Social e comunicazione moltiplicatori di tecnologia

Lo scopo di questo saggio è l’indagine sul come la comunicazione e la tecnica ad essa relativa abbiano influito e influiscano sull’alpinismo e sull’arrampicata.

Social e comunicazione moltiplicatori di tecnologia
(pubblicato su Up 2018)

Quando nell’antica Roma venivano pubblicati ogni giorno gli Acta Diurna populi Romani, raccolta degli atti governativi e, insieme, resoconto degli eventi degni di nota accaduti nell’Urbe, non si parlava di alpinismo, ovviamente. Ma in quel modo era nato il giornalismo. Dopo il Medioevo e in tempo rinascimentale, con l’aiuto dell’invenzione della stampa, ecco che nel 1563 a Venezia appare il primo foglio di notizie (mensile). Siccome veniva distribuito in città al prezzo di due soldi e dato che a Venezia quella moneta era chiamata la gaxeta, ben presto questo divenne il suo nome. Gazzetta ebbe fortuna anche in Francia (gazzette).

Il quotidiano, nella forma moderna, nasce nel XVII secolo. Fu la Einkommende Zeitungen che, fondata nel 1650 a Lipsia dal libraio Timothäus Ritzsch come settimanale, passò alle uscite quotidiane nel 1660. Letto principalmente dalle classi benestanti, era costituito da notizie di cronaca, economia, politica interna ed estera.

Nel 1664 nacque il più antico quotidiano italiano, la Gazzetta di Mantova. Nata inizialmente con cadenza settimanale, solo nel 1866 acquistò cadenza giornaliera.

Nel 1867 a Torino nacque il più antico quotidiano italiano a tiratura nazionale, la Gazzetta Piemontese, che poi cambiò nome nel 1894 in La Stampa.

The Times iniziò le pubblicazioni a Londra nel 1785 anche se per i primi tre anni si chiamava The Daily Universal Register.

Con la diffusione del quotidiano che si vide nel secolo XIX, e grazie all’aumento dell’alfabetizzazione e all’industrializzazione, gli argomenti trattati aumentarono, fino ad arrivare, in casi eccezionali, all’alpinismo della conquista delle maggiori montagne alpine, soprattutto del Monviso e del Cervino.

La tragedia del Cervino illustrata da Gustave Doré

Fu così che apparvero i primi articoli, anche se il grosso della comunicazione alpinistica nel secolo XIX era affidata ai libri e alle capacità illustrative di artisti come Gustave Doré (1832-1883) o come lo stesso Edward Whymper, il conquistatore del Cervino. La gente allora non aveva la minima idea di come fosse fatta una montagna, potete dunque immaginare quanto potenti potessero essere quelle immagini, specialmente quando accompagnate da tremende tragedie. I quotidiani cominciarono a far concorrenza ai libri quando si dimostrarono ben più veloci nel documentare l’appassionante disgrazia del Cervino e le liti che ne conseguirono.

Nel frattempo si perfezionava l’arte della fotografia. Grazie alle ricerche in comune di Joseph Nicéphore Niépce (1765-1833) e di Louis Jacques Mandé Daguerre (1787-1851) nel 1837 nacque la dagherrotipia (ufficialmente con la Natura morta). Il procedimento venne reso pubblico il 19 agosto 1839, quando, in una riunione dell’Accademia delle Scienze e dell’Accademia delle Belle arti, venne presentato nei particolari tecnici all’assemblea e alla folla radunatesi all’esterno. Le prime fotografie in montagna vennero scattate quasi una trentina d’anni dopo: si pensi alla complicazione del trasporto dei primissimi pesanti macchinari. Fu Vittorio Sella a perfezionare la tecnica di ripresa in montagna, con opere d’arte a tutt’oggi ineguagliate.

