Semus fortes
di Mirko Giorgi
“Il mondo fa tutti a pezzi, e molti, anche se a pezzi, si rivelano forti (Ernest Hemingway)”.
Nella primavera del 2009, un gruppo di persone con disturbi psichiatrici parte per un’impegnativa escursione nel Supramonte di Baunei, 200 km più a nord, in Ogliastra. Partono da Villacidro, una cittadina pedemontana che si spalanca sulla piana del Campidano. Alle spalle del paese, sulle propaggini orientali del M.te Linas, si aprono ampie foreste di lecci e sughere. Siamo in un distretto del parco geominerario della Sardegna sud occidentale, e qui, a Villacidro, ha sede Andalas de Amistade Trekking, una associazione ben fatta: psichiatri, operatori sanitari, pazienti e loro familiari lavorano insieme per combattere quel penoso senso di solitudine e deprivazione che accompagna la sofferenza psichica, che distrugge la dignità personale, il rispetto di sé, la fiducia negli altri: “sono uno scarto, non c’è posto per me in questo mondo, voglio farla finita”. È un’escalation autodistruttiva che va fermata in tempo. È la ragion d’essere dell’associazione.
Sono dei lottatori, pretendono ascolto e alzano la voce, soprattutto con chi vorrebbe attaccarli alla tetta di Big Pharma e chiuderla lì. Con le loro iniziative di contrasto alla marginalità sociale (spesso dirompenti, cioè rompono i coglioni ai decisori), provano a incidere sulle politiche sanitarie locali, portano idee fresche e quando si sentono ignorati fanno quadrato. Per gli inerti e gli ottusi che si annidano nelle istituzioni sono una pietra d’inciampo. Ma col loro pungente protagonismo sfondano il tetto e mettono la testa fuori. Fanno accadere tante cose interessanti, e si tirano dietro un sacco di gente. Sono inclusivi per partito preso.
Organizzano convegni itineranti, mostre fotografiche e festosi meet-up nazionali sui temi della salute mentale, ripuliscono dall’immondizia spiagge e sentieri, producono documentari per lasciare delle impronte visibili, che durino nel tempo. Tracce di umanità e impegno civile, sotto strati di indifferenza. E vanno in montagna regolarmente, cercano una connessione profonda con la natura, una scossa benefica a rilascio lento, qualcosa di solido a cui aggrapparsi per risalire ancora un po’, per non scivolare di nuovo sul fondo.
Sono camminatori preparati e consapevoli, ma temo che a questo giro abbiano alzato un po’ troppo l’asticella: vogliono scendere nel canyon selvaggio di Su Orruargiu, un santuario naturale tanto incantevole da togliere il fiato, specie a chi fino a ieri disperava solo di chiudere la porta della cameretta, coricarsi e spegnere la luce. Forse per sempre. Diciamo pure che per costoro è un’esperienza sfidante, e passi se è una frase fatta.
Tre notti all’addiaccio, le prime due sul fondo della gola, l’ultima in spiaggia, a Cala Sisine. Con la sua intricata morfologia carsica, l’ammucchiata di falesie e i monumentali grottoni che spuntano un po’ ovunque, questo ritaglio di Supramonte racchiude innumerevoli e rustiche comfort zone, almeno per un climber in cerca di isolitudine, a maggior ragione per un fuggiasco che vuole fingersi morto. Se conosci il territorio qui non ti trova nessuno, nemmeno col drone ti beccano qui dentro. Si contano molti passaggi obbligati che conoscono in pochi, tante tracce che portano fuori strada, scarpate che non ti aspetti e scale di ginepro così ben inserite nella natura che nemmeno le noti. Devi averli frequentati per benino questi luoghi, se vuoi chiudere il cerchio in tempo per l’aperitivo.
Proprio per evitare attese spasmodiche e contrattempi fatali, il gruppo si affiderà a un pastore alpinista che risiede nei paraggi, a due passi dall’imbocco del sentiero, si chiama Giampietro Carta, baunese. Sarà lui a guidare il gregge di Andalas de Amistade nella lunga e complicata discesa a mare. Da diversi anni accompagna gruppi nel suo fazzoletto di terra incolta, ficcato tra il ventoso e ossuto altopiano e la costa precipite a Est. È nato qui, e qui è rimasto. Inutile dire che ne conosce ogni piega. Inoltre è un ottimo cuoco, suona la fisarmonica da Dio (ha fatto un mucchio di concerti in giro per l’isola) e se la porta sempre con sé. Quindi i dopo cena promettono bene, con canti e balli sardi. Mi sa tanto che anche le cene non deluderanno: tre pazienti-esperti, belli insanguati, hanno riempito gli zaini di maialetti, diversi tagli di capra, varie interiora di pecora, salsicce fatte in casa, pecorini stagionati e perette fila e fondi. I loro effetti personali sono stati distribuiti equamente nel gruppo. Ovviamente il peso che si caricano in groppa è commisurato alla stazza, alla diagnosi, e alle ore di volo di ognuno. È un compito molto delicato, di taglio sartoriale, che porta via un mucchio di tempo: se scazzi a prendere le misure rischi di stendere qualcuno dei tuoi, di ferirlo alla schiena. Ma è un gruppo temprato quello di Andalas, sono compagni di suola già da cinque anni, e il nuovo cimento è stato attentamente pianificato. Va detto che è una tappa importante di un progetto ancora più ambizioso, quello che li condurrà al campo base dell’Everest, l’anno prossimo.
