Selvaticità
(Corsi di avvicinamento alla montagna)
di Michele Comi
(pubblicato su CAILombardia.org n. 23, dicembre 2019)
Uno dei pochi corsi che vorrei saper tenere in montagna è quello di “selvaticità”, ma solo un camoscio potrebbe autorevolmente tenerli. Meglio quindi accontentarsi d’essere un semplice facilitatore di esperienze, senza troppo pensare alla corsa alla vetta, alla difficoltà e al piccolo primato personale.
In tal modo salire in alto può realmente contribuire a consolidare la conoscenza autentica e personale, non per la presenza della guida, che può liberamente trasformarsi in un invisibile custode, utile ad agevolare la sperimentazione e la saggezza in parete. Un approccio in fondo assai semplice, che permette di concentrarsi sul nostro prossimo passo, trovando un bilanciamento alla fretta, al rumore e magari a qualche dubbio e difficoltà del quotidiano.
Va ricordato che “la selvaticità (wilderness) è lo stato della completa consapevolezza” come scrive Dolores LaChapelle (citando il poeta, taglialegna e ranger del nord-ovest degli USA Gary Snyder) nel suo libro manifesto Polvere profonda, un riferimento irrinunciabile per chi scivola fuori-pista e più in generale per chi si muove in ambienti naturali dai pericoli non sempre noti e rischi difficilmente valutabili.
Perché quindi la “selvaticità” non è al primo posto nella lista dei pensieri e propositi della gran parte dei frequentatori della neve d’inverno? Perché non compare nei decaloghi “neve sicura”, pubblicità, safety camp, educational, safety app e tutto il resto?
La neve è un enigma, per cavalcarla bisogna provare a sentirla. Accedere a se stessi prima che alle tecniche, all’abilità motoria e alle tabelle di allenamento permette di riconoscere quale percorso di avvicinamento è più adatto ed idoneo a noi. In questo ambito i maestri d’alpinismo, inconsciamente assai ricchi nella loro “selvaticità”, potrebbero attingere a piene mani se solo riuscissero, almeno per un poco, a ridimensionare l’aspetto tecnico-materiale della faccenda.
Mi sento invece assai pronto per proporre il corso dal titolo: “Arte del camminare per gande” (le gande sono ammassi di pietre, termine usato in zona valtellinese, NdR). Camminare per gande è il miglior esercizio propedeutico per l’alpinismo. Provate a pensare a nuvole nere, aria satura d’umidità, muschi zuppi d’acqua. Un ammasso di blocchi di gneiss di ogni forma e dimensione ricopre l’intero versante, sono il risultato di un’antica paleofrana. Pioggia, foglie e i licheni colorati rendono la superficie dei massi incredibilmente scivolosa. Muoversi tra le pietre risveglia tutti i muscoli, richiede adattamenti immediati e continui, sensibilità, passo felpato e rapido, precisione, occhio. Siamo diventati tutti bravi a scalare, ma assai meno abili nel raggiungere le pareti. Destreggiarsi nel cammino tra macereti viscidi e instabili è il primo importante passo per iniziare a salire verso l’alto.
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Si celebra oggi la Giornata Mondiale della Natura Selvatica
Natura selvatica ?
Che forse il mondo, la gente, vada da altre parti, non da quelle qui ricercate ?
ok grazie Marcello. Domani innanzi tutto faccio riparare la fresa e poi dritto a Brunico in boulder.
Caro Dino, spalare la neve, come lo scialpinismo e l’arrampicata, prevede un minimo di allenamento proprio per prevenire il mal di schiena. Io a casa uso pala e fresa e facendo bouldering compenso il tutto. La fresa, con le dovute proporzioni, sta alla funivia come le pelli stanno alla gita scialpinistica. E la botte piena e la moglie ubriaca non durano. Mai!
Si si voi scrivete e parlate.
Io stamattina, visto che ieri e stanotte è nevicato e considerato che la fresa era rotta, ho seguito i consigli di Cominetti cioè ho spalato neve. Mi aspettavo brillanti risultati di “selvaticità” o di sensibilità nivologica. Per ora il risultato non è brillante: ho mal di schiena.
