Rivoluzione nell’insegnamento della montagna
(Nascono nuove figure per la promozione dell’arrampicata, dell’alpinismo e dello scialpinismo)
di Giovannino Massari
L’USAcli (https://www.usacli.it/) è uno dei più grandi Enti di Promozione Sportiva Nazionali riconosciuti dal CONI. Dal 2019 ha deciso di sostenere un progetto per lo sviluppo degli sport della montagna (alpinismo, scialpinismo, arrampicata sportiva outdoor, arrampicata sportiva indoor, skyrunning e trail, mountain bike) – quali sport di interesse del CONI – creando la USN Montagna (https://www.usaclimontagna.it/).
Arrampico da oltre 40 anni (per almeno 150 giorni l’anno) con passione e dedizione. Continuo a farlo come se avessi iniziato ieri. Perché quella fiamma che mi ha preso all’inizio è ancora viva e grazie all’arrampicata, oltre alle molte soddisfazioni personali, ho appreso uno stile di vita che considero salutare ed educativo.
Sono passato dall’esperienza dell’alpinismo fino a quella dell’arrampicata sportiva attraverso l’arrampicata estrema su ghiaccio, il bouldering e la chiodatura di centinaia di tiri sempre a livello amatoriale: insomma ho vissuto lo sviluppo e la diffusione dell’arrampicata a 360 gradi praticamente da sempre: questo è sotto gli occhi di tutti ed ampiamente documentato.
Grazie alla creazione dell’USAcli Montagna si è concretizzata per me la possibilità, reale e assolutamente legale (non mi sognerei mai di infrangere le regole), di poter divulgare ed insegnare l’arrampicata sportiva a livello dilettantistico a coloro che – associandoti all’USAcli e per il suo tramite al CONI – facciano parte di Associazione e/o Società sportive dilettantistiche.
Le ASD e/o le SSD (che si dedicano agli sport di montagna in conformità ai loro statuti riconosciuti dal CONI) possono avvalere di tecnici e istruttori riconosciuti e certificati per promuovere le attività sportive.
Dopo averne parlato con l’amico Maurizio Oviglia ho contattato il responsabile della USN Montagna Riccardo Innocenti, che per tanti anni è stato Direttore di Scuole del Club Alpino Italiano e formatore degli istruttori del CAI. Quindi partecipo al corso esame per diventare istruttore dell’USAcli.
Dopo tanti anni non mi sembrava vero di poter mettere al servizio di tanti aspiranti climber la mia esperienza. Ho partecipato al corso da istruttore con entusiasmo. Il corso, tenuto da insegnanti e formatori preparatissimi anche sulle più recenti scoperte biomeccaniche e bioenergetiche, è stato di prim’ordine. Alla fine del corso conseguo, grazie anche al mio vasto curriculum, il diploma di istruttore/tecnico di terzo livello.
Grazie al titolo di tecnico di terzo livello mi viene affidato dall’USACLI Montagna il gradito compito di formatore ed esaminatore per il corso di istruttore/tecnico di primo livello per l’arrampicata sportiva outdoor ed indoor svolto nella mia zona in provincia di Cuneo. Compito che ho svolto insieme a Enrico Scalia: un’altro valido tecnico di terzo livello.
Ho svolto puntualmente e tranquillamente sotto gli occhi di tutti (non pensavo certo di dovermi nascondere) il mio ruolo di formatore/esaminatore nella falesia di Bagnasco e in siti limitrofi, nel rispetto delle regole dal momento che si tratta di corsi per allenatori che possono promuovere l’attività a servizio esclusivo di soci di ASD e SSD senza scopo di lucro.
Convinto e soddisfatto del serio lavoro svolto (cinque ottimi tecnici formati qui in zona) inizio a pensare a come divulgare ulteriormente questo magnifico sport grazie alle nuove possibilità offerte dal mondo del CONI quando mi vedo recapitare a casa, tramite raccomandata, una diffida a svolgere ancora simili attività, con l’accusa di abuso della professione di guida alpina (anche se di professione non si tratta) da parte del Collegio guide alpine piemontesi a firma del Presidente Giulio Beuchod.
Premetto che arrampico spesso con guide alpine, che alcune sono miei cari amici, che conosco personalmente Giulio e che sinceramente avrei gradito un altro approccio; magari un chiarimento informale sulle tematiche e non una formale chiusura (quasi una lesa maestà…) senza richieste di spiegazioni che avrei potuto fornire spiegando che le regole non le ho fatte io ma il CONI e la USAcli quale Ente nazionale di promozione sportiva. Ho svolto un compito nel pieno rispetto delle regole dello sport dilettantistico. Stanno nascendo nuove figure di tecnici e istruttori per gli sport di montagna. Figure perfettamente legali.
Non ho mai pensato di usurpare il titolo o di esercitare abusivamente la professione della guida alpina ma, vista la possibilità data dal CONI, ho semplicemente contribuito a creare uno spazio diverso, e a me personalmente più consono, per la divulgazione e promozione dell’arrampicata sportiva.
Devo dire la verità… ci sono rimasto veramente male per come sono stato trattato dal Collegio guide alpine piemontesi dal momento che ho sempre promosso a titolo completamente gratuito l’arrampicata sportiva, portando ad arrampicare alunni e persino future guide alpine (sono insegnante di Scienze Motorie), chiodando vie (sempre di tasca mia e che in un caso sono state pure “certificate” dietro compenso dalle guide stesse, e va benissimo così…) e pubblicizzando, anche con monografie dedicate, numerosi siti e palestre di arrampicata dove molte guide e corsi CAI vanno – giustamente – a lavorare con i loro clienti e allievi (e della qual cosa sono fiero ed orgoglioso).
Detto tutto ciò non sono mai stato molto interessato a far diventare il mondo della montagna la mia sfera professionale ma credo invece agli aspetti educativi e formativi che l’arrampicata può fornire agli adolescenti, così come è stato per me, e credo che possa essere importante che sia nata finalmente questa figura di tecnico a livello dilettantistico che può proporre l’arrampicata outdoor a prezzi contenuti e, giocoforza, meno elitari di quelli di una guida alpina. Credo inoltre che il rapporto che si può creare all’interno di una associazione sportiva sia, per sua natura, più educativo e stimolante e possa essere un terreno d’elezione per un sano confronto di crescita sportiva ed emotiva per i giovani che vi si vorranno affacciare.
Penso sinceramente che la nascita di questa nuova figura dilettantistica possa non solo affiancare quello professionale delle guide alpine senza ledere la qualità del loro lavoro ma possa addirittura far crescere il movimento della montagna implementando le loro attuali possibilità lavorative e in definitiva fare bene a questa attività sportiva che è cresciuta fino alle soglie dei Giochi Olimpici.
Da parte mia vorrei invece poter esercitare, senza ulteriori disturbi e senza ledere i diritti altrui, i miei diritti di libero cittadino nel rispetto delle regole che sono sancite da leggi dello stato e suffragate da organismi sportivi del calibro del CONI e che non riguardano minimamente l’ambito degnissimo ma del tutto differente ed esclusivamente professionale delle guide alpine, che è quello di professionisti che operano nel settore normativo del turismo.
A seguito della lettera di diffida a me indirizzata, e a una precedente diffida all’USAcli da parte del Collegio Nazionale delle Guide Alpine, l’USAcli e la USN Montagna hanno risposto sia al Collegio Nazionale delle Guide sia al Collegio Piemontese – interessando per conoscenza il CAI – ribadendo, con ampie ed esaustive argomentazioni, l’assoluta liceità delle attività relative agli sport di montagna nel pieno rispetto delle norme vigenti.
Per chi è interessato alla vicenda allego le lettere ricevute dai Collegi delle guide alpine e la lettera di risposta dell’USAcli con i relativi allegati, più altri documenti di interesse in questa vicenda.
01) Lettera del Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane a USAcli
02) Lettera del Collegio Regionale Guide Alpine Piemonte a Giovanni Massari
03) Lettera USAcli di risposta al Collegio Nazionale delle Guide Alpine Italiane
04) ALL. 1 – Discipline sportive ammissibili nel registro CONI- 14 febbraio 2017
05) ALL. 2 – Parere Pro Veritate Avv. Antonella Lo Conte – 10 ottobre 2020
06) ALL. 3 – Sentenza Corte Costituzionale n. 459 del 2005
07) ALL. 4 – Commento alla Sentenza della Corte Costituzionale n. 459-2005
08) ALL. 5 – Legge n. 6 del 2 gennaio 1989
09) ALL. 6 – Bollettino Commissione Cultura Camera dei Deputati
10) ALL. 7 – Albo Nazionale USAcli – settembre 2020
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il collaboratore dillettantistico è un lavoro e come tale va retribuito.
il volontario non è un lavoro e mnon va pagato.
BENE BRAVI COMPLIMENTI!!
ho fatto l’istruttore CAI dal 1984 ad oggi. Oltre che un bel pò di anni nel soccorso alpino.
Non sono mai stato pagato, se non qualche rimborso per le spese sostenute, benzina, autostrada. Ho messo a disposizione la mia attrezzatura, il mio tempo, la mia macchina, ect. .
Ma in fondo di che ti lamenti? Mica ti ha obbligato nessuno!! CRETINO!”
A leggere queste affermazioni, che sicuramente sono a norma di legge. Mi viene sempre più la voglia di mandare tutto affanculo!!
Pubblico questa nota che mi è giunta stamattina e dovrebbe chiarire ogni dubbio su questa nuova figura che si apre al mondo della montagna al di là anche delle mie personali interpretazioni.
La lettera di Giovannino Massari pubblicata il 18 gennaio ha suscitato molto interesse. I numerosi post fanno emergere le diverse sensibilità su un tema che finora non aveva avuto una pubblica diffusione.
Senz’altro la figura del collaboratore sportivo dilettantistico – quali è l’ istruttore USACLI – è un fatto nuovo per il mondo della montagna. Ma è una figura ben presente e radicata in tutte le altre realtà sportive. Penso sia utile chiarire alcuni punti. Il collaboratore sportivo dilettantistico si colloca in un’area lavorativa speciale che gode di un regime differenziato e di un trattamento privilegiato sotto il profilo fiscale e previdenziale: considerata la peculiarità del settore e l’importante funzione sociale dello sport dilettantistico. I collaboratori sportivi sono presenti in tutti gli sport: calcio, atletica, fitness, tennis, volley, basket. Solo per citare i più diffusi sport di massa. Tutti i collaboratori sportivi hanno le stesse regole. A prescindere dallo sport cui si dedicano. Il mondo della montagna non li conosce. Fa fatica ad accettarli. Fa fatica a digerire che possa esistere una figura nuova ed alternativa alle figure presenti da tempo in montagna come la figura del professionista (incarnato dal maestro di sci e dalla guida alpina) e come la figura del puro volontario (incarnato dall’istruttore del CAI). Ma non bisogna confondere il dilettantismo con il volontariato. Nè confondere il dilettantismo con il professionismo. Le regole dei collaboratori sportivi dilettantistici valgono per tutti i tipi di sport. Anche per quelli della montagna: che il CONI ha inserito nell’elenco di sua competenza. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare n.1/2016 ha precisato che “La volontà del legislatore è quella di riservare ai rapporti di collaborazione sportivo-dilettantistici una normativa speciale volta a favorire e ad agevolare la pratica dello sport dilettantistico, rimarcando la specificità di tale settore che contempla anche un trattamento differenziato rispetto alla disciplina generale che regola i rapporti di lavoro”.