La novità è che ci sono alcuni innesti nel team, nuovi esordienti nella serie A del trekking riabilitativo isolano. Sono in cinque e per i loro standard questa è una scampagnata acrobatica, un’asse d’equilibrio lunga una dozzina di km, ma sanno bene che i pazienti-esperti li marcheranno stretti, con un pressing tecnico e motivazionale di prim’ordine. Lo staff medico mi assicura che il gruppo è ampiamente abilitato a una presa in carico delle eventuali crisi into the wild. Vedremo. Speriamo davvero che reggano l’urto con il Supramonte di Baunei, in tanti si sono smarriti in queste scorbutiche pietraie, alcuni si sono anche fatti molto male, e non tutti erano dei malcapitati, nemmeno degli psicotici (pare).
Forse vi state chiedendo quali siano esattamente le responsabilità di un paziente-esperto: sa come aiutare un compagno in difficoltà, sa mettere al servizio del gruppo le esperienze accumulate negli anni. Il suo compito è assistere, vigilare, segnalare.
La cifra è quasi tonda, siamo in 31: una guida nativa, quindici pazienti, uno psichiatra, tre infermieri, due educatori, un tirocinante, due laureande, un familiare, due alpinisti, due filmaker e un giovane cane di nome Pedro, un bastardino che ci seguirebbe fino all’inferno, pur di condividere il barbecue serale con noi (è il cucciolotto di Gimmi Da Col, uno dei due alpinisti, l’altro è Sergio Soro). La nostra è una spedizione pesante: abbiamo i capi, i portatori, i cuochi, le cineprese e un efficiente ospedale da campo, mancano solo i visti del consolato e le nevi dell’Himalaya.
Non vedono l’ora di cominciare la rumba. I lunghi periodi di sedazione sembrano un pallido ricordo. I deliri soffocati nel pianto ormai acqua passata. È un’illusione ottica, lo so bene, ma per molti di loro è un po’ come rinascere. Ora sono impazienti di calarsi nella fossa e affrontare la bestia, quella di dentro, che li sta sbranando poco alla volta. È un giorno buono, mi dicono, oggi riusciranno a tenerla a bada, domani chissà.
Uno dei pazienti più giovani, che studia medicina all’università di Cagliari, osserva: “Ci accomuna un insorgenza parossistica di gioia mista a terrore del vuoto”. Sono ammirato. Un altro mi viene accanto e allarga le braccia ad abbracciare l’orizzonte: “Sembra di entrare al Jurassic Park, eppure siamo a soli 15 km dall’orientale sarda”, si chiama Efisio Porta, scopro che è uno dei pazienti-esperti, appassionato di musica e teatro. Poi indica la videocamera che tengo in mano: “Fate del cinema verità?”. Non faccio in tempo a rispondere che mi fa: “Come ti sembra l’ultimo dei Board of Canada, l’hai scaricato?” Notevole. Non ci siamo mai visti prima e mi ha già inquadrato. Credo proprio che a questo giro mi divertirò un sacco.
Ci addentreremo con ponderata flemma in una Sardegna ancestrale e scontrosa. Ecco un breve riepilogo degli stress test con cui dovranno scornarsi, chi più chi meno: (1) gli zaini si impigliano ovunque, calpesti sassi malfermi e lingue di ghiaie mosse: lividi, abrasioni, piccole contusioni, prontamente medicate; (2) l’acqua va razionata, anche le sigarette, Dio bono; (3) ci sono bruschi saliscendi che tagliano le gambe; (4) stretti cornicioni su cui gattonare legati come Hannibal Lecter; (5) macchinosi passamano di zaini, borsoni, graticole e Pedro, in tutto una decina; (6) passaggi antipatici che richiedono il pronto intervento di un mental coach che ti regge la pompa da sopra e un paziente-esperto che ti cura da sotto. Mi fermo qui, ma l’elenco potrebbe continuare. Un bel ingaggio per chi, tra le altre cose (spesso pessime), si inietta 150 ml di Haldol ogni mese.
