La scuola senza voti nel mondo che spaventa il centrodestra italiano.
Scuola senza voti
di Chiara Adinolfi @chiaradinolfi
(pubblicato su valigiablu.it il 4 dicembre 2023)
Alcuni giorni fa, sul quotidiano La Stampa, è apparsa un’intervista a Ernestina Morello, docente del liceo scientifico Copernico-Luxemburg di Torino che ha scelto di sperimentare la didattica senza voti. “Danno ansia e appiattiscono”, ha spiegato la docente al quotidiano torinese. Morello ha aggiunto che introdurrà le “valutazioni discorsive con spiegazioni per gli studenti”. L’intervista è stata ripresa dal ministro dei Trasporti e leader della Lega, Matteo Salvini, che in un suo post su Facebook ha scritto: “Da papà non sono assolutamente d’accordo con questa prof! Togliere il merito e appiattire non fa il bene dei ragazzi, che non possono essere viziati e promossi a prescindere da studio e impegno”. Ma gli studi e le sperimentazioni nel mondo dicono che senza voto l’apprendimento migliora.
Le sperimentazioni nel mondo
Secondo l’indagine Ocse-Pisa del 2018, gli studenti finlandesi registrano punteggi superiori alla media OCSE in lettura, matematica e scienze. Anche se in leggera flessione rispetto agli anni precedenti, la Finlandia ha anche la percentuale maggiore di studenti con i più alti livelli di competenza (Livello 5 o 6) in almeno una materia. Risultati di questo tipo possono far pensare a un sistema di istruzione rigido e severo. Invece, in Finlandia, fino ai 13 anni gli studenti non hanno voti, né possono essere bocciati. Il sistema scolastico è basato sul benessere mentale e fisico dello studente: esami e prove sono in secondo piano. Per chi non raggiunge le competenze richieste, sono previste forme di supporto individuale.
In Finlandia sono obbligatorie pause di 15 minuti tra le lezioni, e gli spazi sono organizzati per indurre gli studenti a concentrarsi. I compiti vengono svolti a scuola, mentre il tempo extrascolastico è dedicato allo sport e ad altre attività ricreative.
Anche nella vicina Svezia, fino all’età di 12 anni, gli studenti non sono valutati con lettere e numeri. Dal 1968 non esiste più una prova alla fine delle superiori: per terminare gli studi obbligatori basta un giudizio positivo dei propri insegnanti. La didattica si basa su un approccio ‘induttivo’: gli alunni sono ‘guidati’ dai docenti, ma sono loro a doversi applicare e a risolvere problemi e soluzioni. Gli obiettivi dell’insegnamento sono individuali, i colloqui con i genitori si svolgono insieme ai bambini e i giorni di scuola sono 178, meno dei ‘nostri’ 200.
Questo tipo di didattica è arrivato anche negli Stati Uniti. Il Vermont e il Maine hanno approvato leggi che invitano i dirigenti scolastici a introdurre gradualmente il sistema di valutazione senza voto. Come riportava il New York Times in un articolo del 2017 dal titolo ‘Un nuovo tipo di classe: nessun voto, nessun fallimento, nessuna fretta’, anche il New Hampshire e l’Illinois stavano testando questo metodo innovativo. A New York, più di 40 scuole hanno già adottato il programma. L’obiettivo è l’apprendimento, non avere un buon voto. Gli studenti che apprendono rapidamente, vanno avanti. Chi è in difficoltà può continuare ad esercitarsi finché non comprende i concetti.
Anche negli Stati Uniti il metodo ha incontrato qualche resistenza, ma chi lo ha sperimentato non è più tornato indietro. In una scuola di Brooklyn, la Middle School 442, quando il programma è stato introdotto un terzo degli studenti necessitavano di assistenza educativa. Nell’anno scolastico 2013-2014, il 7% degli studenti leggeva a livello elementare e il 5% soddisfaceva gli standard matematici statali. Due anni dopo, il 29% aveva un buon inglese e il 26% un buon livello in matematica, avvicinando la scuola alla media cittadina. Gli studenti lavorano in piccoli gruppi e sono coinvolti attivamente nelle lezioni. In una classe della scuola sono stati appesi cartelli come “Fallire dimostra che ci stai provando” o “Sbagliare è la chiave per avere successo”.
Negli Stati Uniti, anche alcuni atenei hanno deciso di sperimentare, in singoli corsi, il metodo senza voti. Il docente di Antropologia all’università del Texas ad Austin, John Willis Traphagan, ha spiegato in un articolo di aver eliminato la valutazione in uno dei suoi insegnamenti. Gli studenti ricevono però degli ampi commenti da parte del docente e si autovalutano in base al lavoro svolto. “Mi sentivo come se stessi effettivamente imparando qualcosa piuttosto che ottenere un punteggio insignificante su un compito”, ha scritto uno studente in un sondaggio anonimo riferito al corso. Il tasso di frequenza delle lezioni è passato dal 90% al 95%, e in classe gli studenti sono più coinvolti.
