Ritorno alla Grotta della Madonna
(al Monte Bulghéria)
di Diego Errico
(pubblicato su rocciacilento.blogspot.com il 19 marzo 2024)
Il Monte Bulghéria, situato a ridosso della costa cilentana, è un massiccio calcareo caratterizzato da pareti verticali che si innalzano ripide con grandi dislivelli a ridosso della valle circostante sui versanti est, nord e ovest. Degrada più dolcemente, invece, sul versante sud dove le falesie si trovano direttamente sul mare, vicino ai borghi costieri.
Custode soprattutto di grotte e anfratti di matrice carsica, ha incuriosito geologi, alpinisti e speleologi che nel tempo ne hanno esplorato le viscere.
Una delle grotte più evidenti alla vista è la Grotta della Madonna che si affaccia sul borgo di Celle di Bulghéria, non soggetta ancora all’esplorazione speleologica. Dal paese si arriva in poco tempo in località Piedi ‘u Vauzo (Vauzo è il termine usato in loco per identificare le balze rocciose) e da lì, l’imponente volta della grotta rimarca l’immagine ombrosa che mostra come fosse la bocca della Montagna. Grande portale, custode di storie popolari.
Nel popolo cellese si tramanda la storia che la Madonna fosse presente lì da sempre e che in tempi remoti alcuni pastori maleducati ne avessero provocato lo spostamento: la Madonna infastidita sarebbe andata al monte Gelbison. La tenacia degli abitanti l’avrebbe poi riaccolta.
Era il 1979 quando l’alpinista Pino Tartagni ne fece la prima esplorazione assieme a dei valorosi abitanti di Celle di Bulghéria, ripetendola nel 1988 con circa venti persone: lo abbiamo appreso dalle nostre indagini e interviste che hanno consentito di collegare informazioni già note alle nostre constatazioni mentre lavoravamo alla ripetizione della scalata e al raggiungimento dell’accesso.
Il desiderio di tornare a guardare nel cuore della montagna era nell’aria da tempo; Alimentato dagli amici della sottosezione CAI Monte Bulghéria, innamorati del proprio territorio, e dal sogno di altri compagni del Gruppo Speleo-Alpinistico Vallo di Diano, ci siamo organizzati per ritornare lassù senza pensarci troppo.
Il periodo, in effetti, non è stato dei migliori viste le piogge, tenendo in considerazione che l’esposizione a nord della grotta non ne consentiva una repentina asciugatura. Ma certe cose non si rimandano.
Primo giorno:
Ci siamo adoperati innanzitutto ad un sopralluogo il 28 febbraio 2024 per aprire la vecchia via tra i rovi, con Paolo Guida e Beatrice Bigu del CAI, per poi iniziare i “lavori” veri e propri. Al seguito del veterano speleo Pino Paladino, io e Sergio Morra abbiamo “attaccato” la parete, esattamente al di sotto della grotta, l’8 marzo, trovando un piccolo varco tra l’edera che ricopriva la parte favorevole alla salita, nonché la più lineare e rapida. Fu anche la zona scelta per la salita del passato, appurato dal ritrovamento di alcuni chiodi in parete, mentre la scaletta metallica utilizzata per agevolare chi non scalava è ancorata tutt’oggi alla parete poco più a lato. Scaletta che fu donata a Pino Tartagni, come lui stesso ci ha raccontato, dal grande Riccardo Cassin: uno degli uomini pilastro dell’alpinismo italiano.
Ho raccolto l’onore di avanzare e aprire in scalata artificiale sui primi dieci metri, bagnati e conditi di muschio e altre essenze, usando sia chiodi che tasselli a espansione. A forze esaurite, Sergio ha raccolto l’onere di passare su una distesa di erba fangosa destreggiandosi tra un alberello e la viscida placca sovrastante che costituiva una cengia carica d’acqua e terra, vista la sua inclinazione a 45°. Un suo urlo di piacere ci ha indicato la vecchia sosta creata dal team di Tartagni, sicché almeno l’arrivo è stato gratificante. A seguire, la salita di Pino, col quale abbiamo collegato, sistemato e pulito i vari passi della cengia attrezzando, poi, il traverso a destra in direzione di un piccolo diedro fessurato, quello che sarebbe stata la nostra linea nel secondo giorno.
Secondo giorno:
Pochi aiuti dal cielo di questa stagione, com’è naturale aspettarsi, e infatti al lavoro, nella pioggia a intermittenza, si sono affaccendati Pino e Michele Grillo. Hanno attrezzato l’armo al termine della prima lunghezza e il traverso che precede il diedro fino a raggiungere un piccolo tetto per la sosta: da lì si sarebbe effettuata l’ultima linea di scalata fino all’inizio della zona di vegetazione all’ingresso del grottone.
