Tecnica di scavo in valanga
di Carlo Crovella
Il rischio delle valanghe è la caratteristica saliente dello scialpinismo. Non solo dello scialpinismo, ovviamente, ma di tutte le attività che si svolgono in ambiente innevato, con o senza sci. Le considerazioni che seguono valgono quindi per escursionisti, ciaspolatori, cascatisti, alpinisti invernali (durante gli avvicinamenti e le discese), sleddogger (slitte con cani), MTBiker (con o senza “e”) in versione ruote fate, semplici passeggiatori domenicali reduci dalla polentata in baita e… chi più ne ha più ne metta.
Certo è che io sono fondamentalmente uno scialpinista e quindi affronto l’analisi delle problematiche innescate dalla neve con la logica di chi fa gite con le pelli.
Dunque il rischio delle valanghe è la caratteristica saliente quando ci si muove su terreno innevato. In realtà io, che notoriamente sono un “vecchioscarpone” e in più indosso sempre i pantaloni alla zuava e uso perfino il cappello di feltro con la piuma di fagiano (attenzione: la “piuma” e non la più nobile “penna” e poi “fagiano” e non la più nobile “aquila”), sostengo e insegno che esistono anche altri rischi, da non sottovalutare: il bivacco imprevisto, il rapido calar delle tenebre nelle corte giornate invernali, le generalmente più severe condizioni meteo, la spensieratezza conseguente all’ebbrezza della discesa, il massiccio numero medio di partecipanti a certe gite “collettive” e la conseguente maggior probabilità di perderne qualcuno…
Insomma di grane ce n’è a dismisura. Ma certo è che il rischio valanghe si discosta di gran lunga dagli altri rischi, come probabilità di concretizzazione e, purtroppo, come effetti nefasti.
In particolare tutto ciò si è amplificato a dismisura da quando domina un certo scialpinismo che io definisco “sciistico”, cioè che ha perso la componente mentale dell’alpinista (anche di medio livello), per seguire la supremazia dell’ebbrezza della discesa.
White Pow(d)er, così viene sintetizzato questo scialpinismo sciistico, giocando sull’assonanza anglofona fra “potere” e “polvere”: ricerca assatanata della farina canadese, ficcandosi (spesso contro ogni buon senso) in couloir intasati da recentissime nevicate oppure compiendo tagli da urlo per raggiungere quell’ultimo fazzoletto intonso…
A mio giudizio questo approccio aumenta l’esposizione al rischio valanghe: le si va a cercare… Ma non è questo il perno dell’odierna chiacchierata.
Infatti il rischio valanghe esiste anche per lo scialpinista con la testa “alpinistica”, quello che studia a tavolino gli itinerari in ogni minimo risvolto, che legge e rilegge i bollettini, che registra maniacalmente ogni segnale del terreno per adeguare la traccia nel modo più consono… Vi è infatti una ineliminabile componente di fatalità, così come vi sarà sempre una ineliminabile percentuale di errore umano anche da parte dell’individuo più scrupoloso e scientifico.
Tutti coloro che ci tengono alla propria pelle devono quindi essere estremamente preparati sul tema “incidente da valanga”, perché può concretizzarsi ad ogni passo. Ci si prepara dapprima studiando sui libri e poi applicandosi in esercitazioni sul terreno. Il tempo perso in noiosissime ripetizioni di protocolli e prassi (al fine di memorizzare il tutto come se fosse qualcosa di congenito insito in noi) tornerà utile in caso di impreviste emergenze.
L’invenzione degli ARTVA ha notevolmente aiutato la gestione dell’incidente da valanga. Tuttavia i primi apparecchi, “analogici”, richiedevano un notevole allenamento sul terreno: occorreva prima imparare e poi mantenere la sensibilità del proprio udito per ottimizzare i tempi di localizzazione del travolto.
Per fortuna le nuove generazioni degli ARTVA, quelli “digitali” (specie se a tre antenne), hanno ulteriormente agevolato l’operatività. Ormai sono gli apparecchi stessi che cercano e individuano i travolti, occorre solo seguire i loro output come se fossimo ubbidienti cagnolini. Salvo rarissime eccezioni, sono gli apparecchi che ti “portano” sopra al travolto e lo fanno in genere molto rapidamente.
