Riflessione su Alpe Devero e Turismo
di Andrea Ratti
(pubblicato su deveronaturalmente.org il 22 agosto 2020)
Percorro il sentiero che da Devero sale verso Crampiolo, venti-trenta minuti di leggera salita su uno dei percorsi più battuti delle Alpe Occidentali. Com’è risaputo la percezione visiva dell’uomo è attratta dal bianco ed è infatti impossibile ignorare le decine di fazzoletti di carta sparsi lungo il bordo del sentiero. Dietro ai fusti nobili dei larici secolari, torvi e saggi abitanti di questi luoghi, i turisti ignoranti provano a celare il risultato di qualche operazione di igiene, della “loro” igiene, certo non quella del bosco o dell’estetica. Fra le vetuste radici, spettatrici di chissà quanti eventi centenari, i bianchi fazzoletti ricoprono abbondantemente il terreno.
È un orrore per tutti i sensi. Fra lo schifo, diverse domande si affastellano: cosa impedisce al turista di trattenersi dal gettare a terra fazzoletti, cicche, mozziconi, sacchetti dei cani, eccetera? Perché lo stesso comportamento non lo osserviamo in tanti altri ambienti come nei centri delle città, in alcune nazioni, nei locali pubblici, nella maggior parte delle abitazioni private? Lo stesso turista portato su un sentiero all’estero, poniamo in Svizzera, si comporterebbe allo stesso modo o si comporterebbe esattamente come fa il guidatore italiano, spavalda lepre sulle nostre autostrade ma cauta tartaruga su quelle straniere? Qual è il misterioso freno inibitore che attua tale cambiamento comportamentale?
Si badi che, benché la questione dei fazzoletti possa apparire banale non è così. Si tratta della punta di un iceberg, un segnale del più ampio rapporto fra turista e ambiente nella sua interezza.
Qui in Alpe Devero la risposta mi appare facile e immediata: manca completamente quella “pressione culturale” che suggerisca in ogni momento all’orecchio del turista, dall’ingresso con l’auto nei parcheggi dopo Cologno fino all’ultima delle località, la necessità, il dovere di attuare un comportamento più rispettoso dell’ambiente. Già questo “più” suona stonato, perché implica un “meno” quando i luoghi non sono quelli del Devero. E infatti la questione dovrebbe essere culturale, le persone dovrebbero prendere esempio dai leader della società, ma ahimè ben sappiamo che la cultura di massa ha invertito i ruoli: il leader trova consenso se riproduce il pensiero del popolo, non se lo conduce verso un miglioramento.
È quindi vero che, forse un po’ egoisticamente, mi basterebbe questo “più” di comportamento quando il turista valica i confini dell’Alpe Devero. Ma perché avvenga è necessario che ogni persona, vecchio, giovane, uomo, donna, del luogo o “foresto”, smetta di considerare l’Alpe Devero un luogo normale o smetta di pensare che i vincoli del parco siano una maledetta scalogna per l’economia e la libertà individuale. Non è così. Addentriamoci.
Partiamo dal primo caso, quello di chi pensa che l’Alpe Devero sia un posto come qualsiasi altra località di villeggiatura. “Insomma se mi sono comprato un drone avrò pure il diritto di farlo volare qui in montagna“, “Che male facciamo se camminiamo a ritmo di musica con la nostra cassa preamplificata?“, “Perché mai dovrei tenere il mio cane al guinzaglio in un bosco?“, eccetera. A queste persone manca educazione e informazione. Non sanno di trovarsi in un luogo che è stato eletto a protezione della natura. Di posti così ce ne sono pochi. Se l’uomo si è accorto della necessità di salvaguardare alcuni ambienti è perché altrove gli stessi ambienti stanno scomparendo o sono minacciati. L’Alpe Devero ha la fortuna di essere stata scelta come “testimone” per i nostri pronipoti dell’ambiente alpino (flora, fauna, tradizioni incluse). Questa destinazione del territorio va “urlata”, e a lungo, alle orecchie di ogni turista. La pressione deve essere tale da intimare un comportamento più rispettoso. Stai entrando in un negozio di cristalli, non nel supermercato! E te lo dico quando arrivi in macchina (ci vorrebbero diversi cartelli stradali lungo la salita da Baceno a Devero; alla sbarra di ingresso di Cologno ci vorrebbe un varco in stile partenza di gara con una scritta che sia quasi un monito “Attenzione! Stai entrando nell’area protetta dell’Alpe Devero”; le persone dentro l’auto devono vivere fisicamente e simbolicamente l’ingresso in un luogo speciale), quando prendi la navetta (che dovrebbe essere tappezzata di cartelli sulle buone norme di comportamento e sulla bellezza della flora e della fauna), quando cominci a camminare lungo qualsiasi sentiero (grandi pannelli informativi da posizionare alla partenza dei sentieri del Devero sarebbero non più di dieci: uno alla cascata del Diavolo, uno a Cologno, uno a Ponte, uno alla carrozzabile verso Crampiolo, due a Cantone, due a Pedemonte, due alla partenza degli impianti per le attività invernali), quando ti fermi a sorseggiare una birra in uno dei tanti locali.