“Un’enfasi ultra competitiva sui voti non fa altro che generare alti livelli di stress, che a loro volta abbassano la qualità dell’istruzione”, ha sottolineato John Willis Traphagan. “Nelle classi tradizionali, gli studenti sono raramente incoraggiati a pensare in modo creativo e critico, e vengono assegnati buoni voti a coloro che sono esperti nel conformarsi alle aspettative di chi detiene l’autorità. In breve, l’attuale approccio all’istruzione non produce laureati ben preparati per la vita come cittadini in una società diversificata. Forse un modo per cambiare questa situazione è abbandonare i voti”.
In Italia aumentano le classi che sperimentano la valutazione senza voto, ma sono ancora un’eccezione
In Italia, invece, il voto resta il principale strumento di valutazione per gli studenti. Anche se la normativa non prevede l’obbligo di attribuire i voti in itinere, ma solo alla fine dell’anno scolastico, la scala numerica da 1 a 10 è utilizzata dai docenti italiani per verifiche, compiti in classe e interrogazioni. Tuttavia, da qualche anno singole sezioni, scuole o docenti, stanno provando a introdurre la valutazione con il solo giudizio descrittivo. Dall’istituto ‘Marco Polo’ di Firenze al liceo ‘Cannizzaro’ di Palermo, dal liceo scientifico ‘Bottoni’ di Milano al polo scolastico ‘Volta’ di Piacenza. Sono tante le realtà che hanno scelto di puntare su una sperimentazione che in realtà ha già visto i suoi frutti.
“La normativa ci richiede una valutazione formativa, indicativa, in modo che i ragazzi si possano autovalutare”, spiega Vincenzo Arte, docente del liceo Morgagni di Roma e autore del libro Crescere senza voti. Il professore sottolinea che non c’è nessun obbligo per il docente di utilizzare i voti durante l’anno, ma è una prassi ormai consolidata, anche per le caratteristiche dell’insegnamento frontale. Eliminare i voti, invece, comporta una nuova metodologia didattica basata sul lavoro cooperativo, sulle relazioni all’interno del gruppo classe, e sullo sviluppo delle competenze trasversali.
“Spesso gli studenti si concentrano solo per ottenere un voto e, raggiunto l’obiettivo, dimenticano gran parte di quello che hanno appreso. Senza voto, invece, i ragazzi sono più attivi e stimolati. Si divertono, seguono con interesse e imparano a cooperare piuttosto che a competere – spiega Vincenzo Arte – e poi un voto è spesso riduttivo per uno studente, invece con la valutazione descrittiva si inserisce il ragazzo o ragazza all’interno di un percorso. Tutto è orientato alla preparazione, non al voto. Seguiamo le indicazioni nazionali, ma i giovani non vengono a scuola per ripetere la lezione del giorno precedente. Lo studio è meno nozionistico e meno mnemonico e si sviluppano capacità trasversali notevoli, come quelle relazionali, di ricerca e approfondimento. Competenze che sono ancora più utili nel mondo di oggi”.
Il professor Arte, che insegna matematica e fisica, spiega anche che gli studenti sono valutati con regolarità per testare la loro preparazione, ma i voti compaiono solo alla fine dell’anno, nella consueta pagella.
Al liceo Morgagni di Roma la sperimentazione è partita nel 2016 ed è diventata un vero e proprio indirizzo dell’istituto dall’anno scolastico 2019/2020. Ma qualche voto contrario di alcuni docenti esterni all’indirizzo delle ‘classi senza voto’ ha fatto sospendere l’iniziativa. “Questo non vuol dire che le classi che hanno iniziato il percorso lo sospenderanno, né che la scuola è tornata sui suoi passi: semplicemente non ci sarà la sezione dedicata”, aggiunge il docente del Morgagni. “Tuttavia, è possibile che in vista del nuovo anno scolastico troveremo un nuovo accordo anche per una futura classe prima. Questo è un progetto in cui tanti docenti si mettono insieme per applicare le stesse metodologie innovative in una classe, quindi è necessario il coinvolgimento di tutti”.
Nonostante il parere contrario di alcuni docenti, i genitori e gli studenti sono entusiasti del progetto, spiega ancora il professor Arte: “Gli studenti crescono in un clima di fiducia, con grande consapevolezza. Molti di noi hanno vissuto la scuola come sofferenza, e ancora oggi per tanti studenti andare a scuola non è piacevole”. Una percezione testimoniata dai dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), secondo cui l’87% dei giovani non ama la scuola. Percentuale che sale a uno sconcertante 94% tra i quindicenni.
“La scuola senza voti, invece, ha l’obiettivo di essere una scuola amata dagli studenti, una scuola in cui i giovani entrano in classe senza l’ansia di essere giudicati”, conclude Arte.
Il senso della scuola per il centrodestra: “Il voto ha funzione educativa”
Tuttavia, queste esperienze, anche se positive, restano di nicchia. Benché siano aumentate, soprattutto nell’ultimo anno, sono legate all’iniziativa di gruppi minoritari o singoli docenti che vogliono sperimentare qualcosa di diverso. Nelle realtà più fortunate, è la dirigenza che spinge in questa direzione. Ma il dibattito non è mai arrivato a intaccare il fulcro del sistema scolastico italiano, che è, appunto, il voto.