Il dottore si chiama Alessandro Coni, originario di Ussassai, è di scuola Junghiana. I pazienti mi dicono che è uno psichiatra “sovversivo”, è diverso dagli altri, rischia di suo. Ne riconoscono l’autorità senza esserne intimiditi. Con lui cazzeggiano in libertà, ci fanno la lotta nei prati, ci pisciano insieme prima di infilarsi nel sacco a pelo. Lo ammirano perché ha avuto tanto coraggio e ne inventa sempre di nuove. Con l’aiuto di Luca Carcassi, un suo collega di San Sperate, vuole mettere in moto qualcosa di grosso e ne hanno un po’ paura. Spiega loro il ruolo delle minoranze attive, parla di lotta allo stigma, di cittadinanza attiva, li incoraggia a prendere in mano un microfono e a farsi largo nell’arena pubblica. Dicono che molti suoi colleghi lo guardano strano, non che siano dottori mediocri, tutt’altro, sono solo dottori. Dicono anche che ha un tocco speciale nel trasformare le chimere in sogni e i sogni in progetti. Lo rispettano anche quando gioca a fare il pazzo, gigioneggia con le pose da messia laico o va giù pesante con gli sfottò. Mescolato nel gruppo sembra uno dei tanti, forse neanche quello messo meglio. Quando si mette il camice, tutto torna.
Lasciamo l’ovile Carta 950 m, sull’altopiano di Margine, poco a monte di bacu Addas. Ci infiliamo in un boschetto di lecci secolari, poi scendiamo alla buona tra i massi levigati del greto secco, aggirando tronchi caduti e ramaglie spinose. La linea alta del cammino corre sul fianco destro della gola, unisce un complicato sistema di terrazze aeree. Gli affacci sul vallone roccioso sono superbi, ma anche leggermente ansiogeni, per la verticalità e l’isolamento. Nessuna facile scappatoia laterale. C’è solo un’uscita di sicurezza laggiù in fondo, ed è la spiaggia di Cala Sisine. Una righina luccicante che riesci a vedere solo se sai dove guardare. Non c’è anima viva nel raggio di chilometri. Un attimo prima che arrivassimo noi, nella macchia regnava il silenzio, ora è un coro di voci concitate, amplificate dall’eco: “… dai Max che ce la fai… tranquilla Ketty ci sono io… attento a non muovere sassi…spegni la sigaretta… dì a Enrico di aspettare… resisti ancora un po’… no, no, stai più alto… manda qui Ignazio con l’acqua… forza Giuli passami lo zaino… non guardare giù, guarda me”.
Sullo spallone ovest del Broad Peak non sono mai stato: credo che là sarei più tranquillo…
Formiamo una lunga serpentina di formichine guardinghe, siamo sempre sul chi va là, come se stessimo camminando su una sottilissima lastra di ghiaccio. I pazienti-esperti sono davvero bravi, accudenti e comunicativi. Il terreno è accidentato ma hanno buoni riflessi, sono incollati al loro “cliente”. Procediamo più che lentamente, con soste più che frequenti. Ogni tot passi qualcuno tira il freno di emergenza e ferma il convoglio, cerca una pietra poco appuntita dove sedersi, comincia a gingillarsi con una Camel che non può accendere e attacca bottone con il vicino. In coda c’è uno che apre lo zaino, estrae un grosso termos e una pila di bicchierini, in un istante si forma una fila ordinata. Qualcuno ha fame e scarta un panino, ne mangia la metà, poi arriva Pedro e si sa come va a finire. Questo trenino fa molte fermate, quindi abbiamo un sacco di tempo per conoscerci meglio, per curiosare nei dintorni e fare l’ennesimo partner check. Succede che Alessandro Dardani, che non conosce nessuno, dopo aver scambiato due parole a caso con chicchessia, va in confusione, a quel punto spegne la camera, si avvicina al mio orecchio e mi chiede se quello o quell’altro è un paziente o un operatore, se è matto o sano. Non sa più a chi appiccicare le etichette ed è stanco di pestare delle merde. Comincia a capire meglio le parole di Franco Basaglia: “Visto da vicino, nessuno è normale”.
Prendo da parte Alessandro Coni e gli chiedo di descrivermi i componenti dell’equipe:
“Ignazio Cossu è un trascinatore nato, è un pezzo d’uomo che sa di antico ma che pensa moderno. Fa da pilone centrale e da centrale termo-elettrica. È magnetico come il capo di un’orda, verace, passionale, uno scambiatore di calore che non si inceppa mai, nemmeno se lo prendi a martellate. Passa dal morbido al duro in un nano secondo, talvolta lo temi ,poi si fa amare perdutamente. Negli anni il suo mal di Supramonte si è aggravato, e questa per noi è una buona notizia.
Antonello Lixi è un hidden leader riflessivo, sempre centrato, credibile al pari di un indovino che ci prende 4 volte su 5. Non gli sfugge niente e se sgarri ti incantona. Che sia presente o assente è sempre sul pezzo, tu credi che non ci sia e invece c’è e ti sta facendo una biopsia. Nel gruppo funge da riduttore di ipocrisie e ambiguità, è il regista del backstage. Proprio perché ha l’occhio avanti e non si perde in chiacchere, dice cose che pesano tantissimo, e te le dice sempre davanti al muso.