Quindi evitiamo di confondere le figure del professionista, del volontario e del collaboratore sportivo dilettantistico. Il collaboratore sportivo dilettantistico è un lavoro. E’ come tale va retribuito. Così come il professionista che va retribuito. Con regimi diversi: ma vanno retribuiti entrambi. Il volontario non va retribuito. Normalmente il volontario non va retribuito ma nel mondo della montagna c’è una vistosa anomalia. Da due anni, grazie alla possibilità offerta dal settimo comma dell’ art. 17 del D.Lgs. 3 luglio 2017- Codice terzo settore, il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino del Club Alpino Italiano – che ha prontamente adeguato i suoi statuti e regolamenti nazionali alla nuova normativa – prevede la figura del volontario “indennizzato” che può recepire….udite udite …. fino a 60.000 euro (sessantamila euro!) quale indennizzo per la sua attività di volontariato. Ora che volontariato è se si percepiscono 60.000 euro di indennizzo? Questa domanda meriterebbe un altro bel post tutto per se sul Gogna Blog!
https://www.cnsas.it/wp-content/uploads/2019/03/2019_REGOLAMENTO._AFF._INCARICO_SOCI_MASTER_FINALE.pdf
Il collaboratore sportivo dilettantistico è un lavoro particolare con una regolamentazione particolare. I primi 10.000 euro percepiti sono in esenzione fiscale: ciò significa che su questa somma non si pagano le tasse sul reddito. Oltre i primi 10.000 euro si pagano regolarmente le tasse sul reddito. Ci sono collaboratori sportivi che rinunciano al loro compenso. Altri che ne traggono le risorse economiche per il loro sostentamento. C’è qualcuno che guadagna pochi euro l’anno e altri che guadagnano decine di migliaia di euro in base alla loro attività. Sicuramente il collaboratore sportivo dilettantistico non è un volontario. Non bisogna confondere la retribuzione del collaboratore sportivo con l’assenza di lucro delle Associazioni Sportive Dilettantistiche o delle Società Sportive Dilettantistiche. Questi ultimi due organismi non hanno scopo di lucro. Pertanto non possono fare utili e distribuirli agli associati. Ma sono pienamente legittimati a retribuire i propri collaboratori sportivi per le attività rivolte alla compagine degli associati. Qualcuno nei post si è stracciato le vesti gridando all’abuso della professione perché i collaboratori sportivi ricevono un compenso. Quel compenso è previsto dalla legge per una ben determinata prestazione. Tutto il mondo dello sport dilettantistico opera in base a queste norme. Ora il mondo della montagna si è accorto che tra i vari collaboratori sportivi che operano in base a queste norme ci sono anche gli istruttori che si dedicano agli sport della montagna. I rimborsi spesa sono un’altra cosa. Sono spese vive sostenute che vengono rimborsate in quanto spese. Non vanno confusi con i compensi dei rimborsi sportivi. Se per recarmi in un posto prendo un treno o uso la macchina quella spesa è una spesa viva e va rimborsata. Poi in quel posto presto la mia attività di collaboratore sportivo dilettantistico e per questa attività ricevo un determinato compenso.
In molti commenti si è sottolineata la differenza tra la formazione (costi e durata) delle guide alpine e quella degli istruttori che percepiscono compensi quali collaboratori sportivi. La formazione delle guide è molto lunga ed onerosa: oltre 120 giornate. Chi intraprende il percorso sicuramente sviscera gli argomenti nel minimo dettaglio. Ma è anche certo che i beneficiari indiretti di un percorso formativo così lungo sono i formatori: che vengono retribuiti con la tariffa giornaliera di guida non per portare in giro dei clienti ma per insegnare placidamente in un corso di formazione. Chi fa l’istruttore delle guide alpine o dei tecnici del soccorso alpino (sono sempre delle guide alpine) si assicura – grazie all’attività di formatore- un’entrata annuale certa senza il rischio tipico della professione. E anche questo tema meriterebbe un altro bel post tutto per se sul Gogna Blog!
Senza entrare nel merito di quello che fanno gli altri facciamo chiarezza sul percorso formativo degli istruttori USACLI e sui loro formatori. Gli istruttori USACLI vengono formati secondo un piano comune a tutte le discipline. Nella parte formativa sono previste due giornate (comune a tutte le discipline sportive, non solo a quelle della montagna) sulla fisiologia generale, sulla didattica, sulla psicologia sportiva, sull’allenamento, sulla gestione associativa ed organizzativa.
Oltre alle due giornate comuni a tutte le discipline sono previste delle giornate formative sulla singola disciplina tecnica che vanno da un minimo di 6 giornate ad un massimo di 12 giornate. I corsi sono basati sul criterio delle competenze. Come previsto dalla legislazione europea in tema di competenze professionali e lavorative. I corsi si rivolgono a chi già sa le cose. A chi sa già fare. A chi già ha raggiunto in autonomia il livello tecnico richiesto che è chiaramente esplicitato nei bandi dei corsi di ogni singola disciplina. Le giornate formative tecniche servono ad omogeneizzare le conoscenze. Ad un osmosi delle esperienze. Ad amalgamare i diversi vissuti personali per creare un contesto cognitivo comune. Servono a focalizzare quello che ci si aspetta da un istruttore USACLI sotto il profilo della competenza tecnica e sotto il profilo della responsabilità civile e penale della propria attività. Servono a mettere i candidati in grado di sapere quali saranno le prove di valutazione e di permettergli di arrivare alla valutazione tecnica preparati al meglio.
I formatori dell’USACLI sono di diversa estrazione. I loro curricola sono validati dalla Commissione Scientifica Nazionale dell’USACLI. Sono Laureati in scienze motorie, Istruttori Nazionali del Club Alpino Italiano, Accademici del Club Alpino Accademico, Istruttori delle Forze Armate e dei Corpi Armati e non Armati dello Stato, Maestri di Sci, Istruttori Nazionali di Sci, Allenatori Federali del CONI, Atleti di livello Nazionale ed Internazionale, Atleti di chiara fama, Avvocati, Medici, Esperti di Organizzazione, Manager sportivi, etc. Le loro carriere sportive/manageriali/professionali rispondono ai criteri determinati dalla Commissione Scientifica Nazionale USACLI per la qualifica di formatori. Sono persona che “sanno” e questo loro sapere è certificato dai loro curricola e dai loro titoli e dai percorsi di validazione messi in atto internamente all’USACLI. Per i formatori sul sito https://www.usacli.it/formazione/ si trovano le indicazioni sull’albo nazionale delle qualifiche. Per gli allievi dei corsi sul sito https://www.usaclimontagna.it/corso-tecnico-arrampicata-sportiva-2020/ si possono trovare – a titolo di esempio – le materie tecniche oggetto di formazione ed esame.
L’approccio è molto semplice. Persone di comprovata formazione tecnica/professionale (i formatori USACLI) hanno il compito di validare le competenze dei candidati Istruttori/Tecnici nazionali che opereranno all’interno dell’USACLI. Si è scelto di non prevedere periodi minimi di aspirantato e/o di tirocinio obbligatorio che spesso, in altre realtà, vengono fissati in uno o più anni. Si è convinti che è necessario evitare che questi periodo di tirocinio obbligatorio possano essere percepiti e vissuti in maniera sgradevole come periodi in cui essere costretti a prestare forza lavoro gratuita a fronte di una dichiarata esigenza formativa che spesso non viene svolta, o svolta in maniera insignificante. All’USACLI chi sa fare, chi sa, può essere valutato direttamente per quello che sa fare e per quello che sa. Senza inutili corvee obbligatorie camuffate da lunghi periodi in cui si è messi all’ultimo posto della macchina organizzativa dei vari Enti/Organizzazioni che prevedono tale pratica. E’ inutile citare Giovenale che, come poeta e retore dell’antica Roma, c’entra poco con questa discussione.
L’obiettivo dell’USACLI è verificare le capacità dei candidati dei corsi istruttori. Se la verifica ha esito positivo il neo istruttore, grazie alla normativa sui collaboratori sportivi, può inserirsi nel contesto lavorativo dello sport dilettantistico. Il suo compito è trasmettere le nozioni tecniche della disciplina tecnica di riferimento. Nel campo degli sport di montagna l’incolumità psicofisica dell’atleta/associato affidato all’istruttore è, ovviamente, al primo posto. Per ottenere l’attestato di qualifica nazionale bisogna seguire il percorso previsto con risultati positivi. Ma anche se non è scritto nelle norme c’è un paradigma che i formatori USACLI prendono spesso come punto di riferimento e che io, personalmente, ritengo valido. Io -che sono un formatore USACLI- nel momento che rilascio un attestato di qualifica penso sempre di affidare a quel candidato -senza alcuna remora, pensiero o riserva tecnica e mentale- i miei figli. Con l’idea che mi possa riportare a casa i figli senza problemi.
E’ naturale che questa nuova figura che opera negli sport di montagna incontri diffidenza, ostracismo, difesa corporativistica professionale, denigrazione preventiva, derisione organizzata???? Non è naturale ma è questo che sta avvenendo. I posteri potranno tirare le somme e decretare se la figura del collaboratore sportivo dilettantistico degli sport di montagna sia stata fallimentare o portatrice di un nuovo modo di offrire un servizio: comunque richiesto nel mondo sportivo dilettantistico. Con buona pace di Giovenale e di tutti coloro che preferiscono non cambiare nulla per godere delle rendite di posizione antistoriche ma tanto comode per non essere disturbati in alcun modo!
Un ultima considerazione riguarda l’interpretazione giuridica di questa vicenda. In tribunale non vince chi ha l’avvocato migliore: anche se avere un bravo avvocato è importante ed aiuta! Vince chi rispetta la legge. Vince chi si informa sulle leggi esistenti. Vince chi individua le legittime possibilità offerte dalla legge. Non vince chi si arrocca sul passato e fa finta che non esistono le leggi dello Stato perché sono leggi scomode e che mettono in discussione lo status quo. Vince chi rispetta la normativa fiscale e paga normalmente le tasse dovute evitando l’evasione fiscale e le prestazioni in nero. Vince chi applica in maniera trasparente la legge. L’USACLI segue le best pratices su tutti questi temi.
Riccardo Innocenti
Responsabile della USN Montagna – USACLI
Io avrei alcune domande a cui sicuramente chi conosce il mondo US ACLI montagna saprà rispondere:
Punto primo, quale è il piano formativo degli istruttori? Su tanti documenti si accenna ad una convenzione usacli/coni sulla formazione ma non ve ne è traccia, e siccome vi è in essere una diatriba con le Guide, il cui percorso formativo arriva ad essere armonizzato a livello internazionale, sarebbe quantomai interessante confrontare gli iter, i giorni di formazione e i criteri di esame; le capacità di condurre con i giusti margini di sicurezza un allievo/cliente dovrebbero essere di valore assoluto, e non “di livello dilettantistico poiché a costi accessibili” perché la totale autoreferenzialità non è mai sinonimo di qualità.
Punto secondo, il file “presentazione USN montagna” recita a pagina due:
“Gli istruttori in possesso di regolare titolo abilitativo che operano presso Associazioni e Società Sportive Dilettantistiche regolarmente iscritte nel Registro nazionale del CONI possono godere dei benefici previsti dalle norme agevolative dell’art. 67 del TUIR e percepire, per le attività svolte, fino a 10.000, 00 euro annui nel regime fiscale più favorevole previsto per lo sport dilettantistico, oltre ai rimborsi spese spettanti.”
Quindi, siccome l’italiano non è un opinione è evidente che si stia parlando della possibilità per gli istruttori di percepire annualmente una somma pari ad euro 10.000 OLTRE i rimborsi spese, e qui la mia domanda, ma non si parlava di poter finalmente mettere a disposizione le proprie competenze con totale fine altruistico e senza alcuno scopo di lucro?
Perché quella somma, oltre i rimborsi spese, va ben oltre il puro fine altruistico, non c’è da meravigliarsi se qualcuno se la prende con l’USacli montagna e la accusa di esercizio abisivo, soprattutto perché per percepire somme di denaro in cambio di formazione in ambito alpinistico/scialpinistico dobbiamo tornare alla legge 6/89 che riguarda proprio le Guide Alpine e la loro attività professionale.
Punto terzo, come altre persone che hanno commentato non ho capito nella frase “credo che possa essere importante che sia nata finalmente questa figura di tecnico a livello dilettantistico che può proporre l’arrampicata outdoor a prezzi contenuti e, giocoforza, meno elitari di quelli di una guida alpina” Il punto riguardante questa NUOVA figura dilettantistica, non sembra esserci nulla di nuovo visto che esiste già il Cai dal lato del volontariato (oltre l’immensa selva oscura di associazioni che sfruttando le oramai ben note agevolazioni fiscali traggono del lucro dietro lo scudo del purissimo volontariato) e le Guide Alpine dal lato dei professionisti.
E parlando di livello meno elitario non è che si tira in ballo anche il minor livello tecnico oltre che quello economico? Di solito vanno di pari passo
E poi, per citare Giovenale e lanciare una provocazione, chi ha formato i formatori?
Un saluto e spero di riuscire a sciogliere tutti i miei dubbi!
Per Daniele. Sfondi una porta aperta. Io non ho parlato di sostituire la didattica in presenza, ma solo di integrazione per far fronte ad una domanda a cui non si riesce a rispondere. In ogni caso guarda che oggi la didattica mista ha fatto passi da gigante e prevede forte interattività anche nella parte non in presenza e su argomenti altrettanto delicati come la sicurezza in montagna. La tecnologia sta facendo passi da gigante e non è sempre un nemico. Può essere un’opportunità se gestita con equilibrio e professionalità. il Covid da questo punto di vista è stato e sarà un acceleratore.
Grazie Luca Maspes per le informazioni…speriamo si vada avanti.
P.S. Un giorno di circa 15 anni fa mi hai superato con un cliente in val di Mello…stavo facendo il risveglio di Kundalini ed ero in sosta prima del tiro della serpe sfuggente e tu ci hai superato facendo (a friends)il tetto che si trova subito a sinistra della sosta…vedere un big in azione è sempre un’ispirazione.
Grazie ancora e alla prossima
In merito alla possibilità di integrare corsi con una parte di didattica a distanza come sostiene Pasini credo vada fatta una profonda riflessione, su una materia così delicata non si fanno lezioni on-line ancorchè didattiche, almeno questo è il mio pensiero, troppe possibilità di fraintendere ed anche troppe possibilità di non porre immediatamente i quesiti che si affacciano durante le lezioni, qui non si tratta di incontri tra professionisti retribuiti ed allievi aggiornati dalle proprie aziende, è un’altro mondo. Se si parla di costi non credo che le differenze siano sostanziali.
