Tiziana Weiss vestiva di azzurro e non di rosa
di Riccarda de Eccher
(pubblicato su Le Alpi Venete, primavera-estate 2019)
Per descrivere Tiziana Weiss c’è un’espressione triestina che calza a pennello: “piena de morbin”. Morbin, che significa energia, allegria, voglia di vivere. Tiziana era piena di vita e il perno di questa sua esuberanza era una totalizzante passione per la montagna. Trieste, negli anni ’70, per quanto riguardava l’alpinismo, era diversa da qualsiasi altra città dell’arco alpino. Era spumeggiante, competitiva, brillante, aperta al nuovo. Ci si allenava e, novità per l’arrampicata, si usava il magnesio. A Trieste la conoscenza di flora, fauna, canti, cibo e tradizioni “facevano curriculum”, ed erano importanti quasi quanto la vera e propria attività in montagna. La presenza di due sedi del CAI nella stessa città (anche questa una vera particolarità), creava un ambiente vivace e molto attivo. Non c’era la necessità di rompere con un ambiente conservatore e maschilista, come era accaduto in altre città d’Italia, per il semplice motivo che Trieste non era così. La leggerezza, la gioia, l’allegria, permeavano il rapporto con la montagna. E le donne erano, da sempre, presenti e attive: Bianca Di Beaco, un esempio tra i tanti. Trieste era, nel mondo alpinistico, una sorta di eccellenza.
Per me, che venivo da Udine, dove avevo fatto il corso di roccia e avevo iniziato ad arrampicare, Trieste era il paese dei balocchi. Tiziana quell’ambiente lo conosceva da sempre, veniva da lì e ci era sempre vissuta. I suoi genitori erano attivi nella vita sociale della XXX Ottobre (1) sia per quanto riguarda le attività in sede (il padre Manlio era un dirigente della Società), sia per le uscite in montagna.
È proprio in una di queste gite, ai Cadini di Misurina, che Tiziana, appena dodicenne, vede per la prima volta dei veri scalatori, con tanto di corda, ritornare da una salita. Per lei è una folgorazione. Si vede rispecchiata in quell’attività, la sente sua, sente un richiamo, una chiamata, vede una strada da percorrere. Si rivolge a loro e comincia a fare delle domande. Non quelle di una ragazzina curiosa, ma di chi ha deciso che quella sarà la sua strada e vuole capire come fare a percorrerla. Chiede le istruzioni per l’uso e gli alpinisti interrogati non possono che prenderla sul serio (2).I genitori, anche se lei “è molto giovane, la assecondano e così comincia a frequentare la Val Rosandra, luogo di allenamento di generazioni di scalatori triestini. In Valle Tiziana conosce Enzo Cozzolino, con cui comincia ad arrampicare. Arrampicatore fuoriclasse, aveva un modo nuovo di affrontare la montagna, un approccio e un’etica che portavano nuove regole. Sarà riconosciuto come uno degli alpinisti che aprirà la strada al settimo grado. Tra i due nasce un’amicizia e poi qualcosa di più.
Ben presto scala in Valle molte delle vie considerate dure. Ma non arrampica solo con Enzo, pur vedendo le sue straordinarie capacità tecniche e capendo che le sue idee sull’arrampicata aprono nuove frontiere. Tiziana non è gregaria; per il suo rapporto con la montagna non ha bisogno di un uomo, all’altro capo della corda. Spiro Dalla Porta Xydias, affascinato dalla sua bellezza e dalla sua bravura in montagna, scrive di lei sostenendo che si completerà solo quando troverà all’altro capo della corda anche il suo compagno di vita (3). Io non la penso così. Tiziana, all’altro capo della corda, cercava qualcuno con cui condividere la salita. Un compagno o una compagna, a cui legarsi per arrampicare. Il soggetto, il centro della sua vita, era la montagna. E l’amicizia, il gruppo, prevalevano comunque. Non era il tipo di donna da isolarsi in un rapporto di coppia.
