Non ci sarà altro destino da quello infernale, che quotidianamente ci accompagna, finché la bellezza resterà fuori dal centro delle azioni. È finché resterà fuori, il brutto e il male seguiteranno a contagiare i pensieri e lo spirito degli uomini. Considerare un dovere sociale tenere al centro il razionale, il tecnologico, l’economico e l’interesse personale, è il compimento del brutto in quanto affermazione babelica, separazione dall’origine, esaltazione di sé.
Secondo bellezza
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt – 17 dicembre 2023)
La bellezza, quando è solo una parola, riferisce di una categoria nella quale abbiamo posto qualcosa o qualcuno. Quando è invece una vibrazione reifica un universo in cui le relazioni sono regolate prioritariamente dall’energia estetica, dal modo estetico di concepire, intendere il mondo, il prossimo, la realtà. La modalità estetica risiede nel pre-pensiero. Il pensiero organizzato, interessato e politico la deturpano.
Diversamente dalla modalità etica – suo opposto energetico – intenta ad affermare un ordine nelle relazioni, nella realtà e nel mondo, quindi rappresentabile dalla geometria piana, dalla fisica classica e dall’informatica, quella estetica ha un carattere fluttuante, risente di tutto e ha il pregio di condurci a noi stessi per farci riconoscere la nostra vera natura, sempre imbrattata e nascosta da strati di nozioni etiche e dei suoi saperi analitici.
La cultura materialista in cui siamo immersi tende ad allontanarci dal senso della vita, riducendolo al senso del successo. Un territorio in cui la bellezza è ridotta alla parola che allude al bello, ma non contiene il bene, e a uomini senza bellezza, ma pieni di individualistica vanità, tanto che si è separata la bellezza dal bene, credendo di fare scissione innocua. Una separazione tanto profonda che ci porta a deridere certe conclusioni. Del resto, come ci racconta Lao Tsu, quando lo stolto sente parlare per la prima volta del Tao scoppia a ridere.
Nel caso etico siamo spinti a eleggere gli uomini a proprietari del mondo e di se stessi. In quello estetico diviene possibile conoscere attraverso il sentire, la liberazione dal conosciuto e la corrispondenza con il cosmo.
L’etico produce norme. L’estetico poesie.
L’etico amministra l’esistente. L’estetico ricrea.
L’etico segue canali ereditati. L’estetico ascolta il mondo.
Il primo usa la matematica, la statistica, gli algoritmi. Il secondo utilizza il terzo occhio.
Uno ritiene che la conoscenza sia da acquisire, l’altro che è già in noi.
L’etico è entro una capsula impermeabile se non dalla norma. L’epidermide dell’estetico è sottile e vibrante come una vibrissa.
Ideologie e relativi dogmi, differenze e separazioni sono il basamento dell’incastellatura etica. L’identicità degli uomini, la maschera delle forme, e ritenere tutto espressione della vita, lo sono per la prospettiva estetica.
Per l’etico esiste l’eretico. Per l’estetico non esiste eresia, neppure quella etica.
I computatori della vita sono meno inclini a sfruttare le informazioni su se stessi fornite dalle emozioni. Sono più stabili ed equilibrati, ma impediti a cambiare sembianze, a divenire altro da sé, a sfruttare la contemplazione per conoscere e la meditazione come medicina. A vedere e muoversi secondo bellezza. Non è per loro previsto.
Agli esseri estetici è come se piacesse il rischio. Puntare tutto sulla bellezza richiede fanciullezza, sconsideratezza, inconsapevolezza delle conseguenze e fede. Visti con ottica etica, sembrano coraggiosi e avventati. Al contrario, quelli etici, visti con ottica estetica, che si muovono con accortezza, non sono che pusillanimi. Un po’ come per i materialisti che non sospettano neppure che i loro attrezzi non servono per lavorare al banco alchemico, l’uomo etico, logico, razionalista, concreto, non ha modo di concepire il mondo se non nella sua espressione storica. A lui piace fermarsi al dito. Della luna non sa che farsene. Concentrato sui particolari da mettere e tenere in ordine, non la vede.