Anzi, l’attuale governo guidato da una maggioranza di destra sta focalizzando la sua azione sul voto come strumento disciplinare, nell’ambito della riforma della condotta. Inoltre, il partito della Presidente Meloni, Fratelli d’Italia, vorrebbe tornare al voto numerico anche nella scuola primaria. In occasione del convegno ‘La scuola del merito – I voti preparano al futuro’, la sottosegretaria Paola Frassinetti ha detto:
“Le tante occasioni di confronto che ho avuto in questo primo anno come sottosegretario, con famiglie, docenti e dirigenti scolastici mi spingono ad affermare che l’indeterminatezza e la vaghezza delle valutazioni odierne non solo non sono apprezzate, ma soprattutto non sono pienamente comprensibili. Una valutazione chiara ed oggettiva non deve ingenerare ansia o frustrazione, ma al contrario ha una funzione educativa e formativa”.
Per la senatrice di Fratelli d’Italia Ella Bucalo, membro della Commissione cultura del Senato, “la scuola non punisce e non sanziona. La scuola valuta e ha il compito fondamentale, oltre che di trasmettere istruzione, di affiancare i giovani nella loro crescita personale preparandoli ad affrontare ostacoli ed esperienze, anche critiche, che la vita presenta loro”.
Il pedagogista Corsini: “Senza voto si formano cittadini più consapevoli”
Per Cristiano Corsini, professore di Pedagogia sperimentale e valutazione scolastica all’Università Roma Tre e autore del libro ‘a valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto, le cose non stanno esattamente così:
“L’idea che il voto serva a educare è un errore di prospettiva storica. Il voto nasce per selezionare, non per educare. Ma noi sappiamo bene che usare il voto come ‘il bastone o la carota’, ci porterà ad ottenere solo un apprendimento mirato al voto. Quella del voto è una mercificazione del sapere. Il voto fa comodo a una classe politica che non investe sulla qualità della formazione del docente. Una scuola con i voti è una scuola che si sposa con una bassa qualità della formazione dei docenti, questo è il motivo per cui Fdi vuole il ritorno dei voti alla scuola primaria”.
Secondo Corsini, infatti, una scuola con una valutazione descrittiva comporta una didattica diversa e richiede, quindi, docenti molto più formati dal punto di vista metodologico-didattico, e tempi e spazi diversi. Inoltre, prosegue il pedagogista, “nella valutazione descrittiva il potere valutativo è distribuito tra docente e studente. Il docente mantiene il potere valutativo, ma lo condivide con lo studente. Che sarà, con ogni probabilità, un soggetto in grado di leggere la società in senso critico e trasformativo. Chi ha una visione della società conservatrice, anche se si definisce di sinistra, pensa invece che senza voto l’insegnante possa perdere potere”.
Ma il vero elemento a favore della valutazione descrittiva è il miglioramento dell’apprendimento. “C’è meno stress e più benessere scolastico, e tutto questo ti consente di essere più sereno nell’apprendere. Non c’è il terrore dell’errore, anzi – spiega Corsini – non si ha più paura di sbagliare, perché non c’è un punteggio da raggiungere, ma attività da migliorare. E così gli studenti si spingono a ipotizzare soluzioni rischiose, che è il miglior modo per apprendere. Se vogliamo sviluppare personalità che avranno un ruolo in un contesto democratico, non possiamo usare strumenti autocratici. Il voto prepara cittadini passivi. Se la nostra società punta a formare cittadini che devono solo raggiungere obiettivi, allora il voto va bene. Ma se invece vogliamo creare una società in cui i cittadini sono in grado di partecipare attivamente alla vita sociale e culturale del paese – conclude Corsini – allora abbiamo bisogno di un sistema di valutazione diverso”.
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Voto o giudizio, non voto o non giudizio, il problema risiede nel fatto che ci si riempie la bocca di parole come istruzione e merito ma poi nella scuola s’investe meno di poco. Che già la parola investimento è una parola grossa perché il tutto viene visto come una spesa. In realtà non ci sono piani per il futuro di nessun tipo, si naviga a vista in un paese che da quando è diventato repubblica ha cambiato una settantina di governi. Attribuire alla destra oggi o alla sinistra prima o a chi verrà domani una visione a lungo termine del sistema Italia significa sopravvalutare la nostra classe politica, la cui unica visione è quella di mantenere una rendita di posizione il più a lungo possibile nell’ottica che del doman non v’è certezza. Forse prima di porsi la domanda se sia meglio un metodo di valutazione piuttosto di un altro o se addirittura non si debba proprio valutare bisognerebbe ristrutturare un bel po’ di scuole fatiscenti che spesso non hanno nemmeno il riscaldamento funzionante. In tutta sincerità, non ritengo di avere le competenze pedagogiche necessarie per imbarcarmi in simili discussioni ma la capacità di vedere edifici scolastici che fanno schifo ahimé non mi manca.
E’ pieno di ingegneri che vanno in montagna (anche il Capo ha fatto un paio d’anni)…
Mai capito perché, però.
