Tamponi, un’occasione persa
(Coronavirus 25, 16 giugno 2020)
di Geri Steve
Il 15 giugno 2020, a 75 anni, è morto Giulio Giorello, un intellettuale molto particolare nel panorama italiano; già al liceo era entrato in conflitto con don Luigi Giussani, suo professore di religione e poi fondatore di Comunione e Liberazione perché “ci insegnava ad estirpare l’atteggiamento critico“; laureatosi in Filosofia ha capito che non aveva senso essere un filosofo senza conoscere la scienza, la ha studiata, si è laureato in matematica ed è diventato professore di meccanica razionale, poi di scienze naturali e infine di filosofia della scienza, saldando così quella sciagurata frattura fra materie umanistiche e materie scientifiche, come già aveva fatto il suo professore Ludovico Geymonat, con un analogo curriculum. Credo, dopo Galileo Galilei, gli unici due casi in Italia. Fu lui a divulgare in Italia l’approccio anarchico di Paul Karl Feyerabend alla scienza traducendone il saggio: Contro il metodo.
Ma che ci azzecca Giorello con il virus Sars-cov-2?
Ci azzecca perché, da buon milanese, Giorello si è ammalato di CoViD-19, è stato due mesi in ospedale, ci ha lasciato le sue considerazioni sulle restrizioni della libertà di un malato, sul rischio che con la CoViD-19 si instauri un autoritario regime medico e sulla “guerra” contro una malattia, una guerra in cui però ci dice che è difficile identificare un nemico; poi, dimesso ma lesionato dalla CoViD-19, dopo un paio di settimane è morto per le complicazioni cardiocircolatorie.
Se Giorello non fosse stato un personaggio, noi non sapremmo niente di questo morto, ammazzato dalla CoViD-19 che però non rientra nel conteggio ufficiale e che quindi ci testimonia personalmente che quei numeri sono inferiori alla realtà: il 15 giugno 2020 in Lombardia non sono morti di CoViD-19 in nove: sono stati almeno dieci.
A proposito di numeri: ai primi di marzo l’OMS e diversi virologi sostenevano che sarebbe stato inutile effettuare tanti tamponi; medici clinici impegnati a salvare le vite dei malati hanno invece ribattuto che per ridurre la mortalità e i ricoveri ospedalieri era necessario fare tamponi a tutti coloro che avevano sintomi per avere diagnosi precoci e quindi cure precoci, anche senza ricovero (vedi Corona-virus 9: Dubbi, del 27 marzo pubblicato qui come Commento n. 2 al post https://gognablog.sherpa-gate.com/facciamo-chiarezza-sulla-contabilita-dellepidemia/) .
L’OMS si è poi decisa a cambiare idea e ha consigliato tamponi a tappeto, ma in Italia se ne sono fatti pochi, perché non si era attrezzati per farne tanti e in tutte le regioni.
Mancavano i macchinari; poi alcuni giornalisti di Report hanno scoperto che proprio in Italia se ne producevano ma che andavano tutti in USA e che nessuno dei tanti, troppi, comitati di emergenza CoViD-19 se ne era accorto e aveva pensato di bloccarne l’esportazione per acquisirne in Italia. Poi, acquisiti un po’ di macchinari (pochi) si è scoperto che mancavano i reagenti per farli funzionare, che tutti i reagenti venivano prodotti all’estero e che a noi non ce li vendevano. Su input di università e centri di ricerca si sta avviando una produzione alternativa, ma la situazione è ancora inadeguata.
All’inizio dell’epidemia tanti tamponi sarebbero stati utilissimi per individuare presto i malati, per isolarli e per curarli bene. Invece se ne sono fatti pochissimi e quei pochissimi tamponi, se positivi, sono stati utilizzati per inondare l’informazione con numeri di “casi”, di “contagiati” di “positivi”; numeri piccoli che non avevano niente a che vedere con i veri, grandi numeri di contagiati nella popolazione, cioè quelli che si sarebbero avuti tamponando tutti gli italiani. Quei numeri non erano neanche utili per stimare i numeri veri, perché erano stati rilevati su campioni di sintomatici e di alcuni Vip (onorevoli e altri), quindi campioni decisamente non rappresentativi della popolazione.
Da tante parti si è richiesto che con urgenza si facessero indagini epidemiologiche su campioni per stimare la diffusione della CoViD-19 nelle diverse zone.