Credo alla fine che i tempi anche in Italia siano ormai maturi. Il numero di persone che va in falesia è aumentato enormemente negli ultimi anni, anche a causa della proliferazione di palestre di arrampicata. Perchè non pensare ad una nuova figura professionale, un “Maestro di arrampicata”, come di fatto esiste in molti altri paesi, che non debba necessariamente saper salire una cascata di ghiaccio o percorrere un itinerario in ambiente “alpino”?
Vedi Grazia il problema non può essere risolto così. Nei prossimi tre, quattro anni, complici le olimpiadi, l’incremento delle persone che entrerà nel mondo dell’arrampicata è elevatissimo. Le società di materiali ( scarpette etc) hanno da tempo, sulla base di studi e proiezioni, fatto delle stime accurate e stanno producendo materiale a basso prezzo adatto a quel mercato. Per quanto riguarda l’insegnamento indoor già da tempo il ruolo di associazioni del circuito CONI è stato sdoganato e pertanto è legittimo. Molte persone poi proseguiranno, passando all’outdoor e forse alla montagna. Oggi, oltre alle GA, l’operatore legittimato e strutturato per l’outdoor ( a basso costo) è il CAI i cui volontari, però sono in deciso calo per 1000 motivi già detti. Le domande che ci dobbiamo porre sono: i costi dei corsi GA sono accessibili? Dobbiamo lasciare i neofiti in balia di youtube? Come sarà l’impatto di queste persone, prive di formazione tecnica e culturale adeguata, su falesie prima e montagna poi? Dobbiamo essere consapevoli però che un serio programma formativo non può essere quello fatto da tre quattro uscite in gruppo. Oggi il minimo di un corso CAI sono sei uscite pratiche e almeno altrettante indoor e teoriche con un massimo di tre allievi. Tieni presente che quasi nessuna scuola fa corsi al minimo.Dino Marini
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Marcello Cominetti says:
22 Gennaio 2021 alle 15:56
Emanuele, io spero non riapra un bel niente e che i russi se ne stiano a casa loro. Forse firmandoti per esteso non scriveresti certe minchiate. Ciao
Mi dispiace essere caduto ingenuamente nella sua provocazione, denota una mancanza di intelligenza imbarazzante da parte mia.
Mi dispiace aver inquinato una serie di commenti che invece erano tutti rispettosi e cercavano di analizzare la problematica da più punti di vista. Con stima per il suo curriculum sig.Cominetti.
Purtroppo non conosco personalmente gli attori della vicenda, ma mi sembra inverosimile che si dica di non sapere che l’insegnamento dell’arrampicata sconfini nel mondo delle GA – con conseguenti tafferugli – e che la maggior parte delle associazioni sportive abbia scopo di lucro.
Mi parrebbe più coerente, se davvero si vuol trasmettere ciò che si sa e non si vuole creare profitto, farlo per conto proprio senza l’ala protettrice – ma fino a un certo punto – di questo o quell’ente.
Emanuele, io spero non riapra un bel niente e che i russi se ne stiano a casa loro. Forse firmandoti per esteso non scriveresti certe minchiate. Ciao
Dino. La tua previsione è realistica. Per questo sarebbe importane potenziare formati “misti” di qualità, non sostitutivi, ma con funzione chiara ed esplicita di affiancamento ai formati classici “premium”. Per evitare il proliferare in rete e fuori del selvaggio. Magari facendosi aiutare dai produttori. I tutorial della Petzl, ad esempio, non sono fatti mali.
Detto questo, buon lavoro sig. Cominetti, appena apriranno i confini torneranno di nuovo migliaia di russi per fare emozionanti rotazioni con vodka ghiacciata a fine discesa, the new Eldorado.
concordo con Dino M: per i nostri giovani ci sarà sempre youtube e la selezione naturale: come dice anche il Munter, una piccola percentuale di perdita è socialmente accettabile.
Come noto, da sempre le Scuole CAI sono suddivise per specialità e non hanno problemi di nessun tipo. Credo che le GA abbiano tutte le risorse e le competenze per risolvere il problema di una eventuale specialità. Però il tema principale era: ha legittimazione e senso una formazione fatta da volontari? Sulla legittimazione è stato detto abbastanza. Sul volontariato lasciatemi esprimere qualche riflessione. Io credo che nel post- covid, ci sarà una grossa defezione di istruttori volontari. Un po’ per un mancato effetto inerziale e un po’ perchè presto arriverà in giudizio il processo sulla valanga di Pila dove si potrà tastare con mano la situazione. Quindi io penso che l’offerta formativa a costo basso, si ridurrà sempre di più. Altro effetto covid sarà la minor disponibilità di soldi da parte soprattutto dei giovani. Come faranno a formarsi? Semplice: andranno su youtube con tutorial e video vari. Io credo andrà cosi.
Per Maspes. Grazie per la precisazione. Non ho capito le difficoltà dall’esterno ma va bene lo stesso. Non parlavo di nomi e di gossip, ma di tesi e posizioni. In altri campi, ad esempio, qualcuno è contrario per ragioni tecniche allo spacchettamento modulare per competenze perché ritiene che per job complessi si debba mantenere una organicità e unicità del percorso, anche a costo di perdere flessibilità, di irrigidire i percorsi e di allungarne i tempi. Mi rendo conto che finiremmo per addentrarci in dettagli tecnici della formazione che non interessano tutti. Credo che comunque siamo arrivati alla comune consapevolezza che bisognerebbe mettere un po’ di ordine nell’offerta formativa arrampicata/montagna anche per non confondere le idee ai potenziali utenti e che il mondo guide e Cai potrebbero avere un ruolo di leadership nel processo. Questo è quello che si può fare in un blog poi il resto spetta ai singoli.
Sembra che tutte le discussioni passate sulla legge 6/89 nessuno le ricordi.Le guide alpine hanno provato in tutti i modi a fare modificare una legge che sicuramente mostra i segni del tempo, ma senza riuscirci. Sembrava che, durante la presidenza di Cesa Bianchi si stesse muovendo qualcosa con il governo Renzi, ma poi quest’ultimo cadde e…ciao.Personalmente ricordo che nel 1986 avevo sollevato il problema dell’accompagnamento in Sardegna su roccia presso la commissione tecnica delle guide alpine ma non se ne fece nulla.In pratica succede che noi guide dobbiamo sottostare a leggi ben precise che ci impongono impegni di varia natura (requisiti morali e tecnici, tempo, soldi, assicurazioni, ecc…) mentre altre “parrocchie” sfornano figure a raffica che, a quanto pare, godono solo di agevolazioni e scorciatoie.Trovare una via d’intesa sarebbe bene per tutti ma a quanto pare ognuno sceglie la via più breve aggirandosi furbescamente tra vuoti legislativi e leggi a cazzo.
Il discorso della passione non c’entra e, anzi, non tiriamolo più in ballo perché rischiamo di essere patetici. E’ appurato che ognuno la passione ce l’ha. Andiamo oltre. Grazie.
@pasini – Non ci sono faide interne tra di noi, siamo in maggioranza a favore, le difficoltà per riuscire in quello che dici provengono infatti dall’esterno. Non ti farò nessun nome perché sono faccende che dovranno seguire certi iter e su questa discussione che rischia l’infinito sono entrato solo per dirvi che “siamo sul pezzo” da diverso tempo. Buona continuazione.
Domanda a Maspes contando sull’esperienza di Rampikino: un’articolazione modulare per competenze dei corsi guida sembrerebbe logica, in linea con le moderne teorie dell’apprendimento e corrispondente all’evoluzione attuale dell’andare per monti. Visto il prestigio delle GA, costituirebbe uno schema di riferimento anche per il mondo non guide, sia per la formazione formatori sia per l’offerta di corsi al pubblic0, mettendo così ordine nel sistema. Come mai non viene adottata? Quali sono le motivazioni di coloro che sono contrari, che evidentemente costituiscono la maggioranza o hanno più peso negli organi dirigenti?
Al commento 74: no non è fantascienza, è il pensiero di tantissime Guide Alpine e di alcuni collegi come il mio, quello lombardo, da tempo favorevoli ad una divisione delle competenze per introdurre una nuova figura di solo maestro/istruttore/guida d’arrampicata (outdoor), una sorta di Guida Alpina specializzata senza sci e senza ghiaccio.
colgo l’occasione per salutare Elio Bonfanti, ci siamo conosciuti un paio di anni fa al Procinto.
Molte volte nel blog viene invocato l’equilibrio. Dovrebbe essere uno degli insegnamenti più importanti ricavabili dall’andare per monti. Forse andrebbe applicato anche su questo argomento. Tra l’algida freddezza dell’istruttore tecnico e il coinvolgimento passionale ed emotivo del missionario e del motivatore c’è un punto intermedio: in quel punto si colloca il formatore professionale. La passione e l’entusiasmo senza la tecnica corretta possono fare danni. La tecnica corretta senza passione è un piatto freddo che non motiva e fa perdere molti contenuti valoriali e comportamentali dell’apprendimento. Insegnare l’arrampicata/alpinismo nella sua dimensione tecnica ed educativa non è cosa per tutti, non è qualcosa che si impara in poche lezioni e richiede un certo percorso strutturato anche personale. Forse era questo che Cominetti voleva dire a proposito dell’approccio professionale, nel suo modo provocatorio e pungente che tende a volte a polarizzare le opinioni. Purtroppo il confronto sui social non è una conversazione intorno ad un tavolo e bisognerebbe cercare di cogliere il nocciolo dei diversi contributi, andando oltre lo stile personale.
Probabilmente se esistessero da tempo i moduli separati con la possibilità di esercitare separatamente le varie discipline non ci sarebbe neanche questa discussione…
E lieto di leggere anche Elio Bonfanti, i cui interventi sono assolutamente condivisibili!
Vedo con dispiacere che l’idea di dividere il corso guide in moduli è ancora fantascienza e non interessa nessuno….
Ciao Grizzly, sono contentissimo di leggerti e spero non sia un intervento sporadico!
«Cosí parlò Zarathustra» (n. 69).
Secondo me, le Guide dovrebbero mandare una Raccomandata a Massari dove gli si comunica che è una Guida Alpina per acclamazione… 🙂
grande Giovannino, qui sono proprio con te. Più che regole, tecniche e sterili manovrine varie, si dovrebbe trasmettere una passione. Questo è il vero compito, di un istruttore/guida, ect. chiamatelo come volete.
Caro Marcello, hai ragione, lo confesso nel mio caso c’è dell’altro…forse non è il posto giusto per parlarne ma lo farò lo stesso a costo di essere anche deriso.
Vedi, io arrampico dal 14 marzo del 1980, ho seguito e vissuto tutte le fasi della nascita e dello sviluppo dell’arrampicata e in 40 anni e 10 mesi ho arrampicato per 8223 giorni (ho tenuto maniacalmente il conto e domani sarà un altro) d’estate d’inverno da solo e in compagnia in modo bulimico perché ne sentivo il bisogno e perché quei movimenti ripetuti, ritmici, sempre uguali e sempre diversi mi allontano dal quotidiano mi generano dentro ogni giorno una gioia di vivere incredibile e cancellano ogni giornata storta facendomi tornare sempre motivato alla vita di tutti i giorni.
Quello che vorrei fare veramente è raccontare ai giovani come sono andate le cose, anche le cose che non ci sono più, trasmettere ai ragazzi che verranno con me quel fuoco dentro che ti fa arrampicare anche 300 giorni l’anno, che ti spinge ad allenarti fino a farti bruciare la pelle e a distruggerti le braccia per tenere una presa sempre più piccola o, perché no, a dedicarti al free solo non per emulazione ma soltanto se lo senti come un’esigenza dentro di te.
A fare fino in fondo quello che sentì giusto per te al di là di protocolli, convenzioni, sicurezze.
Insomma a vivere veramente e credo che l’arrampicata sia un’ottima strada per imparare a vivere.
Quel fuoco, caro Marcello, si chiama passione e tu sai benissimo come migliora la vita quando si ha una passione che ti brucia dentro; a me l’ha cambiata completamente ed è l’unica cosa che rimasta integra in un corpo che inevitabilmente invecchia. Vorrei trasmettere proprio quella passione che, quando riesco a generare, leggo negli occhi dei miei alunni che mi dicono: “Ehi Prof! Vorrei proprio essere come lei alla sua età”
Alla mia età…alla mia età si è un po’ “rimba” e si torna a sognare di poter ancora fare qualcosa di bello e puro, anzi nel mio caso restituire un po’ di quello che mi ha dato l’arrampicata… ecco il vero “altro”. Spero ti basti. Dal libro “Cuore” ma di vita vera è tutto.
Caro Marcello.