Morale: selvaticità:ok; conoscenza neve: ok. Però forse tutte le innovazioni non sono da scartare.
Che sollievo Matteo in questa giornata di pioggia e di contagio. Pensavo di dover andare in cantina a cercare le vecchie Clark che giacciono insieme all’eskimo nel baule dei ricordi. Ero poi arrivato all’idea di dare in beneficienza l’immane raccolta di scarpe da running, trail running, speed hiking, avvicinamento et alia e di ravanare sempre nello stesso baule alla ricerca dei vecchi Galibier in cuoio puri anni ‘70 anche per correre sulle gande ma Cominetti mi ha segato l’idea come peccaminosa. Non so più come fare a distinguermi da polli, cannibali, imbecilli e altri Untermenschen che tanta indignazione sollevano nel blog. Certo ci sarebbe la pratica molto di moda nel Medioevo dell’”imitazione di Cristo” camminando a piedi nudi sui sassi, ma come Rampik “si parva licet componere magnis” non me la sento proprio di aggiungere anche questa sofferenza al lungo elenco. Mi rendo conto che avrebbe un grande valore al momento del giudizio ma preferisco affrontare il rischio. Meglio l’uovo oggi che non la gallina domani. In ogni caso spero nella comprensione materna verso gli anziani della nuova generazione di guide donna🤪😇
l’ho sempre suggerito :
nel muoversi in montagna
guardate alle capre
prima che alle scimmie…
Non volevo suggerire l’uso delle clark in montagna (anche perché con quel che costano le originali…), né tantomeno consigliarlo per allievi o clienti. Una semplice boutade per rimarcare che se ti sai muovere, ti muovi anche con gli zoccoli, e in effetti mi è capitato anche questo.
Se quello che cerchi invece è la prestazione, allora i mezzi tecnici fanno la differenza, ma arrivano solo dopo.
Comunque tu Rampik con le clark ci fai stomaco peloso senza patemi!
Per una selvaticità moderna la Vibram ha inventato (su idea di persona esterna all’azienda) le Fivefingers. Certo che, in un mondo di escursionisti che pensano che le storte si prendono con le scarpe che non “bloccano la caviglia” (quando sento questa espressione mi vengono i brividi), ci siamo purtroppo ritrovati a vederle ai piedi di qualche ridicolo che fa lo shopping a Cortina o a Portofino. E sui sentieri la più parte usa “lo scarpone”, come se camminare fosse una pena da scontare.
@Matteo grazie delle tue impressioni. Sempre importante ed utile attingere ad esperienze dirette di chi testa la sua relazione con il terreno anche con tecnologia meno idonea a quell’uso. Riguardo al fango ed all’ambiente scivoloso e sfuggente potrei consigliarti l’uso dei ramponcini o delle catenelle, ce ne sono diversi in commercio, sono leggerissimi e non pregiudicano i tempi di percorrenza di tracce e sentieri, al massimo ritardi di 5/10 minuti sul raggiungimento dell’obiettivo. Io uso i nuovi grivel come ramponcini ed in questo strano inverno, per evitare l’incidente grave e finire in tribunale, li ho messi ai piedi di una comitiva di clienti per attraversare venti metri di ghiaccio in piano ma esposti durante una facile escursione. Senza di quelli avrei fatto fare dietrofront a tutto il gruppo. Ho provato invano a spiegare l’arrampicata in orizzontale a quattro zampe – unico sistema che poteva considerarsi quasi sicuro per attraversare quel pezzo – o a traslare meglio il peso nello spostamento degli arti, ma è chiaro che provenendo dalle passeggiate cittadine quel gruppo aveva poca capacità di stare in equilibrio in una situazione simile. Con i ramponcini ed un pezzo di corda la situazione si è risolta e siamo passati, con gioia dei clienti che per un attimo si sono sentiti un po’ Messner, per stare in tema un po’ più “selvatici” del loro vivere quotidiano.