«Loro, gli amici. Loro, sono la mia cima, e questa vetta oggi è tutta me stessa» (4). Arriva, finalmente, il debutto in montagna. In tutto il resto dell’arco alpino sarebbe stato normale, in quegli anni, arrampicare, almeno per una stagione, sul terzo e quarto grado. Ma Trieste non rappresentava la norma. A Trieste c’era modo di allenarsi in Valle e di fare delle vere e proprie vie. E c’era anche un ambiente che sosteneva e dava fiducia a chi si avvicinava all’arrampicata. Dopo la Dimai alla Punta Fiames e il Campanile di Val Montanaia, Tiziana sale lo Spigolo Jori, sempre alla Fiames. La giornata che avrebbe dovuto essere di soddisfazione e di gioia, è invece segnata da una tragedia: mentre lei sale, a comando alternato, la sua prima via di quinto grado, Enzo Cozzolino cade, in solitaria, sulla Torre di Babele. Il colpo è durissimo.
«La morte, capisco ora il significato, ma non il senso di questa parola. Quale senso può avere la morte per un ragazzo di ventiquattro anni?» (5). Tiziana reagisce e pensa che, proprio per Enzo, non deve e non vuole mollare. È l’estate del 1972 e, dopo Punta Fiames, sale, a comando alternato, altre tredici vie: tra queste lo Spigolo del Velo alla Cima della Madonna, la Tridentina e il Primo Spigolo alla Tofana di Rozes, la Pisoni alla Cima Scotoni, il Diedro Quinz al Pianoro dei Tocci, il Campanile Dülfer ai Cadini di Misurina.
Tiziana è una donna nuova, nel mondo dell’alpinismo. Bianca di Beaco, nella sua autobiografia la descrive benissimo: «Anche lei della scuola di Enzo; seria applicazione atletica e allenamento costanti. Anche lei giovane e disincantata. A volte con la ferocia di sentimento come sono i giovani di un’epoca più sicura e ricca della nostra sanno possedere. Ma forse per questo più che mai donna perché libera da soggezioni e avvilimenti. Io ero grata a Tiziana per quel suo sapere imporsi, per quel suo vivere in uno spazio suo» (6).
Tiziana si muove in maniera autonoma, intreccia relazioni, si sposta. Conosce Gian Piero Motti, Alessandro Gogna e gli alpinisti del “Nuovo Mattino”. Partecipa alle tavole rotonde sulla schiodatura. Conosce e arrampica con Peter Habeler, Franco Piana. E’ frutto di tempi nuovi, cambiati. Non si ferma a Trieste e non esita ad andare da sola dove la montagna e la cultura della montagna trovavano le loro espressioni più alte. È brava, bella e simpatica e viene invitata ovunque.
Tiene molto alla sua “figura pubblica” e coltiva le relazioni, amando anche quella che io chiamavo “la mondanità dell’alpinismo”. Parliamo comunque di tempi radicalmente cambiati. I mezzi per tenere i contatti erano limitati e altrettanto quelli per comunicare i risultati del proprio agire. Ecco una storia che la descrive (e racconta quei tempi): nel 1975 facemmo insieme la Via Tissi alla Torre Trieste. Una salita con passaggi di quinto superiore e una discesa impegnativa. Insomma: una vera salita su una vera montagna! E la facemmo legate insieme in un’autentica “prima femminile”, dove “femminile” era tutta la cordata. A nessuna delle due, all’epoca, è venuto in mente che forse la cosa potesse avere una qualche importanza e che avremmo potuto comunicarla (io stessa ci ho pensato solo qualche anno fa). Non è venuto in mente a noi, ma neanche ai nostri amici. Noi eravamo amiche e arrampicavamo insieme: questo era tutto. In una situazione analoga, vissuta oggi, al primo terrazzino ci sarebbero già le foto su Instagram.