Volutamente leggero e superficiale. Relativamente alle diverse visioni filosofiche e pratiche tra guide alpine e istruttori del Cai, piuttosto che di altre associazioni, ritengo da sempre che debba e possa esserci un comune ed osmotico rapporto di crescita e non il muro contro muro che tu sostieni esistere. Nessuno di noi è migliore o peggiore di un altro. Siamo prima di tutto uomini e poi se alpinisti, ognuno di noi con le proprie derive narcisistiche.
Ma cultura rispetto e dialogo hanno sempre fatto la differenza. Pratichiamola il più possibile per unire non per dividere.
Elio Bonfanti
Scusa Marcello, ma dove hai letto accenni alla purezza nella discussione? Io non li ho visti, anzi ho letto tra le righe grande ammirazione e rispetto per la vostra professione. Stiamo discutendo di organizzazione di corsi e cose correlate. Però può darsi che non li abbia visti io. Quanto ai compensi illegittimi mi sono già espresso.Dino Marini
Leggendo gli interventi fin qui scritti mi si presenta dinanzi per l’ennesima volta la visione dilettantistica e quella professionistica dell’andare in montagna. Due mondi purtroppo molto distanti.Mi conforta il sapere che la quasi totalità delle guide alpine è stata mossa dalla passione, al pari di ogni dilettante, in maniera molto forte, tanto da volerne fare una ragione di vita e di sostentamento. Mi sembra che l’incomunicabilità tra professionisti e dilettanti (o finti tali, come qualcuno ha riportato perché sono cose che succedono, piaccia o no) esista proprio in funzione di questa visi0ne distorta che accomuna chi trae guadagno nell’andare in montagna con una mancata “purezza” che invece è nel dilettante che è mosso (cosa che non penso affatto) da ideali limpidi perché non asserviti al denaro.L’intervento di Bonfanti l’ho trovato un po’ troppo superficiale e semplicione.A parte questo, credo che Beuchod abbia esposto chiaramente una situazione a tutti coloro i quali pensano al volontariato come a qualcosa di sempre giusto.
Infine non credo in toto a quanto scrive Giovannino (che stimo da sempre e contro il quale non ho nulla a livello personale) che continua a ripetere ossessivamente le stesse cose perché secondo me c’è sotto dell’altro.
Buongiorno a tutti sono Elio Bonfanti e vorrei poter dare un mio contributo relativamente alla questione sollevata con lucidità e precisione da Giovanni Massari del quale a prescindere dall’ amicizia che ci lega ho ammirazione e stima.
Ciò detto faccio parte del club alpino Italiano da molti anni ed in seno a questo sono diventato prima istruttore regionale di Alpinismo, poi istruttore nazionale di Alpinismo ed istruttore di arrampicata libera.
Dal 1986 ho operato ed opero anche se oramai saltuariamente in seno ad una scuola di alpinismo del Torinese ed in virtù di questo sono anche stato, per un certo periodo, direttore della scuola di formazione del distretto LPV Piemonte Liguria e valle d’Aosta.
Io ho interpretato per tanti anni questo ruolo con la tensione e l’obiettivo di divulgare al meglio delle mie capacità l’amore per la montagna a tutti coloro i quali a questa volevano avvicinarsi partecipando anche attivamente alla formazione tecnica e culturale di persone che hanno poi intrapreso con successo la carriera di guide alpine.
Nonostante all’ interno di queste io abbia probabilmente più amici che all’ interno del Cai, negli anni in un paio di occasioni mi sono sentito dire che gli istruttori del Cai rubano il mestiere alle guide, e che spesso portano gli allievi a morire perché non sanno quello che fanno.
Inutile dire che i fatti smentiscono queste improvvide parole anche perché oramai le guide alpine collaborano, essendone talvolta coinvolti come istruttori, con molte scuole del Cai.
Ora oggettivamente non è chiaro ma nemmeno oggetto del contendere, se prestino la loro attività all’ interno del sodalizio a titolo gratuito o meno, ma certamente essendone all’ interno godono di una visibilità e di un bacino di utenza che al di fuori dei corsi non può che essere utile ed aggiungo anche giustamente alla loro attività privata.
Detto questo credo quindi che tutte le varie associazioni che sono nate di contorno alle attività di montagna, non possano che giovare a chi di questa oltre che di una passione ne ha fatto un mestiere.
A riprova di ciò, le guide stesse hanno indetto dei corsi di accompagnatore di media montagna, cosa vorrebbe dire, che si sono costruite, passatemi il termine un concorrente in casa? No, non credo proprio anzi capito che poteva esserci della sensibilità sull’ argomento hanno ampliato il loro lavoro prima di tutto come formatori per aumentare di conseguenza un futuro bacino di utenza per il loro mestiere.
Poi c’è anche l’Aigae che promuove gli stessi corsi di formazione e a prezzi inferiori ? Meglio vuol dire che più gente si avvicinerà alla montagna o semplicemente all’ Outdoor.
Le regole commerciali perché di questo si parla e non certo di passione si basano su medie e percentuali per cui va da se che più gente si muove più l’indotto intero ne beneficia. E’ l’esatto contrario di cosa ho letto in una delle varie osservazioni pubblicate. Non è una torta che si riduce fetta per fetta ma che si amplia con fette sempre più grandi perché in Italia il “fuori porta” è ancora e solo all’ inizio. Se uno riduce la visione all’ oggi avrà un domani difficile !
Personalmente non credo che le guide alpine possano e debbano essere dei tuttologhi dell’ ambiente montano. La guida è nata come accompagnatore locale valle per valle perché di quella valle conosceva tutto, piaceri e pericoli. Poche le grandi guide degli albori che si permettevano di lasciare il terreno di casa per accompagnare clienti in giro per il mondo. Oggi per loro non è più così ma al di la di questo è mio personale parere che non stia alle guide alpine stabilire la liceità o meno di corsi fatti da altri o la qualità degli stessi. Loro possono certo informarsi presso gli organi competenti su come e a quali condizioni, queste organizzazioni svolgano la loro attività ma non possono e non devono porre in essere delle azioni “ad Personam” quali quella nei confronti di Massari
Elio Bonfanti
Io ho sempre frequentato i due mondi, mare e montagna. Il mondo dell’andare per mare, sopra e sotto, è molto più regolato dell’andare in montagna. Stranamente gli appassionati sono più avvezzi alla disciplina e non si sentono menomati nella loro libertà dalle regole. Strano vero? Eppure sono anche loro “veri uomini” come cantava Dalla. Nessuno o quasi ti carica le bombole se non mostri il tesserino e se vai in barca senza una patente adeguata o senza attrezzature di sicurezza obbligatorie sono guai se ti beccano e la stessa comunità ti emargina. Io sono assolutamente allineato con chi rivendica la libertà di andare per monti senza alcune patente e quindi la libertà di ammazzarsi in piena autonomia anche se inesperto e senza attrezzatura, tuttavia l’esperienza PADI potrebbe insegnare qualcosa su come organizzare la formazione (senza patentini in montagna). Quando compri un corso sub è molto chiaro cosa compri e vale in tutto il mondo con standard certificati, poi ovviamente puoi anche decidere di fare un corsetto per provare quando sei in vacanza ma sai bene cosa ti viene chiesto e con cosa ne esci. Quindi che “cento fiori sboccino e cento scuole gareggino”, ma all’interno di una comunità regolata se non da leggi, almeno da patti chiari e trasparenti tra fornitori e utenti.
Credo che anche Roberto col suo @59 abbia riassunto chiaramente la situazione.
Caro Gianni, quello che interpreto io o qualsiasi avvocato come parere proveritate conta poco. Conta ciò che dicono i giudici quando intervengono. Che io sappia in tutti i casi in cui le GA hanno denunciato per abuso di professione hanno sempre vinto ( certamente Stefano Michelazzi ne sa di più). Quindi c’è poco da discutere. Però al di la di tutto io non vedo l’abuso come rischio maggiore per il singolo istruttore o per colui che dirige il corso “abusivo o meno”. Il maggior rischio al singolo ( ricordo che il penale è sempre personale) viene in caso di sinistro. Se non si riesce a dimostrare di aver alle spalle protocolli, metodi e organizzazione e aggiornamento, difendersi è difficile. Non sono più i tempi di una volta. Oggi capita che qualche allievo denunci anche per poco ( vedi sentenza di Milano per piede rotto in un corso di escursionismo) o vi sono casi recenti anche peggiori (che nemmeno voglio evocare) dove la casualità è stata scambiata per imperizia. Io, ma ti assicuro anche tantissimi istruttori, non soffrono per nulla la “concorrenza” anzi. Ben venga se altri si sottopongono a questa spada di damocle che pende sopra la nostra testa quando facciamo quest’attività la cui ineliminabile rischiosità viene sempre meno compresa dal sistema sociale che ci circonda. L’alpinismo è rischioso, lo sci alpinismo ancora di più, l’arrampicata pure. L’incidente è sempre in agguato. Il tutto moltiplicato all’ennesima potenza con i minori.
Grazie Giova (posso, anche se non ci conosciamo pirzonalmente di pirzona?), troppo buono. Ho fatto deliberatamente riferimento alla UISP e alla Giovane Montagna proprio per sollevare la questione a un livello generale, ma è chiaro il collegamento col problema che tu hai posto all’inizio. Che mi sta a cuore, anche se ormai non mi riguarda più in alcun modo direttamente (a suo tempo, il fatto di essere stato messo all’indice perché oltre che istruttore CAI ho avuto anche il titolo di istruttore UISP, e in quanto tale sono stato accusato di esercizio abusivo della professione e Dio sa quali altre nefandezze, ha lasciato un segno). Auguri per il vostro progetto, e auguri ai giovani che vorrebbero vedere riconosciuta la propria professionalità e la propria passione senza dover ricorrere a sotterfugi mascherati.
Gianni Battimelli sei un grande, il punto iniziale e’ proprio lì. Non parlo per UISP o Giovane Montagna ma per ACLI CONI credo si possa e ho iniziato questo percorso proprio perché sono convinto della bontà dell’iniziativa e sono pronto a ricredermi se non si potrà. Per ora so che si può ed è ben spiegato nella risposta del’Acli Montagna alle guide
La parola agli esperti per smontare tutto come dice Gianni Battimelli,
Mi permetto di ribadire che non basta concentrarsi sulla qualità degli istruttori e sulla loro certificazione. Per ottenere buoni risultati conta molto anche qualità dell’organizzazione dei corsi (obiettivi, articolazione, contenuti, metodi, criteri di valutazione dell’apprendimento). Definire standard di qualità per certificare anche i corsi contribuirebbe a scoraggiare persone e organizzazioni magari volonterose, ma non preparate a fare formazione ,dall’avventurarsi in questo campo e farebbe pulizia nel mercato. Una cosa è comprare un corso certificato, cosa diversa è comprare un corso magari meno costoso ma fuori da ogni standard magari al club vacanze in montagna.
@56, DinoM. Sfondi una porta aperta, io volevo solo un chiarimento sulla effettiva portata del dettato di legge. Che poi gli istruttori della associazione X possano essere dei competenti responsabili o dei cialtroni improvvisati va da sè (e di esempi se ne conoscono in entrambi i sensi). E va da sè quindi che la questione di sostanza, cavilli a parte, è la qualità, e dunque la formazione, degli istruttori. Io chiedevo semplicemente una risposta chiara alla domanda (e la riformulo facendo un esempio diretto): la legge proibisce o consente alla Lega Montagna della UISP, o alla Giovane Montagna, di organizzare per i propri soci corsi di introduzione all’arrampicata, servendosi di propri istruttori? Secondo molti, gli unici abilitati a fare ciò, a qualsiasi titolo, sono le guide e le scuole del CAI, e dunque la risposta sarebbe che no, UISP e Giovane Montagna non possono farlo. A me pare invece che una lettura del famoso comma consenta di rispondere che sì, possono. Qual’è l’interpretazione corretta?
Certo Dino, sono perfettamente d’accordo con te e infatti abbiamo adottato un protocollo comune con slide su materiali, sicurezza e quant’altro
Ricordo a tutti inoltre che il Presidente dell’Acli Montagna è istruttore nazionale del CAI e anche altri tecnici ACLI lo sono quindi qui si parla tutti la stessa lingua.
Il nodo purtroppo è un altro: è che a CAI e Guide dispiace che nascano altre realtà che possono fare quello che fanno loro mentre io trovo che sia un arricchimento per il nostro sport e spero che anche la FASI sforni presto il suo Mestro d’arrampicata outdoor.
