Si fa presto a dire PD
di Andrea Parodi
(già pubblicato su Rivista della Sezione Ligure del CAI, n. 2-2016)
Non è vero che l’alpinismo medio non esiste più, come aveva scritto qualcuno tempo fa sulla Rivista del CAI centrale. Certo, qualcosa è cambiato: una volta il limite massimo era il sesto grado, adesso i migliori sono arrivati al dodicesimo… È logico quindi che le vie di sesto, debitamente attrezzate con spit, oggi siano percorse dagli alpinisti medi. Tuttavia anche le classiche di terzo e quarto grado e le normali di molte cime sono ancora frequentate, alcune più che nel passato. Forse ciò che oggi si trova di meno rispetto a prima è lo spirito di avventura, l’accettazione del rischio che la montagna comporta. Gli spit hanno fatto la loro comparsa anche su vie che cent’anni fa erano state aperte senza chiodi (vedi la storica via De Cessole al Corno Stella); per gli stessi, dichiarati “motivi di sicurezza”, molte vie normali (ad esempio sul Corborant, su Rocca la Meja, sulla Cima sud dell’Argentera) sono state attrezzate nei punti più ostici con cavi e catene.
Oggi le relazioni degli itinerari alpinistici si trovano su internet, addirittura aggiornate in tempo reale come sul noto portale www.gulliver.it. Certo, su internet si trovano solo le relazioni delle vie più gettonate, più alla moda: c’è tutto un mondo di vie, specie quelle di secondo e terzo grado, che, quello sì, è caduto nell’oblio. Pochissimi al giorno d’oggi osano spingersi sui cosiddetti ‘terreni d’avventura’. Invece, secondo me, è proprio l’avventura il più grande fascino della montagna: il rischio controllato, ma non dagli spit e dalle catene, al contrario dalla preparazione e dall’umiltà, dal “senso della montagna” che si impara con anni di frequentazione, cominciando umilmente dal primo grado, anche se magari in palestra facciamo il 6b.
Per avventurarsi fuori dalle vie consuete, per ripercorrere le tracce dei pionieri, raramente internet può esserci di aiuto, e allora, ancora oggi, dobbiamo ricorrere alla cara, vecchia Guida dei Monti d’Italia, vero e proprio ‘elenco telefonico’ delle scalate su tutte le cime delle Alpi e dell’Appennino. Guida che, in omaggio al mutare dei tempi e all’imperversare disordinato di vie a spit e relazioni su internet, è stata da qualche anno dismessa da CAI e Touring Club Italiano (TCI) che ne erano gli editori.
La gloriosa collana fu realizzata nel corso di parecchi decenni, grazie al lavoro certosino di numerosi autori, alpinisti più o meno noti, che dedicarono anni di accurate ricerche a ogni singolo volume. Tuttavia sarebbe stato umanamente impossibile, anche per gli alpinisti più incalliti, ripetere tutte le vie di un settore alpino. Perciò, negli storici volumi della “Guida Monti” si trovano spesso relazioni riportate da vecchie riviste o dai libri dei rifugi, a volte troppo sintetiche, troppo imprecise, a volte interpretate male. Ulteriore confusione si creò quando, dalla redazione centrale, giunsero le direttive di dare comunque a ogni via una valutazione d’insieme: F, PD, AD, D, TD, ED… Inevitabilmente molte valutazioni sono state date a occhio, specie per le vie mai ripetute, basandosi magari sul tono della descrizione, sull’epoca della prima salita, sul nome più o meno noto dello scalatore che aveva aperto la via.
Nel corso delle mie peregrinazioni nelle ‘Alpi del sole’, la maggior parte degli errori di valutazione li ho riscontrati su itinerari classificati PD (poco difficile): è il grado che sta in mezzo tra l’escursionismo ‘estremo’ e l’alpinismo classico; una vera e propria ‘terra di nessuno’.