Efisio Solinas è quel tipo che preghi sia di turno al 118, la notte che ti dovesse capitare qualcosa di brutto. È più affidabile di un Labrador, reattivo come un Border Collie. Ha uno humor formidabile, è una forza tranquilla su cui puoi sempre contare, specie quando sei nei casini. Ti convince che tutto si può aggiustare. Quando sale la maretta lui stempera e sgonfia. Riesce a metterti di buon umore anche se hai un attacco epilettico. Nei film di guerra americani è quello che corre allo scoperto per soccorrere il compagno agonizzante.
Sergio Soro è un pensionato nel corpo di un decatleta quarantenne ancora competitivo, affamato come un panchinaro del Real Madrid. Dagli anni sessanta gira il mondo a piedi e in bicicletta, ha fatto trekking in alta quota in tutti i continenti, è un habitué del triathlon e del trail running. È paziente e solare, professionale e discreto come un guardaspalle presidenziale. Risolve problemi grandi e piccoli, corre avanti e indietro lungo tutta la colonna, fa lo stesso sentiero dieci volte, è il nostro presidio tecnico”.
Sono questi quattro che hanno dato fuoco alle polveri. Sono stati loro a tirare dentro Alessandro Coni, che poi ha tirato dentro un suo collega psichiatra, Luca Carcassi (tirano di brutto, questi qua).
Mentre Gimmi e Sergio addomesticano con corde fisse le sezioni più scabrose di S’istrada longa, una lunga e spettacolare cengia, molto esposta, gli altri si intruppano sotto uno sperone di roccia, si infilano le imbragature e fanno il pieno di adrenalina. Cantano a squarciagola l’inno del gruppo, lo fanno sempre quando il gioco si fa peso. Si cercano con gli occhi, hanno facce assatanate, fiutano il pericolo: “E giraus tottu sa Sardigna senza timede sa zente maligna… (E giriamo tutta la Sardegna senza temere la gente maligna…)”
È una scena bellissima da filmare, ma mi tremano i polsi: se sbarelli qui dentro sono guai seri. Se un paziente ha un serio cedimento nella pancia del barranco il soccorso parte all’istante, ma può arrivare solo dai suoi compagni di viaggio. E quando ciò accade, si assiste (abbastanza sconvolti, soffocati dalla commozione), a un piccolo miracolo socio-psicosomatico. Ma c’è un vincolo che mi frena: “Tutto quello che succede nel gruppo rimane nel gruppo”. Posso solo dire che la carovana incagliata sul fondo del canyon si stringe delicatamente attorno al compagno in crisi e allestisce, in tutta calma, un cordone sanitario caloroso, avvolgente come una placenta, empatico al massimo grado:
“Ci siamo passati tutti, non ti devi vergognare. Urla pure quanto vuoi, urlalo alla montagna, oggi puoi scoprire fin dove può spingersi l’eco del tuo delirio, il fragore della tua disperazione. Qui nessuno ti giudica e nessuno verrà a prelevarti per portarti via. Se qualcuno oserà toccarti sarà solo perché vuole stringerti forte”.
Questo polifonico maternage nella sacralità della natura sprigiona forze potenti, estrae dal profondo nuove riserve di energia, innesca potenzialità insospettate. Questo trattamento sanitario fuori mano e fuori schema funziona sempre. Passata la buriana, la colonna si rimette in marcia. Un eco vigoroso rimbomba nella gola di Su Orruargiu: “Semus fortes e prenos d’energia e bincheus d’onzi maladia… Eeeehoo! Bincheus d’onzi maladia (Siamo forti e pieni di energia e sconfiggiamo ogni malattia… Eeeehoo! sconfiggiamo ogni malattia)”.
Quello che a una prima occhiata può apparire come un’ordalia medievale (camuffata da trekking) e a una seconda un gioco d’azzardo (spacciato per terapia), se ascolti con attenzione e inquadri i fatti senza paraocchi, passo dopo passo, scopri che questa esperienza comunitaria, in realtà è una preziosa alleata, nel percorso di cura, come nella vita: siamo sulla stessa barca e il mare si sta agitando, dobbiamo restare a contatto e non lasciare indietro nessuno. È il mondo alla rovescia? Per un narcisista patologico è sicuramente un calcio nelle palle, un’epifania dolorosa, forse correttiva. Sei stanco di essere uno stronzo che pensa solo a se stesso e schifa tutti gli altri? Fatti un giro con Andalas de Amistade, poi ne riparliamo.