Il Cervino visto da Vittorio Sella

E’ chiaro che fino a questo momento si parla di grandi panorami alpini o extraalpini, di ritratti e al massimo di scene di marcia o di costumi locali. Siamo ancora ben distanti dalle foto d’azione, sempre per la già citata pesantezza dell’equipaggiamento necessario. Tuttavia la foto in montagna del secolo XIX contribuì all’oggettivazione della notizia e dell’immagine culturale dell’ambiente alpino. Semplicemente l’immagine fotografica ritraeva ciò che era e come era, senza fronzoli immaginifici di alcun tipo. La foto toglieva mito e aggiungeva nuove possibilità di emulazione da parte del pubblico che osservava e leggeva.

The Gentleman’s Journal (1691) che nel 1731 cambiò nome in The Gentleman’s Magazine, un giornale caratterizzato dalla presenza di articoli di varietà e racconti, il cui nome (“Magazine”) estese il proprio significato fino a indicare qualsiasi rivista popolare, fu tra le primissime riviste periodiche ad apparire. Sia in Francia che in Germania e in Italia seguirono le uscite di tante altre testate, la cui tendenza era quella alla specializzazione.

Tanto che apparvero le prime riviste di alpinismo. La prima copia dell’Alpine Journal apparve nel 1863. Seguì lo Zeitschrift des Deutschen und Oesterreichischen Alpenvereins nel 1872. Il CAI stampò il primo numero della Rivista del CAI nel 1882.

Queste pubblicazioni furono responsabili del sensibile aumento di appassionati d’alpinismo: i racconti delle ascensioni, illustrati da disegni e da fotografie, si moltiplicarono. Anche la produzione dei libri ne ebbe vantaggio: in un libro si raccoglieva la vita intera di un alpinista e spesso il materiale derivava proprio dalle riviste apparse negli anni precedenti. Sulle riviste si veicolarono non solo le notizie riguardo alle prime ascensioni ma pure le idee, che ovviamente erano diverse, a volte antitetiche, anche allora. Basti pensare alla lunga diatriba ai primi del Novecento sull’uso dei chiodi, con protagonisti come Paul Preuss, Tita Piaz, Hans Fiechtl, Hans Duelfer; ma prima ancora, alla comparsa dei primi alpinisti senza-guida, per lo più condannati dalla maggioranza come pazzi scriteriati. I senza-guida fecero fatica a farsi accettare, ma alla fine il loro successo fu completo. Con l’inizio degli anni Venti la situazione era del tutto ribaltata e gli alpinisti dell’élite (vedi Scuola di Monaco, o gli inglesi all’Everest) avevano ormai superato in numero di nostalgici della guida alpina. Tra i professionisti infatti avevano cominciato ad affermarsi proprio coloro che, accanto al normale accompagnamento dei clienti, affiancavano splendide attività d’avanguardia (basta pensare ad un Emil Solleder, ma prima ancora a un Angelo Dibona).

Thomas Edison

Dickson greeting di Thomas Edison (l’inventore della lampadina) è stato il primo film in assoluto a essere mostrato in pubblico (1891): non bisognò aspettare molto per avere i primi esperimenti di cinematografia alpina a soggetto (Arnold Fanck, 1921, poi Luis Trenker, 1928), mentre occorse parecchio di più per avere i primi filmati delle vere avventure in montagna. Qualcosa fu realizzato nei vari tentativi al Nanga Parbat e al K2, ma il primo vero documento si ebbe con la spedizione francese all’Annapurna del 1950, grazie all’operatore e regista Marcel Ichac.

Finora abbiamo esaminato dell’alpinismo l’aspetto narrativo (dal libro alla rivista) e quello documentario (dal disegno alla foto, fino al film): ora però dobbiamo addentrarci in altri campi, per dimostrare come il progresso tecnico abbia modificato anche la naturale evoluzione dell’alpinismo.

Nel 1837 Samuel Morse aveva messo a punto il primo telegrafo, cioè l’apparecchio per la trasmissione elettrica di dati. Il primo telegramma fu spedito da Morse il 24 maggio 1844, coprendo la distanza da Washington a Baltimora. Il messaggio conteneva una citazione biblica dal Libro dei Numeri: What hath God wrought! (“Che cosa Dio ha creato!”).

Il 21 novembre 1877 Thomas Edison (sempre lui!) annunciò l’invenzione del fonografo, in grado di riprodurre la voce umana.