Femminista? Sì, nei fatti. Nel 1977, quando finalmente la Marcialonga apre alle donne, è Silvia Metzeltin, grande amica di Tiziana, ad allertarci. Neanche un attimo di esitazione, facciamo gruppo e partecipiamo.
A Trieste Tiziana, libera e autonoma, scorrazzava con la sua Vespa dalla “Napoleonica”, palestra di arrampicata di Prosecco, dove ci si allenava quasi tutti i giorni, alla Val Rosandra, senza trascurare di frequentare la sede della “Trenta”. Vorrei ricordare anche Jose Baron, per tutti noi, un vero e proprio riferimento. La sua profonda conoscenza della montagna e il suo severo buon senso lo rendevano un leader naturale. Il suo carisma ci portava a riferirci a lui. Lui dava consigli ed era a lui che riportavamo, con orgoglio, i nostri risultati.
Tiziana viveva il suo tempo, che era quello del femminismo e della libertà ai giovani. Non che fosse “politicizzata” (in quegli anni la divisione era netta) o, peggio ancora, “qualunquista”. No, lei non lo era. Sempre per usare un’espressione dei tempi “il privato è politico”, lei, da donna nuova, autonoma, libera, semplicemente viveva. Dei tempi nuovi e delle nuove informazioni faceva pratica di vita. Aveva attenzione per i diritti civili, soprattutto per quanto riguardava l’emancipazione della donna. Su questa stessa rivista (LAV, Le Alpi Venete n. 2/2018-19), in una foto a corredo di un articolo di Flavio Ghio, appare in corteo, in prima fila, a sfilare per la legge sull’aborto. Ma non era la politica a tenerla impegnata. Tiziana aveva spazio solo per la montagna, che viveva in tutte le sue declinazioni.
Sin da bambina amava scrivere e lo faceva con freschezza e con brio. All’epoca non avevo per niente notato il suo talento (quanto si può essere distratti, da giovani). Ho riletto, recentemente, i suoi scritti per LAV che mi hanno colpita ed emozionata.
Scriveva articoli, ma preparava anche i testi delle sue conferenze in cui raccontava, corredate da diapositive, le sue esperienze. Le scriveva, le memorizzava, le provava. Niente era lasciato al caso, non faceva le cose a metà. In ogni cosa in cui si cimentava dava sempre tutta se stessa. Nella sua seconda stagione, siamo quindi nel 1973, l’attività è intensa e conta ben ventinove salite.
Inizia con la prima salita invernale alla Tridentina sulla Tofana di Rozes, via che aveva già percorso l’estate precedente, e ne racconta le emozioni in un articolo:
«Sono riuscita appena a scorgere il tramonto, stupendo quanto l’alba, la luna è appena uno spicchio sottilissimo, le tracce dietro a noi sembrano provenire dall’infinito. Ne vale la pena? In questi momenti me lo sono chiesta più volte. Ma anche quando stavo più male, anche quando la stanchezza stava per vincermi non ho pensato mai che potesse essere l’ultima invernale. Ne vale la pena sì, perché tornati a valle rimangono solo i ricordi più dolci: la splendida salita col sole, l’alba, il tramonto con quei colori irreali» (7).
Il 1973 segna anche l’incontro con i suoi due grandi amori: il gruppo del Brenta e quello delle Pale di San Martino. Sale la Preuss al Campanile Basso. Scrive a un amico: «Preuss è salito solo per quelle rocce verticali a volte strapiombanti. Io sono salita da capocordata e l’ansia dei primi metri per le difficoltà si tramutava salendo, lentamente in grande gioia, in contentezza enorme, in una gran voglia di piangere di felicità, prendendo quegli appiglioni, quei ponti naturali così solidi e sicuri. Ecco non voglio andare oltre, ti dico ancora che se un uomo ama la montagna, le pareti e ama arrampicare, quella è la via che per tutta la vita sognerà» (8).