La differenza la fanno sempre le persone, la loro competenza e la loro empatia e la patacca è solo il sigillo per poter fare perché è chiaro che ci sono fantastici elementi in tutte le categorie ma anche tanti rosiconi mi sa…
Grazie a Emanuele per aver aggiunto molte cose con chiarezza e confermo che anche noi, spessissimo, coinvolgiamo come “aggiornatori” GA con un rapporto arricchente, credo, per entrambi. Per venire a Gianni, credo che tra noi non serva “cavillare” poichè stiamo parlando di cose prive di competizione e ritorno economico e dove una “informazione” sbagliata può portare alla morte. Davvero Gianni ritieni sia possibile dare un minimo di formazione al di fuori di un corso strutturato? Io non credo. Credo che nessuno dica che ” è vietato andare o far arrampicare amici”. Frequentando falesie vedo tantissimi climber, anche forti, fare manovre o usare attrezzi in modo sbagliato e pericoloso. In tanti casi le informazioni date ai neofiti sono opinioni e convinzioni personali spesso di dubbia correttezza. Io faccio l’istruttore da oltre 30 anni e in tutto questo tempo ho cambiato tecniche ( arrampicata, sicurezza etc.) molte volte. Senza un’organizzazione e un metodo controllato alle spalle e un aggiornamento continuo è impossibile insegnare correttamente. Che poi la legge debba venire estesa ad altri soggetti, tipo FASI o riorganizzata per consentire l’attività “legale” in attività specifiche, concordo con te, ma sempre in un ambito controllato e organizzato perchè in questo campo si gioca con la vita e l’integrità delle persone. Dino Marini
Caro Emanuele, grazie per la solidarietà
È proprio per continuare a fare legalmente quello che faccio da anni e per non creare fraintendimenti sui miei progetti futuri che voglio approfittare dell’occasione che mi offrono le ACLI, che mi sembra tutti dimenticano sono affiliate al CONI che garantisce e autorizza la formazione.
E personalmente ho fatto un corso, presentato un ampio curriculum e superato un esame con ACLI affiliata CONI per un’attività dilettantistica e in più’, cosa gradita al CONI, sono docente in ruolo di Scienze Motorie.
E ho un’idea precisa di come voglio usare questa nuova possibilità
Prima di tutto tesserare gli studenti che già io e il prof Bausone portiamo spesso ad arrampicare a titolo amicale e poi formare nuovi tecnici (giovani) che promuovano con noi l’arrampicata per creare un nuovo “giro” nel monregalese ed infine proporre dei progetti alle scuole e ai privati
Inoltre non vorrei lasciare cadere il discorso di collaborazione con le guide e gli passerei molto volentieri tutti coloro che vogliono andare in montagna e che se lo possono permettere.
Ribadisco caro Emanuele è proprio per fare tutte queste cose in pace che ho preso la patacca e vorrei usarla in pace e solo se ho il diritto di farlo, cosa che penso di avere.
Emanuale. Sono assolutamente d’accordo che il CAI potrebbe essere un punto di riferimento per stabilire degli standard per il sistema formativo montagna. Ho trovato un documento molto ben fatto sui livelli di apprendimento e sui requisiti di percorso didattico relativo sulle varie figure di istruttore, ma non ho trovato un documento analogo per gli allievi. Forse c’è. Comunque sarebbe utile per indirizzare anche il mondo di cespugli che nascono fuori CAI. Non sarei così pessimista sulle nuove forme di apprendimento non in presenza. Ovviamente non sono sostitutive del rapporto personale ma possono integrarlo. Ti posso assicurare, per esperienza personale, che i format cosiddetti “blended” in campi di apprendimento di abilità altrettanto complesse, se ben progettati e realizzati, possono portare a buoni risultati. Certamente la socializzazione è uno dei risultati importanti dei corsi collettivi. Io ho trovato il compagno di corda con il quale ho arrampicato per 25 anni frequentando la scuola del CAI. Tuttavia anche formule di apprendimento personalizzato o in piccoli gruppi possono ottenere buoni risultati. Tutto dipende sempre da come sono disegnati e dalla chiarezza degli obiettivi comunicati ai partecipanti. La domanda mi sembra variegata e un’offerta articolata con rigore e metodo può consentire di rispondere bene ai diversi bisogni. Ho detto articolata con metodo, non un casino disorganizzato che disorienta il partecipante. Ciao.
Due domande.
La prima, rivolta a chi è più competente di me a interpretare correttamente normative e disposizioni di legge (penso in particolare a Dino M., ma forse c’è anche qualcun altro che può aiutarmi a sciogliere i miei dubbi); a proposito della liceità o meno, da parte di soggetti che non siano professionisti riconosciuti (le guide) o istruttori CAI (a titolo volontario e non retribuito), di svolgere attività di addestramento alla pratica dell’alpinismo etc., come va inteso il comma 4 dell’art. 20 della legge 6 del 1989?
“Al di fuori di quanto previsto dalla presente legge, le altre attività didattiche per le finalità di cui al comma 1 non possono essere denominate “scuole di alpinismo” o “di sci-alpinismo” e i relativi istruttori non possono ricevere compensi a nessun titolo”.
A me sembra, se capisco l’italiano (ma ammetto di capire poco il linguaggio della giurisprudenza, e credo si possa convenire che il testo non brilla per chiarezza), che lì si ammetta esplicitamente la possibilità, per soggetti diversi dal CAI, di esercitare eccetera eccetera, purché a titolo non retribuito e senza potersi fregiare della qualifica di “scuole”. Sbaglio?
La seconda. Credo siano passati quasi trenta anni da quando Gigi Mario (allora responsabile tecnico della formazione delle guide, se non erro) propose e organizzò un corso di formazione per “maestri di arrampicata”, per formare dei futuri professionisti nel settore specifico. Qualcuno pagò cifre allora non indifferenti per frequentare il corso, nella convinzione che alla fine si sarebbe trovato in possesso di un titolo abilitante all’esercizio della professione (l’equivalente della figura del “moniteur d’escalade” francese). Alla fine, non se ne fece nulla. Quasi trenta anni dopo, siamo ancora lì, in una situazione in cui chi volesse dedicarsi professionalmente all’insegnamento dell’arrampicata sportiva ha la sola possibilità di seguire tutto l’iter formativo della guide alpine. Sembra solo a me che si tratti di una situazione di allucinante anacronismo, fonte numero uno delle varie situazioni di irregolarità che le guide spesso denunciano? Qualcuno sa se – con trent’anni di ritardo – si sta muovendo qualcosa nella direzione della istituzione di una figura professionale di istruttore di arrampicata, cui non venga richiesto anche di saper sciare su pendii a 45 gradi?
intervengo cercando di portare chiarezza, e forse sarebbe necessario per intervenire nel dibattito, leggere non solo le locandine dei corsi ma anche le linee guida del CAI confrontandole con le altre associazioni, nonchè ascoltare le relative esperienze degli allievi.
Un corso CAI è un percorso fatto per rendere gli allievi autonomi all’interno di un gruppo organizzato (corsi base), oppure autonomi per gite facili (corsi intermedi), oppure specializzandosi nelle varie discipline (corsi avanzati). Soprattutto nei corsi intermedi/avanzati l’interfaccia con le guide alpine è tutt’altro che “snobbata” o sottovalutata. Ricordo inoltre, semplicemente, che le guide alpine sono una sottosezione del CAI come da statuto, è un dato di fatto.
I corsi delle guide alpine non li ho mai fatti, ma in generale, il ruolo di accompagnamento di una guida non è indirizzato al rendere autonomo il cliente, inoltre il numero limitato impedisce un percorso del gruppo in cui spesso nascono amicizie che si prolungano oltre il corso stesso. Ma ripeto, non avendo partecipato come allievo a corsi con guide alpine non posso esprimermi. Ho partecipato invece a corsi di aggiornamento tenuti da guide alpine (in cui di fatto ero allievo) e noi istruttori CAI, come anche detto da Dino M, si nota subito l’abisso tecnico-culturale che c’è. Nonostante questo, mai c’è stato uno screzio o una presa di posizione prevaricante, tutt’altro si auspica sempre più un’interazione tra le parti.
La selezione per l’ammissione ai corsi per motivazione, viene fatta semplicemente per evitare l’allievo la cui motivazione è “quest’anno non so che corso fare, ce n’era anche uno di scacchi ma ho deciso di fare quello di arrampicata”.
Ancor peggio è la selezione per limiti di età.
Badate bene che tali scelte devono esser fatte perchè, a differenza di Alberto che dice “ho ricevuto molto dal CAI quini mi impegno a restitutire qualcosa adesso che ho l’esperienza”, moltissimi soci preferiscono non impegnarsi attivamente e rimanere al traino. La conseguenza è l’invecchiamento dell’associazione piuttosto che un ringiovanirsi, di questo ne è causa anche un sempre maggior carico di responsabilità (civile e penale) su chi entra a far parte dei direttivi di scuole e sezioni.
Per far parte di direttivi di scuole e sezioni, oppure istruttori delle scuole, occorre essere professionisti per impegno e responsabilità ma volontari per lo stipendio, è giusto così e si accetta volentieri così perchè il guadagno umano è infinitamente più grande.
Il Bacino di utenza tra guide e CAI è presto fatto, oltre al conto presentato da Roberto Pasini, aggiungete che nel costo delle uscite con le guide c’è da suddividere tra gli allievi tutti i costi vivi sostenuti dalle guide.
Ultimo punto: probabilmente i prossimi corsi avranno lezioni teoriche on-line, questa sarà una perdita enorme umanamente, sia per gli allievi che per gli istruttori. L’importanza del trasmettere l’esperienza la ritengo una cosa fondamentale.
Tornando al post iniziale: mi dispiace molto per l’amico Giovannino Massari che non conosco personalmente ma da quello che si legge si è prodigato per tutta la comunità (chiodare e pulire le falesie è un lavoro vero e proprio), e leggere la lettera dell’USACLI che lo difende parlando solo di partite iva e compensi, lo trovo molto offensivo e riduttivo; questo mi sarebbe bastato per salutarli cortesemente e tornare a vivere liberamente e serenamente l’arrampicata con gli amici.
A PROPOSITO: su giornale del Trentino trovato filmetto in bianco e nero di una Guida che addestra(addestro’) un gruppo di giovani..CESARE MAESTRI… non privatamente ma per conto di Sat scuola Graffer.PUBBLICO’ PURE UN istruttorie guida e MANUALE. Come attivita’ di scuola a tempo prolungato..invitammo: istruttore accademico e guida e naturalista del Cai..prima teoria e poi piccole pratiche e gita finale…e omaggio finale agli allievi di un manualetto edito dal Cai.Alcuni giovani , poco attratti da calcio, tennis e sport racchiusi in scatole o confini rettangolari e sempre con l’ansia delle garette, dei campionatini, sotto gli occhi dei reclutatori di talenti per il mercatone, si iscrissero poi al gruppo giovanile.Per raccogliere bisogna seminare e ce ne sara’ per tutti, invece che tagliare una stessa torta in fette sempre piu’ sottili…e contendersele…sempre nel rispetto delle leggi..ovvero lavorando per settori fino ad arrivare ai piu’specialistici..dove devono intervenire gli autorizzati che hanno sostenuto esami ed hanno un curriculum..
Dino. Mi sono fatto questa idea della situazione. 1. La domanda di formazione è in aumento 2. Attualmente ci sono offerte separate proposte da 5 canali: guide, Cai, scuole consolidate extra cai, associazioni sportive varie, palestre. 3. La tipologia di offerta e’ variegata: non esistono definizioni accettate da tutti di obiettivi di apprendimento di conoscenze/abilità in uscita (tipo le lingue straniere per intenderci) 4. Ogni canale tende a presidiare il proprio target con livelli bassi di sinergia tra i canali 5. I format proposti si rifanno a modelli abbastanza tradizionali che ricalcano schemi consolidati, non esistono requisiti minimi organizzativi comuni dei curricula 6. La struttura dei prezzi è piuttosto variabile a seconda dei contesti 7. Il Cai è il fornitore principale in termini numerici di formatori che vengono utilizzati dagli altri canali (a parte le guide). Ci sono tuttavia tendenza da parte di altri canali a produrre i propri formatori all’interno, con il connesso contenzioso. Una situazione piuttosto complessa dunque e che non ha un centro di coordinamento. Credo che Guide e Cai essendo le organizzazioni più forti e titolate potrebbero collaborare su tre filoni a) creare sinergie per allargare l’offerta e intercettare la crescita della domanda evitando che finisca in mani non affidabili B) innovare l’offerta in termini di format, con proposte differenziate dal punto di vista organizzativo e di prezzo C) Stabilire e propagandare definizioni rigorose dei livelli di apprendimento e dei requisiti minimi dei percorsi formativi che facciano da riferimento comune per tutto il settore. Sicuramente ci siamo un po’ allargati rispetto al tema originario, ma magari abbiamo fornito qualche spunto a lettori che hanno ruoli attivi nel campo. Arrivederci.
Concordo al 100% con Alberto e l’ipotesi di screening era ovviamente puramente teorica. L’analisi fatta da Roberto andrebbe approfondita poichè il costo dipende da molti fattori tra cui se comprese o meno le spese di pernottamento etc. Noi ad esempio riusciamo a contenerlo poichè abbiamo una nostra palestra indoor e strutturiamo il corso in maniera diversa. Tuttavia la collaborazione con le GA sarebbe, a mio parere, davvero proficua per entrambi ed è una soluzione che andrebbe vagliata attentamente.
