Secolarizzazione e disumanizzazione post CoViD-19
di Roberto Antonel
(21 luglio 2020)
Si fa un gran parlare del CoViD-19 sotto ogni aspetto, dallo stato della ricerca del vaccino all’efficacia dei farmaci di ultima generazione, dall’impatto economico e sociale del lockdown alle riaperture programmate, dalla legittimità costituzionale dei DPCM alla mancanza di una discussione parlamentare sui decreti governativi, dalle proroghe dello stato di emergenza alle possibili nuove chiusure, dall’utilità dei test sierologici a campionatura all’opportunità di sottoporre a tamponi tutta la popolazione, dai contagi portati dai migranti alla possibile chiusura delle frontiere per impedirne l’afflusso, dalle quotidiane statistiche della diffusione nazionale e mondiale all’indice Rt di ciascuna regione. Pochi si sono soffermati sugli aspetti filosofici legati allo sviluppo della pandemia.
C’è una questione di fondo sottesa alle conseguenze sociali del coronavirus : è una questione dirompente dal punto di vista filosofico e psicologico. Si tratta della crisi di una società fondata su rapporti sociali vetusti, ancestrali ormai desueti e destinati ad una trasformazione. Nell’era post pandemia si può ragionevolmente prevedere che la società sarà fondata su schemi e modi completamenti diversi da quelli conosciuti sin qui.
Sono almeno quattro le evidenze che conducono a una riflessione:
1) la crisi dei rapporti interpersonali indotti dal distanziamento e dall’uso dei dispositivi di protezione atti a prevenire il contagio;
2) la crisi della vendita commerciale di massa che ha orientato l’opinione pubblica verso il ricorso ad acquisti on line ed a preferire l’e-commerce;
3) la crisi delle religioni che praticano il culto attraverso il coinvolgimento diretto della comunità, costrette a sospendere a tempo indefinito gli incontri di rilevanza collettiva;
4) la spinta verso una ricerca interioristica solitaria e laica attuata con meditazioni e analisi introspettive che richiamano il solipsismo descritto dai filosofi illuministi del Settecento.
La mascherina non è solo un dispositivo di distanziamento, è molto di più. E’ una barriera reale frapposta tra Noi stessi e gli altri. Nel momento in cui si colloca sul viso si invia un messaggio chiaro ed univoco al prossimo: neutralizzare il linguaggio vocale segnalando che si preferisce salvaguardare sé stessi da un possibile contagio, nel coartare il segno linguistico comprimendo l’apertura della bocca e bloccando il flusso di particelle di saliva si antepone la protezione del proprio Ego alla dinamica della comunicazione sociale. Le persone che sono più inclini alla interazione con gli altri mediante il linguaggio, sono estremamente restie ad usare questo dispositivo e ciò giustifica la crescita esponenziale del contagio laddove le misure sanitarie anti-covid cozzano contro la mentalità di popolazioni che hanno eletto l’aggregazione a strumento di vita quotidiano ed irrinunciabile. Non a caso alcune Regioni italiane del centro nord quali Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna sono quelle con il più alto tasso di contagio; sono le Regioni che vantano una cultura contraddistinta da laboriosità e cooperazione sociale, in cui il contatto umano è ritenuto coessenziale e preminente. Bloccare il contatto o ridurlo al rango di scambio robotico di messaggi filtrati dalla mascherina significa privare questa gente del primo e fondamentale sistema di vita interattiva e quindi desocializzarle.
A differenza della maschera veneziana, simbolo festoso del carnevale indossata per rendere più misteriosi gli incontri galanti dell’epoca di Casanova, la mascherina antivirus è considerata, nell’immaginario collettivo, un segno di repulsione quasi di respingimento del prossimo ed è perciò mal vista a prescindere dalla sua funzione meramente ed esclusivamente protettiva.