In seguito, in Brenta, farà delle salite importanti: la Via delle Guide e la Via dei Francesi al Crozzon di Brenta, la Fox-Stenico e la Concordia alla Cima d’Ambiez, la Via Graffer allo spallone del Campanile Basso. Il Pilastro Est della Tosa e la Aste alla Pratofiorito. La prima ripetizione della Via Alimonta alla Torre di Brenta, la seconda ripetizione della via degli Astronauti alla Torre Prati.
L’amore per il luogo e la venerazione per Bruno Detassis, allora gestore del rifugio Brentei, la portano anche a dare una mano come cameriera al rifugio.
Ma l’amore per il Brenta chiede uno scotto: scendendo dalla Via Fehrmann al Campanile Basso, per soccorrere il compagno, scivola lungo un nevaio e si frattura una vertebra. L’incidente la immobilizza per vari mesi. Per Tiziana non è l’unico infortunio, né l’unica sosta forzata: anche arrampicando a Prosecco le salta un appiglio e si frattura il bacino. Sono mesi d’insopportabile e sofferta inattività.
Sulle Pale di San Martino sale lo Spigolo dell’Agner, La Buhl alla Canali, la Castiglioni-Detassis al Sass Maor, compie la prima ripetizione della Via delle Guide sulla parete nord del Sass d’Ortiga. Anche tra le Pale scopre un rifugio e incontra un gestore che diventa amico e punto di riferimento. È il rifugio Treviso e il gestore è Renzo Timillero, detto Ghigno. Nel 1974 incontra Piero Mozzi con cui sale la Steger al Catinaccio. Tra loro nascono un amore e una cordata. A fine anno, dopo varie salite insieme, salgono in prima invernale la via Castiglioni-Detassis al Sass Maor. Non trascura le vicine Alpi Giulie e sale la Deye-Peters alla Madre dei Camosci e lo Spigolo Comici allo Jalovec. Si dedica anche con grande passione allo scialpinismo.
Tiziana amava moltissimo la natura. E, sempre per la coerenza che caratterizzò la sua vita, si laureò in Scienze naturali. Per il breve periodo post laurea, si dedicò a comunicare il suo interesse per la Biologia attraverso l’insegnamento.
A proposito del suo amore per la natura, ho un ricordo molto nitido: legate insieme, Tiziana, da capocordata su un tiro impegnativo, lancia un urlo. Naturalmente mi concentro sulla sicurezza pensando a qualche problema relativo alla salita. Invece in fondo a una fessura aveva visto un raponzolo di roccia e l’urlo era per un’incontenibile gioia.
Come per tutti noi in quegli anni, il sogno era l’Himalaya. Tiziana racconta a un amico comune che, al ritorno in Vespa da una conferenza di montagna a Monfalcone, in un cielo pieno di nuvole aveva visto i giganti himalayani.
«Ed ecco laggiù, sì, eccoli lontani gli “Ottomila” e tutto il corteo di giganti himalayani: il Dhaulagiri, il Nanga Parbat, l’Everest, il Kangchenjunga, il Tirich Mir e gli altri, tutti gli altri. Grandi ombre scure, in una notte meravigliosa, quasi ai confini con il Tibet…» (9).