In Corona-virus 11 (qui pubblicato come Commento n. 23 al post https://gognablog.sherpa-gate.com/facciamo-chiarezza-sulla-contabilita-dellepidemia/) avete trovato notizia di ricercatori statistici che hanno proposto loro modelli per pianificare i necessari campionamenti, ma quelle proposte non sono state raccolte dalle istituzioni: nessuna risposta!
L’ISTAT ha poi pubblicato alcuni suoi report di mortalità anomala (cioè la mortalità superiore a quella media degli anni precedenti) nei primi tre mesi dell’anno; da questi report risultava che quelle mortalità anomale erano ben superiori alle morti rilevate per CoViD-19, ma i report ISTAT erano molto carenti, incompleti e per niente aggiornati. Poi l’INPS ha pubblicato i suoi dati di mortalità (quelli che l’INPS riceve da tutti i comuni per evitare di pagare pensioni ai morti) e si è scoperto che l’ISTAT non è in grado neanche di contare gli italiani morti.
Da tutte le parti ormai si richiedevano indagini epidemiologiche sulla diffusione del virus Sars-cov-2, necessarie per capire l’andamento della malattia CoViD-19. Con valide indagini epidemiologiche si sarebbero potute allocare le risorse per individuare e curare i malati, si sarebbe evitato di spendere milioni di soldi pubblici per costruire in Lombardia e nelle Marche due nuovi ospedali emanazioni del san Raffaele di Milano; ospedali inutili, arrivati tardi e sostanzialmente inutilizzati; se quei tanti soldi fossero stati invece elargiti agli ospedali pubblici del Servizio Sanitario Italiano sarebbero stati utilissimi per affrontare l’emergenza CoViD-19, per assumere il personale mancante e per dotarli di buone strumentazioni.
Con valide indagini epidemiologiche si sarebbero potute prendere decisioni razionali sulle zone in cui effettivamente la prudenza consigliava di mantenere chiusure e restrizioni. Invece gli unici dati minimamente attendibili erano soltanto i dati sulle mortalità relative e sulle mortalità giornaliere, dati che non solo sono inferiori alla realtà, ma che inoltre arrivano in ritardo, che non avvertono di nascita di focolai finché questi non uccidono. Dati che inoltre non vengono disaggregati per zone, cosa necessaria per poter prendere precauzioni soltanto dove davvero c’è una situazione di rischio. Qualche dato meno tardivo di quelli sulle mortalità li possiamo avere dai numeri dei ricoveri ospedalieri e dei pazienti in terapia intensiva; però non sappiamo dove vivevano quegli ospedalizzati; se parte un focolaio in un comune senza ospedali, gli ammalati andranno a farsi curare in altri comuni. Ne abbiamo discusso qualche settimana fa in Corona-virus 23: Aprire o chiudere?
In mancanza di dati epidemiologici e di collaborazione da parte dei servizi sanitari regionali, il governo non ha avuto il coraggio di arrischiarsi a prendere decisioni differenziate da luogo a luogo e ha mantenuto in chiusura e mascherine l’Italia intera. Quando ormai diventava evidente che quelle misure erano eccessive si è riaperto dappertutto, anche là dove il conteggio dei morti indicava che alcuni focolai dovevano essere ancora attivi.
Purtroppo le attuali mortalità giornaliere in Liguria (media sugli ultimi 5 giorni: 3,2 media relativa a un milione di liguri: 2,06), in Lombardia (media su 5 gg: 23,4 media relativa: 2,02) e poco meno in Piemonte (media su 5 gg: 8,4 media relativa: 1,93) ci dicono che proprio questo era il caso, perché in quelle tre regioni ci sono ancora almeno tre focolai da individuare e isolare, in cui somministrare tamponi a tutti o perlomeno individuare i malati fin dai primi lievi sintomi per curarli subito, possibilmente senza che si aggravino e che debbano andare in ospedale. In realtà è attivo almeno un quarto focolaio, a Roma: cinque morti al san Raffaele alla Pisana, ma non lo sa quasi nessuno, perché quella struttura appartiene ad Angelucci e quindi i giornali, e non solo i suoi, lo tacciono per proteggerlo.
Fingendo che proprio in tutta Italia non ci siano problemi, potrebbe succedere che quei focolai non si spengano e che ne creino altri, in quelle o anche in altre regioni.