La bellezza è anche una modalità di ricerca e una discriminante. Essa si rivela ascoltando, anche se nascosta da sembianze che non la evidenziano. Quando la bellezza accade, quando è centrale nelle relazioni, si realizza quella realtà estatica sempre cercata. La sola che conta, in quanto la sola in grado di dare senso alla vita, in quanto benessere intimo e relazionale, in quanto premessa necessaria alla benevolenza e alla gratitudine incondizionata.
Il senso della vita concepito, soddisfatto ed esaurito in ambito etico-amministrativo, allude a titoli, denari, dialettica, saperi cognitivi, vita regolata dal diritto e dimenticata dalla natura, cultura intellettual-tecnicistica.
Differenze formali di senso, ciò che conta, riguarda la compagnia del baratro nero, che accompagna la modalità etica. Un abisso in cui il rischio di cadere corrisponde alla presa di coscienza di avere dedicato l’attenzione a confondere le autoreferenziali infrastrutture per verità.
Essere coinvolti in una caduta della bellezza nella relazione, ossia al tradimento spirituale, arresta i processi vitali-creativi. Essere forzatamente sottratti dalla bellezza è un’esperienza grave, un crollo emozionale. È quanto accade nella prevaricazione della norma, della sua limitatezza, nel campo libero e infinito dell’amore.
Ma le cose si muovono, i ruoli si invertono. Tendiamo a passare da una affermazione al suo opposto, e a tutti i grigi intermedi, in funzione di esigenze e circostanze più forti dei nostri valori e della nostra disciplina e stabilità. Nessun uomo è un tipo puro, e chi lo è più degli altri è tanto più specialisticamente forte, quanto più olisticamente vulnerabile se opportunamente toccato. Anche se – in senso lato – il nostro segno zodiacale e ascendente ci spingeranno sempre verso la loro concezione delle cose, tutti corrispondiamo alla verità dell’yin e yang, ovvero in ognuno c’è parte dell’altro. L’opposto che fuggiamo è il primo generatore di quanto desideriamo essere.
5
Buonasera a te, Luciano.
Perché usi termini come “crogiolarsi” se qualcuno illustra le proprie osservazioni?
Gli umani, così incredibilmente evoluti, continuino imperterriti a compiere crimini efferati nei confronti dei propri simili, pur conoscendo appieno ogni sfumatura del proprio esistere, quindi non vedo perché non dovresti mangiare pomodori.
In ogni caso, so che la percezione ha a che fare con la propria volontà – vedo ciò in cui credo – dunque non mi stupisce che gli umani facciano o non facciano, fingendo che tutti gli altri esseri viventi non siano capaci di sentimenti.
Che i pomodori possano accompagnare anche i tuoi sogni.
Grazia buonasera.
L’essere umano è presente da una quantità di tempo 2000 volte inferiore a quello delle prime piante, pertanto non mi stupisco se in questa enorme quantità di tempo a disposizione , circa 460 milioni di anni, abbiano saputo affinare, seguendo le regole evolutive, processi per la propria sopravvivenza che solo in questi anni cominciamo a scoprire più in profondità. Se a te piace definire intelligenza l’insieme di questi processi e crogiolarti alla luce delle ricerche di Mancuso e soci, personalmente invece sono più interessato a informarmi sui complessi meccanismi che regolano la vita delle piante che rendono molte specie vegetali così affascinanti. E continuerò a mangiare i pomodori anche sapendoli dotati di coscienza e intelligenza “certamente superiore al mondo animale” (cit. 15)
Buonasera Luciano,
non uso attingere alla fonte di internet, ma prendo spunti da ricerche, dalla mia osservazione o da scambi vivaci tra colleghi guide o amici botanici.
Per dirla in maniera più semplice: se una pianta si trova sull’orlo di un precipizio il cui terreno tende a dilavare non potrà certo assumere lo stesso portamento e sviluppare la medesima rete radicale di una sorella che si trova a pochi passi ma in piano, o di un’altra ancora che è nata sulla parete verticale, pur essendo tutte loro in comunicazione attraverso le radici.
Anche gli umani – nonostante le apparenze – sono tutti collegati, pur mantenendo ognuno la propria identità e percorrendo cammini distinti.