Il suo sogno si materializza quando nel 1977 Francesco Santon la invita a partecipare alla spedizione all’Annapurna III, in Himalaya del Nepal. La spedizione termina però con una tragedia: Luigino Henry, al ritorno dalla vetta, cade e perde la vita. Piero Radin si ferisce e l’intera spedizione si spende in un’incredibile operazione di soccorso. Niente vetta per Tiziana, o possibilità di provarci. Le spedizioni sono lavori di gruppo, ed è spesso l’alternarsi dei compiti e non le doti del singolo che decidono chi tenta la vetta. Ma l’esperienza è completamente diversa rispetto a quella della cordata. La quota e le dimensioni dell’ambiente rappresentano una novità, ed è come se fosse una montagna nuova da capire e a cui adattare i propri ritmi. Non inanella quindi un altro successo, ma vive un’esperienza nuova fatta anche di lunghe pause, di lunghe permanenze al campo base. Per riempire le ore di attesa al campo base, Tiziana sfidava i presenti con domande sull’alpinismo: «Chi conosce i nomi degli Sfulmini in Brenta?». Lei li conosceva e forse sapeva anche chi erano i primi salitori e le date delle loro salite. Sapeva di alpinismo e conosceva la sua storia. E sempre al campo base, facevamo delle lunghe cantate. Aveva una bella voce, molto intonata. La sento ancora mentre intona “fente le nane fentele cantando…”.
L’Annapurna le lascia un forte desiderio di ritornare in Himalaya, di far tesoro dell’esperienza e di riprovarci, più preparata, sapendo meglio cosa aspettarsi sia fìsicamente che psicologicamente. Lo stesso Santon ha in programma, per il 1980, una spedizione all’Everest e per prepararsi alla salita su ghiaccio percorre il Canalone Pallavicini al Grossglockner. Ma non avrà questa seconda possibilità.
«Quando morirò o Signore, scegli tu la montagna perché io tutte le ho amate» (10). La montagna è la Pala del Rifugio, in Val Canali, Pale di San Martino: Tiziana cade in una manovra di corda. Sarà proprio Renzo Timillero, suo amico-gestore del Rifugio Treviso, a raccoglierne il corpo.
Sono passati quarant’anni da quando se n’è andata, da quella domenica che mai dimenticherò. Passando per caso da Fiera di Primiero, è toccato a me chiamare i suoi genitori per dire che era caduta e che l’elicottero la stava trasportando all’ospedale di Verona. Era il 23 luglio, il suo cuore forte ha resistito per altri tre giorni. Ci ha lasciati il 26 luglio del 1978. Aveva solo 26 anni.
Ancora in vita le viene conferito il Premio Panathlon Sport e Studio, riconoscimento a lei particolarmente caro perché, cinque anni prima, era andato a Enzo Cozzolino.
In sua memoria è stato intitolato un sentiero naturalistico nel gruppo del Monte Tinisa di cui è stata pubblicata una guida, un Belvedere sul Carso Triestino e un Istituto comprensivo a Trieste.
Note
1 – Associazione XXX Ottobre, sezione di Trieste del Club Alpino Italiano;
2 – Cfr. Spiro Dalla Porta Xydias, Donne in Parete, Nordpress, Chiari, 2004;
3 – Ibidem;
4 – Dal diario di Tiziana;
5 – Enzo Cozzollno. In Memoria, LAV n. 2 Autunno-Natale 1972, p. 174;
6 – Bianca di Beaco. Non sono un’alpinista (a cura di Gianni Magistris e Luciano Riva). Club Alpino Italiano, Milano, p. 175;
7 – Una cresta da incubo, in LAV n. 1 Primavera-Estate 1973, p. 21;
8 – Lettera a Piero Mozzi;
9 – Sogni, in LAV n. 1, Primavera-Estate 1971, p. 49;
10 – Dal diario di Tiziana;
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Che peccato il fatto che tante belle persone , che nell’ alpinismo di qualsiasi livello avevano trovato una strada di vita, siano “andate avanti”per dettagli nell’uso dei materiali o difetti strutturali di essi.. Sbagliero’ , ma secondo me la discesa in corda doppia è usata con troppa di disinvoltura , come fosse l’unica obbligatoria strada percorribile per scendere .Nei filmati web istruttivi,c’e’netta predominanza di “discesa in corda doppia”con varianti.Poco o niente di illustrativo ed istruttivo su”disarrampicata”da soli o incordata…qualcosa in vecchi manuali, passati di moda.
