Rigopiano: storia passata e il presente

L’onnipresente Pietro Valsecchi, amministratore delegato della Taodue film, ha annunciato di aver iniziato a lavorare su un progetto televisivo in quattro puntate dedicato alla recente, drammatica vicenda della valanga che ha travolto l’hotel Rigopiano a Farindola (Pescara). «È un progetto molto importante – si legge in una nota della casa di produzione che fa capo a Valsecchi – che stiamo scrivendo con il supporto e il coinvolgimento di chi ha vissuto in prima persona questa vicenda: superstiti, famigliari delle vittime, soccorritori». «Sono state giornate – prosegue Taodue – che abbiamo seguito tutti con emozione e partecipazione, in un’alternanza di sentimenti, dalla trepidazione per chi era intrappolato, il sollievo per chi è stato salvato, la commozione per le vittime, l’ammirazione per chi ha lottato fino all’ultimo per salvare vite umane e infine anche la legittima domanda che tutti si pongono: si poteva evitare questa tragedia?». Con questa miniserie, «certamente molto impegnativa produttivamente, vorremmo fare luce – conclude la nota diffusa da Taodue – sulla verità dei fatti e insieme rendere omaggio alle vittime e a tutti quegli uomini e donne che in condizioni proibitive e a rischio della loro stesa vita, non si sono risparmiati, lavorando senza tregua per cercare i superstiti.» Le riprese inizieranno a settembre, mentre la messa in onda è prevista a gennaio 2018, a un anno dalla tragedia.

Fare una serie TV su questa tragedia è un’iniziativa che a molti fa ribrezzo. Le parole del comunicato stampa vorrebbero, senza riuscirci, travestire a ricerca della verità, rispetto delle vittime ed elogio dei soccorritori ciò che in realtà si basa su una sciacallesca impresa commerciale che trova appoggio nella parte più patologica della morbosa attenzione pubblica, quella dei delitti irrisolti.

Cogliamo l’occasione di questo comunicato per presentare, da parte nostra, l’accorata testimonianza di Mario Viola, da lui scritta allo scopo di riportare sulla giusta strada l’informazione al riguardo di quella tragedia (AG).


Rigopiano: storia passata e il presente
di Mario Viola (rappresentante regionale MW Abruzzo)

Dalla mia casa materna e paterna, situata a 600 m sul mare, a 2 km da Farindola, si vede l’intera catena meridionale del Gran Sasso d’Italia, dal Monte Siella al Colle Arcone.

Il Monte Siella, da dove è partita la valanga del 18 gennaio 2017 che ha colpito il Resort Gran Sasso “Il Vate”, mi è piaciuto sin da piccolo perché alto, imponente, coperto dalla neve d’inverno, ad eccezione del versante est dove i venti fortissimi si divertono a spazzarla depositandola nel canalino della Genzianella. Per me è stata la montagna al femminile, elegante come una sposa, tanto da suggerirmi il ruolo di protettrice dell’area sottostante di Rigopiano. Sui suoi fianchi e canalini ghiacciati dei versanti nord ed est ho praticato le mie prime salite invernali con ramponi e piccozza e le discese con gli sci in solitaria. Conosco tutti gli aspetti di questa montagna (geomorfologici, carsici, idrici, vegetali, faunistici, storici).

Il resort Gran Sasso “il Vate”