Cacchio tutti ingegneri perinquà. Siete nati imparati….bene bene.
La mia domanda non è per sapere se tu fossi laureato o meno ma è nata dai tuoi ripetuti riferimenti al mio essere ingegnere (che non mi ricordo neanche più per quale motivo avessi tirato fuori…forse per rispondere a qualche evidente castroneria del passato).
Personalmente tendo a non tener maggior conto di un laureato nemmeno nelle discussioni tecniche (e nella mia storia professionale ho preso più di una buona idea dagli operaiacci!)
Comunque mi pare evidente, come scritto -male- prima, che un’educazione che sia del tutto compresa, riassunta e definita da un numero sia un’educazione zoppa e carente rispetto a una costruita rispondendo ai perché.
Ma che sia anche molto, molto più facile ed economica.
Ovviamente non è solo l’uso o meno del voto numerico in se stesso che rende un’educazione peggiore o migliore.
Ma almeno porsi la domanda sull’uso del voto (se non il tentativo di superarlo) può porre la questione della qualità dell’insegnamento.
Il non porsela o il negarne addirittura la valenza ti condanna di certo al ristagno. Che in effetti pare proprio il fine del presente governo (oltre al risparmio indiscriminato!)
“Continui a parlare di ingegneria ma non so se sai di cosa stai parlando.”
Sono ingegnere. Laureato con ottimo voto all’Università di Bologna nel giugno 1983.
Pertanto conosco ciò di cui sto parlando. E so esattamente le difficoltà degli studi e degli esami: le ho imparate sulla mia carne viva.
P.S. Quanto sopra è stato scritto solamente per chiarire il tuo dubbio: “Questo tizio, per ribattere a me, che sono ingegnere, sa di che parla?”.
P.P.S. In vita mia NON mi è mai passato per l’anticamera del cervello di domandarmi se, nelle discussioni di tema generale, il mio interlocutore fosse laureato o no. Lo giudicavo per quanto diceva, non per il titolo di studio. Tu, invece, mi hai costretto a sfoggiare il mio. Incredibile.
Per il resto, ti lascio alle tue convinzioni.
Ci sono docenti dotati di capacità e autorevolezza innate, che non hanno alcun bisogno di ricorrere a punizioni corporali per mantenere il controllo di una classe o di qualche elemento indisciplinato.
Ve ne sono altri, invece, che non ci riuscirebbero nemmeno se prendessero i loro studenti a cannonate (e alcuni lo farebbero veramente, se potessero 🙂 ).
Questo fenomeno lo si può osservare in qualunque scuola.
Il ricorso alla “sberla” (a parte che è vietato) è un fallimento dell’insegnante. Con l’effetto, spesso, di esacerbare la situazione.
Un pò come capita ai c.d. leader: c’è chi è capace di unire con la forza delle proprie idee e chi invece riccorre alla forza dei carri armati.
Anche la minaccia del brutto voto, per certi versi, può essere vista in quest’ottica. In questo senso, essa rappresenta effettivamente una scuola “al risparmio” e che “si sposa con una bassa qualità della formazione dei docenti“.
Qualsiasi insegnante è capace di dare un brutto voto.
Invece, per sapersi mettere in relazione con i propri studenti e riuscire veramente a raggiungerli, ci vuole un pochino di preparazione in più (e anche parecchia predisposizione, a mio parere).
Fabio, ci sei o ci fai?
Bianco-nero, si-no, buono-cattivo, sufficiente-insufficiente sono schematizzazioni un po’ troppo grezze per contenere e comprendere la realtà. Non aiutano certo a conoscere, imparare, crescere e migliorare.
Ma sono molto facili.
E’ molto più facile addestrare qualcuno a mettere la crocetta sulla casellina giusta che a pensare.
Costa meno.
Ed è molto più facile addestrare “insegnanti” abituati a controllare che la crocetta sia sulla casellina giusta, piuttosto che creare maestri capaci di insegnare confrontandosi con la realtà di coloro a cui spiegano, valutando le loro specificità, situazioni, aspirazioni.
Costa molto meno, in tempo, impegno, intelligenza e soldi.
Continui a parlare di ingegneria ma non so se sai di cosa stai parlando.
Ma tant’è, uno degli esami più impervi, uno dei pochi solo orale, si basava su un corso di un anno su un libretto di neanche 100 pagine che non contenevano nulla di nuovo e quasi nessuna formula; l’esame era in piedi, alla lavagna, davanti a tutti, tutto fondato sulla proposizione “e se” (e se facessimo… e se ci mettessimo…e se invece…).
Le risposte dovevano essere argomentate ed erano puntualmente controbattute e contestate dal docente che faceva del suo meglio per metterti in difficoltà. I ragionamenti dovevano convincere il docente, non serviva studiare “a memoria”, non era proprio possibile, occorreva ragionare e ragionare sotto stress. Non c’erano risposte giuste o sbagliate.
L’ordalia durava in media almeno un’ora e andava bene se riuscivi a passare alla terza volta.