Stimolato dal dibattito interessante sono andato a vedere l’ultimo programma del corso di alpinismo della mia Alma Mater, la Parravicini del Cai Milano e ho provato a fare due conti, visto che ho un po’ di esperienza nel business della formazione. Sono 23 unità didattiche di cui 8 outdoor. Costa 500 €. Non poco. Supponiamo di allargare la scuola al di fuori del numero di accessi limitato con un utilizzo di guide alpine per la parte outdoor. La parte indoor potrebbe tranquillamente essere fatta in remoto o in autoapprendimento o studiando formule moderne snelle senza sacrificare i contenuti. Il vero problema dei costi sono le uscite. Mi pare che la tariffa giornaliera sia 600 € per le guide (ma forse sono rimasto indietro). Si tratta di coprire le 8 uscite, quindi 4800 €. Diviso due, perché la guida potrebbe farsi carico di due allievi. Magari si potrebbero ridurre a 6 senza bisogno di fare lunghe e costose trasferte (l’ultimo programma prevedeva Bianco e Engadina). Facendo un accordo che garantisca un volume adeguato di partecipanti si potrebbero strappare dei prezzi calmierati, magari intorno ai 2000 € , magari con pagamenti rateali, garantiti dallo stesso CAi. Certo ci sarebbero circa 1.500 € di differenza, ma si avrebbe comunque un prodotto di alta qualità, al top direbbe l’imitazione di Crozza. È chiaro che il target non è popolare, ma ci sono attività per le quali, almeno a Milano le persone non spendono meno. Insomma forse ci vorrebbe un po’ di iniziativa, buona volontà e tanta, tanta cooperazione. Merce rara purtroppo da noi, però si può sempre provare se qualcuno si prende carico del problema senza stare sempre fermi a difesa delle proprie posizioni. Sono un ingenuo over 70 ?
Tagliando le ali in partenza si impedisce di spiccare il volo.
Ognuno di noi ha avuto qualcuno che gli ha dato una possibilità.
Ps. Per chi non frequenta T&T: Nel secondo pezzo sono cadute le virgolette. Erano una citazione.
E’ ingiusto socialmente e umanamente . Ma è anche sbagliato da un punto delle potezialità che una persona può scoprire di avere.
Tanti strada facendo scoprono delle qualità che non avrebbero immaginato di avere. Tanti scoprono una passione che non immaginavano.
Quindi perchè selezionare a monte?!?!
La selezione si fa dopo. Rimane chi ha una vera passione.
Se ne potrebbero citare altre ma vorrei evitare di portare qui, nel regno apparentemente sereno e cristallino dei monti, cose che stanno di là, nel regno dei Totem e dei Tabù. Ogni cosa al suo posto. Quindi evitiamo per favore. Ho sbagliato io a riferirmi a cose che appartengono ad un altro mondo e mi scuso.
Questo è totale assolutismo dell’autoreferenzialità.Questo è razzismo per ciò che non ha fonte quindi per alcuni, inattendibile di per sé.Questo è il guaio.Questo significa credere gli esperti superiori al resto del mondo.Chiunque contiene verità, non solo le forme che riconoscete.
“A differenza di quanto viene detto da alcuni in altre sezioni di questo sito, sono uno di quelli che crede nelle competenze certificate e nel curriculum. Ci ho sempre creduto per il mio lavoro ma anche per lo sport”.
Roberto sei ad anni luce dall’aver identificato la mia posizione. Anche di più.
Caro Alessandro,
hai ragione, la lettera ti è stata inviata dal presidente del Collegio Guide Alpine del Piemonte Giulio Beuchod.
Mi scuso per l’errore
Dino. Lo screening dei veramente motivati non sarebbe tecnicamente un problema. Se tu chiudi selettivamente il canale di eccellenza lasci però la domanda crescente allo sbando e alla mercé dei perecottari. Dal punto di vista dell’istituzione top il problema non si pone, anzi aumenti il prestigio del brand, ma dal punto di vista sociale è un disastro. Come succede per le Università italiane. E qui che le nostre sensibilità divergono. Carlo vuole chiudere e selezionare, io penso che non funzioni e forse illusioramente penso si debba cercare di cavalcare la tigre, anche facendo qualche concessione e apertura con tutti i rischi.
Ma di quale rivoluzione parla il titolo? E’ lampante che si tratta di figure dilettantistiche che lucrano sull’insegnamento, con percorsi di abilitazione enormemente ridotti rispetto alle guide (le uniche che dovrebbero poter monetizzare) e istruttori cai (volontari che, quando va bene, mangiano un panino gratis a fine giornata). La classica furbata per mangiarsi una fettina della torta. Del resto sempre meglio un ritorno economico che un panino. Ovviamente son sempre pronto a ricredermi se qualcuno volesse smentire.
Alla domanda che cosa si può fare data la forte domanda dico purtroppo nulla. Mi sento di dire che maggiore è il carico di responsabilità a carico delle Scuole CAI (dove passa la grande maggioranza delle persone) minore sarà la disponibilità degli istruttori. Ovviamente i benestanti potranno sempre affidarsi alle GA che dal punto di vista qualitativo sono il top. Oppure, come diceva Crovella, selezionare gli allievi e accettare solo quelli “motivati”. Ma come fare lo screening? Io non saprei proprio
DinoM. Utili chiarimenti i tuoi. Limitiamoci all’outdoor. A chi negli anni mi ha chiesto indicazioni, non riuscendo ad accedere ai corsi CAI, ho sempre dato l’ovvio consiglio di verificare le qualifiche degli istruttori delle varie proposte sul mercato. A differenza di quanto viene detto da alcuni in altre sezioni di questo sito, sono uno di quelli che crede nelle competenze certificate e nel curriculum. Ci ho sempre creduto per il mio lavoro ma anche per lo sport. Uno non vale uno. Non credo che un’istituzione come il CAI possa permettersi di certificare come istruttori persone inadatte sotto il profilo tecnico e comportamentale. Può succedere ma si tratta di eccezioni. Ho controllato sui relativi siti qualche scuola lombarda e ho visto che tutti gli istruttori sono almeno istruttori sezionali. Approfitto della tua competenza per un’altra domanda: il Cai, secondo te, è in grado di sfornare un numero adeguato di istruttori per le diverse iniziative formative che si stanno diffondendo sul territorio ? Se la risposta fosse negativa o dubbia, cosa si potrebbe fare per evitare la proliferazione selvaggia e autoreferenziale che ho visto in altri campi? Lasciare tutto alla selezione selvaggia attraverso il mercato? Visti i pericoli sarebbero accettabili “danni collaterali”?
Per Marco Tosi, commento numero 34.
Non ho mai ricevuto nulla da Matteo Ruffin…
Sulle due problematiche poste da Pasini propongo quanto so con anche qualche mia opinione personale. Nelle palestre indoor esistono procedure di collaudo e revisione della parte strutturale, che devono essere espletate annualmente da ingegneri o società abilitate poichè sono impianti sportivi. Vengono perciò meno tutti i pericoli oggettivi e pertanto l’attività indoor si configura come una qualsiasi pratica sportiva, dove il CONI (di cui FASI è parte) detta le regole. FASI all’interno dei suoi regolamenti, organizza corsi per istruttori e/o atleti, coperta da assicurazioni. Se il gestore(proprietario?) non ottempera alle regole strutturali e gestionali è legalmente personalmente responsabile. Nelle strutture indoor esiste il grosso problema della sorveglianza, per impedire che persone inesperte si facciano male. Mi dicono che all’estero al momento dell’ingresso, venga fatto un piccolo controllo (nodi, uso freno, piccole regole per l’assicuratore) e venga vietato l’accesso ai non idonei. Esiste una sentenza ( Tribunale di Trieste ) dove per un infortunio causato da imperizia, non solo venne coinvolto il gestore ma anche il proprietario che, pur non avendo la gestione della struttura, non ha verificò i requisiti del gestore. Gli istruttori FASI possono quindi istruire solo indoor. In ambito CAI considerato l’ormai considerevole numero di strutture indoor gestito dalle Sezioni è stata creata una figura ad hoc di “assistente di sala “con compiti di sorveglianza ma non di insegnamento; qui in FVG abbiamo già formato almeno 50 assistenti. Non esistendo, ad oggi, alcuna legge (attenzione alle regole Regionali ad es Lombardia) sull’indoor, GA e Istruttori possono operare anche indoor poichè nel conseguimento del brevetto ricevono idonea formazione all’attività, tuttavia ci sono limiti qualora si tratti di attività agonostica. Su tutta quest’ultima parte, non sono a conoscenza di giurisprudenza.
Quindi salvo che per l’indoor, ad oggi gli UNICI abilitati all’insegnamento e all’accompagnamento (istruttori solo nei corsi) sono GA e Istruttori CAI che hanno una solida organizzazione formativa e assicurativa. Chiunque svolga l’attività outdoor ( o indoor fuori dalla FASI) al di fuori dalle regole si espone a innumerevoli rischi penali (sempre personali) e civili di ogni tipo. Resta da dire che al momento di ogni incidente a volte il margine è sottilissimo (tra casualità e imperizia) e perciò considerato che gli organi giudiziari si affidano a periti, si scatenano tutte le contraddizioni e le problematiche di cui la nostra società è piena. Per questi motivi l’attività formativa è rischiosa, fatta fuori dalle regole di legge è, a mio parere, veramente e inutilmente molto ma molto rischiosa. Tutte le problematiche aumentano esponenzialmente se sono coinvolti minori. Dino Marini
credo che la lettera delle guide sia molto adeguata: chi verifica la competenza degli istruttori USACLI? non è che sono abilitati per la sola attività in palestre indoor? Gli istruttori CAI e Guide Alpine sono ben collegate nonostante si voglia far credere il contrario, le nuove associazioni chi le verifica? credo sia questo il punto, una volta chiarito, la selezione naturale sarà spontanea come nel libero mercato,
Sopravvive chi lavora bene, con professionalità e competenza.
Caro Alessandro, sarebbe opportuno, per correttezza di informazione, pubblicare anche la lettera inviatati da Matteo Ruffin, capogruppo delle Guide Alpine dell’ossola, che esprime il punto di vista, legittimo, delle Guide Alpine.
Grazie,
Marco Tosi
Una domanda: se uno vive su una delle nostre bellissime isole tipo Sardegna o Sicilia, dove di mari ce ne sono due, uno di acqua e l’altro di roccia, perchè per poter lavorare con l’arrampicata deve per forza fare un brevetto in cui ci sono esami durissimi di ghiaccio e sci? La legge italiana dice così, ma la legge è fatta da uomini, che in un dato momento storico, possono anche cambiare visione e quindi di conseguenza cambiare una legge che a mio parere è abbastanza vetusta. Non dico di aprire a tutti ma dividere il brevetto di guida alpina in moduli è impossibile??
Naturalmente questa è la mia limitatissima esperienza che non vuole fare d’ogni erba un fascio ma per me è stata questa…non posso dare versioni diverse, sicuramente altrove migliori, da quelle che ho vissuto. E sicuramente anche da parte mia ci sarà stato un atteggiamento non consono alle richieste che ho fatto. Infatti altre volte ho collaborato anche piacevolmente ma forse per carattere ho bisogno di maggiore libertà d’azione.
Vero Giovanni il CAI viaggia lento, ma spesso è un problema delle singole sezioni.
A livello di corsi per istruttori , vedi la figura dell’ IAL non è più cosi.
C’e una bella, impegnativa e attuale preparazione.
Per Massari. Forse non è tanto un problema di resistenza all’innovazione ma un problema di numeri e di capienza. Il canale Cai per le ragioni esposte da DinoM non è probabilmente in grado di incanalare tutta la domanda. Nasce da qui la mia domanda a Dino e a tutti gli “uomini di buona volontà “ : e allora che cosa si può fare con il resto?
Hai ragione Alberto, ora è così per il CAI non è che non arrivi ma arriva sempre in ritardoTi faccio un solo esempio:
Nel 1986 ero invitato in Francia alla prima gara indoor; mi presentai al consiglio del CAI con una delle prime prese arrivate in Italia proprio da quella competizione per proporre un muro e mi fu detto: “Non sarà mica una cosa seria?” e ora siamo alle Olimpiadi…vedi un po’ tu…
scusa se mi permetto, ma penso tu sia rimasto un pò indietro.
Queste possibilità e migliorie sono più che applicate nei corsi CAI
Rispondo volentieri alla domanda di Daniele
Ho collaborato con la mia sede CAI, al quale sono legato da affezione, sia negli anni ‘80 che recentemente.
Non posso dire di essermi trovato male ma, senza entrare nello specifico degli eventi, ho trovato il CAI sempre troppo “ingessato” sulle possibilità e le migliorie tecniche che via via si presentavano (dall’avvento dell’arrampicata libera all’uso del Gri Gri solo per citarne alcuni) e così me ne sono allontanato e devo dire a malincuore.