Avevo cinque anni quando, nel 1950, mio padre mi portò a Rigopiano per la prima volta, in occasione della Festa degli Alpini, per assistere all’inaugurazione del primo sbancamento relativo alla costruzione della nuova strada per Vado di Sole e Campo Imperatore. Ricordo le emozioni che provai nel camminare sulla prateria, nell’osservare l’estesa foresta di faggi, nel vedere da vicino le cime dei monti San Vito, Siella e Coppe, le tante pecore, mucche, vitelli, muli, asini e cavalli al pascolo, i due rifugi Tito Acerbo e Rigopiano, i fontanili, il vivaio forestale sperimentale e le due stinzie per i pastori. Un ambiente integrale, un paradiso terrestre nel quale l’uomo aveva saputo collocare armonicamente nel paesaggio i fabbricati, nei punti ritenuti più sicuri. I suddetti rifugi furono costruiti nella prima metà del secolo scorso, sulle rovine della chiesa alto-medievale e medievale benedettina di Santa Cecilia con annessi convento e foresteria, dipendente, nel IX secolo, dall’Abbazia di Montecassino (Carta Archeologica della Provincia di Pescara redatta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per l’Abruzzo). Il complesso architettonico costruito su un preesistente luogo di culto antico italico-romano, svolgeva la funzione di punto di sosta e ristoro di pellegrini, pastori, soldati e mercanti, sulla direttrice dell’antica via di comunicazione dalla costa adriatica alla costa tirrenica, Atri-Penne-Farindola-Rigopiano-Vado di Siella-Campo Imperatore-Paganica-L’Aquila-Roma.

La spa del resort

Pochi anni dopo mio padre mi portò sul Vado di Siella per il turno di assistenza alle pecore durante l’alpeggio. In quelle occasioni potei osservare dall’alto la piana di Campo Imperatore che mi apparve sconfinata e silenziosa in quanto le strade non erano state ancora realizzate.

Gli insegnanti della Scuola Media di Penne ci portavano a Rigopiano ogni anno, a maggio, per farci vivere una giornata nella natura. Nel periodo pasquale noi ragazzi salivamo a Rigopiano a piedi, da Farindola, per passare una giornata in allegria tra la neve e i primi fiori.

Il rifugio Rigopiano, di proprietà comunale, era stato gestito dalla Sezione CAI di Pescara per diversi anni. Riconsegnato al Comune, fu venduto a un privato il quale, alla fine degli anni Sessanta, iniziò a costruirvi accanto l’albergo investito dalla valanga del 18 gennaio.

Il canalino est “la Genzianella”, che parte dall’anticima del Monte Siella, a quota 2000 m, aveva generato quasi sempre piccole slavine che si fermavano alla sommità della foresta. Il suddetto canalino, che ho risalito tante volte fin da ragazzo, presentava una copertura di faggi di alto fusto e mostrava pochi sassi affioranti dal colore grigio tipico delle rocce anticamente cadute. La conoide, inattiva da tempi antichi (fossile), non è stata mai più ricaricata dalla caduta di valanghe. A testimonianza della sua inattività erano presenti sulla sua superficie prativa a valle della strada provinciale per Vado di Sole, prima del 18 gennaio, esemplari di faggi maestosi che variavano dai trecento ai quattrocento anni, a dimostrazione che da circa mezzo millennio non vi erano cadute le valanghe.

Dopo il disastro

L’anticima del Monte Siella ha forma arrotondata a nord-est (versante di Rigopiano) e prima dell’arrivo della scorsa perturbazione era priva di neve. La spessa coltre bianca accumulatasi in pochi giorni, superiore a 5 m, non saldata alla prateria altitudinale e strattonata dalle quattro forti scosse sismiche, ha cominciato lentamente a muoversi nelle ore successive fino a trasformarsi in “nevemoto” (termine che mi viene suggerito dalla dinamica di questa tipologia di valanga). E’ accaduto un evento catastrofico di grandi proporzioni, imprevedibile, che ha superato, a mio avviso, la dinamica delle valanghe cadute nel passato.

La grande valanga, dopo la sua veloce corsa distruttiva, ha superato il perimetro basale di sinistra della conoide fossile, andando a occupare parte del sito scelto nel IX secolo dai Benedettini, schiacciando l’albergo.

I giudici, i giornalisti, gli esperti, gli opinionisti del nostro tempo pensano di voler giudicare la scelta dei Benedettini che avevano edificato in quel posto? I Benedettini sono stati maestri di sapienza e capaci di affermare una cultura basata sul primato dello studio e del lavoro, dopo secoli di barbarie, all’indomani del crollo dell’Impero Romano.