Matteo ma tu sei sponsorizzato dalla Società Italiana di Ortopedia? Prendi una percentuale per ogni distorsione alla caviglia? E il Soccorso Alpino non ti fa pagare i danni? 🤪😊Mettiamola sul ridere all’inizio di questa settimana che si presenta complicata qui nel Lazzaretto.
Le Clark vanno benissimo sulle gande, usarle è come andare a piedi nudi senza ferirsi; il problema piuttosto è la tomaia che si taglia facile.
Vanno molto male invece sul fango e nel sottobosco ceduo umido.
Bella, l’immagine delle persone che occupano i loro corpi come dei perfetti estranei!
Grazie per questi ultimi commenti.
Si è tornati a parlare di dimensioni più intime.
L’essere selvatici prevede il non avere bisogno di certe comodità da molti ritenute indispensabili, l’essere da molti considerato un emarginato (caratteristica per me positiva), un disadattato (idem) e un incivile da quelli che ritengono l’usare il deodorante e/o il profumo una necessità da estendere al mondo intero. Costoro occupano il loro corpo come fossero degli estranei. Non lo conoscono, non sanno ascoltare i segnali che ci manda costantemente e occupano più spazio di quello necessario. Fateci caso. Ci sono persone che indipendentemente dalla loro taglia, hanno bisogno di molto più spazio di altre, perché non sanno muoversi in maniera sinuosa, non sanno farsi più piccoli se serve e quindi non capiscono quando è il caso di “allargarsi” o di “compattarsi”. Mi sono trovato migliaia di volte a una sosta in parete con amici, clienti e/o altre cordate. Laddove lo spazio è minimo e l’emozione è alta, si può vedere immediatamente quello che dicevo poco fa. Ma anche salendo in macchina, attraversando un uscio, mettendosi la giacca. Questi occupanti il loro corpo, quasi abusivamente, hanno avuto infanzie in cui sono stati allenati allo spreco di spazio, oggetti e valori, indipendentemente dalla condizione economica della loro famiglia, e tutto questo lo manifestano non appena si devono muovere su un terreno naturale che di solito gli è ostile perché nessuno l’ha preparato per come loro lo vorrebbero. Prima di imparare l’equilibrio sui sassi occorre auto-analizzarsi per scoprire cos’è che ci compromette l’equilibrio da dentro di noi stessi e poi semmai potremo andare sui sentieri e sulle morene. Diversamente faremo come il gregge di imbecilli (i cannibali sono quelli che si mangiano tra di loro, per quello non li chiamo così) che invade barcollando bastoncini e GPS alle mani, molti spazi naturali, frequentandoli da estranei. Per capire almeno cosa sia la selvaticità a quelli servirebbe un trapianto di cervello, per non essere esagerati.In gioventù ricordo che più volte mi è successo di essere attratto da una bella ragazza dalla quale subito dopo mi allontanavo (anche se ci stava) perché avvertivo in lei quel senso di inadeguatezza a stare fisicamente ovunque, di cui parlavo prima.Non l’ho mai dimenticato.
L’ho già accennato ma cerco di ripeterlo in modo estremamente sintetico. Nel mio piccolo sono o meglio sono stato, un formatore di montagna (non solo di scialpinismo) per circa 40 anni. Ho insegnato tecniche e procedure, per carità, ma collaterali e propedeutiche all’insegnamento della selvaticita’, cioè al sapersi muovere a proprio agio sul terreno naturale (montuoso nel nostro caso). Il terreno può essere una parete di VI grado come un semplice bosco, innevato o anche non innevato. Questo, il cosiddetto senso di Smilla per la neve, è quelli che mi piace dell’andare in montagna e in particolare del formare nuovi appassionati di montagna. La selvaticita’ è qualcosa di immateriale (come procedere, come leggere il terreno, come tracciare, come vestirsi, come e quando mangiare e bere, come fard lo zaino, ecc ecc ecc). Non è imparabile tramite un tutorial su youtube. Però la si può insegnare condividendo le gite. La mia esperienza 40ennale da istruttore mi conferma che è possibile insegnarla gomito a gomito (certo non in una gita sola, ma con attività sistematica condivisa per molto tempo). Sono convinto che questa resterebbe una cosa valida anche oggigiorno. Purtroppo non interessa più né gli istruttori di generazioni più giovani della mia, né gli allievi che “richiedono” know-how tecnico e sistematico, non immateriale. Questo modello non mi appassiona. L’altra domenica ho partecipato all’uscita di una delle scuole nei cui paraggi bazzico e ho osservato con attenzione i comportamenti durante l’esercitazione arva. Tutti eccitatissimi a muoversi correndo dietro ai bip bip delle macchinette. Sembravano personaggi di un video game. Nessuno invece che si sia incuriosito per il nome delle montagne circostanti o per capire come mai la traccia è stata fatta in un certo modo e non in un altro. Preciso che questo è il trend che condiziona tutto il mondo didattico attuale. A me non piace perché è la negazione della selvaticita’. Buona serata a tutti.