I centri commerciali costituiscono un potenziale luogo di contagio da CoViD-19. Per questo motivo ci si è orientati verso acquisti on line di ogni tipologia di merce mediante accesso da remoto e pagamento con carta di credito o bancomat.
Gli acquisti on line erano già da tempo divenuti concorrenziali a quelli con accesso personale al negozio o al centro commerciale. Il rischio di contagio da coronavirus ha dato il colpo di grazia alla vecchia pratica dello shopping nei negozi. Qui è più evidente ancora la preferenza verso un percorso desocializzante e privo di contatti personali e diretti, anche se il contagio ha rafforzato una tendenza già in essere.
Ma è soprattutto la religione cattolico-cristiana ad essere la più illustre vittima del Coronavirus. Per secoli la chiesa romana aveva predicato il verbo di Dio in terra, la dottrina era imperniata su una tradizione orale che riportava ai fedeli i messaggi delle sacre scritture. Il contatto linguistico tra sacerdote e fedeli e tra fedeli stessi era la base della comunità cristiana, indispensabile per coltivare e tramandare il culto religioso. Di fronte alle epidemie di peste dei secoli bui, alle guerre, alle carestie, alle malattie ed alla morte era sempre stata offerta al popolo, una parola di consolazione che culminava nel promettere la resurrezione ad un’altra vita.
La parola era quindi essenziale per amministrare i sacramenti, così come era essenziale la confessione, l’augurio della pace con relativa stretta di mano, il segno della croce con l’acqua santa. Tutta la liturgia si traduceva nel messaggio orale, nella trasmissione del segno di Dio con la parola e nella estrinsecazione di quel messaggio per mezzo del contatto ravvicinato tra i membri della comunità.
Nel momento in cui ci si è resi conto che il contagio si trasmetteva con le secrezioni emesse dalla bocca o dal naso tramite un contatto diretto con le persone vicine, tutte le cerimonie liturgiche sono state sospese e con esse il culto di massa.
A differenza delle antiche epidemie durante le quali la cristianità si radunava in chiesa per ascoltare una parola di conforto e per sostenersi a vicenda oggi è proprio il conforto verbale e la messa solenne che può generare il virus tra i fedeli.
Nei Promessi Sposi del Manzoni la peste colpiva prevalentemente i cattivi mentre I buoni scampavano e superavano l’epidemia, oggi non esiste più alcuna frontiera e tantomeno si prega per il “miracolo” di un’entità divina che sia in grado di far scomparire il contagio. I cosiddetti fedeli comprendono perfettamente che il virus potrà essere forse sconfitto solo da un vaccino efficace e non da preghiere o dall’invocazione di un santo protettore.
In una chiesa duramente provata da lotte interne alle gerarchie ecclesiastiche, con la ricorrente emersione di nuovi prelati pedofili messi sotto accusa, con il calo costante ed ineluttabile di nuove vocazioni, con le chiese sempre più vuote, il coronavirus ha assestato il colpo definitivo ad una religione in via di estinzione.
Nell’Italia secolarizzata del 2020 appare lontana anni luce l’epoca d’oro del cattolicesimo, quando potere temporale e spirituale combaciavano perfettamente.
In assenza di una religione convincente, di un Dio accattivante e benevolo, nella crisi generale di ogni valore spirituale e nella ricerca perenne di nuove forme di benessere fisico ma soprattutto psichico che aiutino a dimenticare la crudeltà dell’esistenza umana, le frustrazioni, le malattie e la morte spesso ci si rivolge a se stessi, alla propria soggettività nel tentativo di farsi forza e superare i momenti bui.
E’ una condizione vicina alla pratica del solipsismo, in cui ogni azione va ricondotta all’interesse personale del proprio IO, unico ente in grado di autodeterminare le leggi morali e le regole della vita che non sono quelle imposte da un codice o dai comandamenti bensì provengono dalla propria interiorità individuale.