La valanga del 18 gennaio è figlia del “dissesto climatico” in atto che, in pochi minuti, ha distrutto le certezze di antichissima data sugli equilibri geomorfologici di questa montagna.

Ascoltare i giornalisti e gli esperti che, dagli studi televisivi, hanno parlato della tragedia di Rigopiano con superficialità, senza conoscere le caratteristiche geomorfologiche della montagna, è stato per me doloroso. Un vecchio detto pastorale farindolese recita “chi poco sa, presto parla“.

Nel 1974, nella veste di presidente della Sezione CAI di Farindola, mi opposi al progetto di lottizzazione edilizia previsto a Rigopiano, approvato dalla Giunta Regionale d’Abruzzo.

I pastori e i boscaioli farindolesi si opposero anch’essi e il 13 giugno 1975 la comunità locale elesse un nuovo Consiglio Comunale con l’obiettivo di tutelare i pascoli e la faggeta di Rigopiano. Nella maggioranza di quel Consiglio c’ero anch’io nella veste di vicesindaco e assessore all’Urbanistica. Nel 1976 il Consiglio Comunale, su mia proposta, approvò all’unanimità il Regolamento per la tutela dei fiori, dei boschi, delle acque sorgive, dei pascoli, delle cavità ipogee e delle opere pastorali. Nel 1977 portai all’approvazione del Consiglio Comunale il nuovo Piano Regolatore Generale che annullava la lottizzazione edilizia. Il nuovo strumento urbanistico restituiva a Rigopiano la sua vocazione pastorale, coniugata allo sviluppo di un turismo rispettoso del paesaggio e degli equilibri ecologici del luogo.

Il Piano Regolatore Generale fu approvato con i voti della maggioranza. Dopo pochi mesi da quella svolta lungimirante per la montagna farindolese che poneva le basi per l’istituzione del Parco Nazionale del Gran Sasso d’Italia, il sindaco mi ritirò la delega. Forse ero diventato troppo scomodo per quegli imprenditori (non farindolesi) che non avevano potuto mettere le mani su Rigopiano per realizzare il “modello Campitello Matese” tanto propagandato negli anni Settanta. Le amministrazioni comunali che si sono succedute fino ad oggi hanno confermato il rispetto della vocazione naturale di Rigopiano. Per questo Farindola è stato e resta un modello di sostenibilità ambientale e turistica con il determinante contributo delle associazioni ambientaliste locali (Sezione CAI Gruppo Speleologico, Circolo Legambiente, Gruppo Mountain Wilderness). Elenco le principali realizzazioni: conoscenza della montagna con l’esplorazione di tutte le grotte e gli abissi, riforestazione dei terreni in frana, Riserva Naturale Regionale Voltigno e Valle d’Angri, reintroduzione del Camoscio d’Abruzzo dopo cento anni, Museo del Camoscio, Osservatorio di Geologia del Gran Sasso d’Italia, Polo Scientifico del Parco, campeggio attrezzato a Rigopiano, Consorzio Produttori del formaggio “Pecorino di Farindola”.

Considerazioni
1) La perturbazione iniziata alcuni giorni prima del 18 gennaio è stata di eccezionale rilevanza con neve pesante, alta un metro e mezzo a Farindola 530 m, tre metri a Rigopiano 1100 m e oltre cinque metri sulla gobba dell’anticima del monte Siella 2000 m, formando una muraglia nevosa imponente;

2) Le quattro forti scosse sismiche del 18 gennaio hanno minato la stabilità del manto nevoso sulla sommità dell’anticima del Monte Siella, attivando il fenomeno “nevemoto” che ha prodotto la valanga catastrofica che ha esaurito la sua forza distruttiva contro l’albergo. La tradizione orale di Farindola non ricorda un evento simile;

3) I due rifugi ubicati a poca distanza dal margine sinistro basale della conoide fossile sono stati costruiti nel sito ritenuto più sicuro sin dall’antichità, al riparo dalla caduta di valanghe in quanto protetti dal sovrastante contrafforte calcareo del Siella dove si trova la Grotta dei Briganti;

4) I faggi secolari che vegetavano al centro della conoide fossile testimoniavano che negli ultimi tre/quattro secoli non si era verificata una valanga catastrofica come quella attuale.