Argomento solo apparentemente banale, la selvaticita’ può regalare emozioni a non finire.Pur rispettando tutti i commenti (però alcuni proprio fuori luogo) vorrei sottolineare che l’ambiente selvatico può mostrarsi sotto altri aspetti, che per essere capito richiede anche sacrificio e dedizione. Ma c’è qualcuno che ancora sa’ avventurarsi in ambienti appartati, ostili, magari sulle tracce dei lupi? Qualcuno che per una volta decida di lasciare comodi sentieri, insidiose grande per avviarsi per giorni interi alla ricerca di qualcosa che assomigli ad una natura ancora incontaminata, intatta, selvatica? Bello l’aggancio a Gary Snyder che nel pregevole “i vagabondi del darma” di Kerouac, diventa Japhy Rider, montanaro e alpinista!
Un saluto a tutta la comunità.
Comi, essendo una guida ma anche un formatore, ha posto un problema che tu Paolo come educatore conosci bene probabilmente: è educabile il “Senso di Smila per la neve” ? Cioè sono educabili forme intuitive di elaborazione dell’informazione specifiche per un certo ambito, in questo caso montagna ma lo stesso discorso potrebbe valere per mare, cielo o anche aree della vita sociale? Lui risponde che in attesa di trovare una soluzione parte più basso, cercando di insegnare una componente più semplice come quella della propriocettivita’ su ganda lasciando aperto il tema generale della selvaticita’ . Da qui è poi partito il dibattito secondario su selvaticita’ e tecnologie (nello specifico le scarpe e i bastoncini) che riducono lo sviluppo dell’intuizione corporea. Il tema Born to run e correre a piedi scalzi in realtà si collega al tema originario: alcuni sostengono che si debbano recuperare alcuni aspetti della fisicità oggi poco sviluppati proprio facendo fare alle persone esperienze formative meno assistite dalla tecnologia come appunto il correre a piedi scalzi o usare scarpe minimaliste. Altri pensano che questo approccio minimalista dovrebbe essere applicato non solo a scopo formativo ma sempre, in base ad una visione e ad un sistema di valori relativi al modo giusto di muoversi in ambienti naturali. Sono temi abbastanza ricorrenti nel nostro dibattito che vengono fuori a prescindere dall’articolo che fa da input.
Però, forse, questo post avrebbe potuto dar vita a un dibattito diverso.
O sono io forse a mal interpretare… Mi ha reso perplesso il tono dello scritto e mi rendono perplessi i commenti.
Stavolta non sono proprio allineato al tipo di discorso che ne è nato. Me ne scuso.
Ciao Marcello, pardon, sicuramente mi sono espressa male: non intendevo dire che a correre scalzi ci si fa male tour court. Sicuramente ci si fa male se si corre lo si appoggiando in pieno il tallone e tutto il piede, postura che è purtroppo frutto dell’utilizzo delle scarpe super ammortizzate che rende quasi inerte il piede.
Per correre scalzi è importante poggiare la parte anteriore accompagnando il movimento con tutto il corpo, altrimenti si danneggiano talloni, tendini e schiena.
