Siamo l’aria che respiriamo
“Più piccoli arriviamo a sentirci nei confronti della montagna e più ci avviciniamo a partecipare della sua grandezza. Non so perché sia così (Arne Næss)”.
Siamo l’aria che respiriamo è una raccolta di alcuni degli scritti più significativi del filosofo norvegese Arne Næss, fondatore dell’ecologia profonda.
Næss, indubbiamente una delle figure più influenti del nostro tempo, ha scritto questi saggi nella sua baita-rifugio Tvergastein, sulla cima dell’Hallingskarvet, tra le montagne della Norvegia, luogo con cui egli riuscì a identificarsi, traendone la sua personale ecosofia.
Questa scaturisce dall’ecologia, ma è saggezza prima che scienza: è la rivoluzionaria presa di coscienza della nostra essenziale unità con l’ambiente, la consapevolezza che muta i nostri valori e comportamenti, che accresce la qualità e la gioia delle nostre vite, abbracciando la natura e le sue creature non come “oggetti” isolati e separati da indagare, studiare, sfruttare o “salvare”, ma come parti di una totalità che ci comprende e fonda il nostro sé ecologico, la radice stessa della realtà in cui viviamo.
L’ecologia del profondo di Arne Næss
Il movimento ecologista che più mette in discussione l’attuale sistema di vita è quello dell’ecologia del profondo. Il termine è stato coniato da Næss in un articolo del 1973; in un successivo, fondamentale saggio del 1976, Ecosofia, Næss ha approfondito il tema, affrontando in modo sistematico i comportamenti e i modelli culturali dominanti nella nostra società, e proponendo una nuova visione globale del mondo fondata non più sulla distinzione e separazione tra uomo e natura ma sul rispetto di tutti gli esseri viventi contemplati nella loro essenziale unità. Il saggio di Næss ha influenzato buona parte dei pensatori ecologisti europei e statunitensi, fondando una vera e propria scuola di pensiero e proponendosi come l’alternativa più radicale al pensiero ecologista tradizionale.
Gli ecologisti del profondo sostengono che la nostra cultura è di tipo tecnico-industriale, votata cioè alla venerazione della tecnica e dei processi produttivi come unico strumento di crescita, benessere, progresso individuali e sociali. Questa mentalità ha portato all’abuso di tutti i contesti naturali e alla profanazione delle condizioni di vita delle generazioni future. “Il progresso – sostiene Næss – è stato finora misurato, in piena buona fede, in base al consumo di energia e all’acquisizione e accumulazione di beni materiali”. La qualità della vita oggi corrisponde al tenore di vita, al numero di beni materiali posseduti. L’ambiente, che contribuisce sensibilmente alla produzione dei beni materiali, è considerato alla stregua di un oggetto, al completo servizio dell’uomo. Il termine usato per classificare questo comportamento è “antropocentrismo”. In quest’ottica, il mondo e l’ambiente dipendono da un unico soggetto, l’uomo; l’ambiente e gli altri esseri viventi sono oggetti, macchine a disposizione dell’uomo che possiede un dominio incontrastato su di essi. Le foreste, la terra, i fiumi, i mari, gli animali, diventano “sistemi di produzione di materie prime”, e anche gli esseri umani finiscono per ridursi a “utenti”, “clienti”, “consumatori”, perché questo modello di pensiero degenera, nel lungo periodo, in un peggioramento delle condizioni di vita degli esseri umani stessi.
Dall’antispecismo all’ecologia del profondo
Richard Ryder aveva descritto pochi anni prima lo sfondo storico dello specismo – un termine da lui coniato nel 1970 – e lo sviluppo dei suoi usi moderni. Per Ryder lo specismo è analogo al razzismo e al sessismo in quanto discriminazione umana negativa contro i membri di altre specie, o senza pensarci o per motivi di superiorità umana o sull’assunto comunque non valido che la differenza di specie da sola sia una giustificazione sufficiente. Ryder avrebbe poi precisato ulteriormente la sua teoria coniando il termine di painismo nel 1990, quando argomentò che qualsiasi essere vivente che è in grado di provare dolore ha rilevanza morale.
Occorre tracciare un quadro generale che ci permetta di comprendere la filosofia e l’evoluzione del pensiero che sta alla base dei movimenti ecocentristi e antispecisti che si stanno sempre più imponendo sulla scena politica e culturale mondiale, anche alla luce di un certo vuoto diffuso in Occidente nonché, ovviamente, dei vari disastri ambientali dei quali siamo testimoni di continuo.