L’invenzione del telefono elettrico è ufficialmente attribuita al fiorentino Antonio Meucci che nel 1871 dimostrò il funzionamento del suo apparecchio che aveva chiamato “telettrofono”. Ma il valdostano Innocenzo Manzetti era riuscito a realizzare un apparecchio elettrico in grado di comunicare a distanza già negli anni Cinquanta dell’Ottocento. Il 26 gennaio 1926 John Logie Baird effettuò con successo quella che viene ritenuta la prima vera dimostrazione pubblica di trasmissione televisiva senza fili, di fronte a qualche decina di scienziati della Royal Institution e giornalisti invitati per l’occasione.

John Logie Baird

Queste invenzioni, in accostamento allo sviluppo delle tecniche di trasmissione radio (da Heinrich Rudolf Hertz a Nikola Tesla fino a Guglielmo Marconi e al suo esperimento di Pontecchio del 1895), in un primo tempo non hanno prodotto cambiamenti significativi nelle imprese alpinistiche e nel modo di prepararle. Ma già negli anni Trenta si ebbero i primi reportage giornalistici su quelle imprese che facevano epoca, i primi veri e propri inviati speciali in montagna. Famosi gli articoli di Guido Tonella, che addirittura andò incontro a Riccardo Cassin e compagni mentre questi stavano scendendo dalle Grandes Jorasses. Negli anni Cinquanta, con l’ormai capillare diffusione del telefono e della radio, la tecnologia della comunicazione era uno degli agenti più importanti nel processo di una performance alpinistica, fosse essa una lunga e lontana spedizione o un’impresa alpina di qualche giorno.

Heinrich Rudolf Hertz

Il fenomeno Bonatti non sarebbe stato tale senza quei mezzi e il pubblico interesse su di lui mai sarebbe stato uguale: abbiamo ragione di pensare che molte delle imprese, già dagli anni Cinquanta e Sessanta, non potessero non tener conto dell’immediata diffusione mediatica che avrebbero avuto. Per questo ci teniamo così care le imprese come quella di Hermann Buhl sulla sua solitaria Nord-est del Badile con andata e ritorno a Innsbruck in bicicletta (e sua tragicomica caduta nell’Inn per essersi addormentato al manubrio!).

I telegrammi degli anni Cinquanta e i telex degli anni Settanta vennero sostituiti da un mezzo ancora più veloce ed efficace, il fax.

E intanto la tecnologia migliorava fino ai livelli più raffinati la foto a colori e la trasparenza (diapositiva), consentendo di vedere in famiglia decine e decine di piccoli documentari, mentre anche le cineprese si rimpicciolivano per quantità impressionanti di film amatoriali.

La comunicazione dell’alpinismo è così esplosa e ha raggiunto quote di pubblico prima impensate.

La diffusione dei telefonini portatili e successivamente degli smartphone in montagna è stata fulminea: ora nessuno sa neppure più cosa erano i Walkie-Talkie che tanta parte ebbero nelle imprese più mediatiche sulle Alpi (Eiger, Tre Cime di Lavaredo) e nelle spedizioni extraeuropee.

E’ storia di ieri e di oggi l’era digitale di internet: dalle e-mail a skype e whatsapp, oggi la comunicazione ha superato anche il telefono fisso e la televisione, con la tecnologia satellitare siamo nella dimensione del “tempo reale” e della geolocalizzazione senza scampo. E nulla sfugge ai droni.

Drone

Sottolineo la prolificazione di organi di comunicazione on line (quotidiani, blog, ecc.) e la dimensione “social” che ha assunto ormai la nostra stessa vita. Siamo alla discesa in sci dal K2 documentata da un drone.

Numerose sono le conseguenze di questa rivoluzione: tre sono le più evidenti.

1) I social e la comunicazione in tempo reale influiscono sulle decisioni tecniche
Scrive Jason Blevins: “L’istruzione sulla sicurezza da valanga è a un bivio. Gli esperti che erano soliti preoccuparsi soltanto che gli appassionati di alpinismo e di sci potessero abituarsi a riconoscere la struttura della neve, le condizioni meteo e il terreno, ora devono considerare anche i modi con i quali gli onnipresenti filmati, fatti con i cellulari, con la GoPro o con altri sistemi di documentazione, stanno facendo pressione sugli stessi appassionati quando devono prendere delle decisioni“.