Grazia al 21
Non mi sento di dire che tutte le piante si comportano in modo identico nelle stesse condizioni, anche perché, essendo ognuna di essa distinta dalle altre, direi che sia impossibile che si presentino le stesse variabili.
Nemmeno io, come Matteo, non sono un botanico ma sui libri e in rete si trovano molte informazioni che confermano quanto questa tua affermazione sia errata. Tralasciando i libri, riporto questo passaggio:
“Analizzando il dna delle radici e tracciando il movimento delle molecole attraverso i condotti sotterranei, Simard ha scoperto che i fili fungini collegano tra loro quasi tutti gli alberi di una foresta, anche di specie diverse. Carbonio, acqua, sostanze nutritive, segnali di allarme e ormoni possono passare da un albero all’altro attraverso questi circuiti sotterranei”
A conferma del fatto che gli alberi non sono entità isolate.
Dalla rivista Internazionale.
Sai com’è, Matteo, dice che durante la vita si muoia! Per cui è improbabile sapere come decedano i camosci. Il fatto che muoiano non vuol certo dire che non sono intelligenti.
Beh, anche il nostro quoziente intellettivo è un aspetto che ci appartiene sin dalla nascita e, di conseguenza, verosimilmente iscritto nel nostro DNA.
Non mi sento di dire che tutte le piante si comportano in modo identico nelle stesse condizioni, anche perché, essendo ognuna di essa distinta dalle altre, direi che sia impossibile che si presentino le stesse variabili.
Al di là delle definizioni – le nostre, ahimè, non possono che essere di natura umana – mi sembra importante il concetto di fondo che porta alla luce Lorenzo, come Guido (e Stefano Mancuso, tra i più noti botanici attuali): le piante, come altri esseri viventi che noi tendiamo a catalogare come inanimati, semplicemente perché non abbiamo voglia o non possediamo le risorse per comprenderne i meccanismi e le prerogative, sono molto più che oggetti.
D’accordo, ma sono scelte o meccanismi naturali inscritti nel DNA delle piante?
E se fossero scelte propriamente dette, come mai tutte le piante della medesima specie farebbero le medesime scelte nelle medesime condizioni?
Infine non sono certo un botanico e non ho idea delle estinzioni di piante, ma in assoluto, nella storia della terra sono molte di più le specie estinte (sia flora che fauna) che quelle esistenti e quindi vale sempre il mio “fino a un certo punto” di prima.
Comunque credo che ci sia un vizio di fondo, una antropomofizzazione della natura (in questo caso le piante) che non credo sia il modo corretto per approcciarla, perché in realtà più che di una comprensione è un chiaro segno di quanto noi ci si sia ormai distaccati dalla natura stessa.
Come quando qualcuno dice che l’esperienza è tutto, che la sicurezza in montagna c’è se ci muoviamo “come il camoscio”, dimostra solo l’ignoranza del fatto che ogni inverno muoiono anche il 30% dei camosci
Una pianta opera una scelta quando rimane di taglia modesta invece di elevarsi, quando resta sottile in luogo di irrobustirsi, quando lascia andare foglie e frutti in caso di avversità, quando muta il colore del fogliame a seconda della luce e del suolo di cui dispone, quando seleziona la forma delle foglie a seconda della pianta su cui si arrampica, e via dicendo.
Le estinzioni che possiamo annoverare negli ultimi secoli sono a carico dell’umanità che, distruggendo il proprio areale, sta ampiamente dimostrando la pochezza intellettiva.
E altrettante e più che si sono estinte, per quello…
Francamente cmq non credo che una pianta possa operare scelte di sorta, volontariamente
Matteo, “entro certi limiti”?
Conosco piante che vivono da millenni!
Nella mia visione, l’intelligenza è l’insieme delle capacità che permettono di compiere scelte e metterle in atto con lo scopo di mantenere la vita.
Direi che la maggior parte degli umani sono aldo fuori di questa definizione!
“le piante, pur restando apparentemente immobili, sono in grado di far fronte e ad adattarsi a ciò che capita”
solo entro certi limiti però poi si estinguono…ma anche le pietre o l’acqua lo fanno e direi che possiamo tranquillamente escludere l’intelligenza dalle loro caratteristiche.