Le pratiche della riflessione, della meditazione e soprattutto dell’introspezione e dell’autoanalisi sono essenziali per mantenere razionalità ed equilibrio e per generare un modus vivendi compatibile con l’esistenza su questa terra.
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C’è chi si potrebbe metterr in lock down volontario e chi prendera’ delle scelte va favore di giornate attiva ma solitarie, proprio per evitare il rischio contagio che esiste anche in piccoli gruppi. Esempio pratico: anziché andare ad arrampicare con amici (dove esiste, seppur larvatamente, un rischio contagio attivo-passivo), in questa fase vado a fare una biciclettata MTB da solo.
Oppure, come già anticipato nei gg scorsi, anziché andare in birreria tutti i sabati sera, lo faccio uno si’e uno no… Se tutti ragionassero così, avremmo meno gente in giro (in linea teorica la meta’, perché se tu esci questo sabato, io resto a casa e sabato prossimo facciamo l’inverso). Si sa che più gente c’è in giro e più gira il virus e più si alimenta il “circo” che si.monta intorno.
Tanti piccoli esempi di questo tipo. Quindi non necessariamente chiudersi in casa, ma ridurre sensibilmente il tempo passato in giro.
PS: per intanto il governo (di centro-sinistra, non di pericolosi militari fasciti) ha elaborato l’idea di prorogare lo stato di emergenza al 31 gennaio. È come mettere le mani avanti per avere un maggior lasso temporale a disposizione per imporre prossimi lock down.
Quindi la soluzione per evitare il lockdown “imposto” sarebbe… mettersi in lockdown volontario?!?
E dove sarebbe la differenza, all’atto pratico?
Ragazzi è sempre colpa nostra 🙂
@13 ho già detto mille volte che le politiche scellerate del lock down sono figlie della paura che le autorità hanno di tutto il tema virus, NON del virus in quanto tale. E’ questo lo snodo cruciale, che vi sfugge. Se non contribuite anche voi a un generale atteggiamento molto abbottonato, le autorità se la faranno sotto e permarrà la cappa del rischio lock down con riflessi sul quadro economico. Sono questi ultimi che peseranno sui concittadini più fragili: ho già spiegato che difficilmente sarà possibile estendere la cassa integrazione per tutti oltre il 31 dicembre, perché mancheranno i soldi per farlo. Per cui è fortissimo il rischio che da gennaio in avanti conteremo milioni di disoccupati.
Cmq in questo articolo il tema non è quello dell’articolo successivo. Sono due argomenti autonomi, concettualmente simili, ma paralleli. Così come le mie considerazioni fra due argomenti paralleli: da un lato pari dignità di scelta in condizioni “normali” (cioè senza covid), dall’altro cosa sarebbe meglio fare nell’attuale quadro covid. Non riuscite mai a ragionare su piani differenziati, ecco perché ritenete di intravedere “contraddizioni” nei mie ragionamenti. Esempio calcistico per capirci: la Juventus prima squadra è diversa dalla Juventus Under 23 (che gioca in Serie C). Hanno lo stesso nome e la stessa maglia, magari giocano la stessa domenica, ma sono due squadre diverse. Magari una gioca bene e l’altra male, per cui i commenti sono opposti, anche se si tratta sempre di Juventus. Chi non segue il parallelismo ed è disorientato perché magari parlo bene di una Juventus e male dell’altra, è perché non sa ragionare su piani paralleli e autonomi. Non è colpa del commentatore, ma dell’attenzione dei lettori. Ciao!
“mi limito a sottolineare che le vostre osservazioni dimostrano che non avete compreso proprio nulla… mi pare che siate totalmente insensibili …[voi] di “sinistra” …in realtà camuffate solo il vostro profondo egoismo sociale.”
In effetti tu non trai mai conclusioni campate per aria sulla scorta di pregiudizi ideologici, le tue preoccupazioni sono sempre fondate e ragionevoli e non trinci mai giudizi.