Diciamocelo in parole chiare: non disponendo di una sorveglianza epidemiologica, avendo Protezione Civile, Istituto Superiore di Sanità e Comitato Tecnico Scientifico che millantano i numeri dei pochissimi tamponi diagnostici riscontrati positivi come se fossero numeri totali dei contagiati, che su questi dati completamente inaffidabili pretendono pure di calcolarci gli indici di contagio, il governo ha preferito non tenere in alcun conto i dati e procedere come se non ci fosse alcun dato; quindi, in mancanza di dati, ha deciso chiusure e aperture uguali per tutti. Decisioni assolutamente non adeguate, ma comprensibili.
Una cosa però i dati di mortalità ce la dicono chiaramente: da noi l’epidemia è davvero in fase calante, ma quella storia del calo quando si sarebbe raggiunta l’immunità di gregge è stata decisamente smentita: quelle tre regioni sono fra quelle che hanno cumulato le più alte mortalità; Liguria: 986, Lombardia: 1.630, Piemonte: 922, cioè sono proprio regioni in cui si sarebbe dovuto raggiungere la famosa immunità di gregge, eppure proprio lì si muore più che altrove. Manca solo la piccola Val d’Aosta (1.152) in cui invece da otto giorni non muore nessuno.
E’ proprio il caso di ripetere che sappiamo ancora poco della CoViD-19 e che c’è molto da capire.
La comprensibile decisione di non distinguere fra zone ad alto rischio e zone a bassissimo rischio ha comportato gravi conseguenze: ha inutilmente ridotto in povertà tanti italiani e ha inutilmente portato al fallimento o a rischio di fallimento tante aziende. Basta pensare ai lavoratori dello spettacolo con cinema, teatri, musicali: tutti chiusi anche nel centro e sud d’Italia, mentre erano aperte le gioiellerie, i botteghini del lotto e si annuncia l’apertura delle sale di scommesse. E’ il costo che abbiamo pagato all’incapacità delle dirigenze di quegli enti che non hanno svolto il ruolo per cui sono stati creati e per cui li mantengono i contribuenti italiani.
La famosa, altamente tardiva e insufficiente, indagine epidemiologica su un campione di 150.000 italiani non è ancora stata fatta e addirittura si dice di farne una, preliminare, su un campione di soltanto 20.000 italiani.
Alcuni italiani sono già stati contattati per far parte di quel campione e pare che molti si siano rifiutati. Si dice che quelli sono persone che non hanno senso civico.
Non si dice che il rifiuto è altamente comprensibile, perché proprio in Lombardia c’è un brutto precedente: gente che aveva tutti i sintomi o che conviveva con malati si è iscritta ad un portale regionale per essere sottoposta a tampone e si è ritrovata condannata a quarantena e senza tampone; si teme che lo stesso possa accadere a chi risulti positivo al test sierologico e resti in inutile attesa di tampone. In molte zone questo rischio è tutt’altro che trascurabile: Dei 9.965 test sierologici cui sono stati sottoposti i cittadini della Bergamasca, ben il 57% ha avuto esito positivo. Lo ha reso noto l’Ats Bergamo illustrando i risultati dei controlli eseguiti dal 23 aprile al 3 giugno.
Va precisato che nella famosa indagine epidemiologica i test sono (saranno) test sierologici soltanto sugli anticorpi igC, che sono anticorpi tardivi (per primi vengono prodotti gli anticorpi IgA e IgM) e con memoria a lungo termine. Solo se positivi, dopo il test dovrebbe seguire il tampone.
Il guaio è che le regioni non hanno aumentato il numero di tamponi eseguiti, anzi: proprio quelle a maggior rischio li stanno diminuendo. Pare che lo facciano volutamente, perché così risultano meno “casi” e quindi la regione appare meno contagiata.
