Scacco matto
(un cambio di strategia porta successo sulla parete nord-ovest del Tengkangpoche in Nepal)
di Ueli Steck
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2009)
Eravamo saliti leggeri e veloci, ma non abbastanza. Il 10 aprile 2008 eravamo sull’inviolata parete nord-ovest di Tengkangpoche. Con la nostra magra dotazione – tre Camalots, sei nut, 14 chiodi e quattro chiodi da ghiaccio – è stata una lotta per proteggere i passaggi spesso difficili di roccia e misto. Ogni tiro era un’avventura per il primo. Ma ancora maggiore è stato l’impegno del secondo perché ha dovuto far sicura fino a 45 minuti al freddo, quindi salire a jumar con uno zaino del peso di 25 kg e ha dovuto muoversi il più velocemente possibile per recuperare il tempo perso che il leader aveva “perso”.

Ora, dopo un bivacco a 5600 metri, avevamo superato la quota di 6000 metri ed eravamo appena 250 metri sotto la cresta ovest. Ma il tempo era cambiato e sapevamo che sarebbe solo peggiorato. La tempesta ci aveva raggiunto mezza giornata prima del previsto. Vento e caduta neve aumentarono e presto arrivarono le slavine. Sotto di noi un abisso di 1400 metri. L’alternativa è stata improvvisamente molto chiara: dovevamo scendere. Ci siamo calati in doppia il più velocemente possibile, ma abbiamo dovuto fermarci molte volte perché le valanghe ci passavano sopra. Il freddo era difficile da sopportare e dovevamo lottare per mantenere la concentrazione. Ci siamo sentiti vicini ai nostri limiti. Infine, alle 20 dell’11 aprile, eravamo di ritorno al campo base.

Quel primo tentativo ci è costato molte energie e sapevamo che avremmo dovuto cambiare la nostra strategia se volevamo scalare il Tengkangpoche. Mentre ci riprendevamo al campo base, controllando le previsioni del tempo e consumando pasti abbondanti, abbiamo pianificato attentamente le nostre prossime mosse. Abbiamo deciso che ognuno di noi avrebbe salito esattamente gli stessi tiri che abbiamo fatto durante il nostro primo tentativo, così avremmo saputo cosa aspettarci e saremmo stati veloci ed efficienti. Ancora una volta, il secondo scalatore avrebbe portato il pesante zaino. Ma questa volta sarebbe stato ancora più pesante: il nostro piano era di muoverci un po’ più lentamente e risparmiare quanta più energia possibile durante i primi due giorni di arrampicata. Saremmo stati più a lungo in parete, ma avremmo avuto maggiori riserve per la parte alta.
Abbiamo banchettato con una bistecca di yak durante una vacanza di due giorni a Namche Bazaar: poi siamo tornati al campo base pieni di energia e motivazione.
Il 21 aprile abbiamo iniziato tranquillamente alle 8 del mattino, dopo una ricca colazione e un’ultima tazza dalla mia macchinetta del caffè. Simon andò avanti nella prima parte fino a una piattaforma a 5200 metri, sotto un grande contrafforte roccioso a circa 1000 metri sopra il campo base. Una piccola cengia offriva un posto dove montare la nostra tenda a parete singola. Questo sarebbe stato l’unico buon campo sulla muraglia di 2000 metri, un lusso incredibile, come ben capiremo nei giorni seguenti.