Riportiamo questo brano tratto da La rete e la diffusione della cultura antispecista, di Ivonne Citarella e Andrea Romeo:
«Pratiche come quella dell’astensione dai derivati animali in ogni forma, come nella scelta di una dieta vegana o nel boicottaggio di prodotti che usano animali nell’abbigliamento o in ambito farmacologico, nell’Occidente rappresentano una vera e propria rottura con la “tradizione” di tipo antropocentrista. Attraverso questo modus vivendi si decide di esprimere il proprio rispetto nei confronti dell’altro partendo proprio dall’animale per passare alla vita in senso lato, o viceversa partendo da un rispetto per l’alter inglobando anche il non umano in questa prospettiva, grazie a una scelta etica e politica di non-partecipazione a certe pratiche efferate oggi molto diffuse, come quelle degli allevamenti intensivi ad esempio, che hanno trasformato gli esseri viventi in macchine da produzione perpetuando un continuo bio-martirio nei confronti degli animali non umani e del vivente. Ad un livello più profondo del pensiero antispecista ecocentrista vi e dunque un tentativo di esautorazione dell’uomo dal centro del Creato, mentalità stabilitasi dopo millenni di storia attraverso il dominio materiale sulla natura, i miti occidentali greci, il mito giudaico-cristiano e che si concretizza in modo definitivo con la Modernità.
Nonostante il veg*anismo (col termine veg*anismo intendiamo qui veganismo e/o vegetarianismo) venga spesso criticato per essere “figlio del benessere”, questa critica non ha fondamento alcuno. Se da un lato è infatti vero che in Occidente assistiamo a un aumento esponenziale dei veg’ani per scelta con l’avvento del consumismo, fenomeno dunque “nuovo” in una società che nasce e si sviluppa da un mito fortemente antropocentrista dove la tradizione ha imposto per millenni il dominio dell’uomo, unica creatura degna, sugli altri animali e sulla Natura; dall’altro lato è anche vero che paesi come l’India hanno una tradizione vegetariana molto antica che addirittura precede l’avvento della scrittura in Europa, e di certo l’India non è famosa per i propri “mc-burger” a basso costo o per i cellulari.
In altri termini, la religione più antica che conosciamo, l’Induismo, aveva orientato i propri adepti verso il rispetto per la Natura e per gli altri esseri viventi quando in Europa si viveva ancora nelle palafitte, a tal punto che l’India vanta ancora oggi una cultura vegetariana vecchia più di quattromila anni e che conta ben trecento milioni di seguaci solo in India. Inoltre la diffusione del consumo di carne in Europa è un fenomeno recente, spinto da interessi economici e politici per includere le masse nella nuova borghesia (attraverso l’emulazione dei nuovi modelli borghesi diffusi e imposti attraverso i recenti media di massa), un tempo “pietanza dei ricchi”.
La cultura vegetariana è dunque più antica delle culture abramitiche (Ebraismo, Cristianesimo, Islam), e vede grandi personaggi di spicco professare una filosofia di rispetto nei confronti dell‘alter sia in Oriente che in Occidente dai tempi dei tempi: da Buddha a Zarathustra, da Pitagora a Teofrasto, da Plutarco a Bruno, fino ai movimenti di liberazione animale ed ecosofisti nati a partire dagli anni Settanta grazie ai lavori di Arne Næss, Richard Ryder e Peter Singer.
Prima dell’avvento della filosofia e del Cristianesimo, in Occidente c’era una relazione con il mondo naturale molto diversa da quella che si è pian piano sviluppata e instaurata nei secoli: in altri termini anche l’ecocentrismo è molto più antico della cultura giudaica.
In parole povere, prima dell’avvento del Cristianesimo prima e del capitalismo poi, religioni molto antiche predicavano la benevolenza, la connessione e il rispetto per la Natura e gli altri animali anche in Europa, e questa era la normalità altrove. Attraverso l’instaurazione di una mentalità antropocentrica che dominerà l’Occidente attraverso il Cristianesimo, la Modernità e l’Illuminismo fino a oggi, tutte le filosofie e le dottrine “ecocentriste” e “animaliste” avranno un ruolo marginale nella storia della nostra civiltà, dove il “dominio” sulla natura e sugli animali, sarà considerato l’unico modello possibile, legato al mito del “progresso”. Progresso che, lungo il suo corso evolutivo, sfocerà nell’avvento del capitalismo che, trasformando la vita in merce, ha dato a una Italia lacerata dai conflitti mondiali, l’illusione del benessere, mentre divorava la natura e ciò che restava di “umano” nella nostra società».