Nino Cartabellotta, presidente della pregevole fondazione GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) che ha l’obiettivo di migliorare la salute delle persone e ottimizzare l’uso del denaro pubblico, grazie all’integrazione delle migliori evidenze in tutte le decisioni professionali, manageriali e politiche, e che sistematicamente denuncia il definanziamento della sanità pubblica a favore di quella privata, a proposito della carenza di tamponi, afferma:
“Sul fronte dei tamponi diagnostici, che condizionano il numero di nuovi casi, 9 Regioni hanno arretrato ulteriormente. Esaminando il periodo 23 aprile-10 giugno, il trend dei tamponi totali risulta in picchiata libera nelle ultime 2 settimane (complessivamente -12,6%). Il trend dei tamponi diagnostici è crollato del 20,7% in prossimità delle riaperture del 4 maggio, per poi risalire e precipitare nuovamente del 18,1% in vista delle riaperture del 3 giugno…
La Fondazione GIMBE ribadisce la necessità di non abbassare la guardia perché il Paese non può permettersi nuovi lockdown: il rischio di una seconda ondata dipende, oltre che da imprevedibili fattori legati al virus, dalle strategie di tracciamento e isolamento dei casi attuate dalle Regioni e dai comportamenti individuali. Se tuttavia l’improrogabile scelta di riaprire per rilanciare l’economia si è basata solo sull’andamento dei ricoveri e delle terapie intensive, è giusto dichiararlo apertamente ai cittadini con un gesto di grande onestà e responsabilità politica“.
Finora a parlar chiaro ai cittadini è stato soltanto Cartabellotta.
La volta scorsa abbiamo visto che l’ottima indagine condotta in Veneto a Vo’ euganeo avrebbe evidenziato l’esistenza di portatori sani che risultano negativi ai test sierologici (perché non hanno alcuna reazione immunitaria) ma positivi al tampone perché “portano” il virus. E proprio loro lo porterebbero tanto, molto più dei malati che invece stanno a casa loro.
Abbiamo anche visto che le sensibilità e le specificità sia dei test che dei tamponi non sono alte, per cui sarebbe molto importante effettuare un’ulteriore indagine su campioni adeguati per poter confermare o smentire quei risultati.
Purtroppo, quando finalmente l’annunciata indagine epidemiologica sul famoso campione di 1.500 italiani produrrà dati non avremo né conferme né smentite, perché l’indagine ci darà risultati dei tamponi soltanto sui soggetti positivi al test sierologico. In altre parole: l’indagine è stata programmata in modo tale da non rilevare alcun portatore sano, perché per rilevarli si dovrebbero effettuare i tamponi anche sui soggetti negativi al test sierologico.
A voler essere mooolto gentili, si deve dire che quell’indagine sarà un’occasione persa.
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Grazia, francamente non ho voglia di continuare a parlare di mele con te che mi parli di cocomeri e quindi, siccome mi sento libero di non dover convincere nessuno delle mie opinioni, ti saluto cordialmente.
Buonasera Antonio,
da mesi si ripete in tutte le salse che i numeri non sono attendibili, dunque non capisco su quali basi si possano stilare statistiche.
De toute façon, non sono d’accordo sulla questione dei posti letto, considerando che a un certo punto (inspiegabilmente tardi, visto il modello cinese) ci si è accorti di poter curare (e far guarire) la maggior parte degli sventurati che sono stati ospedalizzati.
Non ho energia per commentare la tua opinione sull’attività all’aria aperta.
Grazia, non mi è chiaro su cosa tu non sia d’accordo, se sul fatto che il problema riguardi il numero dei posti letto o sul fatto che coi posti letto dei tedeschi avremmo avuto meno morti.
La seconda considerazione è in effetti opinabile, perché dipende da come la si vede, mentre la prima no, non è opinabile.
E’ assolutamente evidente che tutte le scelte fin qui fatte, non solo in Italia (salvo pochi paesi), si sono basate sull’inadeguatezza di qualunque sistema sanitario a far fronte ad una ospedalizzazione massiccia.
E’ una questione puramente matematica, se su 60.000.000 di persone (la sola Italia) il tasso di letalità è del 1% (in realtà sembra sia più basso) significa che 600.000 persone finiscono in ospedale (perché non si muore sul colpo). A queste bisogna aggiungere una quota X che dall’ospedale dovrà passare anche se ne uscirà viva.
Ciò significa che, a cascata, muoiono altre persone di infarto, traumi vari, ecc., perché non trovano posto. Ne consegue che più una nazione ha disponibilità di posti letto e più può limitare le restrizioni. Ha in sostanza più margine di manovra.
Limitare la pratica dello sport all’aperto, per es., non ha avuto solo valenza antipandemica, considerando che circa un 80% di contagi in aprile (fonte ISS) è avvenuto in famiglia, negli ospedali e nelle case di riposo, ma anche valenza antinfortunistica, proprio per evitare di intasare ulteriormente le strutture ospedaliere.
Antonio,
sono in larga parte d’accordo con la tua lista, ma per nulla sul punto che riguarda i posti letto.