Ciao Paolo, io sento di superare i miei limiti proprio da quando ho reso minimale l’equipaggiamento. 🙂
E non bado a chi quando guarda con disprezzo le mie scarpe con la suola ridotta ai minimi termini, i pantaloni rammendati, la maglia di cotone. Purtroppo nel mio caso, siccome ho buoni risultati, sono guida, sono leggera e tutti mi vedono correre e camminare di qua e di là, il mio messaggio non ha presa. Mediamente le persone pensano che io corra forte e sia resistente proprio in virtù della mia attività e della leggerezza e che loro, che pesano il doppio e conducono una vita più sedentaria, hanno bisogno di proprio di quelle scarpe fatte così e cosà, di quello zaino, di quella maglia.
Apprezzare e difendere la “selvaticita’ non vuol dire essere luddisti. Le tecnologie, comprese le scarpe, ci hanno consentito di superare i nostri limiti e di vivere più a lungo e meglio. Visto che è tema contemporaneo, rinforzare il sistema immunitario è certamente un’arma molto efficace, ma siccome per ora non abbiamo un sistema forte come quello del pippistrello (vedi articolo di oggi su Totem e Tabù), se ti viene una polmonite interstiziale di devono intubare e attaccare ad una macchina e se non ci sono macchine a sufficienza la gente muore e se non ci sono farmaci per sedarti muori anche male. Quindi meglio avere tante macchine e speriamo trovino presto un vaccino. Se poi uno vuole combattere la polmonite con la selvaticita’ basta che lo scriva nel testamento biologico.
per Grazia: io uso le stesse tue scarpe, o altre di quella famiglia perché preferisco proteggermi, ma vedo che quelli forti sorridono un po’, ma me ne frego. Poi l’industria ovviamente ci marcia, ma bisogna pur vendere e far girare la giostra.
Grazia, al di là del grande piacere di interloquire finalmente con una delle rare donne che frequentano il blog, certe tue affermazioni sono un po’ ingenue. Caruso, il dolore ai piedi se si cammina scalzi, ecc… Ai più farà orrore, segno che la selvaticità e ben lungi dall’essere capita, ma camminare e correre scalzi su ogni tipo di terreno è quello per cui la natura ha creato il piede umano. I dolori di Rampikino quando cammina sulla spiaggia (conoscendolo mi sono piegato in due dal ridere), il pensare che una suola sia migliore di un’altra e soprattutto che sia indispensabile, sinceramente mi fanno pensare che il punto di partenza dal quale si fanno queste ovvie considerazioni, si trovi già troppo distante dal concetto di “selvaticità, cui ci si riferisce se “selvatici” lo si è almeno un po’, che il discuterne sia pressoché inutile. Guide alpine che consigliavano ai loro clienti di camminare scalzi sui Ghiaioni dolomitici (praticamente come farlo su delle lamette da barba), venivano presi per pazzi!! Ricordo di Marco Fanchini e Ivo Zardini, che nel loro apparente farneticare avevano però un’alta dose di innata selvaticità che veniva apprezzata da pochissimi. Segno che ai più interessa ottenere un risultato (arrivare in cima) indipendentemente dal percorso, anche spirituale, utilizzato. In pratica la selvaticità è tutto quello che l’essere umano sta cercando di evitare con tutte le sue (poche) forze residue.
Ci sono in commercio tanti tipi di calzature soprattutto perché un po’ di anni fa qualche casa si è inventata che per correre ci vogliono suole ammortizzate e via, tutti dietro a cambiar scarpette ogni tot chilometri, continuando ad allontanarsi dalla corretta postura (in “Born to run” si parla anche di questo).
Per i trail continuo a rimanere affezionata alle Ultra Raptor de La Sportiva, che se anche sono un po’ pesanti per il mio peso piuma, sono protettive per gli urti contro gli ostacoli.
Hai ragione Paolo, diventa sempre più difficile anche fare quello che prima lo era meno. L’anno scorso correndo in Corsica mi è costato caro uno sciocco impeto imitativo giovanilistico che mi ha portato ad usare delle scarpe alla Kilian Jornet sul terreno sbagliato senza avere i suoi tendini e il suo allenamento. Anche chi ha esperienza e appartiene alla penultima categoria di Strava (70 -75) commette stupidi errori. Siamo uomini ma rimaniamo a volte bambini (per fortuna). Però non si finisce mai di imparare, se si ha la giusta umiltà…”.until the end”
Da anni uso pedule leggere e basse per girovagare in montagna.