Nel corso di quarant’anni di alpinismo, spinto dalla curiosità, dal fascino della linea, dall’alone di mistero che aleggiava su certe creste, pareti o canaloni, mi sono avventurato numerose volte su vecchie vie classificate giustappunto PD nelle guide, incontrando le situazioni più svariate: ho salito dei presunti PD dove quasi si camminava (vedi ad esempio la via normale al Claus dove le modeste difficoltà si concentrano in un breve e gradinato canalino) ed altri dove invece ci si doveva inerpicare per creste e pareti assai esposte, come la cresta della Cima nord-ovest del Malinvern (poco lontana dal citato Claus): l’avevo affrontata da solo senza corda pensando ad una facile sequenza di rocce gradinate, e invece già la crestina iniziale si rivelò assai aerea con qualche passo delicato. A metà via mi trovai di fronte un traverso assai esposto e feci dietrofront, con un po’ di tensione nella discesa per l’aerea crestina. Ci sono poi ritornato in cordata con un amico: niente di estremo, per carità: solo alcuni passaggi esposti di III e III+. Comunque nel libro Nelle Alpi del Sole l’ho poi valutata AD-… e non è una differenza da poco: conosco gente che sale tranquillamente sul PD anche senza corda, ma non si avventurerebbe mai su un AD da capocordata.
Una delle avventure più notevoli mi è capitata sul canale nord-ovest alla cima Paganini, anche quello valutato PD: ci siamo andati in tre, alla fine di maggio di qualche anno fa. Avevamo due corde, qualche fettuccia, moschettoni, ramponi e una piccozza a testa: pensavamo a una tranquilla salita su neve con uscita su una cresta di secondo grado. E invece… Dopo il primo tratto a 35-40° il canale si stringeva e diventava assai ripido, fino a un masso incastrato: secondo la guida bisognava passare sotto il masso. Ma c’era troppa neve, impossibile passarci sotto e… neppure sopra: il masso strapiombava. L’unica via, assai ardua, era sulla sinistra, per una placca inclinata coperta in gran parte da un sottilissimo strato di ghiaccio. Per fortuna il masso formava una specie di clessidra che permetteva un’ottima assicurazione su una fettuccia: così ho recuperato con la corda una seconda piccozza da uno dei compagni e ho affrontato il delicatissimo passaggio in dry tooling (direi almeno M4). Il secondo di cordata, recuperata la piccozza, aveva ancora un poco di ghiaccio a disposizione; il terzo ha grattato paurosamente con i ramponi sulla roccia oramai totalmente scoperta, aiutato da noi con la corda. Sopra, tanto per gradire, c’era ancora un tiro su ghiaccio colato a più di 50 gradi (suppongo che i primi scalatori del canale lo avessero trovato di roccia) poi la cresta molto bella, aerea, di terzo grado almeno. Insomma una bellissima scalata, ma non certo PD…
Morale? Non fidarsi mai della ormai desueta Guida Monti? Ripetere solo le vie recensite di recente su Gulliver? In realtà anche su Gulliver, e su internet in generale, si trovano a volte valutazioni dubbie e indicazioni fuorvianti. Mi è capitato ad esempio ripetendo la classica via Cavalieri-Mellano-Perego al Becco di Valsoera: la relazione diceva di evitare assolutamente un evidente e bellissimo diedro (che poi da ricerche successive ho scoperto essere la via più logica valutata 5c) e ci ha mandato invece a destra su una fessura di 6b mal protetta e punitiva…
Credo che l’importante sia accettare che il rischio in montagna esiste comunque. Come dicevo all’inizio, l’essenziale per uscirne vivi (salvo fatalità che per altro possono capitare anche stando a casa: il posto più pericoloso del mondo è il letto; pensate quanta gente ogni giorno muore in un letto…), è la preparazione per gradi, l’umiltà, imparare a conoscere la montagna. Con un po’ di esperienza e prudenza si può entrare in un mondo fantastico, non sono indispensabili grandi doti tecniche, trazioni alla sbarra e serate appesi a testa in giù su appigli artificiali. Ci sono, anche solo nelle Alpi Marittime, nelle Liguri, nelle Cozie meridionali, centinaia, forse migliaia di creste, canaloni, cenge, pareti che possono offrire facili scalate con un pizzico di avventura… E se la guida dice PD, è sufficiente che, per sicurezza, noi sappiamo salire (e scendere) anche sul terzo e magari sul quarto grado…
Ve ne racconto ancora una, bellissima, un viaggio fantastico su una cresta lunga più di tre chilometri, classificabile direi PD+. Si tratta delle Cime di Valrossa, poco visitate, al confine tra la valle Gesso e la valle Stura. Era un sogno che avevo da anni nel cassetto: fare la traversata integrale per cresta di tutte le vette del gruppo (tre principali più varie cime secondarie), forse mai effettuata per intero da nessuno. Sogno che ho realizzato a fine settembre 2011 grazie alla complicità del mio amico Giorgio, alpinista di grande esperienza e passione. L’abbiamo percorsa tutta con gli scarponi e in gran parte slegati, con entusiasmante arrampicata, alternando tratti facili a passaggi assai aerei con difficoltà fino al III+. Pur procedendo quasi sempre senza corda e piuttosto velocemente, abbiamo impiegato otto ore dal Colletto di Valscura al Colle nord di Valrossa. E, per finire in gloria, il ritorno all’automobile è avvenuto in gran parte al buio, con guado avventuroso del rio Freddo alla luce incerta delle frontali.