Gruppi di ragazzi fanno a gara giù per i pendii dopo aver postato online il loro prossimo exploit, alimentando una partita di esagerazione che li mette in competizione non solo uno con l’altro ma con la rete intera. E’ uno scenario che si gioca nel social ma che però ha tali conseguenze nella pratica da impensierire gli educatori e chi si occupa di previsione di valanghe.

Maurizio Di Palma si lancia dal Monte Brento

Maurizio Di Palma, jumper di altissimo livello: “Se non ci fossero i social, il 90% di noi farebbe altro”. Secondo Michele Serra: “Ci si lancia solo a patto che questa esperienza estrema (e solitaria) possa avere un pubblico. Solo se la webcam è accesa”…. e ancora: “il cinismo pubblicitario non è certo una novità, mister Barnum lo conosceva già nell’Ottocento… la novità è la perdita dell’esperienza individuale (che fu il vero scopo dell’alpinismo classico) al difuori della sua condivisione pubblica. O tutti vedono quello che sto facendo o è come se non lo facessi…”. E conclude: “il supremo lusso futuro in tema di libertà sarà fare qualcosa solo per noi stessi, badando bene che nessuno sappia”.

Ciascuno di noi (alpinisti, wingsuiter, ecc.) dovrebbe porsi queste domande:
1) Quanta ambizione sta contaminando la mia genuina passione per questo gioco?
2) Qual è la differenza tra il mio iniziale approccio libero e scanzonato a questa disciplina e quello mio attuale (più o meno professionale) in cui, giorno dopo giorno, i miei exploit determinano un interesse pubblico sempre maggiore?
3) Durante il mio ciclo di esperienza presumo di raggiungere un picco oltre il quale il voler dimostrare di essere ancora e sempre a quel livello diventa pericoloso, perché negare la propria maturità è come se la mela volesse impedirsi di cadere dall’albero. Ho già raggiunto questa maturità?
4) Di conseguenza: qual è la soglia oltre la quale IO non devo procedere?

Se ci rivolgiamo seriamente queste domande, e se ne tentiamo una risposta sincera con noi stessi, passano in secondo piano quelli che superficialmente ci appaiono i responsabili: sponsor, media, spettacoli organizzati. La loro importanza e la loro influenza decrescono di pari passo con il NOSTRO disinteresse, mentre al contrario crescono smisuratamente con la nostra incapacità di tenerli lontani e, soprattutto, a bada.

2) I social e la comunicazione in tempo reale influiscono sulle tipologie e sulle discipline
Facciamo un esempio. L’era odierna è caratterizzata da un’informazione a tale livello quantitativo, globale e immediato da rendere insufficiente e quindi inaccettabile la vecchia distinzione tra on sight (a vista) e flash. Sostanzialmente io mi domando: se io mi chiamo Adam Ondra, o chi per lui, e decido di andare in Spagna a ripetere un famoso 9c, uno di quelli di cui hanno riferito, scritto, documentato siti internet di ogni genere, il problema dovrò pormelo prima di tutto io stesso: come posso dire di non aver visto almeno una foto, di non aver sbirciato almeno un video, di non aver carpito neppure un commento o una “dritta”? Come posso conoscere solo la virginea esistenza di quel 9c, purgata da qualunque informazione peccaminosa aggiuntiva? Converrete con me che ciò è insostenibile e che le informazioni comunque le posseggo, volente o nolente, e nessuno di noi ha la possibilità di dimenticare a comando. E, in effetti, ad alto livello in arrampicata sportiva non si parla più di on sight bensì solo di flash (performance ottenuta al primo tentativo).

Adam Ondra

Questa riflessione non ha lo scopo di sminuire le performance di nessuno, bensì vuole dare all’arrampicata a vista ciò che oggi le spetta: la rarità. Almeno per ciò che riguarda i monotiri famosi è in via di estinzione.