Quando scendo di corsa un ghiaione e i sassi urtano dolorosamente contro le mie caviglie talvolta ferendole mi chiedo sempre perché non uso scarponi leggeri.
Ma certe lunghe pareti si salgono anche con tre tipi diversi di scarpette e su certe vie di misto si va con la lima per tenere tutto ben affilato.
Essere capaci di scegliere diventa sempre più difficile se ciò che si vuol fare diventa sempre più difficile 🙂
Nel mondo del trail running la questione scarpa neutra e reattiva con drop bassi o scarpa ammortizzata con drop alti è controversa. Basta leggere le riviste. Oggi c’è una crescente tendenza a usare scarpe neutre e reattive, non per ragioni “ideologiche” ma per ragioni legate alla prestazione e alla velocità. Chi vuole andare forte sia in salita che in discesa tende a fare questa opzione. Si tratta di una scelta che ha i suoi rischi. Richiede una preparazione fisica adeguata e buone condizioni delle articolazioni, altrimenti sono guai. Ogni tanto vedo in giro tapascioni come me che viaggiano a velocità modeste con scarpe super aggressive da kilometro verticale magari su percorsi pieni di sassi e roccette appuntite e mi chiedo se abbiano fatto un abbonamento con il fisioterapista e non vi dico cosa ho visto facendo il volontario al Tor. Stesso discorso vale per l’uso (corretto ovviamente) dei bastoncini, soprattutto in discesa. Non a caso i produttori mettono in commercio entrambi i tipi di scarpe. Io penso che valga come sempre nelle scelte una valutazione equilibrata di tre fattori: la conoscenza realistica di se stessi, i propri obiettivi/sogni, le caratteristiche dei terreni. Bisogna considerare che basta poco a farsi male (senza pensare a cose gravi) e poi ci vogliono settimane di riposo, di esercizi e di frustrazioni per recuperare e riprendere. Quindi i principi e la volontà sono importanti ma anche un sano pragmatismo razionale, almeno così mi regolo io per cercare di durare nel tempo.
Correre scalzi o con i sandali senza cambiare l’appoggio del piede e la postura di tutto il corpo causa facilmente infortuni.
Vi invito a provare!
Portare l’attenzione sul materiale e sui metodi riduce la creatività.
Born to run di Christopher Mc Dougall, potrebbe chiarire le idee a molti su sensibilità, suole e calzature. Ciao Luca!
Più cammino e corro e più le mie calzature si fanno leggere e sottili, proprio per il desiderio di aumentare la propriocettività e il contatto con la natura senza l’interferenza di parti artificiali.
Correndo e camminando scalza (su strada corro anche con i sandali o con scarpette da pista), ho aumentato la mobilità del piede e riguadagnato la funzione importante dell’arco plantare, che si era quasi appiattito.
Più le scarpe son leggere, più il passo si fa attento scegliendo il punto giusto per mantenere l’equilibrio. Se poi ci aggiungiamo la sapienza delle matrici del metodo Caruso, è il massimo!
@Lorenzo, se però devo relazionarmi meglio con una ganda, di questo terreno si parla nel post, io ottengo il più alto scopo dell’equilibrio e della sicurezza solo con una grip o una stealth ai piedi, tecnologia evoluta delle suole che già 100 anni fa usavano i nostri avi selvatici. Con le clark, con i trampoli o a piedi nudi senza callo sarebbero solo bestemmie, questa è la (mia) verità.
Ogni terreno ha il suo movimento per essere sfruttato allo scopo dell’equilibrio, indipendentemente dal materiale di cui disponiamo. La verità è nella relazione non nelle parti.