Ieri, per caso, nel cimitero di Barcola ho visto dove riposa Tiziana Weiss. Un sentiero, una vedetta una scuola in ricordo di una grande alpinista e insegnante. Una tomba trasandata, trascurata, lasciata andare…. Certo son passati più di quarant anni ma…. Che tristezza.
Il fatto che la Weiss fosse carina e bella da vedere non aggiunge comunque nulla per me si suoi meriti…uno dei motivi per cui mi interessa io a leiè il fatto che sia stata una meteora perché mancata così giovane,un po’come un altro grandissimo alpinista che stimo: Ernesto Lomasti
Samael sono sicuro che sei in buona fede e scusami davvero se chiaramente esagero, ma lo faccio anch’io a fin di bene per farmi capire. Nessuno ha scritto che “bell’uomo” era Guido Rossa nella mitica foto in bianco e nero, magari molte o molti lo hanno pensato ma non lo hanno scritto, perché hanno ritenuto che fosse secondario e magari poco rispettoso.
Com’era carina…al di là di questo, Tiziana fa parte di quei personaggi che avrei voluto conoscere,ho letto molto su di lei… purtroppo quando sono nato era già morta 😓
Coincidenze notturne. Stavo sfogliando in cerca di ricordi l’edizione originale di 100 Nuovi Mattini (1981). Una delle poche foto di donne pg. 175 immortala Elena Morlacchi su Vortice di Fiabe : ” cerca di districarsi dalle troppe corde con le quali premurosi scalatori maschi hanno voluto inibire le sue reali doti”. Questo non assolve il nostro dai suoi peccati, ma vuol dire che ne era consapevole già nel 1981. A parte il tema dei blog di questo tipo, compreso PM, che non interessano alle donne che invece partecipano attivamente ad altri su altri argomenti, il mondo della montagna è stato intriso di sessismo verso donne e diversi. A volte non ce ne siamo neppure accorti e solo riguardando il passato con occhi moderni possiamo misurare i cambiamenti che sono stati fatti e capire che ancora molto deve accadere.
Penso che le donne qui in giro non scrivano dei commenti perchè gli argomenti e i nostri commenti sono per loro poco complessi e molto infantili.
Loro sono abituate a ragionare in maniera molto più complicata e poi sono capaci di tenere i piedi per terra molto più di noi uomini.
Qui provoco: le donne che scalano di solito sono femmine poco donne.
Ma qualche eccezione si può trovare.
Sí, caro Gianni, vuol dire che il GognaBlog è regno maschilista, da cui le femmine fuggono con disprezzo. Però un dubbio mi assale: non sarà bieco maschilista pure ipse Gogna?
… … …
Oddio, questo ora mi mette al bando per i prossimi tre anni. 😬😬😬
😂😂😂
Piccola notazione a margine, che non implica alcun giudizio su alcuno dei commenti precedenti. 28 commenti – e il mio è il 29esimo – su un articolo scritto da una donna su una figura di donna, 28 (+1) commenti tutti e solo di maschi.
Vorrà dire qualcosa?
Povera Tiziana, prima i commenti sulle passioni non corrisposte, poi “bella mula”, adesso anche psicanalizzata. Ma perché? Perché nessuno si è permesso di dire cose di questo genere su Bianca de Beaco?
Storia interessante, specie dal punto di vista del destino. I due gravi infortuni subiti avrebbero dovuto consigliare più attenzione e meno foga. Specie nella fase giovanile, spesse volte il Sé lancia segnali di avvertimento all’Io, purtroppo questi segnali non sono mai diretti ed espliciti, bisogna saperli leggere e interpretare. Poichè questi messaggi sono costantemente ignorati, allora il Sé diventa muto e abbandona l’Io al suo destino.
Sig. Paolo penso tu stia facendo dell’ironia visto che il mio intervento aveva esattamente lo scopo contrario. Quindi per favore non scherziamo, non facciamo i sepolcri imbiancati. Credo sia chiaro di cosa stiamo parlando.