Ma camminare insieme nella natura selvaggia del Supramonte non è solo una palestra di altruismo, è un lenitivo ad ampio spettro e insieme un prodigioso eccitante, contrasta la ruminazione ossessiva, scaccia le “formiche mentali”, stimola l’intelligenza motoria, scioglie ansie e inibizioni sociali, mette in pausa le voci. E, se hai culo, può persino sfociare in un risveglio esistenziale chiamato empowerment. Questo rassicurante bugiardino lo scrivono i pazienti stessi, che conoscono assai bene gli effetti degli psicofarmaci.
Come da programma, la seconda giornata si chiuse nel ciclopico grottone di Bacu Sa Ena, poco distante da una sorgente di acqua freschissima, a circa tre ore di cammino dalla spiaggia. Il regime securitario che aveva dominato nelle ore precedenti allentò la sua morsa. Ci arrivammo verso le due del pomeriggio, in tempo per una lunga e meritata pennichella, poi per fare acqua, massaggi ai piedi, medicare i feriti, raccattare legna, erbe medicinali e costruire un tavolo di pietre così grande da contenerci tutti. C’erano pazienti spaparanzati sotto un grande carrubo, sorridevano beati, ancora increduli, tanto sfatti da ignorare gli assalti giocosi di Pedro, altri parlavano e parlavano, ed erano comizi infervorati, confidenze e rivelazioni torrenziali. C’era chi chiedeva a gran voce di essere intervistato, chi preparava tanti caffè, chi insaporiva la carne, chi voleva solo dormire. Il fuoco venne accesso che ancora faceva giorno, c’era un pietrone che sembrava il banco del macellaio, un altro quello del salumiere. Pedro scodinzolava così forte che sembrava un decollo, io credevo che i cani fossero tutti felici allo stesso modo.
Mi sbagliavo. Di contro Gimmi era molto angosciato, aveva inutilmente tentato di arginare la valanga di cibo che pioveva sul suo cucciolone ad ogni ora del giorno, da ogni lato. Aveva provato in tutti i modi di spiegare ai sardi che Pedro non aveva il metabolismo dei suoi antenati di 60.000 anni fa, che seguiva una dieta controllata a base di crocchette diuretiche, che i suoi reni erano fragili. Aveva anche cercato di farli sentire in colpa, dicendo che questo andazzo poteva ucciderlo. Tempo perso.
Sul tardi formammo un grande cerchio al centro del grottone, ricordo che rimanemmo in silenzio a lungo, seduti spalla a spalla, in ascolto profondo. Sentivamo distintamente i nostri respiri, il crepitare del fuoco, il vento che soffiava alto sulla gola, qualche colpo di tosse ogni tanto, poi quando fummo a temperatura posammo lo sguardo su Alessandro Coni, che si alzò in piedi e disse due parole per aprire la terapia.
Quella sera arrostimmo tutta la carne che era rimasta e ne conservammo in abbondanza per il giorno dopo. Ignazio e Giampietro cantarono fino a tardi, davanti a un focolare ormai spento e a una distesa di materassini colorati. Sul fondo duro della caverna c’erano ossicini sparsi dappertutto.
Se per noi tutti fu un’esperienza memorabile, per Pedro fu un’esperienza irripetibile.
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Amore. Si chiama Amore con la maiuscola. Gesù ce lo ha insegnato 2000 anni fa e Gesù camminava come un matto per Giudea, Samaria, Galilea, Gaulanitide e nelle regioni di Tiro e Sidone. E nel camminare parlava con tutti e guariva tutti e poi mangiava con tutti, e solo di notte pregava in solitudine… Grazie per questo racconto di un cammino da seguaci inconsci di Gesù, il più grande medico e psicologo della Storia ( l’ unico cheha guarito tutti coloro che venivano da Lui…🌝🙏).
Quando ripenso a quei giorni sono certo di aver vissuto un’esperienza di un un’intensità estrema , nuova , indimenticabile. Ho fatto diversi viaggi ,avventurosi…a volte mi sono trovato in situazioni critiche ma nel Supramonte di Baunei…in quel canyon ho trovato una realtà, delle emozioni che ancora oggi ricreano nostalgia…per l’umanità che ho ho scoperto di quelle persone…per la bellezza che mi circondava..per il mistero che permeava il tutto….il tuo racconto Mirko meriterebbe di svilupparsi in un libro….bravo!!!
Quando il prendersi cura esce dagli schemi preimpostati e viene guidato dall’amore per l’altro, si riesce a realizzare l’inimmaginabile.
Bellissimo articolo! Avendo inoltre visto anche il documentario posso solo dire che tocca il cuore, un esempio di umanità, quella che nella psichiatria ma soprattutto in tutte le comunità non deve mai mancare! Complimenti
Molteplici ricordo spaziano o nella mia mente mentre leggo l’articolo…
Ricordo il giorno che Efisio Lello e Ignazio decisero di fare il primo trekking .. hanno sempre avuto tra di li loro una complicità con una gioia e una risata contagiosa ..
ho avuto il piacere e l’onore di partecipare a vari trekking.. esperienze uniche .. ragazzi pronti a risalire dal loro buio interiore con tanta forza .. loro regalano le loro esperienze a chi sa ascoltare..