L’evoluzione ( purtroppo per certi versi e per fortuna per altri ) ha portato l’essere umano ad essere meno selvatico e più sociale, aumentando le sue doti tecnologiche (demandando cioè alla tecnologia parte delle cose che faceva prima ) ma diminuendo quelle “sensoriali” legate alla natura. Più si vive ( dentro ) a contatto della natura più si riesce a riconquistare quella sorta di selvaticità che ci ha distinti prima dell’ultima evoluzione. Già i nostri padri e prima ancora i nostri nonni avevano molta più selvaticità perché vivevano inevitabilmente molto di più il ritmo delle stagioni.
Credo che per certe persone “non abituate” a vivere la natura di qualsiasi tipo basterebbe anche solo fare un bivacco all’aperto per diventare più sensoriali…
Con la tecnologia e l’attrezzatura odierna l’esperienza sensoriale potrà essere piacevole rispetto a quella dei nostri avi che per esempio scalavano con le vibram…
Sperando di portare un valido contributo alla discussione: la mia selvaticità é oltremodo aumentata – oltre che con doverosi anni di apprendimento – per merito della tecnologia che mi ha messo ai piedi scarpe da trekking gommate da arrampicata, con le quali posso saltare in sicurezza da un sasso all’altro di qualsiasi ganda granitica e calcarea, senza rischiare di ribaltarmi o scivolare all’indietro. Guardo meno i piedi perché so che tengono e guardo di più il panorama. Le ho regalate anche alla mia compagna e lei stessa è diventata più selvatica e ginnica, potendo ridurre i tempi di percorrenza di itinerari ultra-classici di escursionismo sassoso/placcoso come ad esempio il Sentiero Roma. Non ho potuto sperimentare il fascino di provare ad andare a piedi nudi perché mi è sempre mancato il callo sotto il piedi, anche in spiaggia faccio molta fatica a camminare scalzo sulle piccole conchiglie e su quei maledetti sassini di grana fine ma pungente. Risolto però il problema con gli attrezzi di cui sopra che da Guida Alpina consiglio a tutti i miei clienti. Buone camminate a tutti!
Sarebbe super fantastico se l’abilità di muoversi con destrezza tra le rocce, e più in generale in natura, corrispondesse al grado di selvaticità, ma non mi sembra sia così.
Non so se c’entri o meno, ma non riesco a trattenermi dal condividere un’esperienza di pochissimi minuti fa. Sono in montagna e sono andato a fare due passi con le pelli. Ho un mio Eden personale: è un triangolo boscoso innevato compreso fra le piste dj Sansicario da un lato e quelle di Sesteieres dall’altro. Sei a 500 m dalle piste, ma non vedi e non senti nessun essere umano, sei in un ambiente completamenti “selvatico”. Oggi poi il tempo è schifosetto: nuvole fitte e basse e ogni tanto nevischia. In quel boschetto sembrava di essere in Alaska. Neve vergine (spolverata di giovedi’), solo tracce di animali, lepri, caprioli, forse un cervo (ci sono). Nessun rumore umano. L’atmosfera ovattata. “Sentivo” con la pianta del piede la neve sotto gli sci. Ho fatto 600 m di dislivello (quindi uno schigo per i corridori dei giorno nostri), la discesa, causa pessima visibilità, era piuttosto deludente, eppure e’ stata un’esperienza sublime. Una vera immersione nella natura. Se mi fossi imbattuto in un lupo, non mi sarei sorpreso (magari spaventato si’). È questo che io vorrei tornare ad insegnare ai giovani che si avvicinano alla montagna. A fard maniacali esercitazioni con aggeggi elettronici non mi piace, non lo trovo in sintonia con la “selvaticita’. Muoversi in un bosco tecnicamente facile ma emotivamente molto coinvolgente: questo e’ sublime. A titolo personale io non scambierei l’esperienza di oggi (tecnicamente una “passeggiata”) neppure con una via di 9c in una falesia a bordo strada.
Io non credo si tratti di stupidità. È una condizione ormai dell’uomo vivere pienamente il suo mondo artefatto ed espanderlo. Ma l’artificio non è solo tecnologico: è culturale.
Il condizionamento culturale è molto difficile da erodere per mostrare una condizione naturale di approccio.