Con l’arrivo invece di questa nuova possibilità ho trovato un ambiente più pronto ad accogliere e verificare senza preconcetti le nuove tendenze oltre all’indubbia possibilità di avere, come singola ASD, maggiore autonomia decisionale sugli eventi da proporre agli associati.
In sostanza ho portato per anni persone gratuitamente a provare ad arrampicare (amici, studenti, conoscenti) anche a piccoli gruppi ma nel mondo d’oggi, irto di responsabilità, questo non è più possibile.
Con l’ACLI attraverso una qualifica e un semplice tesseramento posso tornare a fare queste cose in autonomia e senza complicazioni di natura legale con amici, studenti, conoscenti senza essere accusato di abuso della professione o essere malvisto, giustamente viste le attuali norme.
Purtroppo il dato vero è che oggi se non hai una patacca e porti qualcuno a scalare anche a titolo gratuito sei imputabile di abusivismo e se lui si rompe un’unghia sei fritto; con le ACLI ho trovato la possibilità di continuare a fare queste cose se vorrò e se potrò ma restando nelle regole.
Concordo in toto con daniele piccini.
Chi vuole fare il volontario ed è una persone competente come lo è Massari avrebbe possibilità e spazio nel CAI.
Neanch’io ho notizie di istruttori CAI che si fanno pagare per attività abusiva. Se le avessi andrei direttamente nelle sedi competenti a denunciarli.
Per DinoM. Ti ringrazio per l’esaustivo e dettagliato chiarimento. Come ex allievo Parravicini e Righini, alcune cose mi erano note ma tu lei hai aggiornate e sistematizzate molto bene. Dal mio osservatorio milanese vedo che rispetto alla mia ormai antica esperienza si sono moltiplicati i canali di formazione: scuole, corsi, palestre. Come funziona in questi casi il tena della responsabilità e della certificazione? Che poi è il tema del post originale (depurato dalle tematiche personali). Ho la sensazione ci siano molte aree grigie o mi sbaglio? È opportuno fare chiarezza perché può essere utile per dare informazioni corrette a chi magari più giovane e senza esperienza ci chiede consigli su dove andare. Mi dicono figli di amici che a Milano è difficilissimo trovare posti nelle classiche scuole Cai. Grazie in anticipo.
Trovo corretto e dirimente il commento di DinoM 23 al quale aggiungo che gli Istruttori di Alpinismo CAI accompagnano gli allievi solo ed esclusivamente all’interno del programma di corsi debitamente autorizzati. A Giovanni Massari senza minimamente voler mettere in discussione le proprie capacità tecnic0- didattiche e nemmeno le intenzioni meramente promozionali e volontarie che lo hanno portato ad intraprendere questo percorso quale tecnico di terzo livello di USACLI Montagna, vorrei chiedere perchè in tutti questi anni non è entrato in qualità di Istruttore all’interno di una scuola CAI dove avrebbe potuto perseguire in qualità di volontario e con lo stesso spirito, la divulgazione dell’arrampicata. Tengo a precisare che questa mia domanda non ha alcuno scopo polemico ed è posta unicamente per dare un piccolo contributo al dibattito.
Proprio a fronte di tutto questo lavoro serio e gratuito da parte di Istruttori e Scuole, giudico grave e diffamatorio quanto affermato in maniera anonima e non dettagliata da Dario che si dice a conoscenza di violazioni di legge compiute da Istruttori CAI che hanno, a suo dire, percepito compensi (oltre il rimborso spese). Lo invito pertanto a segnalare al CAI i casi e le prove a lui note. Dino Marini
Per Pasini: non sono avvocato ma riporto quanto ormai è noto nell’ambiente Scuole CAI perchè già consolidato in giurisprudenza.
In base alle legge 2/89 le uniche figure autorizzate all’insegnamento e all’accompagnamento in discipline alpinistiche sono le GA e gli istruttori CAI. Ciò perchè la legge vuol tutelare le persone che si approcciano a queste discipline affidando a Collegio Guide e al CAI percorsi formativi che garantiscano standard di sicurezza controllati e opportune coperture assicurative. La differenza è che gli istruttori CAI possono farlo UNICAMENTE gratis (solo rimborso spese) le GA professionalmente. Tutte e due le figure sono potenzialmente responsabili penalmente e civilmente ove vengano ravvisati errori o omissioni.
Da ciò derivava ( uso appositamente l’imperfetto) una differenza sostanziale in fase processuale ovvero la responsabilità contrattuale o extracontrattuale. Nella prima il prestatore d’opera ( la GA) deve dimostrare di aver attuato tutti gli accorgimenti per evitare il sinistro, nelle seconde l’onere di prova è invertito ovvero è il danneggiato che deve portare le prove. Ultimamente tuttavia il termine “professionale” è stato interpretato dalla Magistratura in maniera estensiva e pertanto non è stato più riferito alla mera “prestazione con compenso” quanto al modo con cui l’istruttore si approccia all’allievo ovvero con modi “professionali (di rapporto prestatore/cliente) quindi in maniera indipendente dal contratto “commerciale” retribuito: ciò ha di fatto parificato, sotto l’aspetto legale le figure GA e Istruttore CAI. Inoltre la classificazione delle attività montane quali attività pericolose, ha indotto ormai a classificare tutto “resposabilità contrattuale”. Ciò vuol dire che GA o istruttore devono provare la correttezza del loro operato. Per le Scuole CAI c’è un’aggravante: per la GA l’unico responsabile è la Guida, nelle Scuole vengono coinvolti gli altri istruttori presenti (soprattutto se anziani e/o più qualificati), Direttore del corso e della Scuola. Ciò nel tempo ha indotto il CAI a rafforzare potentemente tutte le procedure, anche formali, di aggiornamento obbligatorio, verifiche ed esami. Pertanto dietro ogni distintivo si può trovare un potente e serio lavoro di formazione didattica ma anche di aggiornamento che richiede un impegno di tempo, passione che sta riducendo in maniera considerevole l’organico disponibile delle Scuole a fronte di una fortissima richiesta, per ovvi motivi di costo/disponibilità di soldi.
Ai tempi della giovinezza mi girava poco soldo in tasca e percio’andavo in montagna con”amici “, istruendoci a vicenda e passando dalla teoria appresa su manualetti cartacei alla pratica. Col senno di poi avrei mille volte pagato Guida e corsi autorizzati a pagamento con tutto il necessario, pure assicurazione.Un esempio: tra amici si andava in ferrata senza casco e con un cordino 8 mm e singolo moschettone. Cose che oggi suscitano orrore.!Da vecchio, attendo una prossima apertura di palestra indoor, annunciata da circa 13 anni.Pero’ i futuri gestori associati al Cai mi parlano di lentezze burocratiche, norme su norme, istruttori da trovare ..ecc.Campa cavallo… .
La spiegazione di Giulio, a cui mando un saluto, che trovo ampiamente condivisibile e che fa risaltare l’indiscutibile preparazione tecnica delle guide alpine mi da il la per alcune considerazioni che esulano lievemente dalla nostra diatriba ma che voglio condividere per esporre come vedo personalmente il proseguo di questa vicenda.
Credo che ogni sport di massa, e l’arrampicata e la montagna ormai lo sono, dia l’avvio al manifestarsi di due piani di diffusione: dilettantistico e professionale.
Definirei senza ombra di dubbio “professionale” quello delle guide alpine e “dilettantistico” quello ora rappresentato dalle ACLI CONI.
Credo di aver capito, grazie ad una guida alpina di alto profilo dialettico e mentale con cui mi sono confrontato, il monregalese Matteo Casanova, come queste realtà viaggino si su binari completamente diversi ma che possano portare effettivamente a quelle convergenze parallele di morotea memoria perché credo che per crescere rigogliose abbiamo bisogno l’una dell’altra.
Penso che sia effettivamente maturo il tempo per cui queste categorie si debbano considerare “colleghe” e non in opposizione, a meno naturalmente di voler mantenere anacronistici monopoli che vista la capillare diffusione dell’arrampicata non hanno più ragione di esistere.
Noi possiamo certamente, come ASD, far provare l’arrampicata ad una più grande massa di persone e più massa andrà ad arrampicare più ci saranno possibili clienti anche per le guide alpine e per tutto l’indotto delle attrezzature collegate alla montagna.
Sinceramente questa mi sembra una guerra inutile dato che per i tecnici ACLI non si tratta di lavoro ma semplicemente della saltuaria ma reale possibilità, come semplici appassionati ma competenti e selezionati, di trasmettere la loro passione con la sicurezza di una struttura legale alle spalle che evita le più che possibili (e giuste senza un’affiliazione) accuse di abuso della professione da parte dei professionisti del settore, oltre che garantire le necessarie coperture assicurative.
Se poi vogliamo parlare della possibilità di avere compensi per 10000€ detassati annuì ricordo che allo stesso tempo c’è anche la possibilità di portare semplicemente ad arrampicare gli associati al costo di una quota associativa e/o assicurativa.
Questa forma di guadagno mascherato è naturalmente a discrezione dei singoli come d’altra parte è a discrezione di un professionista fatturare o meno la sua prestazione.
Questione, in fondo, di onestà intellettuale da entrambe le parti.
Per quello che riguarda me nello specifico e senza entrare troppo nel personale l’arrampicata è stato il mio salvavita pur, paradossalmente, avendomela fatta rischiare molte volte e se ho voglia di trasmettere questa passione non è certo per smania di guadagno ma sperando che ad altri sia utile nella vita come lo è stata per me.
Il mio sogno, ora possibile grazie alle ACLI, sarebbe quello di portare con regolarità l’arrampicata indoor e soprattutto outdoor nelle scuole con il mio collega, amico e da sempre compagno di scalate Federico Bausone, anche lui diventato tecnico ACLI, un sogno che può ora diventare realtà.
Chissà che da queste nuove iniziative di promozione e diffusione non possano nascere addirittura grandi alpinisti, future guide alpine o grandi atleti FASI?
Quello sarebbe il massimo auspicio per i più dotati ma certamente una validissima e salutare forma di svago per tutti attraverso un’attività sportiva dalle molteplici sfaccettature.
Ciao a tutti.
Vorrei, visto che siamo parte in causa, fare un po’ di chiarezza perché abbiamo il sospetto che molte persone non conoscano la differenza tra la professione della Guida Alpina – Maestro d’Alpinismo e le altre figure che operano nel campo del volontariato, quale l’Istruttore del Club Alpino Italiano, oppure, come nel caso in questione, le nuove figure “dilettantistiche“ come l’istruttore di alpinismo, scialpinismo e arrampicata sportiva outdoor istituito da USAcli o associazioni analoghe.
Quella della Guida Alpina è una figura professionale che nasce nei primi anni del XIX secolo con il ruolo primario di accompagnare dei “clienti” in ascensioni in montagna. Da allora la professione è evoluta parimenti all’evoluzione delle attività legate all’alpinismo estendendo le competenze delle Guide Alpine al mondo dell’arrampicata su roccia, su ghiaccio, dello sci alpinismo, del fuoripista, del canyoning, in Italia e nel mondo oltre al settore del lavoro e della sicurezza.
Per esercitare la professione di Guida Alpina è richiesta l’iscrizione in un apposito Albo Professionale (come quello degli ingegneri, architetti , dei geometri per intenderci) dopo aver superato una severa selezione caratterizzata da prove psico-attitudinali e fisiche inerenti le varie attività (arrampicata su roccia, cascate di ghiaccio, sci-alpinismo) che dà accesso ad un percorso formativo della durata di due anni per un totale di quasi cento giorni per acquisire il titolo di Aspirante Guida Alpina.
Dopo altri tre anni, si può accedere al corso per il passaggio a Guida Alpina consistente in tre moduli di esame per la durata di circa venti giorni. Un percorso lungo, impegnativo e anche costoso per un totale di circa centoventicinque giorni nell’arco di cinque anni.
L’iscrizione all’albo professionale tenuto dal Collegio Regionale di competenza costa circa un migliaio di euro comprendendo le polizze assicurative RC, tutela legale, recupero e salvataggio ecc.
Per poter praticare inoltre la professione all’estero occorre ottenere autorizzazioni come l’EPC (European Professional Card) o analoghe autorizzazioni per i paesi fuori UE (Svizzera ad es.) espletando le relative pratiche burocratiche e sostenendo i relativi costi.
A questo si aggiunga una cospicua somma per la polizza infortuni individuale personale.
E’ comprensibile quindi che, dopo aver ottenuto e speso quanto sopra esposto, ci si aspetti come categoria professionale di avere almeno il rispetto per il proprio lavoro da parte delle associazioni e dei loro volontari e, soprattutto, da parte degli enti che le promuovono.