All’antropocentrismo l’ecologia profonda oppone l’“ecocentrismo” o “biocentrismo”. Secondo questa visione del mondo, non più tecnica, conseguenza di calcoli prudenziali o utilitaristici, ma empatica, frutto di un’intuizione originaria, l’ambiente (il mondo che ci circonda) deve essere vissuto nella sua infinita unità. Gli organismi sono nodi di una rete di relazioni intrinseche, valide per se stesse, senza alcuna utilità materiale. L’antropocentrismo, dicono gli ecologisti del profondo, è dualistico, tende a separare, a opporre; l’ecocentrismo è olistico, unisce, armonizza: il tutto non può essere ridotto a una somma meccanica delle sue parti, perché tutto è in relazione inestricabile con tutto.
Con questa nuova visione infinita del mondo, gli organismi e gli esseri umani non possono più essere isolati dal loro contesto naturale e lo sviluppo, il progresso non sono più concepiti in termini di crescita economica ma in termini di realizzazione profonda, spirituale. Questa realizzazione si fonda su un sistema di valori: i valori universali (rispetto per la vita, non-violenza, solidarietà responsabile, spiritualità) sono indipendenti da ogni relazione di mezzo-fine. La crescita spirituale e il rispetto per la vita non producono alcun vantaggio economico; i valori devono presiedere a ogni decisione e a ogni azione degli esseri umani non perché sono utili, ma perché sono giusti; essi hanno una priorità intrinseca, devono essere perseguiti per se stessi e non come mezzi in vista di altri fini.
Quello che l’ecologia profonda propone è dunque un mutamento di mentalità e un cambiamento radicale dello stile di vita: “Il mutamento di mentalità consiste nella transizione a un atteggiamento più egualitario verso la vita e le forme di vita sulla terra”, sottolinea Næss. “In generale, la gente non si interroga abbastanza profondamente da spiegare ed esprimere un progetto complessivo. Se lo facesse, i più sarebbero d’accordo a salvare il pianeta dalla distruzione in corso. Una visione globale, come quella dell’ecologia profonda, può fornire una motivazione forte e unica per tutte le attività e i movimenti finalizzati alla salvezza del pianeta dallo sfruttamento e dalla supremazia dell’uomo”.
Gli errori dell’ambientalismo istituzionale
Il modo comune di intendere l’ecologia è limitato perché del tutto assimilato al modello culturale dominante: la difesa dell’ambiente si risolve nell’osservazione di cause ed effetti e nel tentativo di porre rimedio agli effetti non voluti. È, ancora, una visione essenzialmente oppositiva del mondo, in cui l’ambiente rimane un oggetto che l’uomo può distruggere o salvaguardare, e in cui viene postulato un diritto che in natura l’uomo non possiede.
L’unico diritto che gli ecologisti del profondo accettano è il diritto alla vita di tutti gli esseri viventi, un diritto universale che non può essere quantificato. “Quando uso il termine ‘avere il diritto’ – precisa Næss nel suo saggio – non pretendo che abbia un significato formulabile in modo preciso: è solo la migliore espressione che sono riuscito finora a trovare di un’intuizione che in tutta coscienza non riesco a negare”.
L’ecologia del profondo
Quando gli ecologisti del profondo affermano che nessun essere vivente ha un diritto superiore agli altri non intendono sostenere, è bene precisarlo, che tutti gli esseri sono uguali. Al contrario, dichiarano con fermezza che tutti sono diversi. Ma è proprio questa diversità, questa unicità cosmica che deve essere a tutti i costi rispettata. L’Homo sapiens è unico così come tutti gli altri esseri viventi sono unici. “L’unicità dell’Homo sapiens, le sue capacità uniche tra milioni di altri esseri viventi, sono state usate come strumento di dominio e abuso di potere. L’ecologia profonda propone di usarle per sviluppare un atteggiamento di responsabilità universale che le altre specie non possono capire né condividere”.