Dopo aver mangiato qualcosa, avevo ancora del lavoro da fare. Erano le 16.15 e mi aspettava il primo tiro sopra il campo. Lo ricordavo come un tiro facile, ma mi sbagliavo. Ho dovuto dare tutto quello che avevo. Dopo 50 metri il sistema di fessure è terminato, e ho dovuto salire una parete liscia per raggiungere la fessura successiva, tre metri più alta, dove avevamo lasciato un chiodo di ancoraggio dal primo tentativo. Questa volta la lastra e le sue minuscole prese mi hanno tradito. Mi sono fermato sulle punte anteriori dei ramponi e ho cercato di tenere i piccoli bordi con i miei attrezzi da ghiaccio. Ma quando ho caricato uno strumento, la piccozza non ha tenuto e sono caduto di quattro o cinque metri. Ero abbastanza arrabbiato con me stesso, e quando sono ripartito, anche se i movimenti non erano facili, mi sono concentrato completamente e ho scalato il passaggio senza ulteriori incidenti. Ho martellato un altro chiodo e vi ho agganciato la corda. Simon era già tornato in tenda quando ho iniziato a calarmi in doppia.
Abbiamo trascorso una notte più o meno comoda nella nostra tenda, e il giorno seguente è iniziato alle 5.30. Dopo colazione ci siamo messi gli scarponi congelati, abbiamo riempito gli zaini e siamo partiti. Dopo aver salito 60 metri di corda fissa con le jumar, Simon mi ha fatto assicurazione mentre io continuavo su un terreno ripido e tecnicamente impegnativo. Sul terzo tiro ho dovuto salire in artificiale otto metri con i chiodi prima di proseguire in l’arrampicata libera. Dopo 240 metri è stata la volta di Simon. Si è portato in spalla lo zaino leggero e tutta l’attrezzatura, e io ho preso in carico lo zaino grande e pesante.

Simon ha dovuto lottare anche con i suoi tiri, in particolare nell’ultima sezione di 120 metri, in un camino ad incastro di 40 metri. Durante il nostro primo tentativo l’avevo assicurato su questo tiro per un’ora e mezza. Dalla mia posizione non sembrava difficile, ma a causa di uno strapiombo non riuscivo a vedere cosa stesse facendo Simon. Si muoveva a fatica; ogni tanto gli davo un po’ di corda. Era preoccupante, ma sapevo che Simon è uno scalatore molto forte. Questa volta non ero nervoso durante l’assicurazione. Non avevamo fretta e non importava se Simon avesse bisogno di una o due ore per completare questo tiro difficile: avremmo sicuramente raggiunto il nostro bivacco alla luce del giorno. Mi sono seduto e mi sono rilassato in sosta mentre Simon arrampicava. È stato un bel tiro, da secondo!
Verso le 15 abbiamo raggiunto il nostro bivacco a 5600 metri. Abbiamo ricavato un balcone di neve e ghiaccio largo circa 60 centimetri e lungo quattro metri, e dopo aver sciolto la neve per poter bere acqua, ci siamo sdraiati in fila, dalla testa ai piedi, nei nostri saccopiuma dentro ai sacchi da bivacco. Siamo rimasti legati agli ancoraggi di sosta per tutta la notte. Il vento ululava terribilmente.

Fortunatamente non avevo freddo, ma questo era esattamente ciò che mi preoccupava. Avevamo intenzione di lasciare i nostri saccopiuma lì, a 5600 metri, e salire con zaini più leggeri nei giorni successivi; avevamo programmato di dormire solo con i nostri sacchi da bivacco e pantaloni isolanti in Primaloft. Ma il pensiero di bivaccare senza saccopiuma sopra i 6000 metri mi preoccupava. Ho iniziato a fare i conti: sacco da bivacco, 300 grammi; pantaloni isolanti, circa 450 grammi; un totale di 750 grammi. I nostri sacchi a pelo Phantom 0°F pesavano ciascuno 1.150 grammi. Se avessimo lasciato lì i sacchi e pantaloni da bivacco, avremmo portato ciascuno un saccopiuma al prezzo di soli 400 grammi in più. Le previsioni davano solo pochi fiocchi di neve. Finché avessimo scalato senza che nevicasse, avremmo potuto trascorrere una notte ragionevolmente confortevole in sacchi asciutti.
Alle 4.30 suonò la sveglia. Ancora una volta le manovre di scioglimento neve e cottura. La nostra colazione era scarsa: Simon ha mangiato una barretta di cioccolato Bounty; io avevo una barretta di muesli. Resi noti a Simon i miei calcoli notturni. Come a me, neanche a lui piace tremare di freddo. Quindi abbiamo messo i saccopiuma negli zaini da 30 litri, riposto i sacchi da bivacco e pantaloni isolanti e abbiamo iniziato la lunga giornata di scalata.

