Test di auto-valutazione sulla gestione del rischio

E’ uscito il libro di Filippo Gamba, Libertà di rischiare, Edizioni Versante Sud.
Vedi http://www.versantesud.it/shop/liberta-di-rischiare

Indubbiamente un tema rilevante, che appassiona tutti coloro che amano la montagna e l’avventura.

Il succitato sito invita il possibile lettore a fare il test di autovalutazione sulla gestione del rischio http://my.questbase.com/take.aspx?pin=4749-8396-5852, prima ovviamente di procurarsi il libro e di leggerlo (NOTA: in data successiva gli editori nel loro stesso sito hanno cancellato la possibilità di fare on-line il test, NdR).

Incuriosito, mi sono sottoposto al test, composto da dieci domande cui occorre rispondere con una di tre possibilità proposte.

Per brevità, non entro nel merito sull’opportunità o meno di questo genere di semplificazioni. Comunque, su dieci domande, ho scoperto dopo l’invio di aver fornito solo quattro risposte esatte.

TestAutovalutazione-RISCHIO

Ecco le sei domande cui ho risposto in modo “erroneo”: a ciascuna ho fatto seguire la motivazione della mia scelta:

Da che cosa parte una valutazione dei rischi?

Dall’analisi degli incidenti occorsi (risposta mia)
Dall’analisi dei pericoli del sistema (risposta dell’autore)
Dal confronto con organizzazioni simili del settore

Nulla, secondo me, nella valutazione dei rischi, eguaglia l’importanza di poter disporre di grande esperienza, quindi anni e anni di incidenti vissuti, riportati, analizzati a posteriori. L’analisi teorica dei pericoli del sistema è un virtuosismo magari utile ma secondario. E poi: quale sistema? C’è un sistema?

Qual è il primo passo in un’emergenza sul campo?

Seguire le procedure
Riconoscere o nominare il leader delle operazioni (risposta dell’autore)
Effettuare immediatamente l’esame della situazione (risposta mia)

Se c’è una vera emergenza non c’è spazio per personalismi, il gruppo tende ad agire compatto, i suoi membri si ascoltano uno con l’altro, non c’è alcun bisogno di un capo, manco fossimo in un’ottica militare o aziendale. Se poi ad agire è una squadra del soccorso alpino, allora va da sé che ci sia già, prenominato, un direttore delle operazioni…

Come si realizza la riduzione del rischio?

Riducendo il pericolo, o il danno potenziale, o l’esposizione (risposta dell’autore)
Soprattutto agendo sulla prevenzione
Soprattutto riducendo l’esposizione al pericolo (risposta mia)

Qui la risposta gioca molto sulla differenza tra rischio e pericolo e si può discutere a lungo. Nessuna delle tre proposte è soddisfacente. E non ho scelto quella che l’autore considera la risposta esatta per il semplice motivo che è male esposta e certamente incompleta, perché in quel modo si cambiano le regole del gioco. Il gioco pretende o una rinuncia oppure che non si alterino le condizioni della sfida, sarebbe come dire che, sotto scacco matto, m’invento una nuova regola che mi salvi il re…

Che effetti può avere sul rischio l’essere in gruppo anziché da soli?

Diminuisce la percezione del rischio (risposta mia)
Si riduce il rischio grazie alla somma delle esperienze dei singoli
Dipende dalle dinamiche di gruppo (risposta dell’autore)

Non dico che le dinamiche del gruppo non siano importanti, ma è molto, molto evidente che il gruppo ti fa diminuire la percezione del rischio. Nella prima guerra mondiale i fanti andavano all’attacco ubriachi e in gruppo, non certo da soli.

Perché cambiano sostanzialmente gli obblighi dell’accompagnatore nel caso di minori?

La custodia del minore è delegata temporaneamente all’accompagnatore (risposta dell’autore)
Il minore deve obbedire alle istruzioni dell’accompagnatore
Il minore non può prendere decisioni autonomamente (risposta mia)

La risposta considerata esatta dall’autore è assurda, in quanto la custodia è delegata all’accompagnatore anche quando si tratta di maggiorenni…

Se un partecipante firma il documento di scarico della responsabilità, l’organizzatore è manlevato?