3) I social e la comunicazione in tempo reale sono dei moltiplicatori di tecnologia
Se una si porta dietro un po’ di tecnologia, si sa parecchio di lui e di cosa fa, se arriva in cima o se non arriva, quanto tempo impiega. La documentazione, se prima serviva a trasmettere un’esperienza, oggi è più importante dell’esperienza stessa. La documentazione è più esaminata della stessa impresa alpinistica, cioè la “prova” è più importante del fatto. A questa distorsione c’è da ribellarsi: vale più la documentazione o l’ascensione?

Ci sono degli effetti drammatici. Abbiamo visto Ueli Steck arrivare in cima alla Sud dell’Annapurna, lo abbiamo visto indagato sulla verità di ciò, lo abbiamo visto cadere in depressione. Non ne ha fatto un dramma pubblico, ma c’era il dramma privato. Ed è finita come è finita.

Ueli Steck

E’ un fatto grave. Certo, anche ai vecchi tempi di parola, scritto e disegno, non è che non si mentisse. Menzogne ce ne sono sempre state. Sono state smascherate perfino conquiste del polo Nord che per decine d’anni erano state tramandate nei libri di scuola!

Sappiamo tutti che ci sono casi assai controversi, con fazioni da stadio, ma non voglio qui parlare di questo. A me preme dire che la menzogna c’è sempre stata, che forse sempre ci sarà e che non sarà la documentazione spinta a limitare questa tendenza. Per gli stessi motivi per cui sono convinto che non saranno leggi più severe e punitive a limitare quello che è la delinquenza e la criminalità. Ma anche qui ognuno la pensa come vuole.

Io vedo Ueli Steck, ma vedo anche il ragazzino americano (ma pure europeo) che si butta giù da pazzeschi canali di neve e misto con lo snowboard o con gli sci. Lo vedo farsi prima il selfie, cinquecento, mille amici che gli digitano un immediato “vai, vai, vai!”, “dai che sei un mito!”… e questo si butta! Potremmo dire che si “butta via”. Dove è l’esperienza personale, dove è stato confinato l’intuito, dove sarà mai la relazione con l’ambiente e con lui stesso?

E’ un fenomeno gravissimo, al di là del pericolo che il ragazzino vive, al di là dell’incidente anche mortale. Perché nessuno se ne accorge? Perché trasformare sci e alpinismo in esperienze adrenaliniche come quella del Wingsuit Base Jump, dove la documentazione è da sempre più importante del volo stesso?

Dobbiamo evitare che alpinismo e sci estremo vadano per questa strada. La tecnologia sta favorendo questo processo con molta forza. Ecco perché dico di riflettere. Cerco di dimostrare che più noi documentiamo meno viviamo, più informazioni abbiamo meno siamo cosa unica con l’ambiente. Una specie di equazione.

Franco Michieli

C’è anche chi ha provato strade diverse, vediamo un personaggio come Franco Michieli che già parecchi anni fa si è chiesto se era possibile attraversare intere aree geografiche selvagge senza alcun supporto tecnologico, neppure le cartine e la bussola. E lo ha fatto, più volte, in traversate di settimane. Questo è un esempio che siamo liberi di seguire o no.

Anche l’alpinismo ha di questi episodi. Con il free solo si è su questa strada. Pur con la disponibilità di una grande messe di informazioni e di esperienza individuale, il free solo è una rinuncia volontaria e quasi totale a qualunque genere di tecnologia e anche di materiale (neppure l’imbrago hanno!). D’altro canto, ai lati di Alex Honnold che arrampicava su Freerider c’erano parecchi fotografi e cineoperatori appesi alle corde che non avrebbero certamente negato aiuto, se richiesti.

Certo, non tutti siamo portati al free solo e non dico affatto che debba essere una soluzione. Per evitare la strada cui conduce la tecnologia ci sono soluzioni assai meno radicali del free solo e ugualmente valide. Questo è facilmente intuibile. Andare con i compagni, andare utilizzando le normali tecniche di assicurazione, ma fare in modo che il tasso di tecnologia sia a livello di guardia, evitando le esagerazioni odierne.