La trasformazione delle nostre idee conduce alla trasformazione del mondo che ci circonda. Il vero messaggio dell’ecologia profonda è dunque essenzialmente umanistico: devono essere i valori più profondi a guidare il comportamento umano. Essi indicano la via da seguire, le scelte da compiere. Se è vero, come sosteneva Gregory Bateson, che “i problemi principali del mondo sono il risultato della differenza tra il modo in cui la natura opera e il modo in cui l’uomo pensa”, è necessario, oggi più che mai, invertire la rotta, ricondurre il pensiero alla sua dimora originaria, l’intuizione profonda di appartenere a un progetto immenso, dove “il più piccolo granello di polvere è intimamente connesso con l’intero sistema solare” e dove “tutti gli esseri viventi si aggrappano alla stessa formidabile spinta. L’animale trova il suo punto d’appoggio nella pianta, l’uomo cavalca sull’animalità, e l’umanità intera, nello spazio e nel tempo, è un’immensa armata che galoppa al fianco di ciascuno di noi, avanti e indietro a noi, in una carica irresistibile, capace di rovesciare ogni barriera, e di superare un’infinità di ostacoli: forse, la stessa morte (Henri Bergson)”.
Gli otto punti dell’ecologia del profondo
di Arne Næss e George Sessions
1. Il benessere e la prosperità della vita umana e non umana sulla Terra hanno valore per se stesse. Questi valori sono indipendenti dall’utilità che il mondo non umano può avere per l’uomo.
2. La ricchezza e la diversità delle forme di vita contribuiscono alla realizzazione di questi valori e sono inoltre valori in sé.
3. Gli uomini non hanno alcun diritto di impoverire questa ricchezza e diversità a meno che non debbano soddisfare esigenze vitali.
4. La prosperità della vita e delle culture umane è compatibile con una sostanziale diminuzione della popolazione umana: la prosperità della vita non umana esige tale diminuzione.
5. L’attuale interferenza dell’uomo nel mondo non umano è eccessiva e la situazione sta peggiorando progressivamente.
6. Di conseguenza le scelte collettive devono essere cambiate. Queste scelte influenzano le strutture ideologiche, tecnologiche ed economiche fondamentali. Lo stato delle cose che ne risulterà sarà profondamente diverso da quello attuale.
7. Il mutamento ideologico consiste principalmente nell’apprezzamento della qualità della vita come valore intrinseco piuttosto che nell’adesione a un tenore di vita sempre più alto. Dovrà essere chiara la differenza tra ciò che è grande qualitativamente e ciò che lo è quantitativamente.
8. Chi condivide i punti precedenti è obbligato, direttamente o indirettamente, a tentare di attuare i cambiamenti necessari.
Siamo l’aria che respiriamo
(qui di seguito riportiamo alcuni brani da Siamo l’aria che respiriamo di Arne Næss)
Primo brano
Immanuel Kant introdusse una coppia di concetti contrastanti che meritano di essere ampiamente utilizzati nel nostro/sforzo per vivere armoniosa-mente nella e per la natura: i concetti di azione morale e di azione bella.
Le azioni morali sono quelle motivate dall’intenzione di seguire le leggi morali, a qualunque costo, ossia compiere il nostro dovere morale esclusivamente per il rispetto di tale dovere. Pertanto, la prova suprema del nostro successo nel compiere una pura azione morale è il fatto di compierla contro la nostra inclinazione; compiere un atto che odiamo perché siamo dominati dal nostro rispetto per la legge morale. Kant era profondamente impressionato da due fenomeni, «il ciclo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me».
Ma se invece di fare un’azione in accordo a una legge morale la facessimo per pura inclinazione e con piacere – che cosa sarebbe, allora? Dovremmo astenerci dal farla, o tentare di causare del dispiacere? Affatto, secondo Kant. Se facciamo qualcosa che la morale stabilisce essere corretta a causa di un’inclinazione positiva, allora compiamo una bella azione. Il mio punto è che nelle questioni ambientali dovremmo tentare di influenzare le persone in vista di queste belle azioni: lavorare sulle inclinazioni piuttosto che sulle morali. Sfortunatamente, l’estesa moralizzazione interna all’ambientalismo ha dato al pubblico la falsa impressione che si chieda in primo luogo di sacrificarsi, di mostrare più responsabilità, più preoccupazione, morali migliori. Per come la vedo io, abbiamo bisogno di un’immensa varietà di fonti di gioia, a cui attingere attraverso un’accresciuta sensibilità verso la ricchezza e la diversità della vita e i paesaggi della natura selvaggia. Noi tutti possiamo contribuirvi individualmente, ma è anche una questione di politiche, locali e globali. Parte della gioia deriva dalla consapevolezza della nostra intima relazione con qualcosa di più grande del nostro ego, qualcosa che resiste da milioni di anni ed è meritevole di una vita che si protrae da milioni anni. La cura necessaria affluisce naturalmente se il sé è allargato e approfondito, cosicché la protezione della natura selvaggia sia percepita come protezione di noi stessi.