Dipende dalle clausole che vi sono inserite (risposta dell’autore)
Sì, se il documento è accettato con doppia firma
No, mai (risposta mia)

Sfido qualunque organizzatore a dimostrare di non aver avuto mai grane solo perché c’erano le clausole giuste firmate…

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In conclusione, avendo io ricavato un bel 4, mi sono rimediato il giudizio per coloro che sono inferiori a 5:

“Sembra che ti manchino le basi della Gestione del Rischio, forse perché hai avuto rare occasioni di affrontare l’argomento, o perché la tua organizzazione gestisce la Sicurezza con un approccio ormai superato; in ogni caso, questo libro ti sarà indispensabile se intendi (o devi) interessarti in qualche modo al tema”.

Insomma, a me per la sufficienza non sono bastati i miei 53 anni di alpinismo attivo, si vede che ho avuto “rare occasioni” e comunque ho un approccio all’argomento ormai superato. Decisamente devo comprarmi al più presto “La libertà di rischiare”…

Test di auto-valutazione sulla gestione del rischio ultima modifica: 2013-12-25T12:59:26+01:00 da GognaBlog

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11 pensieri su “Test di auto-valutazione sulla gestione del rischio”

  1. Se non sbaglio, in quanto curatore della collana “Outdoor” di una delle più importanti case editrici italiane, mi era stato presentato questo manoscritto (credo fosse una tesi di laurea) che ho prontamente restituito al mittente per l’assoluta, a mio avviso, inconsistenza e futilità del tema.
    Un caro amico che adesso corre nelle praterie celesti, tale Cesarino Fava (chi non sa chi sia faccia indagini), diceva spesso: “se non vuoi rischiare, non devi muoverti dal letto, e non sei al sicuro neppure lì.”
    Detto questo, sono nauseato dall’ormai inarrestabile bisogno (vedi anche i recenti articoli su Banff legati alla paranoia legale, in ambito alpinistico, di definire “regole” per ciò che non può essere col buon senso regolamentato, col fine unico e dichiarato di ricercare sempre, e in ogni caso, un responsabile/colpevole a cui addossare responsabilità e/o colpe anche di eventi che non possono in alcun modo essere riportati ad una casistica giuridica) di dare una visione garantistico/manageriale a qualsiasi attività, comprese quelle che per loro essenza sono lasciate a buon senso e libero arbitrio. Già il sottotitolo “Gestione del rischio in alpinismo” rappresenta una contraddizione in termini, poichè, per antonomasia, alpinismo E’ rischio.
    Per purtroppo inesorabili dati anagrafici ho anch’io, sulla schiena, 45 anni di ogni attività pericolosa in montagna, portata fino ai limiti massimi, anche da professionista, e in questo periodo ho portato, in ogni parte del mondo, migliaia di persone, gestendo gruppi e singoli spesso in situazioni impreviste ed estreme. Senza alcun incidente. Nonostante questo, non sono andato più in là del 4, e di conseguenza pure a me “Sembra che manchino le basi della Gestione del Rischio, forse perché ho avuto rare occasioni di affrontare l’argomento, o perché la mia organizzazione gestisce la Sicurezza con un approccio ormai superato; in ogni caso, questo libro mi sarà indispensabile se intendo (o devo) interessarmi in qualche modo al tema”.
    Mi dispiace per il buon Gamba, che sarà sicuramente un eccellente analizzatore di dati e tabelle con cui si dedica sicuramente ad intensa attività onanistica, ma, dati statistici alla mano, il mio angelo custode si fa una enorme pippa delle sue masturbazioni e continua, nonostante il mio probabilmente superato approccio al concetto di Sicurezza, a proteggere me i miei compagni.
    E versus questo, caro il mio Gamba, non ci sono dati e tabelle che tengano…
    E’ anche vero che ognuno, compreso il buon Gamba, ha diritto ai suoi cinque minuti di notorietà, e qualsiasi mezzo è lecito; mi fa sorridere anche l’altrettanto sofistico Matteo che paragona il K2, o la Suguta Valley, o le falesie del Tibesti, a “strutture sportive” alle quali applicare la famigerata 626. Patetico.
    E da buon anarchico, nonostante la palesata indispensabilità – per manifesta incapacità nella gestione del rischio scaturita dal test – di dovermi dotare del colto libercolo del Gamba che mi aprirebbe orizzonti finora sconosciuti nella gestione totalmente sicura e ordinata delle mie attività scapestrate in montagna, nei deserti, e ovunque ci siano rischi da eliminare, preferisco continuare ad affrontare e gestire il rischio a modo mio. Altrimenti, se diventiamo tutti dei ragionieri dell’imponderabile, cosa rimane per divertirsi?