La descrizione degli artefici devo dire che rispecchia molto bene le loro personalità.. persone uniche che hanno avuto passione e amore per il loro lavoro e per tutti quelli che hanno incontrato nelle varie esperienze.
Non potrò mai dimenticare Ignazio.
“Se aiuti gli altri verrai aiutato.Forse domani, forse tra un centinaio d’anni ,ma verrai aiutato.La natura deve pagare il debito.E’ una legge matematica e tutta la vita è matematica.
G.i.Gurdjieff
Grazie! Isola dal grande cuore…
Complimenti a tutti quelli che hanno contribuito a scrivere quest’articolo ma soprattutto a chi ha portato avanti questo progetto.io non ho avuto occasione di partecipare ma ogni volta che veniva organizzata una vostra uscita ero super informata dal mio collega Efisio ed era un po’ come se anch’io fossi presente con voi.
Che bella esperienza deve essere stata! Spero ci sia anche in futuro la possibilità di far vivere un’esperienza così intensa a tante più persone possibili…
Quando non è più lavoro, quando non è più terapia, allora diventa passione diventa vita diventa cura.
Nel giugno 2022 ho avuto l’opportunità di partecipare a un tracking a cala sisine con “Sentieri di libertà” , è stata una esperienza unica ed emozionante , ho conosciuto persone bellissime, “guarenti”, organizzatori, medici, e infermieri e semplici accompagnatori, tutti per tutti. Un plauso all articolo di Mirko. Marina Cancedda
L’articolo lascia trasparire l’importante ruolo svolta dalla comunità nei percorsi di guarigione. Camminando in gruppo, in connessione con la natura, il sentiero di montagna diventa un sentiero di libertà.
Non solo un progetto innovativo volto a ridefinire i confini della psichiatria ma una vera e propria presa di posizione, culturale, sociale e politica, che si rifiuta di relegare e isolare i pazienti, riuscendo a liberarli dalla solitudine.
È una bellissima avventura che rappresenta un punto di conoscenza e di confronto per ciascuno di noi. Grazie!!!!
In questo articolo la forza delle parole veicola la potenza dell esperienza fatta dal gruppo. Sono semi gettati in una terra che ha tanto bisogno di rigermogliare. Per sopravvivere dentro la psichiatria (da medici o da pazienti) dobbiamo stare a contatto con la nostra umanita! Questa esperienza in controtendenza ne è un esempio.
Semus fortes!!
Un articolo che mi ha riportato alla mente tanti ricordi. Da subito ho capito quanto sia potente camminare insieme. L’ energia che si sente deriva non tanto dal raggiungimento della meta ma da quello che accade durante il cammino. Da quel momento la condivisione diventa il cuore pulsante di questa esperienza. Appiana fatiche, difficoltà, ostacoli e contrasti. Un esperienza in cui riscopri l’ importanza del “Noi” e di come questo diventi la prima cura per la malattia mentale. Quanto il “Noi” ci aiuti a affrontare quelle sfide che spesso il cammino, la vita ci presentano. Un esperienza che ci ricorda, nell’ era dell’ individualismo, quanto, al contrario, siamo esseri interdipendenti. Ringrazio a nome mio e dei ragazzi Alessandro Coni e tutto il gruppo Andalas per averci dato questa incredibile opportunità di crescita personale e professionale. Un pensiero d’affetto al caro Ignazio.
Ho conosciuto questi ragazzi nel 2008 a Riva del Garda, il primo convegno di Montagna terapia, di strada ne hanno fatta tantissima. Ignazio è stato un capo cordata unico, per tutti un amico. Aver condiviso con il gruppo sardo emozioni, sentieri e stelle è stato uno dei momenti migliori, per chi ama la montagna. Anche se ci divide il mare, le stelle appunto uniscono tutti, sogni ed emozioni. Viva la Montagna vera e pura, senza fronzoli e senza “ostacoli”!
Quando, ormai diversi anni fa, Alessandro Coni, Medico Psichiatra della Asl di Sanluri, venne a parlarmi del progetto ” Sentieri di libertà “, da Sindaco di Villacidro, accolsi con entusiasmo e grande fiducia l’idea che la montagnaterapia potesse rappresentare un’opportunità per aiutare le persone affette da patologie psichiatriche, per superare la condizione incompleto isolamento in cui vivevano i ragazzi e le loro famiglie, lavorando sui pregiudizi e sullo stigma.
Ricordo i timori iniziali dei ragazzi e delle famiglie, timori che gradualmente sono andati via via diminuendo per lasciare spazio all’interesse e all’entusiasmo contagioso, consentendo a tutti di trovare la forza di esprimersi, fino a trovare nel tempo un legame profondo fra loro e con gli altri.