Secondo brano
Valori, stile di vita e sostenibilità
1) Utilizzo di mezzi semplici. Evitare strumenti complicati, non necessari e simili.
2) Scegliere attività che servano più direttamente i valori in sé e che abbiano un valore intrinseco. Evitare attività meramente ausiliarie, prive di valore intrinseco o che siano molto distanti dagli obiettivi fondamentali.
3) Anticonsumismo. Questo atteggiamento negativo segue dal punto uno e due.
4) Sforzarsi di conservare e aumentare la sensibilità e l’apprezzamento di quei beni che abbiamo a sufficienza per tutti.
5) Assenza o basso grado di novofilia – amare ciò che è nuovo semplicemente perché è nuovo.
6) Sforzarsi di dimorare in situazioni di valore intrinseco; agire piuttosto che essere occupati.
7) Apprezzamento delle differenze etniche e culturali tra le persone, non riguardare tali differenze come minacce.
8) Considerare la situazione del Terzo e del Quarto mondo e tentare di evitare un tenore di vita troppo diverso da – e troppo superiore a – quello degli indigenti (solidarietà globale dello stile di vita).
9) Apprezzamento per gli stili di vita che sono universalizzabili e non palesemente impossibili da sostenere senza ingiustizie verso i propri simili o altre specie.
10) Preferire la profondità e la ricchezza dell’esperienza piuttosto che l’intensità.
11) Apprezzamento per – e, quando possibile – scelta di un lavoro significativo invece del mero guadagnarsi da vivere.
12) Sforzarsi di condurre una vita complessa, non complicata; cercare di realizzare quanti più aspetti possibili di esperienze positive in ciascun intervallo di tempo.
13) Coltivazione della vita in comunità (Gemeinschaft) piuttosto che in società (Gesellschaft).
14) Apprezzamento o partecipazione alla produzione primaria: agricoltura, silvicoltura, pesca su piccola scala.
15) Sforzarsi di soddisfare i bisogni vitali piuttosto che i desideri.
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Ci sono anche tendenze che riflettono più chiaramente i princìpi specifici del movimento dell’ecologia profonda:
16) Tentare di vivere nella natura piuttosto che limitarsi a visitare posti belli. Evitare il turismo (ma ricorrendo occasionalmente a strutture turistiche).
17) Vivere “leggeri e senza lasciar tracce” quando ci si trova nella natura vulnerabile.
18) Tendenza ad apprezzare tutte le forme di vita; non soltanto quelle considerate belle, notevoli o strettamente utili.
19) Rifiuto di utilizzare forme di vita semplicemente come mezzi. Consapevolezza del loro valore intrinseco e della loro dignità anche quando vengono usate come risorse.
20) In caso di conflitti di interesse tra cani, gatti o altri animali domestici e specie selvatiche, privilegiare la protezione di queste ultime.
21) Sforzarsi di proteggere gli ecosistemi locali, non solo le singole forme di vita. Vedere la propria comunità come parte dell’ecosistema.
22) Opposizione a un’eccessiva interferenza nella natura in quanto non necessaria, irragionevole, irrispettosa. Condannare tale interferenza – senza condannare le persone responsabili dell’interferenza – come insolente, atroce, oltraggiosa e criminale.
23) Impegnarsi ad agire con decisione e senza codardia nei conflitti pur abbracciando la non violenza, sia a parole che nelle azioni.
24) Partecipare o sostenere l’azione diretta non violenta quando altre modalità di azione falliscono.
25) Adottare vari tipi e gradi di vegetarismo.
Terzo brano
Quando si cambia radicalmente il proprio stile di vita, il contrasto evidente e quotidiano con lo stile di vita dominante induce a criticare aspramente le scelte degli altri. Ci si sente come vittime di un esercito d’occupazione che sta devastando il proprio paese. Ma bisogna capire che cambiare le cose a fondo è un compito lungo e difficile, poiché le strutture dominanti sono fatte apposta per opporre resistenza al cambiamento. In pratica, è impossibile evitare di avere a che fare con la politica.
Quarto brano
«La crisi ambientale potrebbe essere risolta a livello tecnico… »
Un’opinione molto diffusa negli ambienti più influenti dei paesi industriali è che il superamento della crisi ambientale è una questione tecnica: non richiederebbe quindi nessuna trasformazione a livello di coscienza e tanto meno di sistema economico. Questa opinione è uno dei pilastri del movimento ecologista superficiale.