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L’evoluzione del PD
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Gino Buscaini fu l’indimenticabile coordinatore della Guida dei Monti d’Italia dal 1968 fino alla morte e ne compilò numerosi volumi, uno migliore dell’altro.
Nel 1970-1971 uscirono le sue due guide dedicate alle Alpi Pennine, in cui la via normale svizzera del Cervino (cresta dell’Hörnli) è classificata PD.
Successivamente vide la luce (1984) quella dedicata al gruppo dell’Ortles-Cevedale, in cui la via normale del Gran Zebrú figura anch’essa PD, pur risultando di impegno nettamente inferiore alla precedente.
Passano gli anni e nel 1991 esce la guida del Monte Rosa. Qui si legge che la via normale del Lyskamm Occidentale (cresta SO) è PD.
Infine nel 1994 abbiamo la guida Monte Bianco vol. 1°, dove la via normale dai Grands Mulets alla vetta piú alta delle Alpi è valutata PD.
Abbiamo quindi quattro itinerari di alta montagna – vie normali ben note – che a mio avviso sono in ordine decrescente di difficoltà (certamente il Cervino è molto piú impegnativo del Monte Bianco), però tutti classificati PD.
…
Come si vede, una stessa persona – per di piú alpinista di grande esperienza e compilatore di guide esemplari – con il trascorrere degli anni ha variato il suo metro di giudizio, all’inizio molto severo e poi via via sempre di meno. Io mi sono formato sulle sue guide delle Alpi Pennine e tuttora considero il livello PD degno di tutto rispetto. Ritengo comunque che nel caso del Cervino il buon Buscaini sia stato davvero troppo severo e che la via dovrebbe essere classificata AD-.
…
Ho notato inoltre che, con il tempo, nel mondo alpinistico questa severità di giudizio si è in parte attenuata, al pari di quanto è successo allo stesso Buscaini. Oggi leggo di molti itinerari classificati PD che io mi ostino a valutare F/F+ sulla base di quanto imparai sulle guide delle Alpi Pennine di cui ho detto.
Insomma, il metro di giudizio è differente da una persona all’altra e ciò potrebbe causare equivoci, errori e incomprensioni (ovvero incidenti), in particolare su un livello che, pur trovandosi nella fascia inferiore della scala francese delle difficoltà, è comunque riferito a un alpinista (e non a un giocatore di bocce).
Idem per il livello F, che oggi pare accessibile anche ai semplici escursionisti, mentre in realtà cosí non dovrebbe essere.
Inoltre non ho mai capito perché i gradi F-, F+ e PD- siano sempre stati usati pochissimo.
…
Infine, ultimo ma non meno importante, ricordo che la scala delle difficoltà fu ideata per evitare che un alpinista vada a impelagarsi in ascensioni al di sopra delle proprie possibilità, cioè per ridurre il rischio. Non per creare graduatorie tra alpinisti.
Sì, interessante e molto condivisibile il contenuto dell’articolo da cui emerge il senso dell’alpinismo, al di là delle difficoltà e dalla logica prestazionale.