Responsabilità delle istituzioni
La Prefettura di Pescara e la Provincia di Pescara, di fronte all’annunciata perturbazione che prevedeva abbondanti nevicate superiori a tre metri nelle aree montane, avrebbero dovuto assicurare l’apertura della strada provinciale Farindola-Rigopiano come era sempre avvenuto in precedenza, oppure provvedere alla chiusura temporanea dell’albergo con l’evacuazione del personale e dei turisti. L’albergo non era umanamente spostabile, ma le persone potevano essere salvate.

Indicazioni per il presente e per il futuro
– nel dissesto climatico in corso, l’approccio urbanistico va rivisto con urgenza, in particolare per le aree montane, e basato su presupposti scientifici. I versanti montuosi che per millenni si erano stabilizzati tornano oggi a muoversi sotto la spinta di forti terremoti, bombe d’acqua e bombe-neve producendo danni incalcolabili a persone e cose;
– in area Gran Sasso e, in generale nell’Appennino, la combinazione terremoto-nevemoto non si era mai manifestata e pertanto gli edifici costruiti in prossimità di conoidi fossili vanno verificati e, se necessario, abbandonati.
– Le Istituzioni, ai vari livelli, hanno il dovere di elaborare una nuova strategia non più rinviabile per la tutela e messa in sicurezza della montagna italiana. I morti e i sopravvissuti di Rigopiano impongono una svolta intelligente.

Da ex volontario del Soccorso Alpino e Speleologico del CAI esprimo la mia profonda riconoscenza nei confronti dei soccorritori per quello che hanno fatto e continueranno a fare nelle prossime ore e nei prossimi giorni. Sono vicino ai familiari delle giovani vittime in questa loro prova durissima.

Nel ruolo di Responsabile Regionale di Mountain Wilderness chiedo ai farindolesi di continuare il percorso dello sviluppo sostenibile, chiedendo a gran voce attenzione e ascolto da parte della Regione la quale, dal 1970 ad oggi, non ha mostrato considerazione per Farindola.

Farindola, 26 gennaio 2016

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Rigopiano: storia passata e il presente ultima modifica: 2017-02-22T05:20:04+01:00 da GognaBlog

7 pensieri su “Rigopiano: storia passata e il presente”

  1. Mi ripeto ancora, ma mi sembra che il sistema italiano, il nostro sistema, sia a basso quoziente intellettivo e a alta spettacolarità.
    Dovunque guardi o ascolti il livello di competenza e capacità di affrontare i problemi è quasi simile a quello di una gallina che si gira, scappa e starnazza.
    E i nostri dirigenti politici sono un fulgido esempio, tra l’altro sempre occupati a seguire il principio di beccare qua e là per riempirsi la pancia senza nessun senso morale e senza accollarsi alcuna responsabilità.
    E il cittadino elettore muore in vari modi: tristissimo!

  2. La curiosità così come il business sono una prerogativa umana. Con il senno di poi è facile fare commenti e considerazioni varie. Che l’eroismo sia tutt’altra cosa rispetto a quello che abbiamo visto, sono pienamene d’accordo. Ritengo sia comunque giusto riconoscere un giusto merito a chi si è sacrificato per il soccorso. Mi riferisco in particolare ai volontari.
    Parlare e pubblicizzare i particolari delle tragedie umanamente evitabili potrebbe risultare utile esperienza per evitarne ulteriori successive.
    Sono Socio CAI e pratico attività di montagna. Ritengo utile ed opportuno acquisire quante più esperienze sia dirette, con la frequentazione della stessa e con gli addestramenti associativi, o indirette, attraverso i mass media, in modo da acquisire conoscenza e consapevolezza dei rischi che si corrono al fine di ridurre al massimo la probabilità di incidente.
    Cerchiamo di essere più realisti e restare con i piedi per terra.