Si dice che non è necessario contenere la crescita dei paesi industriali, e si da semplicemente per scontato che la crescita debba continuare. Il progresso tecnologico ridurrà l’inquinamento a livelli accettabili e impedirà che le risorse vengano erose in modo grave. Le foreste attuali forse moriranno, ma possiamo creare nuovi tipi di alberi che prosperano con le piogge acide, o possiamo addirittura trovare il modo di vivere senza gli alberi.
I nostri governi sono continuamente oggetto di pressioni che mirano a ottenere una situazione di maggiore liberismo per un’industria sempre più centralizzata e ad alto contenuto tecnologico, che obbedisca solo alle “leggi” del mercato mondiale e al modello politico dominante dei paesi industriali d’Oriente e d’Occidente. Lo stile «conciso, orientato ai fatti, professionale» opera a un livello isolato da qualsiasi discussione sui valori.
Coloro che credono nella possibilità di una soluzione tecnica spesso evitano di discutere la possibilità di una trasformazione radicale della tecnologia in una direzione meno devastante. Il mercato non la richiede, quindi è inutile parlarne. Il mercato preferisce tecnologie più pesanti: nuove fonti di energia distruttive, un nuovo programma per favorire l’efficienza del sistema industriale basato sulla centralizzazione, oppure soluzioni tecniche alla crescita della popolazione.
William Howard Modell, un medico di New York, ha proposto a un gruppo di case farmaceutiche di studiare, attraverso lo studio degli organismi che vivono nell’atmosfera mefitica dei vulcani o vicino alle acque bollenti dei geyser, il sistema per rendere la Terra abitabile dagli uomini dopo una futura devastazione. Lo studio degli animali che vigono nelle fogne può aiutarci a capire come sopravvivere in condizioni simili. Il dottor Modell concludeva auspicando che nessuna di queste eventualità dovesse mai verificarsi. L’impostazione è quella tipica dell’approccio tecnologico unilaterale alla crisi, ma sono felice di rivelare che il dottor Modell non era del tutto serio nelle sue affermazioni.
Quando l’individuo e le organizzazioni nelle quali opera finiscono per interessarsi più ai mezzi che ai fini, e più ai fini subordinati (l’edilizia) che a quelli fondamentali (le case), abbiamo tutti gli ingredienti essenziali della tecnocrazia. Più diminuisce la capacità di soffermarsi sul valore intrinseco dei fenomeni, più l’attività della coscienza si sposta dall’esperienza immediata alla pianificazione del futuro. Per quanto formalmente i valori intrinseci siano ancora prioritari, l’attività principale consiste nell’individuare gli strumenti più efficaci. Le conseguenze indesiderabili di questa situazione si aggravano sempre più mano a mano che il singolo consumatore ha sempre meno a che fare con la produzione. Le tecniche sono continuamente “migliorate”, e questo richiede grandi sacrifici di tempo ed energia. Senza che nessuno se ne accorga, il tempo passato a riflettere sugli obiettivi si riduce a niente. A questo punto inizia la rincorsa a capofitto dei mezzi: ogni miglioramento sarà illusorio.
Uno degli obiettivi fondamentali dei prossimi anni sarà pertanto la decentralizzazione e la differenziazione come mezzo per aumentare l’autonomia locale e, in ultima analisi, per liberare le ricche potenzialità della persona umana.
Il principale fautore delle tecnologie intermedie, Ernst Friedrich Schumacher, parla di «produzione delle masse» in opposizione a «produzione di massa». L’espressione «produzione locale» è forse anche più appropriata, perché le masse sono spesso associate con l’immagine di molta gente pressata in un ambiente uniforme. Ci sono masse anche nelle piccole comunità, ma le tecnologie possono assumere forme molto diverse se si applica il messaggio dell’ecosofia. Nello stesso senso, dovrebbero essere considerate avanzate quelle tecnologie che aiutano a realizzare gli obiettivi fondamentali di ogni cultura, non quelle che presentano una complessità fine a se stessa.
Schumacher sottolinea che la produzione delle masse mobilita le risorse inestimabili della gente comune: cervello e mani abili. E i mezzi di produzione delle masse sono strumenti di prima classe. La tecnologia della produzione di massa è in se stessa violenta, dannosa per l’ambiente, in ultima analisi autodistruttiva nel suo consumo di risorse non rinnovabili, e per di più istupidisce le persone.