Specie in periodi come quello che stiamo vivendo a causa della pandemia, nel quale il settore turistico – montano è uno dei più colpiti, quando la professione è rimasta bloccata da marzo a maggio 2020 e tuttora si sta lavorando con estrema difficoltà a causa dei limiti imposti agli spostamenti, crediamo sia abbastanza evidente il danno subito dalle circa 1300 Guide Alpine Italiane, un danno economico irrecuperabile, soprattutto per quei giovani che hanno lasciato magari un lavoro sicuro per fare della loro passione una professione primaria ma non solo per loro.
E’ altrettanto evidente che quando si viene a conoscenza della nascita di figure “dilettantistiche” e “volontaristiche” di cui parla Giovannino Massari , istruttori d’arrampicata o di sci alpinismo che sotto l’egida di un’associazione USAcli affiliata al CONI ricevono tali attestati dopo un percorso di 5/6 giornate, le Guide Alpine si sentano prese in giro e la cosa non può che arrecare malcontento e rabbia.
Da quanto riportato da Giovannino Massari emergono altri aspetti contrastanti: di primo acchito parrebbe che queste figure “dilettantistiche “ operino a titolo gratuito, come “volontari”, poi in seconda battuta si apprende che è un “tecnico a livello dilettantistico che può proporre l’arrampicata outdoor a prezzi contenuti e, giocoforza, meno elitari di quelli di una guida alpina”.
Infine, andando a leggere meglio, si scopre che questi personaggi possono percepire un rimborso spese fino a 10.000 € annui esentasse e che, magari, hanno contemporaneamente un lavoro sicuro nell’amministrazione pubblica o nel settore privato.
Chiunque avesse un’attività professionale avviata dopo anni di studi, esami e sacrifici e vedesse invadere il proprio campo professionale da “volontari dilettanti” con un titolo ottenuto in una settimana, che operano dei “prezzi contenuti” e che ricevono dei rimborsi spese fino a 10.000 euro/anno esentasse, non ne sarebbe certamente contento.
Scendendo ancora di più nel particolare su quanto Giovannino Massari asserisce nel suo articolo circa la chiodatura di itinerari d’arrampicata da parte sua in falesie piemontesi “certificate” dietro compenso dalle guide stesse, senza nulla togliere alla passione e alla competenza di Giovannino, ricordiamo che dietro questa certificazione c’è un lavoro di equipe tra tecnici Comunali, Ingegneri, Geologi e Guide Alpine che dura mesi e che termina con la messa in opera e la conseguente certificazione sotto la loro responsabilità.
In conclusione, prima come appassionati di montagna e poi come Guide Alpine, non vogliamo fare la guerra a nessuno tanto meno alla persona di Giovannino Massari del quale riconosciamo tutto il valore ed i 40 anni di passione per l’arrampicata, vogliamo solo chiedere rispetto per la nostra professione e difendere il nostro lavoro e la qualità dell’offerta nel campo delle attività professionali della montagna, settore nel quale crediamo che le Guide Alpine abbiano e debbano avere voce in capitolo.
Per il resto, come Guide Alpine non abbiamo competenza in altri settori che non siano quelli propri della professione e della montagna, saranno quindi i rispettivi legali delle associazioni e degli enti coinvolti (ricordiamo che il Collegio Nazionale ed i Collegi regionali/provinciali sono enti pubblici non economici), a fare chiarezza su questa vicenda, certamente non risolvibile con gli incontri sulla base della personale conoscenza come avrebbe desiderato Giovannino che per me resta pur sempre e comunque un amico nonostante i punti di vista divergenti sull’argomento.
Buona montagna a tutti!
Giulio Beuchod – guida alpina
Presidente Collegio Guide Alpine Piemonte
Certo Roberto le parole sono importanti ed hai perfettamente ragione e scusa per il “Pausini” nella risposta…maledetto correttore…
per Massari. Ok. Meglio dunque non usare la parola “prezzo” e parlare di contributo associativo. Le parole contano. Conosco bene, per ragioni familiari, il mondo dello sport dilettantistico. C’è tanta passione, tanto impegno e tanto tempo libero e sforzo dedicato da persone entusiaste e disinteressate. Giu’ il cappello dunque. Putroppo, soprattutto ultimamente c’è anche tanta, tanta evasione fiscale, attraverso l’utilizzo astuto delle aree grigie, si chiama “ottimizzazione fiscale”. Questo avviene anche nelle palestre indoor di arrampicata e non solo in quelle piccoline. È dunque importante essere molto chiari nelle parole, nelle procedure e nella formulazione delle proposte ai soci, per evitare che, per convenienza si facciano passare per soci quelli che in realtà sono clienti paganti a tutti gli effetti, tranne la fatturazione. Poi c’è il tema delle responsabilità e del valore delle certificazioni fuori dai canali professionali, ma su questo mi aspetto contributi dei nostri competenti.
Caro Marcello, il punto è proprio questo: stiamo parlando di un attività dilettantistica e non professionale suffragata da ACLI e CONI e da svolgersi esclusivamente in ambito associativo.
Certo che immaginavo che le guide non l’avrebbero presa bene ma le regole non le ho fatte io e gli unici professionisti sono e restano loro.
Perché però accanirsi solo con me quando corsi d’arrampicata e formazione erano attivi già da tempo ed io stesso sono stato formato attraverso un bando dell’Arrampicaroma?
Esistono diversi altri tecnici che hanno operato in tal senso (corsi di arrampicata e formazione) ma solo al sottoscritto è arrivata la diffida.
Perché questo attacco squisitamente personale quando mi sono sempre adoperato gratuitamente per l’arrampicata?
Non credo di proprio di essermi meritato tale attacco dato che vorrei solo usufruire di queste nuove regole e se da domani non saranno più valide sarò il primo a rinunciare.
Ma fino ad allora perché non dovrei mettere sul piatto la possibilità di divulgare a livello associativo quello che ho imparato in tanti anni e che spesso mi viene richiesto?
Credo senza falsa modestia di averne le competenze come climber, come docente ISEF, come preparatore atletico ed ora, fino a prova contraria, come tecnico di terzo livello ACLI CONI.
Che le guide si confrontino con queste strutture alla pari prima di diffidare e colpire me sul piano personale per qualche “soffiata” locale…
Un abbraccio
Ps per Roberto Pausini: certo che chi vorrà accedere ai corsi dovrà eventualmente pagare almeno un tesseramento perché le ASD non sono a scopo di lucro ma hanno un bilancio e delle spese (segretaria, materiale, affiliazioni, assicurazioni efficaci) che devono essere coperte dai soci.
Forse non è solo il titolo a ingenerare un po’ di confusione tra professione e volontariato.
”possa essere importante che sia nata finalmente questa figura di tecnico a livello dilettantistico che può proporre l’arrampicata outdoor a prezzi contenuti e, giocoforza, meno elitari di quelli di una guida alpina.”
Secondo me è il titolo dell’articolo a creare inesattezze e risentimenti perché parla di “professioni” quando invece Giovannino sta difendendo un’attività dilettantistica.
Poi, Giova, ti conosco abbastanza per essere certo che il tuo è un gesto provocatorio. Si capisce perfettamente da quello che scrivi.
Non ci credo assolutamemte che non sapevi che le guide si sarebbero incazzate.
Non entro nei meriti legali perché non sono ferrato abbastanza (pur conoscendo la materia abbastanza bene) ma so per certo che se si finisce in tribunale, alla fine vince chi ha l’avvocato più bravo. Ciao.
For Benassi. Alberto, per carità non mettiamola sul personale. Lode e gloria agli istruttori Cai. Mi sono formato nel Giurassico alla Parravicini roccia e poi ghiaccio (a pagamento ma non ricordo quanto) e ho imparato tanto sullo scialpinismo uscendo (senza pagare) con amici istruttori della Parravicini. La mia era una domanda tecnica ai competenti sul tema delle responsabilità. Ad occhio diverse, se paghi dentro una struttura organizzata o se vai con amici più esperti. In campi diversi dalla montagna, ma altrettanto pericolosi (per la salute mentale e non fisica) si è creata fuori dai canali professionali una miriade di scuole di ogni genere con una struttura a piramide e poi con la formazione formatori che alimenta un imponente business, a volte un po’ truffaldino. Speriamo che non succeda anche per la montagna. Senza essere Crovelliani però un po’ di semplificazione anche in questo campo non guasterebbe. ps : visto che si è parlato di Nardi e Scientology ricordiamo che proprio questa “chiesa” si fonda sul meccanismo a piramide della formazione personale, meccanismo antici di affiliazione che crea dipendenza. Detto di passaggio e senza equivocare.
Guarda caso c’entra Riccardo Innocenti…
ho la “patacca” da istruttore CAI dal 1984. Sinceramente non mi sembra di averlo fatto per un incoscio bisogno di riconoscimento.
La patacca sulla maglia non la porto mai, ne mi metto divise.
Perchè lo faccio allora? Per altro sacrificando molto del mio tempo libero, gratis, usando la mia attrezzatura, ect. Prima di tutto per masochismo, poi perchè mi diverte, un pò perchè ho ricevuto, quindi mi sembra giusto ri-dare, un pò perchè credo che per insegnare, queste cose pericolose (!!) , ci sia da avere una minima preparazione verificata.
Anche un volontario del soccorso alpino lo fa gratis, ma questo non vuol dire che sia esente da mettere a rischio la propria e la altrui vita, sia negli interventi che nelle esercitazioni. Quindi qualcuno che ti prepara e ti verifica dandoti la relativa patacca ci vuole.
Domanda ingenua, ma non troppo, a chi se ne intende. Se parliamo di professione, significa che c’è un compenso e un rapporto cliente fornitore, definito attraverso un sistema formale di contratto (anche non scritto) e di fatturazione, e allora entrano in gioco i problemi di responsabilità nell’esercizio della professione e le relative certificazioni/appartenenza ad ordini professionali. Se si tratta di volontariato nell’accompagnamento o nell’insegnamento (quindi niente soldi o compensi vari) siamo di fronte ad un terreno di rapporti liberi tra persone adulte, basato sulla fiducia e le responsabilità personali sono le stesse di quando si va ad arrampicare con un amico meno esperto a cui si passano i segreti dell’arte. Che bisogno c’è di certificazioni, titoli più o meno prestigiosi, definizioni formali come scuole o corsi e via dicendo? Si tratta di dettagli di immagine, di comunicazione, di marketing. Ci leggo anche un inconscio bisogno di riconoscimento. In tribunale, nel caso sfortunato, non valgono nulla, così mi pare. Le responsabilità sono comunque individuali e legate agli accadimenti specifici. Patacche varie rilasciate da organismi di vario genere, non difendono ma anzi potrebbero essere un aggravante rispetto ad un rapporto libero e informale tra adulti “consenzienti”. Quindi io penso che fuori dal rapporto professionale sarebbe meglio volare basso per chi vuole fare del volontariato. Semplice e libero sarebbe meglio per tutti. Mi piacerebbe però sapere cosa dicono gli uomini di legge del blog.
Concordo con Paolo Matteotti.
Succede spesso che le ASD iscritte a enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI siano attività a scopo di lucro mascherate.
Come è sempre stato, da quando vado per monti, dipende dall’onestà intell’ettuale delle persone, io non ci vedo nulla di male , ma i furbini che con in tasca il ruolo di istruttore di Alpinismo del CAI, istruttore Arrampicata libera del CAI o FASI (volontari) FASI un discorso un po a parte, si spacciano per Guide e si fanno pagare, ci sono sempre stati, sono una esigua minoranza, ma ci sono. Credo basti essere chiari nelle competenze e se ci sono ricavi in denaro o meno.
A prima vista, potrebbe sembrare un comportamento compulsivo; in realtà, ritengo che chi continua a dedicarsi a questa stupenda attività ( rapprentazione del proprio modo di essere) migliori, sprattutto, la propria qualità di vita, approfittando del poco o del tanto che ha appreso durante i lcorso degli anni.
La prossima mossa sarà far recapitare a casa teste di cavallo.
Datemi una risposta secca però: il guadagno economico c’è o non c’è? parlo anche dei cosiddetti “rimborsi spese”. La mia impressione è che molti vogliano saltare sul carrozzone per un ritorno economico, facendo quello che fino ad ora han potuto fare solo da volontari.
Gli allegati 3 e 4 si riferiscono alla storica sentenza sulla causa intentata contro le GAE-Guide Ambientali Escursionistiche, in Emilia, dal Collegio, e che grazie anche al fondamentale contributo dell’allora Presidente dell’AIGAE Stefano Spinetti fu persa, dando ragione alle GAE sul loro “diritto di esistere”. Altro fronte, stessi attacchi.
Giovannino, come giustamente ti ha fatto notare Matteo, il problema è la QUANTITA’.
Ormai..siamo al caffè corretto grappa …non piu alla frutta..Grandissimo giovannino !!
“Penso sinceramente che la nascita di questa nuova figura dilettantistica possa non solo affiancare quello professionale delle guide alpine senza ledere la qualità del loro lavoro “
Non direi che il Collegio sia minimamente preoccupato della qualità del lavoro delle Guide, ma semmai dalla sua quantità…
e in modo molto miope, a parer mio.