  3. “non ci saranno mai abbastanza denari per coprire tutto il territorio montano del Paese con addetti e macchinari pagati con le nostre tasse.”

    Forse, se una volta per tutte, ci si rendesse conto che siamo!! un PAESE DI MONTAGNA , molti soldi pubblici che vengono spesi in cose assurde, inutili e dannose. Si spenderebbe diversamente.
    Ma cosa si vuole fare invece?? Spendere i finanziamenti nella strada per il Vallone di Sea.
    Bravi complimenti !! E’ così che si ripola, si salvaguarda la montagna e la gente che ci abita.

  4. Copio dallo scritto di Mario Viola con cui concordo su quasi tutto, ma non su questo:
    “Responsabilità delle istituzioni
    La Prefettura di Pescara e la Provincia di Pescara, di fronte all’annunciata perturbazione che prevedeva abbondanti nevicate superiori a tre metri nelle aree montane, avrebbero dovuto assicurare l’apertura della strada provinciale Farindola-Rigopiano come era sempre avvenuto in precedenza, oppure provvedere alla chiusura temporanea dell’albergo con l’evacuazione del personale e dei turisti. ”
    Come si fa a tenere aperta una strada in quelle condizioni? Io vivo tra Passo Pordoi e Passo Falzarego nelle Dolomiti di Livinallongo (=dove cadono a lungo le valanghe, lavina a lungo) e quando nevica abbondantemente può succedere che le strade restino chiuse per qualche giorno a causa dell’impossibilità di spostare materialmente la neve e per il rischio che questo comporta per gli operatori dell’Anas che guidano i pur potenti mezzi come Turbine e Spazzaneve montati su camion a 4 e più ruote motrici.
    L’evacuazione degli occupanti edifici a rischio è una cosa, ma l’apertura a tutti i costi di una strada è un’altra. Ovviamente la prima soluzione è quella più logica, anche perché a distanza di qualche ora le previsioni meteo sono piuttosto chiare e aiutano a agire nel modo più opportuno. Forse ho capito male e Viola intendeva di tenere aperta la strada prima della grande nevicata, per permettere appunto il transito degli ospiti dell’hotel per andarsene, chissà.
    Poi sul resto concordo pienamente con il Michelazzi che ha il coraggio e l’onestà di scrivere che chi scava tra le macerie NON E’ un eroe ma solo uno che svolge il compito che ha.
    Sullo sceneggiato, i selfie e il mettere tutto in mostra non mi meraviglio più di tanto anche se dentro di me provo una grande tristezza.
    Sugli esperti non avranno difficoltà a trovarne… potranno farlo guardando qualche talkshow o chiedendo a qualche membro del soccorso alpino. Peace and love.