  2. Vorrei aggiungere una cosa: scelta implica responsabilizzazione, è ovvio. Ma in quale punto dell’evoluzione culturale dell’Occidente ci siamo lasciati convincere che responsabilità sia sinonimo di colpa, di sbaglio da pagare? La responsabilità, semmai, è nobile sorella della libertà. Scusate ma oggi ho… l’embolo filosofico.

  3. Il test (e probabilmente il libro, che non ho letto) fa riferimento a situazioni di rischio probabilisticamente quantificabili tipiche della gestione della sicurezza aziendale o di situazioni di pericolosità scientificamente determinate (ancorché, sempre, in termini di probabilità). In questo senso, le risposte dell’autore sono corrette sia da un punto di vista procedurale/normativo, sia da un punto di vista – appunto – scientifico. Mi spiego meglio con un esempio. Consideriamo il rischio sismico, che è (cito dal sito della Protezione Civile) “determinato da una combinazione della pericolosità, della vulnerabilità e dell’esposizione ed è la misura dei danni che, in base al tipo di sismicità, di resistenza delle costruzioni e di antropizzazione (natura, qualità e quantità dei beni esposti), ci si può attendere in un dato intervallo di tempo.”
    La PERICOLOSITA’ sismica è la probabilità che in una data zona si verifichi un evento sismico (dati dell’Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia).
    La VULNERABILITA’ è la capacità di una struttura (edificio) di resistere a un terremoto, e dipende dalle caratteristiche costruttive.
    L’ESPOSIZIONE è la densità di edifici (e di popolazione) presenti in una data zona e definisce la probabilità che un evento danneggi cose e persone.
    Se chiamiamo la pericolosità P, la vulnerabilità V e l’esposizione E, il rischio sismico sarà quantificabile come:
    R = P * V * E
    Il “sistema” è l’area dove potrebbe verificarsi il sisma, con le sue caratteristiche geologiche e di densità abitativa. Se proviamo a rispondere alle domande relative al rischio con questa formula in mente, verranno fuori tutte risposte corrette. Restano, più aleatori del’alea del rischio, ma in un certo senso più gestibili con adeguate procedure di informazione/prevenzione, i fattori che dipendono dalla percezione psicologica del rischio e dal bilancio svantaggi/benefici che ogni individuo o gruppo utilizza come parametri essenziali nell’esporsi o meno al rischio medesimo.
    Il punto è proprio questo, però: possiamo applicare la stessa nozione di rischio alle attività alpinistiche? Credo che ci siano due risposte possibili. No, se si tratta solo di adeguare (o tentare di adeguare) la libera avventura alpinistica a un modello procedurale precisamente normato, dove la scelta è estromessa dai parametri per esigenze amministrative, assicurative, burocratiche e politiche. Si, se decidiamo di andare in cerca, per ogni sistema, dei corretti parametri da prendere in considerazione e se inseriamo in qualsiasi procedura – scritta o implicita – il bivio della decisione individuale e dell’assunzione di responsabilità. In pratica, la procedura di gestione del rischio, di qualunque rischio, dovrebbe necessariamente contenere un passaggio dove si chiede al singolo di effettuare una scelta consapevole in base alle proprie conoscenze e alla propria esperienza e di agire conseguentemente e coerentemente con la scelta effettuata. Sottolineerei “conoscenze” ed “esperienza”….

