certamente attraverso difficili dimostrazioni di tecnica alpinistica avrai saputo dimostrare, più di ogni altro, che si può arrampicare anche senza l’ausilio del “trapano”…

Anche il quotidiano L’Adige, un anno dopo, il 17 settembre 1972, lo consacra Trapano, nella pagina dedicata a Fatti e Personaggi, in cui Elio Conighi, Antonino Vischi e Gino Callin raccontano di lui, Claudio Longo e Rinaldo Zagonel come esemplari guide alpine che davano lustro alla località.
Di Renzo scrivono: “Per l’anagrafe è Renzo Debertolis, classe 1937, coniugato con prole, professione guida alpina e pavimentista; per gli amici è più semplicemente il “trapano” per via della sua seconda professione, quella di mettere giù i pavimenti, che lo porta ad usare dell’attrezzo per fare i buchi. Ma forse lo chiamano affettuosamente così anche perché Renzo Debertolis è uno di quei tipi senza peli sulla lingua che dicono quello che hanno dentro anche a costo di pungere, di bucare la suscettibilità del prossimo. Un tantino scanzonato, mattacchione, spesso con la testa nelle nuvole nella vita privata, Renzo Debertolis diventa un altro uomo quando è in montagna: calcolatore, calmo, riflessivo di fronte alle difficoltà che sa valutare con occhio sereno, superandole poi con quel pizzico di spregiudicatezza necessaria sulle rocce”.

Renzo, prima di stabilirsi definitivamente alla Mia Enoteca, ha messo a nuovo la Malga Fosse rendendola un accogliente rifugio e intuendo il business proprio negli anni in cui si stava costruendo lo skilift. Poi aiuterà Marilena nella gestione del centralissimo Bar Margherita, che per un po’ è diventata la sede distaccata del Comune di Siror, quando Renzo era stato nominato vicesindaco di Siror e sindaco di San Martino di Castrozza a tutti gli effetti. E non si perdeva nessuna occasione ufficiale per parlar bene di e prodigarsi per San Martino, tanto che era riconosciuto come autorità anche dagli organi provinciali.

Era sempre in prima fila col soccorso alpino, per otto anni capogruppo, poi vice, tanto che probabilmente ha fatto più soccorsi che scalate. In una lettera inviata dai famigliari di tre alpinisti morti sulla Cima Madonna si legge: “Le fatiche, i pericoli, il rischio della stessa vostra vita nel tentativo di salvare vite umane e nella pietosa opera di recupero delle salme, vi pone in vetta ai più luminosi atti di solidarietà umana”.

È nominato pure Cavaliere dell’Ordine Al merito della Repubblica Italiana nel 1980 e guida emerita nel 1997. Ha proprio ragione Gino Callin Tambosi: “Se fosse diventato vecchio, sicuramente sarebbe stato riconosciuto come il patriarca della valle”.

Si legge nel telex inviato da Renzo Debertolis a Gino Callin il 17 maggio: “Alpine guides Eagles S. Martino pitched camp V may 3 at 7529 m and gained victory over Dhaulagiri I on 1 May 1976 2.30 pm Stop. All ok membersrelatives Primiero Valley Trentino Italy all guides Cai friends“.

Sul periodico Alpinismo e Sports Invernali, Renzo dà otto consigli per andare in montagna in sicurezza. Al 7° scrive: “I bambini debbono essere vestiti come gli adulti. Mai portarli in alta quota prima degli 8/10 anni. Per le donne, invece, non ci sono problemi: è certo che si impegnano più degli uomini”.

Renzo Debertolis è scomparso nel 2009.

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Renzo Debertolis ultima modifica: 2023-02-28T05:04:00+01:00 da GognaBlog

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2 pensieri su “Renzo Debertolis”

  1. Quando nel 1987, giovanissimi, coll’amico Bruno abbiamo confidato al Renzo che ci sarebbe piaciuto salire lo Spigolo del Velo, proprio lui che ci aveva mandati con la sua benedizione su classici (e brevi) quarti gradi delle Pale, ci ha guardati seriamente e ci ha detto: “Attenzione ragazzi che lì trovate il quinto grado”. Ci sono voluti anni e parecchi altri quinti gradi e più sulle Pale per capire cosa intendesse: la montagna aperta, ripida, poco protetta ed, in una parola, avventurosa nel vero senso del termine.
    Adesso che il quinto grado per chi inizia ad arrampicare, ovviamente non in montagna, è il primo gradino, una frase così può fare sorridere. C’è dentro invece il rispetto per le crode, per la natura e per la vita.
    Bravo Renzo, e grazie per il consiglio di fare sempre attenzione. Adesso che quelle pareti sono diventate così ripidi e fragili come il cristallo, per citare un altro innamorato delle Pale, le sue parole sembrano la carezza ruvida di un tempo che non tornerà più.

  2. Grazie per queste finestre aperte sulle vite di valenti montanari che mi riportano all’essenzialità dei gesti.

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