Bell’articolo, molto opportuno . Condivido tutto. Ritengo pero’ che il problema maggiore sia come proteggere questi itinerari, saranno pur facili ma restano pericolosi, per la qualità della roccia e la mancanza di chiodi.
Che cosa bisogna fare per convincere/costringere il CAI a riprendere la pubblicazione della Guida dei Monti d’Italia?
È una domanda da un milione di dollari.
Scendere in piazza? Un bel girotondo? Sciopero generale? Assoldare le Femen ucraine? Fondare le Brigate Grigie? Rapire il presidente generale del CAI ? Fare una marcia su Roma (o Torino?) al grido di “o Guida o morte”? Spiccozzare il colpevole? Prenderlo a calci nel sedere con i ramponi ai piedi?
Insomma, io rivoglio le mie amate guide.
comunque trattandosi di itinerari dove la tecnica/tecnologia conta poco. Lasciamoli poco relazionati e poco classificati, in modo che la fantasia e il gusto della scoperta di ognuno di noi possa venire fuori il più possibile.
La valutazione delle difficoltà dei percorsi tra escursionismo e alpinismo non possono essere dipendenti da un “grado” come nell’arrampicata, o da una serie complessiva di fattori ambientali (valutazione d’insieme).
Bisogna spostare l’attenzione dall’oggettivo al soggettivo. Perché la difficoltà che ognuno incontra è diversa in base alle proprie capacità ed esperienza. Forse sarebbe più giusto utilizzare i gradi dello scialpinismo, buon sciatore, ottimo sciatore, o dell’escursionismo: turista, escursionista, escursionista esperto.
Così: scambler, buon scrambler, ottimo scrambler.
Che cosa significhi poi essere uno scrambler o buono oppure ottimo lo sa iddio.
Sostengo che chi affronta certi percorsi e ambienti più che un tecnico o artigiano della scarpinata e dell’arrampicata è un artista in bilico tra la realtà e il sogno.
Chi poi riesce a far a meno di ogni forma di assicurazione ed attrezzatura, assurge alla disdicevole e maniacale identità del “buon selvaggio” che contraddistinse il pittore Ligabue.
Alberto, non sono d’accordo . Questa scala da una valutazione d’insieme, di impegno complessivo basato su diversi fattori che possono essere: difficoltà tecnica, lunghezza, qualità della roccia , attrezzatura, ritirata, pericoli, ect. , ect.
Ci sono sicuramente scale più precise ma credo non abbia senso usarle per itinerari che sono una via di mezzo tra l’escursionismo estremo e l’alpinismo facile.
Che poi facile e difficile è anche piuttosto soggettivo.
Comunque è chi da la valutazione dell’itinerario che deve essere onesto e sopratutto mettersi nei panni degli altri.
Beh la normale del cervino è considerata AD+ ma io conosco poca gente che andrebbe a farla pur avendo ‘il grado’ su roccia…
La scala francese a mio avviso è troppo legata al grado tecnico (per il quale invece ci sono già altre scale ben più precise) piuttosto che all’ingaggio o ai rischi ambientali
L’autore dell’articolo è una garanzia: sacrosante parole e piacevole lettura ricca di molteplici spunti.
Un’altra cosa : Persino il sentiero in parte attrezzato per il Rifugio Boccalatte alle Grandes Jorasses viene da più fonti , anche ufficiali, recensito come PD (!) Esagerazione a mio avviso..Comunque come giustamente scrivevi, lo scarto fra EE – F – PD è spesso minimo e legato squisitamente a fattori sia soggettivi, sia oggettivi ( periodo dell”anno , ecc. ) . Mi sta bene invece la definizione di PD rispetto all’ascesa al Bivacco Carlo Pol ( in alcuni frangenti potrebbe quasi calzargli stretta ,per estremizzare ) : in questo caso ho trovato al contrario siti che lo liquidano con un semplice EEA , o addirittura EE, riduttivi entrambi a causa dei reali pericoli oggettivi rappresentati dall’isolamento estremo e dal terreno infido e franoso ( distacchi di roccia, di tratti di morene e di seracchi, e persino delle catene stesse con cui è in alcuni punti molto esposti attrezzato )..