Terzo giorno (la speranza di raggiungere la parte finale):
Il bagnato e le rocce instabili (qualcuna ogni tanto volava giù), erba e mancanza di appigli ci hanno messo alla prova consentendoci soltanto il lavoro sull’ultima paretina. In formazione uguale al trio iniziale abbiamo raggiunto l’armo del primo tiro, abbiamo proseguito, Sergio ed io, fino alla seconda sosta, quindi da lì sono andato avanti in progressione artificiale, con Sergio ad assicurarmi. Era il momento di passare sotto la vecchia scaletta maltrattata dal tempo ma soprattutto dalla montagna. Muoverla ci ha fatto poi capire che ne avremmo ricavato solo scariche di sassi in testa. Quindi, adagio, ho proseguito piazzando diversi chiodi e tasselli finché l’unico appiglio concesso, dove avevo messo un cliff con una staffa, ha ceduto facendomi volare circa tre metri e a testa in giù. Un solo graffio e a forze esaurite: super Sergio ha preso le redini. Ha completato la sezione finale fin quasi alla vegetazione facendo un bel passo delicato per raggiungere un blocco di roccia sul quale poter stare in piedi e fare, “comodamente”, l’ultima sosta.
Quarto giorno (grotta raggiunta):
Siamo ritornati sabato 16 marzo con lo squadrone al completo, trio di base più Michele e Simona Cafaro (del G.S.A. Vallo di Diano) che in ultimo ci avrebbero raggiunti in grotta. Presente anche il supporto foto-videografico di alcuni soci CAI alla base della parete. Risaliamo rapidamente le corde fisse sui tiri attrezzati, con Pino che con grande maestria dalla terza e ultima sosta si è poi fatto strada, mettendo qualche altro punto di sicurezza, fino al primo albero disponibile: un fiero leccio che si diramava da una vecchia radice e che portava i segni dei sassi piovuti dal cielo. Ci siamo riuniti tutti e tre sotto la chioma dove il mio navigatore segnava 492 metri di quota. Iniziava a piovere, davanti a noi l’immensa bocca della montagna e un tappeto fittissimo di vegetazione. Il lavoro verticale a questo punto era finito, ma rimaneva quello di aprire la macchia, e Pino se ne è fatto carico aprendo un varco animale di tutto rispetto fino alla parete sinistra, dove non distante da una vecchia piastrina ha attrezzato la sosta per fissare la corda fissa.
La Grotta della Madonna: bellissimo il colpo d’occhio fin da subito, sotto la volta simmetrica alta all’incirca venti metri, il piano di calpestio segue una pendenza regolare dalla fine della parete d’accesso appena scalata fino al fondo della grotta, all’incirca di quarantacinque gradi. Sul soffitto della grotta sono numerose le stalattiti lunghe anche oltre il metro e mezzo e leggermente oblique, le stalagmiti invece sono presenti soprattutto sui lati insieme a piccole colonne. Fu su una di queste stalagmiti che nelle spedizioni dell’88 venne scolpita l’effige della Madonna, lì a pochi metri dall’ingresso, come poggiata su un altare. L’altro colpo d’occhio è stato senza dubbio verso l’esterno: il borgo di Celle di Bulghéria sembra incorniciato dal buio della grotta e da tutte le stalattiti.
Un ringraziamento particolare a Cristina, Beatrice, Paolo, Giacomo per le riprese video, i tè e i caffè.
Grotta della Madonna – ripetizione
8-9-10-16 marzo 2024
Diego Errico, Michele Grillo, Sergio Morra, Pino Paladino
64 metri di dislivello – Salita in artificiale
3 soste su tasselli da 8 mm (la prima integrata su chiodo a pressione trovato in parete)
Ultima sosta su albero
Posizione: 33T 0534278, 4437322
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Marcello, la grotta in questa occasione é stata esplorata e accatastata. Purtroppo non sono state rinvenute cavità e prolungamenti e ci siamo dovuti “accontentare” del suo maestoso antro in quota e della compagnia della Madonna dal manto muschioso
Trois sourires épanouis; j’aime !
“Purtroppo le faccine che sorridono vengono irrimediabilmente trasformate in punti interrogativi.”
Marcello, rassegnati: è la Maledizione del GognaBlog.
Dopo la Maledizione del Faraone, ora c’è quest’altra. Colpisce tutti, senza pietà.
Peggio di Tutankhamon c’è Gognakhamon.
???????????? (-> faccine che sghignazzano)
Purtroppo le faccine che sorridono vengono irrimediabilmente trasformate in punti interrogativi.
E l’esplorazione della grotta???
Non ditemi che dopo ben 64m di ardita scalata ve ne siete andati a forze finite????