E’ noto che i tempi di estrazione del malcapitato costituiscono la variabile dominante per la sua sopravvivenza (in assenza di traumi, ovviamente). Se fino a 15 anni fa circa (cioè fino a quando gli apparecchi analogici costituivano la parte dominante del parco ARTVA in essere), la partita si giocava sull’abilità, da parte di chi era rimasto fuori, di muoversi a menadito (e con orecchio “fino”) seguendo le metodologie di ricerca del segnale, da qualche tempo in qua il tema caldo si è spostato sull’efficacia dello scavo nella neve.
E lì infatti che, oggi come oggi, si concentra la principale azione “umana” dei primi soccorritori. Sapersi muovere a menadito con la pala, oggi, è rilevante come lo era 15-20 anni fa, cioè all’epoca degli ARTVA analogici, saper fare alla perfezione le sventagliate (nella spezzata di progressione) o la ricerca di precisione una volta sopra al malcapitato.
A differenza di quanto si pensa in genere, nella neve non si scava a vanvera. Non ci si butta sulla massa bianca facendo mulinelli animaleschi con le pale. C’è una tecnica precisa che ottimizza l’efficacia e quindi minimizza i tempi, specie se si è in gruppo.
Ora mi ricollego nuovamente al concetto di scialpinismo sciistico. La ricerca, a volte esasperata, della powder comporta una maggior probabilità, in caso di incidente, di terminare sotto masse nevose molto consistenti. A questa conclusione si può arrivare, sul piano del ragionamento, in termini differenziali: lo scialpinista con mentalità “alpinistica”, tranquillo e pacato, ricerca i punti meno rischiosi del terreno, normalmente quelli con minori criticità o addirittura con minor accumulo di neve.
Sia chiaro: non è una legge che vale sempre, né in un senso né nell’altro, ma mi serve citarla per sottolineare che la tecnica di scavo dovrebbe esser particolarmente padroneggiata dagli appassionati dello scialpinismo sciistico (e invece temo che non sia così, stante la naturale avversione – di chi ricerca la piena libertà di movimento in montagna – verso ogni forma di irrigidimento in regole e prassi codificate). La conclusione cui voglio arrivare è: se è vero che, a grandi linee, per loro è più consistente il rischio, in caso di incidente, di trovarsi sotto metri e metri di neve, sarebbe una beffa se i loro compagni riuscissero a localizzarli con estrema rapidità, grazie agli ARTVA digitali, ma poi impiegassero troppo tempo nell’estrarli perché non padroni della corretta tecnica di scavo.
In ogni caso, sia per gli scialpinisti sciistici che per quelli con la testa “tradizionale”, è ormai imprescindibile conoscere a puntino la tecnica di scavo in valanga e soprattutto applicarsi in esercitazioni sul campo per affinarla oltre ogni dubbio.
L’allegata dispensa non è recentissima (2015), ma trova riscontro anche nella più recente dispensa sull’autosoccorso in valanga. Quest’ultima, più generale e molto completa, rischia di risultare un po’ dispersiva, se l’obiettivo è quello di concentrarsi sullo specifico tema della tecnica di scavo.
Per andare in montagna, studiare a tavolino è il primo passo per attrezzarsi a dovere.
SULLA TECNICA DI SCAVO IN VALANGA
(per una didattica comune in tutte le scuole del Club Alpino Italiano)
di Angelo Panza, Gianni Perelli Ercolini e Davide Rogora
Marcello una domanda: le guide alpine hanno dei propri protocolli per lo scavo e autosoccorso in valanga, oppure si rifanno a ciò che è riportato anche nei manuali del CAI?
Mi ricordo ad esempio che per le manovre di autosoccorso su roccia e ghiaccio, nonchè recupero da crepaccio, c’erano discrete differenze.
https://www.ilgazzettino.it/nordest/verona/escursionista_precipita_cavita_carsica_fessura_terreno_neve_lessinia_cosa_e_successo-6427081.html
Oltre alle valanghe, sono sempre piu’ frequenti gli sprofondamenti in cavita’ ricoperte da crostona di neve.