Nel mio caso iniziò con una domanda specifica sulla possibile motorizzazione di un aereo passeggeri di terza generazione fatta al candidato precedente (che passò), continuò con me (che passai) e finì alle sette di sera con quello dopo di me (che passò pure lui): avevamo studiato insieme e il prof ci complimentò. L’ultimo alla fine ebbe l’ardire di chiedere quale fosse la risposta giusta e la risposta fu “non lo so, abbiamo analizzato il problema per cui Boeing ha appena passato all’Istituto un contratto di consulenza da 150 milioni di lire”: siamo passati perché eravamo riusciti a puntualizzare i problemi e le possibili soluzioni alla base della questione.
Un esame a risposta multipla è molto più veloce e costa molto meno in tempo, impegno e intelligenza. Ma insegna molto meno sulla realtà e su te stesso.
Ma forse tu preferisci volare su aerei progettati a risposte multiple, se costa meno…
Luciano, mettiamola cosí: alcuni propendono per una valutazione espressa con numeri, altri invece con parole. Ciascuno porta le sue motivazioni.
Però non mi si venga a dire – addirittura! – che “una scuola con i voti è una scuola che si sposa con una bassa qualità della formazione dei docenti”.
È un’offesa, malevola e senza fondamento, agli insegnanti che preferiscono il voto.
Siccome a scuola ho preso pure qualche ceffone perché me lo meritavo, lascerei il voto e la libertà di sberla da parte degli insegnanti.
La vita vera non è touch screen.
28. Fabio, ma non avevi detto che di aver letto bene tutto il testo? Strano, perché la risposta alla tua domanda è scritta proprio lì…
Quanto alla Brenva, vedo che ti hanno già dato due risposte che condivido. Aggiungo solo che ogni “paura di sbagliare” ha vita propria e richiede modi diversi di essere affrontata. È assurdo mettere sullo stesso piano e cercare soluzioni standardizzate per situazioni completamente diverse, si tratta anche di valutare a quali conseguenze vai incontro.
“[…] la scuola dei voti è una scuola ‘al risparmio’, che non investe.”Tu, che sei ingegnere, mi dovresti spiegare in termini razionali la relazione tra voto numerico e scuola ‘al risparmio’. Prego astenersi da slogan. Grazie.
Matteo, tu sei uno svicolatore di livello professionale. Complimenti! Ma io non mollo.
Prendiamo per esempio l’ultimo punto, che ti ho riportato all’inizio del commento per tua comodità (ti grazio dei primi due, altrimenti si fa notte…).
Fa’ conto di essere all’esame di Analisi Matematica 1. Data l’ipotesi, si dimostri la tesi.
Dimostrala.
P.S. A Ingegneria le chiacchiere e gli slogan stanno a zero: si viene bocciati. Senza pietà.
Bertoncelli, tu hai stigmatizzato un pedagogo che fa politica come indegno (e già questa è una cazzata).
Non è peregrina l’ipotesi che la tua censura fosse dovuta al fatto che fosse perché contro questo governo … un po’ provocatoria magari 🙂
Non sono io che devo spiegarlo ma semmai Corsini: comunque mi pare sia evidente sia il risparmio che la carenza di una educazione che venda del tutto compresa, riassunta e definita in un numero
“Il giudizio negativo su FdI (nel discorso di Corsini puramente accessorio), viene prontamente sottolineato da chi è evidentemente affine […].”
Matteo, evidentemente quello è il tuo modo di ragionare. Non il mio.
“[…] e diventa la scusa efficace per non discutere sul merito della sua posizione.”
Ho già spiegato la mia preferenza per il voto numerico: questione di chiarezza. Ma tu sei partito lancia in resta, senza neppure rendertene conto.
“[…] la scuola dei voti è una scuola ‘al risparmio’, che non investe.”
Tu, che sei ingegnere, mi dovresti spiegare in termini razionali la relazione tra voto numerico e scuola ‘al risparmio’. Prego astenersi da slogan. Grazie.
Matteo, credo che l’invito all’autovalutazione sia un’importante fonte di apprendimento e un’apertura al dialogo tra professore e allievo, aspetti che il voto nudo e crudo normalmente non contempla, se non ci sono maestri seri.
Vorrei sottolineare un tranello consueto in cui spesso si cade.
“Corsini: “Il voto fa comodo a una classe politica che non investe sulla qualità della formazione del docente. Una scuola con i voti è una scuola che si sposa con una bassa qualità della formazione dei docenti, questo è il motivo per cui Fdi vuole il ritorno dei voti alla scuola primaria”.
Luciano, sai una cosa? Un pedagogo che fa politica di partito non fa pedagogia: fa politica di partito.”
Il giudizio negativo su FdI (nel discorso di Corsini puramente accessorio), viene prontamente sottolineato da chi è evidentemente affine e diventa la scusa efficace per non discutere sul merito della sua posizione: la scuola dei voti è una scuola “al risparmio”, che non investe.
Io credo sia abbastanza vero. Sono nato e cresciuto con i voti, ho presente lo stress collegato e la soddisfazione di un voto rubato che diventava quasi uno status symbol (cioé l’opposto di una crescita). Ma ricordo anche alcuni docenti che erano veri maestri, il cui giudizio non opprimeva ma stimolava.
