Sogno di Sea

A 38 anni dalla scomparsa di Gian Piero Motti (notte tra il 21 e il 22 giugno 1983), riprendiamo un bellissimo articolo che tratta del Vallone ch’egli sommamente amava.

Sogno di Sea (RE 038)
(un mistero che va oltre il tempo)
di Maurizio Oviglia e Daniele Caneparo
foto di Maurizio Oviglia e di Daniele Caneparo
(pubblicato su Momenti di alpinismo 1985, Rivista della Montagna, luglio-agosto 1985)

Parrà forse un po’ strano che a distanza di due soli anni dalla pubblicazione de Le Antiche Sere (1983) si ritorni a parlare del Vallone di Sea. Chissà, forse è per ricordare la figura di Gian Piero Motti, autore di quell’articolo, che tanto amò questa valle al punto da svelare i più riposti segreti delle sue pareti. A distanza di tempo, ciò che continua a stupire coloro che non conoscevano bene Gian Piero è il fatto che lui, su quelle rocce, non fosse mai salito. Pur essendo un ottimo arrampicatore, si era limitato ad osservare, a scoprire e a fantasticare sul futuro di quel suo piccolo mondo in cui spesso si rifugiava. Qualche volta mi sono chiesto se avesse mai immaginato uno sviluppo simile a quello del Finalese, della Val di Mello, della Valle dell’Orco. Purtroppo per noi, però, Gian Piero non è più qui a dire la sua. A Sea, comunque, i fatti hanno preso una piega ben differente che altrove. Forse per paura che andasse persa quella magia che ancora vive lassù, tutti noi abbiamo fatto il possibile perché la valle non diventasse il solito posto alla moda. E così Sea è rimasta un po’ com’era in passato, solo con qualche via in più a testimonianza di come qualcun altro, oltre ai «vecchi» pionieri, ne abbia subito il fascino. Che volete, forse è persino meglio che molti non ne sappiano cogliere l’anima selvaggia e preferiscano alla solitudine la bolgia delle vie super- frequentate e il conosciuto all’incognita del nuovo…

Al ritorno dalla via delle Antiche sere

Ma perché tacere della bellezza di quel granito, della piacevole idea di rivivere un po’ quanto era capitato ai primi salitori del Sergent e del Caporal? Noi raccontiamo di gradi, di fessure, di vie nuove ma vorrei che tutti sapessero che oltre a tutto ciò c’è anche dell’altro. C’è come un’onda di sensazioni che ti coglie dall’interno, che ti lascia un segno incancellabile; e che ti toglie le parole. In questo senso è bello pensare che nulla sia cambiato, che le nostre fessure, le nostre placche, le nostre cascate rimarranno solo per noi; e che per molto tempo ancora sul verde piano sferzato dal vento non si vedranno né tende né rifiuti, e sarà piacevole invece incontrare compagni d’arrampicata e uomini curvi sotto il peso dello zaino in cammino verso la Ciamarella.

E sempre, per chi vorrà, sarà bello scoprire che anche qui, a pochi chilometri dalla metropoli, esiste un posto dove noi siamo gli ultimi, dove ancora si può discorrere con l’acqua, l’albero, la roccia, il cielo, la nebbia, e persino con il vento che sbatte le porte delle baite. Perché loro sono gli abitanti di Sea…

Addio
26 giugno 1983: è una domenica grigia, stiamo arrampicando sulle rocce di Sea, un nuovo itinerario sulla più alta delle pareti. L’arrampicata è molto bella, in me ci sono tutte le sensazioni di questi momenti: tensione, paura di volare, entusiasmo, esaltazione per il movimento dell’arrampicata.

Ma oggi non è come le altre volte. Al fondo di tutte queste sensazioni vi è un’ombra che non scompare, definitiva, spessa. Ieri abbiamo accompagnato Gian Piero al cimitero.
Non è un caso che oggi si sia qui in Sea.

Forse il mio inconscio non riesce ad accettare in modo definitivo la sua scomparsa, forse è per questo che ho sentito la necessità di ritornare su queste pareti con Franco. Forse Gian Piero non ha mai arrampicato sulle pareti di Sea; eppure, ciò malgrado, queste sono le sue pareti.

Descrivendole è riuscito a dare a queste rocce inanimate un’atmosfera che rimarrà sempre ancorata alla valle, appena rinnovata dai nomi che egli stesso ha scelto. Sotto queste pareti Gian Piero ha trascorso molte ore in solitudine con i suoi pensieri, immaginando vie fantastiche sulla roccia e nella vita, fino alla decisione di uscire dalla vita stessa.
La via che stiamo percorrendo si chiamerà Via dell’Addio. Addio a Gian Piero.

Questa sera, quando saremo fuori di qui, fuori da questa parete, con i muscoli ancora ebbri, una vertigine si insinuerà all’improvviso nella mia mente: mai più scendendo a valle potremo passare a Breno a raccontare l’avventura a Gian Piero, mai più come abbiamo fatto tante volte in passato (Ugo Manera).