Oggi i ragazzi di ” Andalas de Amnistade” organizzano i trekking autonomamente, dimostrando di aver acquisito un’indipendenza che qualche hanno fa era inimmaginabile potessero acquisire, facendoli uscire dall’isolamento nel quale erano prigionieri.
Tutto ciò grazie Alessandro Coni che con coraggio ha dato il la’ in Sardegna, proponendo progetti innovativi, sndando anche controcorrente, convinto che la montagna rappresenti una concreta possibilità di cura.
C’è senz’altro ancora tanto lavoro da fare, ma oggi possiamo dire che grazie a chi ci ha creduto, medici, operatori, famiglie, volontari, si dmsono fatti importanti passi in avanti.
Questa la la giusta direzione nella quale bisogna continuare, sfidando le resistenze che purtroppo ancora continuano ad esserci, anche da parte delle istituzioni sanitarie, che dovrebbero supportare quei progetti.
Un caro saluto a tutti
Quando la passione e la professionalità si incontrano possono essere realizzate Esperienze che lasciano il segno del cambiamento nelle vite di chi vi partecipa e aprono una breccia nella Speranza, prima sepolta dalla sofferenza.
L’approccio alla malattia psichiatrica e al disagio mentale dovrebbe sempre partire dalle potenzialità del paziente nel poter guarire o per lo meno nel raggiungere uno stato che rende la vita degna di essere vissuta. Invece spesso accade che il primo passo è imbottire i pazienti di psicofarmaci da renderli degli automi sicuramente più gestibili dai care giver e dalla società, ma privati quasi totalmente delle emozioni e quindi privati della possibilità di vivere. Il Dott Coni e tutto il suo entourage hanno mostrato intuito, coraggio, tanto, e sopratutto hanno dimostrato che l’inclusione, il rafforzare l’autostima e mettersi in gioco può avere molta ma molta più potenza di uno psicofarmaco. Queste iniziative che vanno ben oltre il normale impegno quotidiano di tutti i partecipanti, andrebbero potenziate e sostenute. Tanto plauso e ammirazione ad Alessandro Coni e a tutti quelli che hanno dato vita a questo meraviglioso progetto
Complimenti per la vostra visione innovativa della sofferenza psichica. Spero che passo dopo passo possa presto diventare la normalità questo modo di far psichiatria.
Commovente e bellissimo ❤️
Bravissimi, il nostro lavoro è credere che sia per tutti possibile un cambiamento.
Un progetto riabilitativo, sociale e politico raccontato politicamente da un uomo straordinario.
Grazie, articolo molto bello. Il racconto e le foto di tante persone che stimo – descritte davvero bene – e che considero amiche. Grazie sopratutto per il ricordo di Ignazio “un pezzo d’uomo che sa di antico” e io aggiungo “eterno”
Visto da vicino, nessuno è normale. Avvicinarsi. Con professionalità e capacità di costruire “comunità normali” inclusive e più felici, per tutti quanti, ognuno nella sua normalità, ma insieme. Lunga vita a questi progetti e queste vite nuove.
Ciao è sempre bello mandare avanti questi progetti sempre “semus fortes”
Se non si comprende il valore terapeutico della riabilitazione sociale e che terapia e riablitazione fanno parte dello stesso sistema si continuerà a rinforzare la ghetizzazione del disturbo psichiatrico.
@ Giuliana
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Il sistema dell’assistenza psichiatrica e’ devastato in tutta italia , pero’ credo che serva fare i conti con i soldi che si hanno in tasca.
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Mi e’ capitato di vedere gli sforzi di persone o famiglie che devono convivere con un malato psichiatrico o con la piu’ diffusa demenza senile , e li tocchi con mano la disperazione , perche’ la nostra sensibilita’ verso queste sofferenze e’ aumentata , ma siamo ben lontani dall’avere raggiunto un livello decente.
Questa dovrebbe essere la psichiatria. Inclusione, amicizia, condivisione….e un pizzico di follia ! Oggi in Sardegna il sistema psichiatrico è devastato, ma il ricordo di queste esperienze Basagliane mi fa ancora sperare. Siamo tanti a volere il cambiamento, speriamo di farcela. E di dimostrare un’altra volta che “l’impossibile può diventare possibile “.
Quando raggiungi l’epica non hai più bisogno di nulla…
Esperienza straordinaria quella di Andalas. Ringrazierò sempre Alessandro Coni, e tutto il gruppo di Andalas, per le giornate di Sentieri di Libertà, un’iniziativa unica e estremamente significativa, sul piano professionale e soprattutto di amicizie e relazioni. Un ricordo particolare per Ignazio Cossu.
Bella descrizione. Un affettuoso pensiero a Ignazio, ho molto apprezzato la descrizione dei luoghi e dell’esperienza. un caro saluto
La visione di una sanità moderna di riscontra in queste esperienze che mettono davvero al centro dei processi gli utenti con disturbi mentali che si tengono per mano in in attività tanto semplice quanto efficace come il camminare. Ringrazio Alessandro Coni per il suo forte spirito di iniziativa e il suo essere Visionario per una sanità che prende in carico sia i bisogni di salute che i bisogni sociali. 🤩🙏🏻
Bellissimo, commovente. Diamoci tutti da fare per dare un senso al nostro lavoro.