In particolare una professoressa di matematica che spesso chiedeva “tu che voto ti daresti?” e vi assicuro che era la domanda più difficile. Di certo la più utile pedagogicamente.
Ricordo anche la miglior risposta data una volta dal Gianburrasca della classe: “rifiuto di rispondere perché la risposta potrebbe essere usata contro di me” 🙂
Giuseppe, 16, tieniti forte: sono d’accordo con te. Il problema vero, che la tua domanda retorica finale credo includa, sono la scuola (programmi ma credo anche fisicamente parlando), gli insegnanti e le famiglie. Un bel casino rimettere tutto “a posto”… E, guardando in giro gli amici più giovani, più si va avanti, più tutto peggiora…
Enri,
forse non hai colto il senso dell’articolo, visto che continui a cambiare tema!
Non mi trovo d’accordo su “la società che ci ha dato e continua a darci molto”.
Sarebbe stato bello che ci fossi anche tu in manifestazione sabato a Milano, così, nello spazio di un paio d’ore e una manciata di chilometri, avresti potuto assaporare i frutti della nostra amata società.
@17
Non credo proprio. Preferiremmo una società in cui qualcuno (uno solo ovviamente) decide di dare un po’ di lavoro a tutti, stipendi identici, merito zero, tempi da rispettare nessuno e cosi saremmo tutti più sereni?
La società in cui viviamo ha molti problemi ma ci ha dato e continua a dare molto, solo che noi ce lo dimentichiamo e lo sport preferito è spesso quello di criticarla a priori, proponendo modelli che poco o nulla hanno a che fare con la realtà della vita e per questo poco utili.
Balsamo nomen omen [faccina]ha la capacità e la pazienza di dirimere gli stalli interpretativi/comunicativi dove ci spingono il populismo imperante e il tifo da stadio..
In attesa di Regattin, provo a rispondere io. Diciamo come prima cosa che l’analogia, secondo me, è poco calzante. Però anche nel caso della Brenva in invernale, se sei uno che parte col “terrore dell’errore”, forse è meglio che cambi sport (ops, ho scritto sport? faccina). Il fatto è che qui non si parla di paura sana, si parla di terrore, ansia, si parla di ragazzi e ragazze che perdono il sonno. Io poi non so se la ricetta giusta sia quella di eliminare i voti, o cos’altro. La mia personale esperienza mi dice che già il fatto di dare i voti sulla base di criteri oggettivi sarebbe un grande passo avanti. Non sono d’accordo con chi propone di “abolire la competizione” (Guido, n.8, e Grazia, n. 11): la scuola può educare alla competizione sana, così come può educare, per tornare a Bertoncelli, alla prudenza. Che la scuola debba essere liberata dalla “tirannia del voto” (6+, 6-, “il ragazzo è quasi un sei”) è poco ma sicuro, secondo me. Così come mi sembra giusto che gli studenti siano messi nella condizione di “provare soluzioni rischiose” (per citare un altro passaggio dell’intervento del prof. Corsini), liberi dalla paura di sbagliare, in un paese che si fa vanto, giustamente, della propria creatività, mi sembra il minimo.
Grazie, Giuseppe.
Enri, tempo-stipendi-meriti sono la base della terribile società che abbiamo costruito.
Sarebbe auspicabile qualche passo avanti nell’evoluzione umana!
“a volte sarebbe necessaria una quarta domanda: “conosco a fondo la questione?” [cit.]
Questo (interessante) articolo sarebbe stato un buon spunto per spingere ad approfondire la questione, leggendo magari qualche altro testo sull’argomento, e invece…
Se uno ha paura di sbagliare sulla Brenva in invernale, forse è meglio se non parte proprio.
Quello che gli serve, quando parte per la Brenva (o altrove), più che la paura di sbagliare, è la consapevolezza di cosa sia la Brenva e la consapevolezza di sé stesso.
Sia chiaro: una sana dose di paura aiuta a portare a casa la buccia. Ma, se ci si basa solo su di essa, o quando prende il sopravvento, l’effetto è la paralisi.
Un effetto indesiderato della scuola coi voti, è che il voto diventi un fine e non un mezzo. Ovvero che lo studente si focalizzi più sul voto che sull’apprendimento (e, no, le due cose non sono equivalenti), e che quasiasi cosa, compreso ingannare sè stesso, diventi lecita per ottenerlo: comprare il compito, copiare, cercare le risposte sul cellulare, ecc…
E la bellezza dell’imparare, dov’è ?
Un pò come può capitare a chi arrampica nei confronti del grado. Se ti limiti al grado come obbiettivo, la bellezza dell’arrampicata dov’è ?
Comunque, al di là della formula voto/qualcos’altro, per avere una buona scuola servono buoni insegnanti. E per avere buoni insegnanti, cosa serve, Bertoncelli ?