Era il mio turno da primo. Ancora una volta abbiamo trovato un’arrampicata su roccia ripida e molto difficile prima di raggiungere un canalino di ghiaccio dove potevamo progredire in simultanea, collegati sempre da una corda di 40 metri. Dato che eravamo molto ben acclimatati e la nostra attrezzatura era leggera, ci siamo mossi velocemente. Ho finito il materiale proprio in corrispondenza di una lastra di ghiaccio e Simon ha preso il comando. Abbiamo raggiunto il punto a 6000 metri dove ci eravamo fermati quasi due settimane prima, ma questa volta siamo stati fortunati e il tempo era ok. Simon ha superato una sezione di parete di roccia friabile alta 120 metri, e dopo un altro tiro di ghiaccio ci siamo alternati ancora al comando.
Stavamo scalando da 10 ore e aveva iniziato a nevicare. Il ghiaccio era duro come la pietra e si scheggiava a ogni colpo dei miei attrezzi, quindi ogni posizionamento richiedeva massima aggressività e forza. Questa volta non volevo fallire: era la nostra ultima possibilità e questo pensiero mi diede l’energia necessaria. Colpo dopo colpo, ci siamo diretti verso la cresta. Mi dolevano i polpacci per il fatto di stare in piedi sulle punte anteriori dei ramponi e mi appendevo ai miei attrezzi per riposare e alleviare il dolore alle gambe. La nebbia si è alzata e ha smesso di nevicare. Alzai lo sguardo e vidi la cresta solo 30 metri più in alto. Ho attrezzato un’ultima sosta con una vite da ghiaccio e Simon ha aperto l’ultimo tiro. Alle 18.30 eravamo sulla cresta ovest. Che sensazione! Per una salita completa dovevamo ancora proseguire attraverso la cresta fino alla vetta, ma occorreva aspettare il giorno successivo. Abbiamo installato il nostro bivacco finale, felici della nostra scelta di aver portato a 6300 m i nostri saccopiuma.

Il 24 aprile abbiamo attraversato una cresta di neve molto frastagliata per raggiungere la vetta del Tengkangpoche alle 7.15. Abbiamo trascorso il resto della giornata in corda doppia e abbiamo raggiunto il campo base quella sera tardi.
Come una scacchiera, le macchie alternate di roccia nera e ghiaccio bianco della montagna avevano richiesto buone tattiche e un tocco di audacia. La nostra attenta strategia ha dato i suoi frutti: scacco matto!

Sommario
Zona: Rolwaling Himal, Nepal
Ascensione: Prima salita completa della parete nord-ovest del Tengkangpoche 6500 m, per la via Schachmatt o “Checkmate” (2.000 m, VI A0 M7+ 85°), Simon Anthamatten e Ueli Steck, 21-24 aprile 2008. Dopo un tentativo di due giorni fino a 6000 m, i due hanno scalato la parete in tre giorni in stile alpino, senza campi o depositi prestabiliti e senza spit. Il Tengkangpoche è stato scalato più volte, ma i due svizzeri sono stati i primi a raggiungere la vetta per la sua ripida parete settentrionale.
Una nota sull’autore
Ueli Steck è nato nel 1976 e viveva vicino a Interlaken, in Svizzera. Ha completato nuove vie in Pakistan, Nepal, Alaska e nelle Alpi e nel 2008 e 2009 ha stabilito record di velocità sulle pareti nord dell’Eiger, Grandes Jorasses e Cervino.
Dopo la salita del Tengkangpoche, Steck e Simon Anthamatten avevano pianificato di tentare la parete sud dell’Annapurna. Tuttavia, hanno rinunciato al loro progetto quando hanno ricevuto una richiesta di soccorso da 7400 metri sull’Annapurna, dove lo scalatore spagnolo Iñaki Ochoa de Olza era gravemente malato. I due hanno risposto nonostante l’attrezzatura inadeguata, la neve alta e il tempo molto brutto, e alla fine Steck è salito da solo sopra il Campo 3. Vicino al Campo 4 ha incontrato il rumeno Horia Colibasanu e lo ha aiutato a iniziare una discesa sicura, quindi ha curato Ochoa gravemente malato durante la notte, senza però potergli salvare la vita. Steck ha poi dovuto affrontare una pericolosa discesa con più di 50 centimetri di neve fresca. (Ueli Steck è caduto salendo al Nuptse il 30 aprile 2017, NdR).
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