Insisto bisogna definire molto bene cosa si intende per coscienza e intelligenza.
Come nell’articolo bisognerebbe a mio avviso evitare le frasi ad effetto per supportare il proprio pensiero
E’ vero che “Per l’etico esiste l’eretico. Per l’estetico non esiste eresia”, però per l’estetico esiste il brutto, con il medesimo disvalore e la medesima possibilità di guerra santa per estirpare l’abbietto.
Caro Matteo, che le piante abbiano intelligenza (certamente superiore al mondo animale) è osservabile dal modo in cui vivono, sapientemente illustrato da Stefano Mancuso: le piante, pur restando apparentemente immobili, sono in grado di far fronte e ad adattarsi a ciò che capita.
Per il nostro modo di vedere, non potremmo sapere se le piante abbiano più o meno sviluppato una coscienza se non attraverso un linguaggio e dei processi a noi noti che sono certamente troppo limitati allo scopo..
9. Grazia, di quali piante stiamo parlando? Perché sono piante sia l’ulivo millenario che le bulbose che vivono x 11 mesi all’anno solo sottoterra. Non capisco che differenza possa fare a noi sapere se le zucchine o i pomodori, che durano il tempo di una stagione, o gli abeti, che possono vivere centinaia di anni, possano avere coscienza o intelligenza. Detto ciò è risaputo che gran parte della vita della quasi totalità delle specie vegetali è strettamente legate alla presenza di funghi micorrizici, che sono in grado perfino di decidere, all’interno di una foresta, a quali alberi fornire maggiore o minore sostentamento. A tal proposito consiglio la lettura di “L’ordine nascosto”, libro davvero molto avvincente. Magari può essere utile per avvicinarci a capire cos’è quella “intelligenza” che noi attribuiamo agli alberi.
All’epoca dell’Unione Sovietica, una sera si tenne al Cremlino uno sfarzoso ricevimento, al quale parteciparono maggiorenti del partito, uomini di scienza e notabili vari.
Tra i tanti presenti c’erano un cosmonauta e un celebre neurochirurgo, i quali iniziarono una conversazione sui grandi misteri dell’universo mondo.
Nel tentativo di irridere la fede del suo interlocutore, il cosmonauta – orgogliosamente ateo – disse: “Io ho viaggiato nello spazio, ma non ho mai visto Dio”.
Il neurochirurgo ribatté: “E io ho operato tanti cervelli, ma non ho mai visto un pensiero”.
… … …
Caro Corrado, il neurochirurgo di Mosca la pensava come te. E io ammetto di essere sordo.
Sarò per sempre grato a chi avrà saputo guarirmi dalla sordità. Però finora, oltre a non aver sentito in vita mia – purtroppo – alcuna musica celestiale, nemmeno un bisbiglio, pur con tutta la buona volontà non ho neppure mai percepito la minima vibrazione sensoriale.
Che devo fare per un incontro con Dio? Non pretendo un’udienza privata. Per tacitare il mio pessimismo esistenziale, mi basterebbe uno strapuntino in ultima fila. Va bene anche un posto in piedi.
N.B. Sono agnostico. NON ateo.
Moltissimi atei si comportano con sicumera, e a me non piace.
Grazia, in realtà le due due frasi seguenti:
“com’è possibile sostenere che alle piante manchi la coscienza?”
“l’intelligenza delle piante è certamente una realtà”
dovrebbero essere rovesciate in come è possibile sostenere o dimostrare che le piante abbiano coscienza e intelligenza.
Ma comunque prima dovremmo definire esattamente cosa si intende per coscienza e per intelligenza, altrimenti sono davvero solo metafore.
Anche un sordo ad un concerto direbbe che tutto tace.
Dipende dall’orecchio che uno ha.
Grazia, i faggi del mio amato Appennino hanno coscienza di sé? Forse che sí, forse che no.
Durante i miei vagabondaggi solitari tra i monti, mi accade spesso di meditare. E a volte, da agnostico in cerca di fede, prego Dio: “Se esisti, batti un colpo. Ti prometto che non lo dirò a nessuno”.