Corsini: “Il voto fa comodo a una classe politica che non investe sulla qualità della formazione del docente. Una scuola con i voti è una scuola che si sposa con una bassa qualità della formazione dei docenti, questo è il motivo per cui Fdi vuole il ritorno dei voti alla scuola primaria”.
Luciano, sai una cosa? Un pedagogo che fa politica di partito non fa pedagogia: fa politica di partito.
… … …
Corsini: “Non c’è il terrore dell’errore, anzi non si ha più paura di sbagliare“.Luciano, visto che siamo in un blog di alpinismo, dimmi: che può succedere se parti per la Brenva in invernale e non hai paura di sbagliare?
Luciano, non mi hai risposto. Che fai dunque? Toglimi la curiosità: parti per la Brenva in invernale senza paura di sbagliare (pedagogo Corsini, con un chilo di curriculum) o parti per la Brenva in invernale con la paura di sbagliare (pedagogo Bertoncelli, senza curriculum)?
Fabio, non sapevo dei tuoi studi di pedagogia, pertanto mi inchino alla tua conoscenza.
D’altra parte chi sarà mai questo Corsini, che non ho mai sentito nominare in tv?
Ma uno che ha vinto un premio italiano di Pedagogia e che ha all’attivo solo 24 pubblicazioni sull’argomento, tralasciando le altre 13 pagine di CV, che ne può sapere rispetto al nostro Fabione?
Io non so se l’obiettivo della scuola sia avere alunni sereni o alunni preparati. Credo preparati. E per preparati si intende non solo sulle materie studiare ma preparati alla vita. Vita che misura tutto. In tempo, in stipendio, in metri….
Resto molto scettico a riguardo. Per non parlare del fatto che ci sarebbe un appiattimento generale, a favore di chi e’ più’ svogliato e a danno di chi ha voglia di studiare, magari anche per garantirsi un futuro più’ prospero.
Poi, la mitica Finlandia, 5,5 milioni di abitanti, ha 1,6 milioni di armi da fuoco registrate e 650.000 persone con porto d’armi, ovvero il 12% della popolazione (terzo Paese al mondo dopo USA e Yemen). A 15 anni puoi avere il permesso per un’arma da fuoco con il permesso dei genitori… Poi ha uno dei tassi di omicidi più alti, con Svezia e Islanda, dell’Europa Occidentale. Ha circa 15 suicidi all’anno ogni 100.000 abitanti (l’Italia 6,7). Un alcolismo grave e diffuso, anche tra i giovani… Quindi, attenzione a decantare troppo una società senza vederla nel suo insieme…
Enri, nelle scuole in cui non viene usato il voto ci sono verifiche continue, nel senso che gli allievi sono accompagnati nell’apprendimento e nessuno si sente uno stupido, come invece accade nel sistema classico.
La competizione, presso le scuole più illuminate, non è promossa perché mette a repentaglio l’evoluzione personale e la scolarizzazione.
Conosco diverse realtà che non usano i voti e posso dire che i bambini sono molto più sereni.
No ai voti, no alle valutazioni descrittive e sì alle emoticon, ce n’è per tutte le esigenze, le uniche al passo coi tempi.
È una tale sciocchezza che sono riusciti a far dire una cosa sensata persino al cazzaro verde
Oltre che abolire i voti a scuola sarebbe forse utile abolire tutta la competizione, o quasi. Invece non si sente parlare d’altro: Chi “vince” e “chi perde”, chi arriva primo, secondo, terzo. Alcuni modelli culturali (molti popoli nativi) vivevano in totale assenza di competizione, e qualcuno è andato avanti per decine di migliaia di anni. Qui non si tratta di “destra” e “sinistra”, ma di tutta la civiltà occidentale. Anche in alcune comunità di altri viventi non esiste la competizione.
http://www.ariannaeditrice.it/articoli/differenze
http://www.ariannaeditrice.it/articoli/politicanti-di-destra-e-di-sinistra
http://www.ariannaeditrice.it/articoli/inutilita-della-politica
Luciano, ti rassicuro: ho letto sia il titolo che l’articolo. E ci ho ragionato sopra.
Se vuoi che io sia piú preciso – cosí mi intenderai oppure, con altre parole, mi farò intendere meglio – ti dirò: una valutazione numerica è molto piú chiara di un giudizio a parole, il quale spesso si risolve in quel buonismo melenso di cui in Italia siamo maestri.
La vita – là fuori – non fa sconti, e gli studenti hanno il diritto (e il dovere!) di essere preparati ad affrontare ansie, problemi, difficoltà. Altrimenti, poi, ne saranno travolti.
Una volta la scuola elementare, la scuola media inferiore, la scuola media superiore fornivano un’istruzione eccellente, se paragonata al disastro attuale.
E fornivano educazione, senso civico, senso di responsabilità, determinazione, il che è esattamente l’opposto di quanto sostenuto dall’illustre pedagogista Cristiano Corsini e dal docente Vincenzo Arte con le sue “competenze trasversali”.
Tutto ciò grazie anche ai voti, checché ne pensi pure l’Ernestina.
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Corsini: “Non c’è il terrore dell’errore, anzi non si ha più paura di sbagliare“.