Ho avuto la fortuna di conoscere questo meraviglioso gruppo di eroi illuminati e di partecipare a un cammino in montagna con loro. Un’ esperienza intensa di comunità attiva e solidale che fronteggia con dignità il susseguirsi di discese, orridi e alte vette che la vita offre a tutti. Ancora oggi da quell’ esperienza traggo ispirazione nei momenti difficili della mia vita e per questo sarò sempre grata.
Gimmi, Giampietro, che bei ricordi, che bei posti e che bel resoconto. Grazie.
Da’ molto coraggio sapere che qualcun altro, da qualche parte, va avanti nonostante sappia di essere contro corrente e che qualcuno abbia pure la fortuna di ritrovarsi al suo fianco o lungo lo stesso cammino.
Complimenti per le attività e per la forza trasmessa.
FANTASTICO LEGGERE QUESTO RACCONTO ARTICOLO.. CHISSÀ UN BEL VIDEO PER DOCUMENTARE IL BELLO DEI LUOGHI, MA SOPRATTUTTO IL BELLO DELLE PERSONE CHE HANNO PARTECIPATO ….SEMUS FORTES… COMPLIMENTI
Mirko, pensavo che con la telecamera avessi descritto tutto di questa storia. Invece solo in questo racconto si sente il grido del falco echeggiare a Bacu Sa Ena
Grazie Mirko ,questo racconto ha risvegliato in me tanti ricordi di questi anni vissuti a stretto contatto con i ragazzi. Tanta emozione grazie ( Semus Fortes )
Conoscendo i luoghi descritti nel racconto e molte delle persone che hanno ideato e messo in atto quell’evento non posso che esprimere ammirazione e plauso per il grande impegno profuso e per la temerarietà (ben ripagata dai risultati ottenuti) nell’affrontare certi percorsi.
Il tutto sfidando vecchi preconcetti riguardanti i disagi sociali di quelle persone considerate inguaribili e come tali scarti della società.
Bravo Mirko ad aver messo in risalto l’opera di quelli “scriteriati” pronti a sfidare le regole che la consuetudine avrebbe imposto.
Un augurio a quelli che stanno continuando l’impresa e un pensiero a quelli che hanno partecipato e non sono più tra noi.
Articolo breve e incompleto, la storia e altro ancora e un’ altra…lasciamo al futuro quello che non non sì può fare più , Efisio ma c’era il gard rail ?
Il racconto è così tanto vivido e coinvolgente che in spirito e cuore sono stata con tutti voi.
Grazie. Vi abbraccio
Ho avuto modo di prendere parte ad una loro escursione e la cosa che mi ha colpito maggiormente è stata la felicità dei pazienti. Ho potuto constatare personalmente l’enorme mole di lavoro svolto dagli operatori per far si che questi ragazzi vivano una bellissima esperienza. Bisogna continuare su questa strada. “Semus fortes”
Sono in macchina e ho accostato, mi sono fermato per leggere l’articolo.Devo dire un misto di ricordi e mille emozioni.Sono ripartito con un po’ di lacrime.Grazie Mirko.Complimenti, bel racconto di una bella storia vissuta.Grazie ancora.
Sicuramente leggero’ il libro un esempio di come va’affrontata la malattia mentale.
Donarsi agli altri ai piu’ sfortunati oltre che fare del bene accresce in nostro essere.
Tanta ammirazione.
Tanta.
Per chi l’ha pensata, per chi ha avuto il coraggio di proporla e portarla avanti, per chi si è prestato ad aiutare.
Ma sopratutto per la voglia di mettersi in gioco e di combattere il disagio e la fatica dei pazienti.
Un abbraccio a tutti!
Fantastico esempio di come uomini illuminati e la magia del Supramonte possano dare vita ai miracoli
Ho grande fiducia , in una malattia difficile e sfuggente come quella psischiatrica , in queste forme non convenzionali di terapia e nella pet teraphy , che parlano una “lingua” diversa e a volte piu’ potente di quella convenzionale aggirando a volte blocchi insormontabili.
Bello da leggere per lo stile accattivante in cui è scritto e da apprezzare in modo totale l’esperienza costruita con un impegno e una determinazione difficile da immaginare. Hanno fatto qualcosa di grande. Lo dico a ragion veduta, avendo fatto esperienza di volontariato per sette anni in una associazione che fa praticare sport a persone con disabilità, in maggioranza, intellettivo-relazionale.
Alessandro Coni chiama quelli che nell’articolo vengono definiti pazienti GUARENTI
che nen spiega il suo approccio terapeutico
Bello !