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E’ vero che i saggi di questa raccolta sono un po’ datati, ma ritengo molti passaggi attualissimi per stimolare le nuove generazioni a riflessioni sul sistema che non regge più, sui concetti che si sono consolidati di produzione infinita e di risposte che verranno solo dalla tecnologia. Trovo interessanti i suggerimenti per costruire una diversa cultura della vita e della natura (ecosofia). Profondi i concetti di Luogo e di consapevolezza delle scelte che si fanno. Insomma, un buon ventaglio di possibilità di dialogo con le persone in questo difficile momento storico.
Bello e giusto vivere in baita non fosse altro che per l esempio che dai.
Poi leggi o senti che Alibaba in un giorno fattura 170 milioni di $. in merce venduta al mondo…mah!
La vedo difficile la transizione.
Condivido completamente quanto scritto da Grazia. L’ambiente è un’idea antropocentrica: esiste solo il Complesso degli esseri senzienti (animali, piante, ecosistemi, esseri collettivi). La nostra specie, animale anche facilmente classificabile, ne fa parte a tutti gli effetti.
Alberto,
ciò che mi complisce è che all’alba del 2022 si separi ancora l’ambiente (che comprende piante-animali-rocce) dagli umani.
E, pur ammettendo una separazione, che di fatto non esiste, non comprendo com’è che gli umani non arrivino a capire che se un dato elemento risulta nocivo per l’ambiente, lo è necessariamente per tutti gli esseri viventi che lo abitano, umani compresi.
Appena un Profeta divulga la sua Visione e inevitabilmente emana comandamenti in folta lista,si esprimono opinioni e visioni parzialmente o totalemente contrarie. E’come per farmaci e vaccini…siamo geneticamente diversi anche se accorpabili in classi statistiche.Esempio:divieto per scioline al fluoro nello sci specie specialità fondo.Reazione: .sì … ma…però.. gli effetti nocivi sono da dimostre con percentuali maggiori,..ma noi ci mettiamo le maschere con respiratore e guanti… meglio a partire dall’anno lasciateci smaltire le scorte, lasciateci trovare prodotti green ugualmente performanti….https://www.ladige.it/sport/2021/11/11/sci-di-fondo-e-scioline-al-fluoro-rischi-per-ambiente-e-salute-il-divieto-e-rinviato-1.3052248
Buonasera,
in Sicilia esiste un movimento di Ecologia Profonda e ho avuto il piacere di partecipare a diversi incontri, prendendo tanti spunti per le mie attività all’aperto e utili chiavi per vivere questo delicato tempo storico.
Olalà quanta profondità sparsa a piene mani ma il norvegese medio lo sa che al pari di un suo simile se è in cura con un farmaco qualsiasi, questo con le deiezioni entra nel circolo ambientale e se usa benzodiazepine ci addormenta il pianeta.. E le menti che si vuole risvegliare. Senza il silicio che aihmè qualcuno procura neanche la Greta Oplà chiamerebbe i grandi con bla bla.
#14 … Braies, con il culo della Badessa (alias Croda del Becco) sullo sfondo, e la porta sora’l forn sulla sinistra …
MS
@ Cominetti al 15: L’acqua oltre che calma deve essere anche limpida e osservata dalla giusta angolazione. Condizioni indispensabili non sempre disponibili contemporaneamente, volutamente o meno.
Non conoscevo Arne Næss, ho letto con molto interesse questo scritto. Mi trovo a Tromsø per lavoro, e queste idee mi sembrano circolino più naturalmente da queste parti che nell’Europa del sud. Soprattutto sono abbastanza consensuali, il che è molto piacevole perché non creano gli insopportabili steccati di separazione identitaria (noi che viviamo una vita semplice vs voi stronzi inquinatori consumisti) a cui siamo abituati.
13, siii è il lago di Braies, eppure di laghi ce ne sono in Norvegia. Il fascino delle Dolomiti non perdona, ah ah.
Ambientalismo da salotto o da sottobosco e filosofie ecocompatibili esistono perché l’uomo si è abbruttito ammassandosi nelle città e guarda là fuori come dalle finestre di un carcere.Sono tutte cose inutili, secondo me.Cito Gigi Mario che è stato l’unico vero Maestro che abbia incontrato in vita mia (al pari di mio padre):
Per guardarsi dentro occorre essere calmi. Se l’acqua del lago è calma si vede in profondità, altrimenti si vede solo la superficie increspata.
È una citazione dell’Amleto. Lo so anch’io che è norvegese.