Sappiamo che i “malati” possono essere curati tranquillamente a casa senza dover ricorrere alla degenza ospedaliera
Mi preme ancora una volta ricordare che abbiamo avuto un ritardo di almeno un mese da quanto è accaduto in Cina, ma nonostante gli svariati incontri e accordi che hanno sancito il patto per la via della seta, poi, incredibilmente, non vi è stato alcuno scambio per quanto concerne virus e terapie.
Non si fa che ripetere gli stessi concetti da mesi…e intanto il popolo non si è accorto che è appena trascorso l’equinozio d’estate….
Confusioni e dubbi conseguenti, quindi più che legittimi.
Purtroppo nei tanti, troppi, articoli sulla covid-19 spesso viene usato un linguaggio becero, che è fuorviante per chi legge e prova a ragionarci sopra.
Tanto per cominciare, la covid, o covid-19 è la malattia (che quindi è al femminile), ma spesso invece si legge o si sente dire “il covid” e quindi chi legge o ascolta legittimamente, ma erroneamente, pensa che si stia trattando del virus (che infatti è maschile) invece che della malattia causata dal sars-covid-2 o, più colloquialmente, “il virus della covid”.
Poi, analogamente, spesso si dice “il test sierologico” suggerendo l’idea, sbagliata, che esista un unico test sierologico. Questi invece si differenziano a seconda di quali anticorpi si cercano. Questi possono essere tanti ma li si raggruppano in tre categorie principali: anticorpi IgA, IgM e IgG. Gli IgA e IgM sono i primi ad essere prodotti e normalmente dopo guarigione diminuiscono fino a sparire, mentre quelli di tipo IgC compaiono più tardi, sono più specifici, quindi più efficaci, e permangono a lungo, forse per sempre.
Tutte queste nozioni derivano dallo studio delle reazioni del nostro sistema immunitario ad altre infezioni, precedenti alla covid-19. Molto probabilmente sono tutte valide anche per la covid-19, ma non possiamo esserne del tutto certi.
L’affidabilità di un test è un altro UFO, cioè un altro oggetto non identificato che però svolazza davvero nella cattiva informazione, al singolare e normalmente accompagnato da una percentuale, normalmente 90% o 99% e perfino 99,99%.
Se leggete che un test è affidabile al 99% sappiate che chi scrive non ne capisce niente e che voi state sprecando il vostro tempo a leggerlo o ad ascoltarlo.
L’affidabilità di un test la si stabilisce dopo studi statistici su molti dati sperimentali e la si esprime con due indici che non sono mai riassumibili in un solo indice: sensibilità e specificità. La sensibilità rappresenta la probabilità, con quel test, di non avere falsi negativi mentre la specificità quella di non avere falsi positivi. In parole povere, un test è molto sensibile se becca (individua) quasi tutti quelli che dovrebbe beccare, mentre è molto specifico se non becca quasi mai qualcuno che non c’entra (tipo: condannato ma in realtà innocente).
Nel caso di una nuova malattia infettiva è importante fare e ripetere test non solo per conoscere lo stato di infezione di un paziente ma anche per conoscere la malattia e per conoscere sensibilità e specificità dei vari test. Finchè non si ha una casistica adeguata ci si orienta con ciò che si sa di altre infezioni analoghe.
Purtroppo non solo nella cattiva informazione, ma talvolta anche nella cattiva pratica clinica, ci si comporta come se sensibilità e specificità potessero essere al 100%. E’ così accaduto che in piena epidemia e sovraccarico ospedaliero si sia parlato di pazienti guariti e riammalatosi soltanto perchè risultati prima negativi e poi positivi al test del tampone, senza considerare la possibilità che il paziente non sia mai guarito (era quindi un caso di falso negativo) e neanche quella (normalmente più improbabile) che sia definitivamente guarito senza davvero riammalarsi, e cioè che la “ricaduta” fosse dovuta ad un falso positivo.
Un altro “parlar male” altamente diffuso è quello di parlare del virus al singolare con affermazioni del tipo “il virus è (o non è) mutato” come se fosse possibile che nessun virus sia mutato o che tutti i virus siano mutati e tutti, e in tutto il mondo, mutati nello stesso modo.
Nella realtà, il sars-cov-2 muta continuamente e i virologi raggruppano queste tante, piccole, mutazioni in alcune “varianti” per cercare di individuarne le linee di diffusione e per capire se fra una variante e un’altra esistano differenze sostanziali.