Sono gli altri che non capiscono, non certo tu che ti esprimi male.
Crovella è un fiume in piena 🙂
In realtà bisognerebbe entrare un po’ più nel merito nel senso che se 2.500 e rotti casi come quelli di ieri costituiscono una catastrofe nazionale e l’obiettivo è quello di arrivare a zero casi nel giro di poco tempo non ci sono precauzioni che tengano. Bisognerebbe chiudersi tutti, e singolarmente, in un bunker atomico per circa 6 mesi e poi forse riusciremmo ad azzerare i casi, sempreché nel frattempo da quel bunker se ne esca vivi e sani di mente.
Sul fatto che si debba porre attenzione non posso che concordare ma non è questione di approvare o meno i comportamenti cosiddetti “leggeri” perché quelli volente o nolente non li possiamo eliminare noi.
Personalmente non ho comportamenti leggeri ma sicuramente a casa con mia moglie la mascherina non la metto e non dormiamo in stanze separate, pertanto se io o lei ci infettiamo sul lavoro (difficile trovare altro modo visto che non siamo due ragazzini), il virus ce lo trasmettiamo.
Tu probabilmente mi dirai che se andassimo a ritroso si scoprirebbe che se io o mia moglie ci infettiamo sul lavoro è perché un collega o una collega sono stati a loro volta infettati dal figlio o dalla figlia che hanno pomiciato con degli sconociuti durante una festa. Torniamo ai se e ai ma che nelle tue granitiche certezze non trovano però spazio.
Il mio atteggiamento nei confronti delle cose, anche quando pratico attività all’aria aperta (montagna, canoa), è invece più fatalista. Ritengo che le cose semplicemente accadano e molto spesso più temi che accadano e più è facile che si verifichino.
Prendere le dovute precauzioni è una questione di buon senso ma diventare paranoici è un’altra.
Per quanto riguarda le famiglie col sedere per terra la colpa non è del virus ma delle politiche scellerate di lockdown attuate in tutto il mondo sulla scia del modello cinese dove sono state quarantenate 60 milioni di persone su 1 miliardo e 400 milioni, lasciando quindi al lavoro 1 miliardo 340 milioni di persone, cosa ben diversa da quella che hanno fatto nazioni molto meno popolose come la nostra e nella quale si sarebbero al amssimo dovute creare delle zone rosse a livello locale.
Sociali, asociali: ma ogniuno fa quello che gli pare.
Ogni individuo sceglie il suo modo di comportamento e conseguentemente come relazionarsi con il prossimo.
Una cosa è certa: meno si ha a che fare con le persone e meno persone si frequentano più si sta tranquilli e in pace.
Tra le poche persone, è inutile sottolinearlo, scegliere solo le intelligenti.
Confondete pere e cipolle. Una cosa sono le considerazioni sul preservare la pari dignità ideologica fra chi ama socializzare e chi predilige una vita ritirata (considerazioni al seguito del commento di Geri). Tutt’altro discorso è il tema “comportamento nell’attuale contesto covid”, circa il quale non mi ripeto, ma mi limito a sottolineare che le vostre osservazioni dimostrano che non avete compreso proprio nulla: io mi preoccupo delle riprecussioni che il modo “leggero” di andare in giro genera, attraverso l’apprensione delle autorità competenti, sull’incertezza economica, le cui conseguenze graveranno su cittadini molto più fragili di noi (es: prossimi disoccupati, magari padri di famiglia, con moglie e figli a carico e senza una “ricchezza” personale alle spalle…). Mi pare che siate totalmente insensibili su questo risvolto e stupisce perché vi dichiarate, esplicitamente o fra le righe, “di sinistra” (o cmq fate parte di quell’area di pensiero), per cui dovreste essere voi a preoccuparvi per primi dei cittadini più fragili, evitando si creare le condizioni per loro eventuali prossimi problemi. Con la battaglia a tavolini sulla difesa dei diritti individuali (di spostamento, di arrmampicare, di prendere l’aperitivo…) in realtà camuffate solo il vostro profondo egoismo sociale. (PS: non mi pare che siano tutti concordi sulle vostre posizioni, ci sono stati anche commenti allineati alle mie posizioni). Buona giornata a tutti.