Le antiche sere
Cercai ancora di raggiungerla, ma facevo fatica a camminare su quei sassi ricoperti di neve, e a stento riuscivo a tenerle dietro. Poi cominciò a salire sulle rocce, verso il diedro, quello che avevamo salito poche settimane prima. Lasciai senza indugio la corda e anche l’imbragatura: dopo circa cinquanta metri si girò e mi aspettò al terrazzino.

Non avevo paura di lei, ma mi metteva in soggezione; il suo sguardo non era sconosciuto, ma manteneva un alone di mistero che mi attirava.

Ecco – pensai, quando riprese a salire – ora arriverà a quel cuneo lasciato e si convincerà una volta per tutte che avevo ragione io. Ma del cuneo di legno non vi era più traccia, non potevo più dimostrare che avevamo salito la via. Un’inflessione del suo sguardo mi parve un sorriso, ebbi come sempre la spiacevole sensazione di avere i capi di una matassa che mai sarei riuscito a sciogliere. In cima, tra i rododendri, mi dedicò ancora qualche minuto, poi sparì dietro un dosso lasciandomi con lo sguardo perso nel sole che risaliva i pendii dell’opposto versante del Vallone…

Ripensai ancora un po’ alle sue ultime parole e risi tra me. Sprofondando nella neve tra l’intricato intreccio di rami, ogni tanto mi giravo verso le scure lavagne nere e pensavo: «Anche oggi non è venuto nessuno…».

Il profilo di Cosi parlò Zarathustra

La Seta di Venere
21 aprile 1984. È mattina, e da pochi minuti Maurizio ed io stiamo risalendo il Vallone di Sea ancora ricoperto di neve.

Le pareti sono pulite, e solo in alcune zone colate d’acqua ci ricordano che siamo in un mese che non è certo l’ideale per arrampicare in questo luogo. In questa giornata, e su questa meravigliosa parete che è lo Specchio di Iside, è nata La Seta di Venere, un tracciato di notevole bellezza compreso tra lo Spigolo dell’Incomunicabilità e la Via del Temporale.

La via, che percorre una serie di diedri dal disegno complicato, per essere portata a termine ha richiesto sette ore di arrampicata, che sono state anche sette ore di divertimento, di sogno e – perché no – di evasione.

Ed era proprio quello che cercavo: infatti quelle ore mi hanno regalato sensazioni ed emozioni che avrei voluto fossero eterne. Incredibili contrasti di luce si riflettevano sulla neve e rendevano l’ambiente ancora più irreale, e tutto concorreva a far sembrare questa salita un sogno. Un sogno che si è interrotto al quinto tiro a causa di un incidente a un dito che mi ha costretto a percorrere gli ultimi due tiri con la sola mano destra.

Ma la via non è estrema, anche se continuità ed esposizione sono due caratteristiche che hanno contribuito a collocarla tra quelle più impegnative della parete. In ogni caso questo tracciato presenta alcuni tratti di notevole bellezza: il traverso nel terzo tiro di corda che permette di raggiungere il grande diedro; e poi, soprattutto, il tratto più spettacolare, racchiuso nel quinto tiro dove un caratteristico diedro-camino strapiombante, chiamato Delta, costringe a un’arrampicata di rara eleganza su un vuoto di oltre cento metri. E il nome Seta di Venere vuol essere proprio la testimonianza di qualcosa di prezioso su qualcosa di estremamente bello (Marco Casalegno).

Alcune pareti del Vallone di Sea

L’Urlo del Silenzio
Il Vallone di Sea non offre generalmente evidenti vie di salita. A parte alcuni imponentissimi diedri (Zarathustra, Antiche Sere), l’arrampicata si svolge prevalentemente per sistemi di diedri e fessure spesso non intuibili con precisione dal basso.

Altre volte l’arrampicatore è costretto a lanciarsi, fiato sospeso, in mezzo a placche, sovente poco rugose, il cui superamento, se non si ricorre ai chiodi a pressione, rappresenta sempre un’incognita. Era desiderio del nostro gruppetto di sfuggire a queste regole imposte dalla natura dell’arrampicata, e nella speranza di individuare una fessura del tipo di quelle che si trovano nella Valle dell’Orco (come la Disperazione, tanto per fare un nome) avevamo avidamente e invano scrutato le pareti del vallone.

Subito ci eravamo rassegnati perché, ad esempio, una via della sontuosità della Fessura della Disperazione non si nasconde facilmente.
– Guarda là, Daniele. Che via sale per quel diedro con quella meravigliosa fessura?
– E già, che via sale per quel diedro con quella meravigliosa fessura?

E così nacque, dalla vicenda sentimentale di un nostro amico, il Giardino del Silenzio, da me successivamente ribattezzato Urlo del Silenzio. Perché?
Forse perché la vita è un urlo abortito.
Forse perché a causa delle grandi distanze che separano gli uomini, delle loro urla percepiamo soltanto il silenzio.