  4. Ho preso in mano il libro in libreria, attratto dal titolo. Dopo pochi minuti di consultazione l’ho prontamente riposto sullo scaffale. Posto che la mia esperienza è minima rispetto ad Alessandro, credo di essere comunque dotato di buon senso a spirito critico, non fosse altro che per gli anni e per avere fatto un lavoro dove il rischio era una componente quotidiana. Concordo appieno con il commento su FB di Alessandro: “Come cercare certezze masturbatorie con i test”. Un libro di cui posso fare sicuramente a meno.

  5. Parto dal presupposto che i test non mi sono mai piaciuti perché riescono quasi sempre a fare confusione. Detto questo ho fatto il test e ho totalizzato un 5 che poi è diventato un 4 perché alla domanda sul minore la prima risposta e l’ultima ad una lettura rapida divergono di poco. Sono 27 anni che scalo dal 1992 Istruttore Reg. di Alpinismo ho diretto dei corsi di Alpinismo ed ho partecipato a 14 corsi di Alpinismo del CAI. Da un po’ di anni ho lasciato il CAI e non sono più tesserato. Mi domando: Non avevo capito nulla prima, ho dimenticato tutto, C’è chi ha più esperienza, ma lo escludo perché in fatto di esperienza Alessandro Gogna ne ha più di tutti noi. Concordo sul fatto di poter avere idee antiquate ma che mi hanno sempre lasciato un giusto approccio con il rischio. Il titolo va proprio contro al mio modo di pensare la Montagna, non ho mai sopportato il “no limits” comunque anche se il titolo è “disgraziato” leggerò sicuramente questo libro, almeno per capire se mi sbaglio.

  6. Caro Matteo, è la filosofia di fondo del libro che non s’incontra con il sentire e l’intuire tipiche dell’alpinista veterano e del giovane promettente. Il mio pungente articolo sul test è solo l’antipasto di una critica per nulla costruttiva che intendo fare alla mentalità ottimistico-aziendale che permea “Libertà di rischiare”. Una recensione che ha bisogno della lettura completa del libro, impresa ti assicuro davvero faticosa.

  7. No Sandro, credo che perlopiù abbia proprio ragione l’autore del libro.
    Provo a fare un esempio pratico: come si riduce il rischio dovuto alla caduta di sassi in parete? Il pericolo non dipende da te, però (oltre a non andare in parete=riduzione dell’esposizione) puoi ben mettere un casco (riduzione del danno potenziale); in questo modo il rischio diminuisce, perché solo i sassi superiori a diciamo 1 kg e che cadano da una altezza superiore ai 2 m potranno farti male alla testa.

    Su una in particolare credo tu abbia proprio sbagliato: un minore è assolutamente in grado di prendere decisioni autonome, il problema che per legge non ne è responsabile, quindi necessita della tutela di qualcuno (una volta chiamata patria potestà) e questo fà una bella differenza dal punto si vista legale.

    per la cronaca io ho totalizzato 8 su 10.
    la 7 perché non ho ragionato (per la legge italiana -626- le procedure di sicurezza devono essere scritte per qualunque posto di lavoro e quindi anche per le strutture sportive)
    la 3, perché secondo me non è corretta nemmeno da un punto di vista teorico. Ci sono situazioni in cui io, personalmente, col cavolo che mi metto a riconoscere o nominare un leader: se mi accorgo di essere esposto al pericolo immediato di un crollo, io cerco si allontanarmi, mica cerco uno che mi dica di farlo. E vale tanto in montagna sotto un seracco che in un edificio o sotto una tettoia che inizia a cedere vicino a me.

    Però devo dire che ho goduto di indebito vantaggio: per un certo periodo ho fatto il responsabile della sicurezza dell’azienda perc cui lavoravo!

  8. Anche io ho totalizzato 4 su 10 nonostante abbia lavorato 10 anni allo SPISAL e gestito corsi di formazione dei lavoratori sulla sicurezza ecc. ecc. Mi sembra che l’esattezza delle risposte sia molto discutibile, una buona occasione per gli avvocati. Di sicuro il test non mi ha stimolato alla lettura del libro.

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