#12: Naess è norvegese, non danese …. l’Hallingskarvet è al confine con la Svezia
https://digitaltmuseum.no/011085440610/tvergastein-og-arne-naess
https://en.wikipedia.org/wiki/Hallingskarvet
Rifacendosi alla località di Tvergastein c’è un gruppo di studenti dell’università di Oslo che pubblicano cose interessanti (scorrere il sito)
https://www.tvergastein.com/
MS
PS: ma la foto in copertina a quest’ultimo link è il lago di Braies?
Ho voluto essere provocatorio.
Corona l’ho nominato perché quella frase contiene elementi di riflessione. Non si possono combattere, come si potrebbe, i distruttori di Natura se prima i suoi protettori non poggino i piedi per terra.
E sì, ho letto il libro, trovandolo meraviglioso, ma utopico e fortemente nordico nella sua struttura. Ma non ne discuto il messaggio.
Come sempre mi interessano i rivoli che poi trasportano quel messaggio, deformandolo, adattabdolo, trasformandolo.
Mi spiace, ma continuo a sostenere che c’è del marcio in Danimarca, cioè in molto pensiero ecologista.
È tempo di una riformulazione di pensiero e di realtà, possibilmente nuova. Dopo trent’anni spesi personalmente su questo fronte, nutro dubbi, come è giusto e lecito che sia, in modo costruttivo.
Nuove albe… ma con vecchia testa. La transizione ecologica è un po’ questo e gli ambientalisti hanno gustato il benessere e l’agio.
O forse, dopo aver conosciuto l’ambientalismo da salotto, quello che conta in sede politica, ho perso entusiasmo.
E non mi emoziona più neanche Næss.
L’Ecologia Profonda è una filosofia meravigliosa, visto anche che la civiltà industriale, fase attuale della cultura occidentale, volge al termine perchè è incompatibile con la Vita (o il funzionamento) del Sistema Terrestre, dato che ne disarticola e altera profondamente i cicli vitali. Di Arne Naess consiglio anche “Ecosofia” (RED, 1994) e “Introduzione all’Ecologia” a cura di Luca Valera (ETS, 2015).
Ho letto di striscio alcuni commenti: possiamo per favore fare almeno le persone serie? Prima di sparare giudizi vi siete almeno letti con attenzione il libro e l’avete meditato? Solo dopo accetto commenti e non prima ….
Saluti.
MS
Prendere le distanze dall’ecologia profonda è perpetrare l’attuale tossica cultura antropocentrico-devastatoria.
come sempre esiste il buon senso.
Ma se bisogna proteggerci dai “protettori” figuriamoci dai “distruttori” …
Basta venire in Apuane a vedere chi è il peggio.
Corona lo lascerei perdere visto che da “ragazzo dello zoo di Erto” si è trasformato in anziano opinionista del “circolo RAI”
5 ) basterebbe invitarli a cena con vino, crauti, salsiccette e braciole ecc e per loro una terrina di patate e cipolle lesse, e poi vedere..la consistenza delle convinzioni.Per esperienza, se si fanno trovare peperoni all’aglio, melanzane , patate al forno con rosmarino ed aglio , pomodori al forno con aglio ed origano ecc..lasciano stare lattuga , tofu , e il vino sempre e comunque vegetale gradito e’.
Come professionista del settore dell’educazione ambientale e scientifica, un po’ sorridendo prendo in prestito una battuta di Mauro Corona, che condivido: “Bisognerebbe fare qualcosa per proteggerci dai protettori di Natura”.
Una frase che considero un richiamo al buon senso.
E credo che tutti qui abbiano inteso senza lunghe e dotte spiegazioni.
3)..infatti le pietre dolomitiche sono infarcite di fossili e sono di origine corallina…e “respirano” se si studia l’origine di esse e di altre rocce nei dintorni. . . Quanto ai vari Guru, poi bisogna vedere se applicano alla LORO vita.
Come figura di riferimento rimpiangiamo Gigi Mario.
Lettura pesante ripetitiva e integralista. Una serie di pensieri datati che seppure facilmente condivisibili ,allo stato delle cose si risolvono in una idea utopica che non porta alcun vantaggio o stimolo. E pure l’idea di fondo sulla dignità degli esseri viventi è surclassata da talune antiche filosofie native che vanno oltre : Cit. ‘” le pietre respirano, ma la loro anima è così pesante e il loro respiro è così lento che non basta una vita umana per avvertirlo”‘
Ciao.
Sto leggendo il libro proprio in questi giorni. Molto interessante. Proporro’ qualche estratto.
Saluti.
Ms
Anche quando si mangiano , i vegetali poco prima erano pur sempre esseri viventi. Certi vegetali ci possono uccidere e decomporre e quindi sono essi a mangiare noi.