Caro Andrea
nel leggere il tuo articolo non posso non ricordare le entusiasmanti salite fatte insieme, avendo sempre in mente che
non eravamo lì in quel posto per cancellare una via con un sintetico e scarno””fatta” ma che si viveva intensamente il termine avventura!
Le “terre di mezzo” del dove non si sa se è escursionismo estremo o alpinismo facile, rimarrà un gioco per pochi sognatori, che credono che “andar per monti” senza tanta ferraglia, sia un
modo di sentirsi liberi e di questi tempi non è cosa da poco….
un abbraccio
Ermanno
Sì, l’essenza dell’andare in montagna, del superare i propri limiti e trovare in sé stessi coraggio e forza di volontà di fronte anche a difficoltà oggettivo/soggettive è proprio la tensione verso l’ignoto, il mistero che respiri nella grandiosità delle altezze …
” Pochissimi al giorno d’oggi osano spingersi sui cosiddetti ‘terreni d’avventura’. Invece, secondo me, è proprio l’avventura il più grande fascino della montagna: il rischio controllato, ma non dagli spit e dalle catene, al contrario dalla preparazione e dall’umiltà, dal “senso della montagna” che si impara con anni di frequentazione,”
si è proprio l’AVVENTURA il più grande regalo che ci può fare la montagna.
Impariamo ad avere “senso della montagna” e non andiamo dietro a orde di ferraglia.
Andrea hai scritto delle cose sacrosante.
Bello scritto, mi è piaciuto.
Peccato che ormai le innumerevoli strutture del cai non condividano più niente di ciò che dici, anzi si oppongano con fermezza a tutto, proclamando ad ogni occasione obiettivi e finalità di pura fantasia.
Bell’articolo, intelligente e veritiero, che mi trova perfettamente concorde per esperienza diretta. D’altronde, il nome dell’autore è già
di per se stesso una garanzia…
Sono assolutamente d’accordo con questo bell’articolo.
Io, alpinista modesta, mi ci ritrovo in pieno.
Grazie!
Evviva l’avventura nella meravigliosa terra di nessuno del “PD” . Bravo Alessandro condivido parola per parola.
Sì, è voluta. Il titolo esisteva già, ma quando l’ho visto ho pensato fosse assolutamente necessario pubblicarlo il giorno dopo del referendum costituzionale…
Ma l’ironia del titolo è voluta?
Concordo pienamente con Fabio Bertoncelli: la Collana Guidea dei Monti d’Italia, pur con tutti i suoi limiti, è fondamentale per la conoscenza delle montagne “nostrane”.
Questo è uno dei principali compiti che il C.A.I. si era dato fin dall’inizio e che merita di essere continuato con passione.
L’altro impegno che occorre continuare, è il far capire che una quota di rischio è presente in tutte le attività umane.
Non è pensabile andare per monti, a qualsiasi livello, senza accettare una quota di rischio che è traducibile anche con la parola avventura: significa che il risultato non può essere garantito ma solo controllato ( e qui, esperienza, consigli e corsi servono parecchio).
Ciao Andrea
mi fa piacere leggerti anche qui a casa di Alessandro.
per me i tuoi libri sono stati, già solo nella lettura, percezione di avventura. Le vie fatte, lo sono sempre state, avventura 🙂 Le imprecazioni fatte, sulla tua definizione di “Poco Difficile” e sulla tua definizione di “Roccia Buona” echeggiano sempiterne tra le valli delle Alpi Marittime.
La prima foto dell’articolo ritrae il grande Giorgio Massone (i cui schizzi su diario meriterebbero futuri libri…).
La seconda foto ritrae Andrea Parodi.
Grazie, per i tuoi libri.
Con grande affetto e rispetto
giorgio
Rimpiango la Guida dei Monti d’Italia, la migliore collana di guide alpinistiche mai pubblicate al mondo.
Se un club alpino decide sciaguratamente di non descrivere piú le sue montagne, tralascia di perseguire uno dei suoi scopi principali.
La descrizione delle montagne d’Italia figura al primo posto tra gli scopi del CAI nello statuto di fondazione (anno 1863).