La seconda categoria è quella di chi crede che un’area protetta, con tutti i suoi lacci e lacciuoli, sia una scalogna per qualsiasi attività commerciale o per la propria libertà: permessi per ogni attività, per ogni opera, restrizioni alla logistica, divieti di varia natura, eccetera.
Partiamo dall’economia. I detrattori del parco ignorano che i dati economici e turistici di questa zona li smentiscano. Nei 16 anni dal 2003 al 2018 le presenze turistiche (ossia il numero di notti trascorse dai turisti nelle strutture ricettive) in Piemonte sono cresciute ad un tasso medio annuale del 4%. Nel comune di Baceno nello stesso periodo la crescita annua media è stata del 34% (fonte: Regione Piemonte qui). Per rafforzare l’analisi, prendiamo anche i dati di una delle regioni a maggiore vocazione turistica montana, nella quale le grandi stazioni sciistiche e le grandi infrastrutture alberghiere la fanno da padrone, la Valle d’Aosta. Qui la crescita media negli ultimi 15 anni è stata dello 0,9%, quindi stagnante (fonte: Regione Valle d’Aosta qui). La prova del nove l’abbiamo leggendo i dati del turismo montano legato allo sci da discesa la cui crescita media annuale italiana negli ultimi 9 anni è stata del 1,6% (fonte: Osservatorio Italiano del Turismo Montano).
Pare proprio che l’istituzione di un’area protetta abbia fatto la fortuna (turistica ed economica) dell’Alpe Devero e non il contrario. E per questa crescita non sono stati impiegati investimenti da decine di milioni in infrastrutture ma è bastato “mantenere” il pre-esistente.
Ad essere puntigliosi, l’unico dato negativo di Baceno è il numero medio di giorni di pernottamento del turista: 1,98 nel 2018 contro il 2,9 sia di Piemonte che di Valle d’Aosta. La spiegazione è semplice: il turismo attratto dall’Alpe Devero è cresciuto vertiginosamente mentre i posti letto in quota (salve qualche B&B) non sono sostanzialmente cambiati. Non potendo dormire in quota il turista va e viene in giornata (il “mordi e fuggi”). Ne beneficiano quindi soprattutto i bar e i ristoranti posizionati lungo le vie di alta percorrenza dell’Alpe Devero.
Soffermiamoci infine sulla limitazione della libertà. Bisogna mettere sul piatto della bilancia da una parte la possibilità di poter effettuare qualsiasi lavoro o spostamento senza particolari vincoli, dall’altra la quiete e la bellezza di tutte le località del Devero. A chi non piacerebbe poter arrivare a casa propria o presso una struttura ricettiva con il proprio veicolo? Oppure poter liberamente disegnare i percorsi per auto e persone secondo la propria utilità? O ristrutturare casa senza dover usare le costose e anacronistiche piode? Se le concezioni di bello e utile fossero universali e assolute sarebbe facile determinare la “retta via”, e forse non ci sarebbero nemmeno obiezioni (così come forse non ci sarebbero nemmeno guerre). Ma sia il bello sia l’utile rischiano di diventare categorie personali: a me piace più così, per me è più utile così. Senza alcun criterio superiore ed oggettivo si cadrebbe nell’anarchia o nella conflittualità. In un luogo come l’Alpe Devero succederebbe di tutto: sentieri asfaltati, case di tutte le forme e dimensioni, veicoli parcheggiati in ogni lembo di terra, impianti di risalita ovunque ci sia un pendio, vai e vieni di mezzi ad ogni ora del giorno e della notte, eccetera. I turisti fuggirebbero, gli animali pure. Resterebbe una landa desolata in mano a pochi proprietari litigiosi. Dunque alcuni criteri “guida” devono essere scelti. E trattandosi di un luogo speciale come l’Alpe Devero, che proprio per la sua armonia naturale attira centinaia di migliaia di persone ogni anno, questi criteri non possono che essere il bello e l’utile.
Partiamo dal primo dei due. Anche se non possiamo affermare che esista una categoria assoluta di bello, possiamo quantomeno avvicinarci ad una categoria contingente di bello limitata all’Alpe Devero. A tal fine dobbiamo chiederci: per quale motivo così tante persone vengono in Alpe Devero? Non per la comodità di accesso (tante altre località hanno strade più comode), non per la qualità dei ristoranti o degli alberghi (strutture con standard più elevati si trovano ovunque), non per l’offerta di servizi (molti altri luoghi offrono ben più di camminate o sciate). Sarà allora per la bellezza percepita dei luoghi? Evidentemente sì. Ma di quali luoghi? Beh la risposta anche qui è abbastanza facile, basta vedere quali sono i luoghi più fotografati: provate a digitare Alpe Devero in Google Immagini (link), noterete subito che le immagini più frequenti sono quelle di panorama naturalistico (catene montuose, laghetti, flora e fauna) o quelle di armonia fra l’elemento naturale e quello umano (baite tradizionali e piccole località come Pedemonte o Crampiolo): complessivamente ben l’81 %. Mentre vengono poco fotografate (e cliccate) le immagini di strutture moderne o di infrastrutture per lo sport (impianti di risalita o piste): complessivamente appena il 11 %.