Ma non è stupidità.
Selvaticità, per me è la sensibilità al mondo naturale.
Stupidità, la mancanza di intelligenza, ha anche come conseguenza l’incapacità di uscire dal mondo artefatto costruito dall’uomo .
Sono in opposizione ?
Marcello sono totalmente d’accordo, senza aggiungere nulla.
Secondo me la selvaticità (dote fondamentale per muoversi nella natura d’ogni tipo) si acquisisce solo con la pratica e il tempo trascorso in ambiente selvaggio. Tra i Maestri d’Alpinismo o Guide Alpine ce ne sono di quelle che di selvaticità non hanno proprio nulla. Così come tra certi arrampicatori anche forti, che funzionano solo quando possono aggrapparsi con le mani a qualcosa. L’odierno uso dei bastoncini per camminare, rifacendomi all’esempio delle “gande” mobili, stabili e scivolose, ha poi ucciso anche la remota possibilità di sviluppo del normale equilibrio di bipedi, involvendoci (non a me) in quadrupedi nuovamente, ma pure barcollanti. Un disastro.Per conoscere la neve, poi, bisogna viverci sopra più giorni possibile. Se vivi anche vicino alla neve e ci vai ogni giorno, ma non vivi SULLA neve, non la conoscerai mai abbastanza per potertici muovere con una certa sicurezza. Non ci sono cazzi. Sarebbe un discorso lunghissimo, quello sulla neve, e non esauriente, ma per essere selvatici scrivendo qui, è troppo tardi.
Io abito in città, ma da piccolo ho avuto al fortuna (almeno per me) di vivere per qualche anno in un paesino di montagna. Anzi, a dire il vero, nemmeno in un paesino: casa nostra era tra le ultime abitazioni al termine della strada della valle, alle pendici del Monterosa: andare a giocare tra i sassi, più o meno in qualunque condizione meteo, era la norma. Da allora sono passati diversi decenni ma mi rendo conto che in quel periodo, forse anche grazie alla giovanissima età, ho acquisito una specie di ‘istinto motorio’ che ancora oggi mi permette di muovermi in relativa scioltezza su terreni difficili, rocciosi o innevati che siano. Ho il sospetto però che non sia qualcosa di insegnabile, non mi sembra che ci sia una tecnica di qualche tipo…o no?
Mi immedesimo molto nel contenuto del post. Chi mi segue (sia su questo blog che altrove) conosce il mio scetticismo verso la proliferazione di aggeggi tecnologici che ci “allontanano” dalla fruizione “animalesca” dell’ambiente naturale. Mio padre, che avvicinò la montagna negli anni ’20 e ’30 del ‘900, era completamente autodidatta: si impratichi’ con neve e sci sulle colline intorno a Torino (salgono fino a 700 m e allora erano copiosamente innevate). Ma nessuno gli insegnò comd curvare né come si impugnava una piccozza né come si procedeva con i ramponi. Eppure ha praticato alpinismo e scialpinismo per oltre 65 anni di seguito, senza esporsi mai a consistenti rischi. Perché l’approccio “artigianale” della praticaccia di montagna gli aveva fatto imparare, in modo inconscio, il senso animalesco di muoversi lassù. Cito l’esperienza di mio padre perché l’ho vista con i miei occhi, ma tutte quelle generazioni erano caratterizzate da questo risvolto. L’attuale pretesa di “imporre” una metodologia umana all’ambiente naturale allontana dalla confidenza con l’ambiente stesso, fa rimanere distaccati. Ci si può permettere ciò perché si interpone l’aggeggio tecnologico di turno (arva, gps, app varie) fra sé stessi e l’ambiente. Io lo considero un difetto e non un pregio dell’evoluzione tecnologica. Ciao!
Concordo! Anche se l’articolo mi lascia un po’ perplesso in senso buono. A chi si rivolge esattamente?
Lo chiedo perché io sono una specie di uomo “forastico” quando mi muovo in Natura, ho un non so che di animalesco.
Dovrei sentirmi vicino a questo articolo, invece lo sento terribilmente lontano, pur apprezzando.
Perché?