E così, ora, anche in Sea c’è una «Disperazione», o meglio c’è lo sfociare della disperazione in un urlo che ognuno reprime in se stesso sino ad arrivare alle soglie della pazzia.

E come la fessura della disperazione solca la bella placca compatta di una mente ancora coerente, così l’urlo del silenzio sale nel mondo frastagliato e disuniforme della follia.

Una via per tutti e per nessuno
Taluni nonsensi non sono facili: né da pensare né da scrivere. Sulla Pietra del Finale esiste una Via di Tutti che rappresenta lo stato attuale dell’arrampicata: oggi tutti sono tecnicamente in grado di salire Zarathustra. Una volta, all’epoca dell’alpinismo eroico, dei superumani, a cui Zarathustra appartiene, la via sarebbe stata per pochi e (con un po’ di sprezzo) per nessuno. Forse ora, a tempo debito, ci sarà anche posto per una via di Zarathustra.

Conclusione
… tutto sembra essere un flash, una specie di sogno che è durato un solo giorno, dimenticando che si vive fuori dal Giardino di Sea. Quelle stesse persone che erano assieme a me ora sono assieme a tanti; e tutti sembrano non capire, convintissimi di come vivono e di cosa fanno, quasi come me… che invece passo il tempo con il dubbio di aver sbagliato strada, scegliendo la maschera giusta per il giorno giusto e nascondendo le lacrime tra le ciglia, perché non sta mai bene farsi scoprire deboli… Non vi sono più le pareti, il fiume e il cielo; solo qualche ricordo isolato da quello che era «il tutto», solo i gradi e le relazioni stampate sulle riviste a dimostrazione che un po’ famosi possiamo esserlo anche noi. Già, mentre quel che è veramente successo (la vera storia di quel giorno) non sappiamo neanche più raccontarla a noi stessi. Si, è vero, rimangono anche i compagni, quelli con cui hai sempre quel rapporto così buffo e mai troppo sincero…

A loro che sono stati con te racconti dei gradi, dei chiodi, della roccia.
Tutto il resto non conta; cioè: conta forse solo per ognuno di noi… ed è un peccato.

Ecco perché Sea è lo specchio di chi è triste e si sente anche un po’ solo. Un giorno potresti incontrare, come nelle Antiche Sere, la solitudine e lasciarti prendere per mano… e forse non tornare.

Cliccando qui potrete scaricare il documento in pdf dell’intero articolo Sogno di Sea con le relative descrizioni tecniche delle vie.

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Sogno di Sea ultima modifica: 2021-06-21T05:15:00+02:00 da GognaBlog

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5 pensieri su “Sogno di Sea”

  1. Grazie Giuseppe Penotti per il chiarimento 🙂
    Anche se mi piacevano di più i tuoi nickname 😉

  2. Nessuno si sogno mai di modificarli.

    Non ce ne era bisogno. Di meglio non si poteva. 

  3. Vado a memoria, ma dovrebbe esserci a Sea una fessura scalata da G.P. Motti.

    E’ su un masso di pochi metri nella conca ella Valle di Sea. Quel passaggio testimonia la classe di Motti, ma confermo quanto scritto nell’articolo, Motti su quelle pareti non ha mai scalato, dando però il nome ai numerosi rilievi che rimasero quelli. Nessuno si sogno mai di modificarli.

  4. Vado a memoria, ma dovrebbe esserci a Sea una fessura scalata da G.P. Motti.
    E già che ci sono, ho anche ritrovato velocemente una conferma https://rocciatorivaldisea.wordpress.com/2014/05/06/nosferatu-il-principe-della-notte/
    Che magia che si respira a Sea, non vedo l’ora di tornarci. Una volta lì, si capisce perché Motti abbia attinto al mito a piene mani. Il brano delle Antiche Sere è uno degli scritti che mi piace di più, carico di nostalgia e di bellezza romantica (nella sua accezione di forte sentimento di fronte alla natura).

  5. . Forse Gian Piero non ha mai arrampicato sulle pareti di Sea; eppure, ciò malgrado, queste sono le sue pareti. Descrivendole è riuscito a dare a queste rocce inanimate un’atmosfera che rimarrà sempre ancorata alla valle, appena rinnovata dai nomi che egli stesso ha scelto. Sotto queste pareti Gian Piero ha trascorso molte ore in solitudine con i suoi pensieri, immaginando vie fantastiche sulla roccia e nella vita, fino alla decisione di uscire dalla vita stessa.

    La butto li senza avere pretese. Se Motti avesse arrampicato su queste rocce, forse, sarebbe passato dalla riflessione all’azione, rompendo il meccanismo dell’immaginazione, del fantasticare,  che, da persona sensibile quale era, questo luogo  gli faceva nascere dentro.

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