Ecco la statistica delle prime 100 immagini:
Panorama naturalistico senza strutture umane: 48 %
Panorama naturalistico con strutture umane pre-diciannovesimo secolo: 33 %
Mappe: 8 %
Panorama naturalistico con strutture umane post-diciannovesimo secolo: 6 %
Infrastrutture per lo sport: 5 %
Dunque la bellezza non solo è uno dei criteri per cui l’Alpe Devero piace, ma è possibile declinarla meglio: è bella la natura (le catene montuose, i laghetti, gli alpeggi) e sono belle le costruzioni tradizionali (baite) in quanto sono più in armonia con l’ambiente circostante. Possiamo infine affermare che la concezione del bello in Alpe Devero coincide anche con quanto ci suggerisce il buon senso e con quanto le norme locali, regionali e comunitarie stanno cercando di difendere: la natura e il paesaggio architettonico tradizionale.
Quando si parla di turismo il bello spesso fa il paio con l’utile. Sempre mantenendoci nell’ambito della concezione contingente di utile, possiamo sicuramente affermare che l’aspetto utilitaristico più importante (quanto meno dalla rivoluzione industriale in poi) è quello economico. In molti sacrificano la libertà personale per un maggior “utile” economico, sia che questo si chiami stipendio o valore immobiliare. Nel caso dell’Alpe Devero è evidente che il valore delle proprietà è più elevato di altre aree montane proprio perché la quantità di case (e di conseguenza la potenziale offerta di vendita) è scarsa e la costruzione di nuove unità vietata. Si tratta della (tristemente) nota legge della domanda e dell’offerta. Ma la scarsità da sola non basterebbe a mantenere il valore al metro quadrato elevato (basti vedere quante costruzioni abbandonate in varie località della bassa Val Antigorio si trovano in vendita da anni a prezzi stracciati). Deve essere abbinata alla capacità di attrarre potenziali acquirenti. E qui torniamo al perché del turismo in Alpe Devero, che coincide con bellezza e armonia fra natura e costruzioni tradizionali. Quindi, che piaccia o no, i vari livelli di protezione della natura (parco regionale ed europeo) e delle costruzioni tradizionali (piano paesistico) sono i “valori” che rendono l’Alpe Devero un luogo più ricco sia in termini naturalistici che economici.
Se mai dovesse capitare un cambiamento di rotta che consentisse di entrare indiscriminatamente con le auto, di costruire o restaurare a piacimento, di infrastrutturare gli alpeggi e le vallate con impianti di vario tipo, l’Alpe Devero non sarebbe più un “unicum” ma uno dei tanti luoghi sulle Alpi da “non” fotografare, da “non” visitare. La crisi sarebbe inevitabile.
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Con dignità.
https://comitatotuteladevero.org/
Purtroppo è sempre come al solito un problema di educazione.
Non ho mai amato particolarmente il Devero proprio per il suo facile accesso (gli ho sempre preferito la vicina Alpe Veglia dove andavo fin dal 1963 le prime volte a dorso di mulo…).
Ci sono tornato dopo circa vent’anni nel 2019 per una gita di scialpinismo effettuata purtroppo di domenica e non mi ha fatto ancora una buona impressione proprio per l’affollamento, mi sono ripromesso di tornarci per fare foto in un giorno feriale ma purtroppo non ci sono più riuscito.
Comunque in Italia se si fanno aree protette vanno anche gestite giustamente con cartelli per carità però purtroppo ci vorrebbe anche qualcuno che fa rispettare i divieti, nei parchi nazionali ci sono le guardie a vigilare per esempio.
Anche gli svizzeri soprattutto i ticinesi quando vengono in Italia sfrecciano sulle nostre strade proprio per mancanza di controlli.
Ed è comunque vero che più c’è facilità di accesso (strade, pulmini…) e più la gente arriva e soprattutto che gente arriva… la stragrande maggioranza sono quelli che vanno al rifugio o al ristorante comodamente raggiunto a mangiare…
Non lamentiamoci troppo quindi, se non si vogliono vedere certe cose bisogna andare lontano e soprattutto camminare tanto.
Bell’articolo e bella disamina economico-sociale.
Mi permetto di dissentire solo da un’affermazione: Perché lo stesso comportamento non lo osserviamo in tanti altri ambienti?
Mi pare basti fare un giretto per le strade proprio per osservare lo stesso comportamento…certo, in città non troverai uno che caga, ma il suo cane si!