Non stabilire regole, la libertà prima di tutto. Se cominciamo a dire qui questo si può fare, là no, è già finita in partenza. Meno male che la comunità alpinistica è sempre stata abbastanza restia ad accettare decaloghi e codici vari. Ma con l’aumento della tecnologia anche questa difesa naturale potrebbe essere azzerata.

Sì al favorire la verità dell’informazione, impegnarsi nell’azione, ma anche tenere basso il livello di tecnologia e non pensare che le cosiddette “prove” del fatto siano più importanti del fatto stesso.

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Social e comunicazione moltiplicatori di tecnologia ultima modifica: 2019-10-29T05:14:57+01:00 da GognaBlog

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5 pensieri su “Social e comunicazione moltiplicatori di tecnologia”

  1. Il drone applicato al controllo e neutralizzazione di nidi di Processionaria del pino o di calabroni e vespe, soccorso, recapito urgente di medicinali ecc…mi sembra una mano santa.Invece la spesa meglio andare a farsela a gambe. In se’ un ‘invenzione non e’ ne’ buona ne’ cattiva ne’ inutile..dipende sempre da chi la utilizza.Poi il libretto istruzioni va letto fino in fondo..( pile di riserva? , zone senza campo? ecc.  ed allora bisogna avere tra le abilita’ un piano B ..C  A volte un’invenzione va fuori uso e poi ritorna ( ciaspole, monopattino, telemark)

  2. EVVIVA LA TECNOLOGIA! Viviamo in un mondo di WEBETI .WEB= INTERNET -EBETI = OTTUSI. Ognuno può calcolare quante persone  incontra giornalmente CON LA TECNOLOGIA… IN MANO!

  3. Io vedo l’informazione come un sistema per guadagnare soldi e i soldi non guardano in faccia a nessuno, pensano solo a moltiplicarsi e usano qualsiasi sistema: quando si sviluppavano i primi PC si pensava molto bene e i risultati oggi si vedono perfettamente realizzati! Non so il futuro, non ci penso più.
    Una nota: la Cassin alla Walker doveva chiamarsi Lecco e i salitori  hanno litigato per il nome attribuitole dai media, ma è rimasta con quel nome!

  4. Senza arrivare all’impegno “estremo” di Franco Michieli, nel mio piccolo affronto le mie ascensioni/escursioni (anche in sci, quando c’è neve) alla “vecchia maniera”. Ho un cellulare in caso di necessità, ma è sempre spento nello zaino. Se vado in montagna per “staccare”, punto a staccare davvero, altrimenti che ci vado a fare?
    Pensate che già nella vita di tutti i giorni sono molto poco coinvolto nell’attuale modello tecnologico: spesso giro per la città, avendo lasciato volutamente il telefono nel cassetto della scrivania. Figuriamoci in montagna.
    Di conseguenza detesto il meccanismo sociologico qui ben descritto. Ho visto con i miei occhi ragazzi/ragazze postare una selfie in cima ad un canale o pendio ripido e, al seguito dei like di incoraggiamento, buttarsi giù con gli sci. Oppure ragazzi/e che letteralmente “sciabattano” con i ramponi ai piedi mentre risalgono un ghiacciaio in cordata…l’attenzione concentrata solo sullo smartphone, se alzavano la testa è per fare una foto da mettere immediatamente on line. Ma per “vivere” una gita in quel modo, tanto vale starsene a casa!

  5. Eric Fromm – Avere o essere
    Guy Debord – La società dello spettacolo
    Enrico Grassani – L’assuefazione tecnologica
     
    Culto della personalità
    Individualismo
    Edonismo
     
    Neoliberismo
    Sopraffazione
    Pensiero unico
     
    Psicopatologie
    Malattie
    Suicidi
     
    Inquinamento
    Valori (liquefatti)
    Criminalità (legalizzate)
     
    Sono gli ingredienti della nota ricetta detta Progresso.
    Ognuno ne prenda q.b. a se stesso.
    Se ne nutra quotidianamente.
    Affinché ciò che mai accetteremmo da qualunque imbonitore faccia di noi il miglior promotore di una società disperata.

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