A volte mi rivolgo perfino all’amico faggio lí accanto: “Dimmi: che hai visto nella tua lunga vita?”. Però pure lui non apre bocca.
Tutto tace. Siamo soli?
Caro Bruno,
com’è possibile sostenere che alle piante manchi la coscienza?
Hai un vissuto da raccontare a tel proposito?
#7 Fabio, mi è già difficile decifrare ciò che il mondo esterno propone ai miei sensi; non parliamo dell’impossibilità di conoscere ciò che avviene nella coscienza degli altri esseri umani… come potrebbe angosciarmi non sapere cosa e come pensano una pianta, un fungo, un batterio…?
@ 6
Nel mondo esistono cose che noi umani non potremmo immaginare.
N.B. Non è una battuta.
… … …
Al pensiero, non ti viene paura? sconcerto? angoscia? terrore? rassegnazione?
O forse – chissà – speranza?
#5 in realtà questo è uno di quegli argomenti di cui non ci sarà mai dato conoscere la risposta. Le modalità di interrelazione fra le piante -e quindi la loro ipotetica struttura di coscienza- potrebbero non seguire quei circuiti neuro-umorali che noi abbiamo postulato come condizione essenziale per valutare l’esistenza di una coscienza. Allo stesso tempo, non possedendo noi i circuiti dei vegetali, non potremo mai “impersonificare” una pianta e comprenderne pertanto i meccanismi “mentali”. Il problema -che esce dallo stretto campo neurobiologico per diventare filosofico- è stato ampiamente studiato nella valutazione della presenza di una “coscienza” anche in altri esseri viventi. E’ ormai classico l’articolo di Thomas Nagel “What is it like to be a bat?” che demolisce ogni presunzione di conoscere la coscienza di un pipistrello, che pure utilizza circuiti neurali molto simili ai nostri. Figuriamoci una pianta!
Non nego che siano reali i fenomeni attribuiti all’intelligenza delle piante. Penso però che la parola sia impropria perché alle piante manca la coscienza delle loro azioni come invece accade negli uomini e negli animali.
Fabio, l’inquietudine permea il tempo storico che stiamo vivendo e credo che Lorenzo voglia sottolinearlo.
Bruno, cosa vuoi dire quando scrivi che l’intelligenza delle piante ti sembra più una metafora che una realtà etica? E’ certamente una realtà.
——— PAROLE DIRITTE E CHIARE ———
“Ho scordato ormai, e me ne duole, le sue parole diritte e chiare, le parole del già sergente Steinlauf dell’esercito austro-ungarico, croce di ferro della guerra ’14-18.”
(Primo Levi, Se questo è un uomo)
Anche Levi si espresse sempre con parole “diritte e chiare”.
P.S. In ogni caso, a me le immagini che accompagnano gli scritti di Lorenzo incutono spesso un vago senso di inquietudine…
Io mi sento un ignorante quando leggo, (forse troppo in fretta?) i saggi di Merlo. Ho l’impressione che vengano prima della lingua con cui comunichiamo, con cui anche lui comunica. La lingua è governata dalla sintassi che non è altro che un insieme di norme che alludono all’etica e non all’estetica. Non a caso le stupende immagini di Merlo rendono molto meglio l’idea di ciò che lui ci comunica. Bello comunque il saggio, ricco di sollecitazioni per farci sentire e vedere (più che capire) cos’è la bellezza e il suo opposto.
Come ha scritto anche Alessandro D’Avenia “il fine della vita non è la sopravvivenza ma la bellezza” (L’intelligenza del bosco, “Corriere della sera” 11.3.2024 pp.1 e 21). Il titolo richiama esplicitamente il documentario di Suzanne Simard L’intelligence des arbres: “comment les arbres communiquent et prennent soin les uns des autres”. E ovviamente implica gli studi di Stefano Mancuso. Ma in questo modo la questione estetica ritorna nei limiti asfittici di quel materialismo tecnoscientifico che invece vuole superare. Del resto l’intelligenza delle piante mi sembra più una metafora che una realtà etica.