Geri Steve
Allora, io ho capito questo:
1) i tamponi massivi andavano fatti all’inizio, oggi avrebbero poco senso;
2) il tampone fotografa la situazione attuale mentre il test sierologico quella passata e quindi se chi ha sviluppato gli anticorpi (test non attendibile al 100%) potrebbe essere ancora infetto chi non li ha sviluppati potrebbe infettarsi domani o dopodomani (quindi rimangono sempre dei dubbi);
3) nessuno può dire se gli anticorpi immunizzino a tempo indeterminato oppure no;
4) nessuno può dire con assoluta certezza se un asintomatico puro, in altri termini un portatore sano (diverso quindi dal presintomatico e dal paucisintomatico), possa infettare o meno a causa della carica virale particolarmente bassa;
5) non ci sono punti di vista univoci relativamente alle morti per covid in presenza di altre patologie (il covid è la causa principale di decesso oppure una concausa neanche troppo rilevante? Mistero);
6) non si conosce il numero totale dei contagiati e quindi il tasso di letalità viene calcolato a raglio (nel senso che matematicamente parlando risulta ineccepibile ma senza il reale denominatore risulta una ragliata);
7) non si sa con assoluta certezza se ci si possa reinfettare oppure se in origine ci sia stato un falso positivo;
8) .. andiamo avanti?
In questa situazione di generale incertezza si procede a vista e quindi l’unica cosa che si può seriamente fare è basarsi sulle evidenze, cosa che continuano a ribadire i clinici.
Fino a quando le terapie intensive saranno sotto controllo il virus potrà circolare quanto vuole non facendo danni. D’altronde quale sarebbe l’alternativa? Bloccare tutto un’altra volta? Tamponare tutti i giorni 60.000.000 di persone? Cioè, non ci sono alternative. O si scopre una cura o un vaccino o se no l’alternativa è quella di monitorare alla meno peggio la situazione, cercando di identificare tempestivamente eventuali focolai.
Cartabellotta, e non solo lui, mi ha stancato perché non è un medico che vede i malati. Lui e il suo staff si basano solo su modelli matematici tipo quello famoso che prevedeva 151.000 pazienti in terapia intensiva al 8 di giugno o giù di lì.
Non è poi nemmeno vero che gli italiani non sappiano, molto semplicemente tanti non ragionano perché bastava un minimo, veramente un minimo, per comprendere che il problema stia nel numero di posti letto. Avessimo avuto i posti letto a disposizione dei tedeschi sicuramente avremmo avuto meno morti, anche fra gli ottantenni.
Scusate, ho sentito dire che i test sierologici per capire se una persona ha avuto il covid-19 ma è guarita, a distanza di tempo possono dare risultati negativi perché non è detto che vengano prodotti anticorpi stabili? Qualcuno è in grado di darmi una risposta? E’ un punto fondamentale per capire se in una certa situazione qualcuno sta giocando sporco.
Massimo Silvestri
“ai primi di marzo l’OMS e diversi virologi sostenevano che sarebbe stato inutile effettuare tanti tamponi”
questo assieme alla proibizione per quindici giorni di marzo di effettuare le autopsie mi è sempre sembrata la più assurda e antiscientifica presa di posizione possibile!
E ancora manca totalmente un’analisi, anche parziale e incompleta, della tipologia delle vittime (età, sesso, patologie presenti, residenza o luogo di infezione, ecc.) dalla quale trarre strategie di contrasto e contenimento minimamente ragionate ed efficaci…
Il 14 marzo è stato presentato alla Procura della repubblica di Bergamo un esposto, seguito il 29 marzo, il 6 aprile e l’8 giugno da 3 addende. In provincia di Bergamo ci sono stati almeno 6100 decessi tra l’1 marzo ed il 31 maggio. Di questi per differenza con le percentuali di decessi nelle province lombarde meno colpite (Sondrio Como Varese Pavia Mantova Lecco Monza e la stessa Milano) si stimano 3550 decessi in più (quelli ufficiali sono solo 3090!). Ma è una stima perché per la Lombardia i decessi per provincia non sono pubblici, si sono dovute fare delle stime di ripartizione e sono disponibili solo i dati per l’intera regione. È una grandissima carenza di informazione che impedisce di ricavare numeri attendibili. Per la cronaca: ad oggi l’estensore dell’esposto non è stato neppure contattato né in forma informale né ufficiale. Saluti.