Se proprio non si è in grado di fare muscolarmente lo sgombero domestico, ..o si compra fresa o una carriola cingolata con tanto di lama.Poi, rimossa lama ..servirebbe anche per altri spostamenti materiali vari..terra, legna…patate dell’orto ecc.Per il tetto stracarico…non resta che salirvi con la pala , ma sempre assicurandosi a trave o cavo-linea di sicurezza con corda e imbrago e regolando la lunghezza . Poi si usa un rastrello da neve o anche un aggeggio geniale. http://www.6aprile.it/media/video/2012/02/16/video-come-rimuovere-la-neve-dai-tetti.html. Oppure si applica il mantra del fancazzista”Uccidere un umano e spalare la neve sono lavori inutili, tanto se ne vanno da soli”. Questo e’ il metodo top:https://www.youtube.com/watch?v=-aMmONu8FR4, poi dal camion si scarica su qualche pista per di sci fondo..alla bisogna.
L’ho già scritto sul gognablog ma spalare la neve dal tetto e/o intorno a casa è il miglior sistema per conoscerla e temerne le mosse. Non esiste corso Aineva, Cai o altro che ti faccia capire così tanto su questo misterioso elemento multicolore anche se si presenta sempre bianco. Dopo decenni di spalamento manuale ho acquistato una fresa a motore ma in certi punti e sul tetto devo ancora usare la pala. Il segreto è cambiare spesso mano per non torcere la colonna vertebrale sempre nello stesso verso, flettere molto le gambe e spostare la mano anteriore sul manico a seconda del peso della neve. Nonostante io lo faccia spesso, l’errore è aspettare a spalarla qualche ora dopo la nevicata. Si appesantisce e non ne vale mai la pena. Ci si spezza la schiena. Meglio agire durante la nevicata. Spalare neve è un nell’esercizio per la mente e se ti puoi permettere di farlo è perché hai tempo di vivere lentamente e bene. Un po’ come il the delle 5 per gli inglesi. Signori si nasce, e io modestamente lo nacqui, diceva Totò.
@3 occorre anche fisico adatto.Ogni tanto si legge di qualche solerte spalatore di neve in zona abitativa che stramazza e vien stroncato da infarto specie se la neve e’ pesante e ci si mette troppa foga. Quindi i soccorritori devono essere ben affiatati e agire quasi meccanicamente , senza confusione e tempi morti .Qualita’ che non sempre si trovano in gruppetti di semplici escursionisti una tantum benchè muniti dell’occorrente.” trovato questo:
“È vero: non si tratta di uno sport, ma spalare la neve costituisce comunque un ottimo allenamento. Quando si deve ripulire il vialetto di casa, dunque, non serve fare altra attività fisica: quella che si sta facendo basta e avanza per una giornata. Per bruciare ancora più calorie, accelerare il tempo di spalatura e fare dei riposi più brevi. Ricordarsi che quando la neve è più profonda, più pesante, più umida, più densa o più ghiacciata, pesa di più, per cui in queste condizioni si brucia di più. Più è difficile sollevare e depositare la neve, più calorie si mandano in fumo.Calorie bruciate: 340/408/612. (all’ora??)Fa ridere vedere gli ingaggiati per ripulire i marciapiedi o parchi in USA.Ingaggiati 8 ore, per quante effettivamente riescono a rendere efficacemente?
Quando scavi per tirare fuori qualcuno le energie ti si raddoppiano. Avere una tecnica e una tattica (se si è in gruppo ci vuole sempre uno che dica cosa fare -strategia- e come farlo) è comunque fondamentale perché, come dicevano alla Pirelli: la potenza è nulla senza controllo.
trovato questo:https://www.youtube.com/watch?v=KQQgOYI0Amo
17 minuti con neve pesante. Si prova pena anche per il manichino, figurarsi per una persona in quelle condizioni.Anche per gli scavatori e’ un bel impegno psicofisico..se nella situazione reale si aggiunge lo stress per l’imperativo di fare presto e bene.
Meglio studiare su un tavolino all’aperto in zona con parecchia neve e subito dopo applicare.. magari passo passo alternando tra cio’ che si legge e cio’ che si traduce in pratica. Meglio ancora con un istruttore che corregge magari con fare spiccio e brusco .Rimango con un dubbio:il cordino con una palla all’estremita’ e trainato , dal colore rosso fluo, ..e’proprio da buttare via?Ha alcuni limiti pratici?O è efficace ma comporta un impiccio? di sicuro non e’ di moda…si punta molto al gadget “light elettronico”…poi i muscoli bisogna sempre averli.