In realtà Carlo Crovella è un grande socializzatore, infatti su questo blog imperversa senza freni da molto tempo.
Inoltre è un uomo che fa squadra nel senso che riesce a mettere tutti contro di lui 🙂
caro Crovella ti ha già risposto Matteo, ma anche io ti voglio dire la mia. Ma se sono mesi e mesi che stai predicando di rinchiudere tutto e tutti!!
Minacci continuamente la repressione da parte dello stato, come se fossimo una banda di tagliagole. Minacci la catastrofe sanitaria ed economica dichiarando, piuttosto apertamente, che la colpa di tutto sarà di quello che non la pensano come te.
Che me ne frega a me se ti vuoi rinchiudere in un convento di clausura a fare l’eremita, liberissimo di farlo, ma non pretendere da me che lo debba fare anche io.
Non ho detto che voglio infettarti, non ho detto che voglio la movida sfrenata. Che me ne frega a me della movida. Non ho detto che non si devono seguire delle linee di comportamento prudenziali e di rispetto degli altri.
Ma voglio anche vivere, sicuramente non rinchiuso come se fossi un canarino in una gabbia dorata…che poi dorata non è!!
Qui emergono le caratteristiche di figure che, ostentando sicurezza e infallibilità nel loro modo di essere, mettono in evidenza la loro totale dipendenza dagli umori del momento da cui sono profondamente condizionati. Quello che a prima vista sembrerebbe un modus vivendi consolidato, peraltro rafforzato da eterne ripetizioni degli stessi concetti, altro non è che la chiara dimostrazione del doversi dare delle ragioni per fare fronte alle proprie paure.
Rinunciare a una passione è una forma di viltà verso se stessi cercando l’approvazione negli altri. Basta rileggere.
“Gli asociali, non amando i contatti, per definizione non tendono a care pressioni e costrizioni sugli altri”
Ma se sono giorni e giorni che proprio voi asociali continuate a predicare perché tutti si omologhino e a invocare per tutti la necessità di diventare come voi, magari costretti? E perdipiù lo fate con argomenti futili e svincolati dai fatti?
Non rispondere, vai a rileggere cosa avete scritto a partire dalle gite all’aperto mesi fa o dai rifugi.
Non è proprio così la mia visione dell’esistenza, ma non te la rispiego, troppa fatica. Il punto è un altro: se ci sono persone che prediligono un’esistenza da passate chiusi nel loro maniero ecc ecc… ma a voi che vi frega delle libere scelte altrui? Fate tanto clamore per i diritti individuali, le liberta’ dei singoli ecc ecc…poi di fronte alla libera volontà altrui vi disorientate completamente e reagite irrigidendovi su posizioni di censura e condanna. Quindi a ciascuno il suo: chi ama la socializzazione ha tutto il diritto di perseguirla (compatibilmente con le norme in vigore!) e di esprimere i suoi gusti personali, mentre è eticamente sbagliato (ecco il vostro errore) fare l’uguaglianza “socializzazione=bene mentre asocialita’=male”. Chi, come me, predilige la riservatezza e l’isolamento ha tutto il diritto di perseguire i suoi gusti senza essere criticato né tanto meno crnsurato. I vostri ragionamenti (di zeri k tuoi ecc ecc) hanno un vizio di fondo (cioe’: solo chi ama socializzare=bene). Gli asociali, non amando i contatti, per definizione non tendono a care pressioni e costrizioni sugli altri, proprio perché li vedono poco. Viceversa capita spesso che i “sociali” non hanno rispetto per gli asociali, perché tendono a “condannarli” e ciò è proprio sbagliato per definizionr. Massima libertà per tutti. Per voi sociali (nel rispetto delle norme in vigore), ma anche per noi asociali. Ciao!
guarda Crovella che socializzare non vuol dire fare ammucchiate.