Luciano, visto che siamo in un blog di alpinismo, dimmi: che può succedere se parti per la Brenva in invernale e non hai paura di sbagliare?
Ho un figlio che ha fatto le elementari e le medie a Minneapolis (Minnesota, Stati Uniti d’America). Le valutazioni con lettere e percentuali cominciavano dalle medie ed erano basate su prove standard (erano giudizi oggettivi, senza controversie). Mai sperimentato atteggiamenti punitivi da parte degli insegnanti (sono diventati invece consuetudine da quando siamo tornati in Italia e non riusciamo ad abituarci). Ma sentito un insegnante usare espressioni che non fossero di incoraggiamento. Zero urla. Zero urla. Le scuole, ambienti tranquilli, slogan positivi appesi ai muri, strutture sportive, laboratori, biblioteche e tecnologia. Classi da minimo 25 studenti. Scuola pubblica (frequentata anche dai figli degli immigrati, giusto per chiarire, del resto mio figlio cos’era). Auguri Italia, se gli italiani continuano a pensare di vivere nel miglior posto del mondo, anche contro tutte le evidenze.
Fabio , è evidente che tu non abbia letto altro che il titolo. Dai, fai uno sforzo, leggi tutto poi ripresentati, vedrai che andrà meglio.
Distruggere l’istruzione e disprezzare il merito ha l’effetto di tenere le persone nell’ignoranza e nell’ottusità.
Tenere le persone nell’ignoranza e nell’ottusità ha il vantaggio di poterle manipolare a piacimento: pecore che “pensano” per slogan e belano a comando, col cervello atrofizzato.
È ciò che succede in Italia da mezzo secolo.
Le conseguenze le vediamo tutti i giorni. E le subiamo sulla nostra pelle tutti i giorni.
Mi sembra che ci sia un errore di fondo: non può’ essere che lo studente sia concentrato sul voto e non sull’apprendimento visto che per prendere un buon voto prima devi apprendere. Inoltre l’interrogazione e’ il momento in cui dimostri di aver appreso ed è’ un momento fondamentale di relazione con il mondo esterno. Altrimenti? Nessun voto? Quindi anche nessuna verifica? Nessun compito in classe? E come la mettiamo all’università’? Per diventare un buon medico, un bravo farmacista o un ingegnere capace di costruire ponti sarà’ sufficiente una chiacchierata tra prof e alunno?
Mi sembrano tutti discorsi iper protettivi per generazioni che saranno sempre meno in grado di confrontarsi con il mondo esterno e di vivere nel mondo del lavoro. Mi spiace introdurre la solita frase retorica ma ai nostri tempi di un 4 di matematica e relativa punizione a casa ( si ho usato il termine punizione) non è’ mai morto nessuno. Semai bisognerebbe valutare cosa e come viene insegnato agli alunni, quindi valutare anche gli insegnanti. E se oggi decidiamo di eliminare i voti immaginiamoci che insegnanti avremo domani.
Che poi chi rimane indietro debba essere aiutato a colmare le sue lacune è’ certo, senza che la bocciatura diventi una prassi. Ma potremo ancora vedere scritto su un curriculum se uno è’ uscito dal liceo con 100/100 oppure 60/100 oppure vedremo scritto “ abbastanza bene” o cose simili?
Il punto non è se costa meno fatica, all’insegnante, sintetizzare il tutto in un semplice voto numerico o stilare un “giudizio” espressivo. Diamo pure assistenza morale e materiale ai ragazzi nella loro crescita, ma occorre spronarli alla maturazione. Sennò ci ritroviamo, come purtroppo sta accadendo, a registrare intere generazioni di “sdraiati” (termine prelevato da un romanzo di Michele Serra, non certo un pericoloso estremista nero). Che l’assistenza sia finalizzata a far emerge il merito dello studente è un conto. Che tale merito sia poi sintetizzato in un numero o in un giudizio è un altro paio di maniche. Non confondiamo le due cose. Il vero punto nodale è il primo: se vogliamo che le prossime generazioni, una volta anagraficamente adulte, siano mature e responsabili, dobbiamo “lavorare” su questo obiettivo fin da quando sono giovani (cioé studenti) e non lasciarli evolvere allo stato brado, confidando che, sia, poi la vita a farli maturare
Non capisco dive sia la novità! Negli anni 80, la scuola media inferiore nella quale insegnavo, aveva adottato il giudizio descrittivo in tutte le materie scolastiche, conseguente ad una didattica formativa e non giudicante.
Certo che era molto più faticoso per i docenti, per l’ impegno e per il tempo che richiedeva. Certo la nostra era una scuola democratica e gli insegnanti lavoravano in comune accordo, mettendosi continuamente in discussione e autoaggoornandosi. Dare un voto numerico è molto più semplice e sbrigativo e non richiede un costante rapporto personale con gli alunni. Difficilmente si giungeva alla decisione di bocciare, solo in casi irrecuperabili, bisognosi di ulteriore maturazione. Gli altri venivano valutati in base ai progressi ottenuti dai livelli di partenza. Si, è proprio la differenza fra una scuola di destra e una scuola di sinistra!!