  5. È certamente discutibile la scelta di realizzare un tale progetto allo scopo, tra l’altro, di “fare luce sulla verità dei fatti”. Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò: dopo la teatralizzazione in corso d’opera di quella tragedia umana drammatica non solo per i numerosi morti, ma anche per le migliaia di persone legate da rapporti umani ad essi, una nuova teatralizzazione a posteriori ha solo lo scopo di fare audience sulla pelle dei morti suddetti. Cioè, a farli morire una seconda volta.
    A fare luce sulla verità dei fatti ci penserà la magistratura, e considerati i tempi in cui abitualmente si muove, c’è comunque da inquietarsi.
    Una sola cosa ha senso ribadire, al fine di prevenire ulteriori simili fatti: ovvero, che nei territori montani non ci si può permettere di non avere piani d’emergenza per affrontare le situazioni climaticamente estreme. Nel caso specifico, che la strada per l’albergo – pubblica, non privata! – non fosse mai stata spalata dal momento d’inizio della nevicata (se si spala fin da subito non si formano tre metri de neve, su una strada) è stato il vero unico fatto evitabile che ha condizionato la tragedia: se essa fosse stata praticabile le persone si sarebbero tranquillamente allontanate per tempo, e il “nevemoto” avrebbe sommerso un edificio vuoto. Affinchè però ci sia un piano d’emergenza ci devono essere le risorse, uomini e macchine, sul posto, che non possono essere pubbliche: non ci saranno mai abbastanza denari per coprire tutto il territorio montano del Paese con addetti e macchinari pagati con le nostre tasse. Si devono dunque utilizzare risorse private: un qualsiasi trattore agricolo funziona perfettamente da spalaneve, con applicata davanti una pala adeguata. Da qui la necessità di favorire il mantenimento ed il recupero della ormai rara presenza umana
    sulle nostre montagne, sostenendo la attività economiche collegate ad una gestione sostenibile del territorio. Dopo il massiccio urbanesimo del 20. secolo, è tempo che la preponderante popolazione urbana paghi per far sì che la minoritaria, e maggiormente disagiata, popolazione montana resti dov’è, o torni dov’era. Solo così si potranno prevenire ulteriori Rigopiano: fate agricoltura, non film!

  6. Tutto è spettacolo.
    Che vergogna !!
    Quanto ai commenti dei cosiddetti esperti, ho sempre negli orecchi le CAZZATE dette, durante una trasmissione televisiva, dal Sig. Sgarbi a proposito del mancato intervento degli elicotteri a Rigopiano.
    Anche se era di notte e c’era una bufera di neve e vento.
    Ma come si fa a fare parlare certa gente che di queste cose non sa nulla!
    Solo per fare della caciara televisiva, per alzare l’odiens ??
    Bella dimostrazione di come fare cultura e informazione.

  7. Già è stato doloroso (e vomitevole…) vedere durante quelle giornate chi tra i coinvolti nelle operazioni di soccorso fotografarsi e scrivere panzane su eroismi di vario genere propagandando se stessi o i vari corpi di appartenenza… Le chilometrate di idiozie scritte dalle diverse testate giornalistiche o pseudo tali, condite da una sfilza infinita di esperti intervistati (ma quanti esperti ci sono in Italia? ) che hanno detto di tutto e di più ammazzando a colpi di lingua quel po’ di cultura che forse ancora si sperava albergasse negli animi italici avevano già definito a che livelli di civiltà ci stiamo avvicinando…ma non basta…!
    Ora ci facciamo su anche un bel serial televisivo (con altri esperti suppongo…) che ci racconterà con quanto eroismo Mario muoveva il badile e con quante e quali fatiche Gino trovava il tempo per farsi qualche selfie che oggi è necessario per la sopravvivenza del genere umano…
    Vermicino non ci ha insegnato niente!!!
    Se si pensava che 35 anni prima si fosse sbagliato a sfruttare la tragedia per fare soldi e farsi pubblicità, che anche grazie (o meglio a causa) di questi atteggiamenti la tragedia fosse diventata tale, quando probabilmente sarebbe bastato poco per evitarla, oggi cosa di deve pensare?
    Chi sfrutta il dolore a proprio beneficio, sia economicamente o soltanto per la gloria personale di un attimo andrebbe preso a calci fino allo stremo, altro che eroismo!
    Gli eroi sono altra cosa e in una società che vorrebbe deputarsi civile, per l’eroe non c’è spazio perché è la coscienza e l’intelligenza che emergono non gli atti dinostrativi e nemmeno quelli dati dalla necessità di sopravvivere come quelli “eroici” di chi se non partiva all’assalto dalla trincea veniva fucilato dai carabinieri…! Quello non è eroismo come non lo è scavare tra le macerie!
    Potrebbe essere umana solidarietà ma quella pretende il silenzio per esistere non le luci della ribalta!!!

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