Semplicemente non essere chiusi, diffidenti verso il prossimo, avere fiducia. Che poi magari non sarà ricambiata.
ma che vuoi tornare ai tempi bui del feudalesimo, ognuno riunchiuso nel proprio maniero, pronto a scaraventare olio bollente a chi ti si avvicina???
@4 non ho nessun legame con Antonel, se non il comune denominatore di una minor attenzione per i contatti sociali rispetto a quanto mediamente vengano osannati nel modello culturale italiano. Guarda che non tutti hanno questa considerazione idolatrata della socialità. A prescindere dal covid. Dipende da molti fattori, come storia personale, vicende familiari, educazione ricevuta anche localizzazione geografica (per essa nelle valli del nord Ovest ci sono i piemontardi – piemontesi montagnardi- che sono geneticamente chiusi, schivi e diffidenti). Manco a dirlo la mia natura è piemontarda. Non sto affermando che “asociale” è bello, sto dicendo che la valutazione è soggettiva. Di conseguenza, quando tu e altri appassionati di socialità partite da presupposto che “sociale” è bello, in realtà incappare in un errore di procedura. Per te “sociale” è bello ed è legittimo che sia così. Ma non è estendibile in automatico a tutti. Ciao!
ASOCIALITA’
Avevo letto quest’articolo e me ne ero disinteressato perchè mi era sembrato per niente “filosofico”, intriso di luoghi comuni e di considerazione errate, tipo che la mascherina impedisca la comunicazione verbale, mentre invece impedisce soltanto la comunicazione tramite la mimica facciale.
Mi accorgo solo adesso che l’autore è lo stesso del primo commento, decisamente apocalittico, al mio articolo: Proteggersi, soprattutto per proteggere gli altri.
Il suo commento, che ha scatenato un diluvio dicommenti, termina con:
Il prezzo che si dovrebbe pagare sarebbe quello di essere considerati a tutti gli effetti individui ASOCIALI ma ne vale la pena vista la posta in gioco.
La mia valutazione, mettendo insieme il suo articolo con il suo commento è che lui, per paura o per altro, attraversi una fobia per ogni contatto sociale e che senta il bisogno di giustificarla (certamente agli altri, forse anche a se stesso) con la “oggettiva” epidemia di covid19.
Me ne dispiace per lui.
Geri Steve
Mi ero perso questo intervento, distratto dal dibattito sul successivo sul covid e restrizioni ecc. Neppure io ho statistiche alla mano sulle frequenze alle messe nell’era post covid. La sensazione è che da un lato ci siano ancora un bisogno di “conforto religioso”, nè più né meno che ai tempi della peste manzoniana, dall’altro non c’è più l’oggettiva necessità (come nei secoli scorsi) di radunarsi in chiesa. Oggi chi non ha la forza (e la propensione) alla meditazione individuale, ricorre alla parola del sacerdote, ma può farlo attraverso i device tecnologici, non ha bisogno necessariamente del contatto diretto. Per un solipsista di natura come me, la realtà non è molto cambiata fra pre e post covid. Chi ha bisogno di “parlare” lo può fare in video, ma non so se alla fin fine sia una cosa positiva o meno. Ho la sensazione che la sintesi di tutto ciò sarà l’ulteriore disgregazione delle comunità parrocchiali, già attaccate dallo stile di vita dominante (consumistico ed edonistico) e ora costrette a vivere di relazioni virtuali. Mah, vedremo.
A me pare affatto una religione in via di estinzione.Anzi dal punto di vista dei valori originari forse anche più sentita.
Non ho però statistiche alla mano