Signor Pasini non capisco perché lei abbia travisato completamente le parole di altri, usandole con fini che mi sembrano solo suoi, del tutto antistorici.
Tiziana non era una donna “leggera”, come lei mi sembra lasci sottintendere più volte.
Lei forse discrimina i sessi in montagna ?
Stefano, il problema è che a volte neppure ce ne rendiamo conto. Nessuno ha mai fatto considerazioni sul culo di Giampiero Motti o di Alessandro Gogna da giovane. Io per fortuna o sfortuna ho intorno donne che mi bacchettano quando sgarro, non solo verso le donne ma anche verso la comunità LGBT. Una vita d’inferno, ma cerco di stare attento affinché al momento della chiamata mi vengano perdonati i numerosi peccati sessisti di gioventù. La mula de parenzo la cantavamo andando in barca con padovani e triestini dopo il spritz.
Scusa Roberto Pasini capisco ciò che intendi dire ma sul “bela mula” direi che sei fuori strada. E’ un modo di dire normalissimo che intende bella ragazza e se fosse un ragazzo sarebbe bel mulo… nessuno ti farebbe il culo a mandolino ma magari la bela mula ce l’ha il culo a mandolino e allora è anche più carina
Certamente l’intento era scherzoso ma se scrivi “bella mula” e lo fai vedere a una giovane donna, figlia, nipote, amica o altro, ti fa un culo a mandolino, anche perché non lo diresti di un giovane climber. Così come il tema dei suoi rapporti corrisposti o meno con Cozzolino. Erano fattacci suoi. Se fosse ancora qui posso immaginare cosa direbbe e con grande ragione.
Mula è triestino Paolo, è il termine con cui si definiscono ragazzi e ragazze: Mulo e Mula
Quando si è parlato di alpinisti maschi nessuno si è mai interessato ai suoi amori e se avesse fatto o meno sesso con tizio o caio. E nessuno ha mai parlato di “mula”, anche se scherzosamente. Avete presente la famosa canzoncina la Mula de Parenzo? Cercate il testo se non la conoscete. La potete fare franca solo perché qui siamo tutti maschietti anzianotti.
Alcuni commenti mi fanno pensare che prima o poi si dovrebbe avere il coraggio di affrontare il tema del sessismo e delle discriminazioni in montagna. E quando dico sessismo e discriminazioni intendo a 360 gradi, compreso il grande tabù dell’omosessualità maschile. Penso che oggi alcuni fenomeni siano superati e l’ambiente sia in grado di accettare comportamenti espliciti impensabili in passato, ma non ne sono completamente sicuro in Italia.
Stefano, non esprimevo opinioni più o meno forti, ho precisato che è il mio vissuto.
Incontravo spesso Tiziana in Dolomiti e alcune vie le abbiamo salite vicini, non mi sono mai legato con lei, aveva sempre un socio.
Per me non è assolutamente da paragonare a Bianca o alle forti slovene.
E quattro stagioni a quei tempi erano già parecchie per esprimersi ai propri massimi livelli: a lei è mancata la fase di maturità completa, non quella atletico-prestazionale che si vedeva bene.
Mula è triestino o friulano?
Grazie a Nicolò (commento 11) per le informazioni, soprattutto per aver svelato che la notizia divulgata a suo tempo da Spiro Dalla Porta Xidias non corrispondeva al vero.
Una grande passione, un espressione di ciò che è stato, magari ancora è ma i tempi sono cambiati anche lì, l’alpinismo triestino, sicuramente fino a pochi decenni fa.
Una meteora durata 4 stagioni e che in sole 4 stagioni ha bruciato le tappe. Ciò che più lascia esterrefatti gli ambienti fuori dal nostro, come si vede anche dai commenti, sono le cordate femminili, di cui Tiziana fu una protagonista. Ma quelle c’erano già e continuano e nell’universo parallelo dei triestini sono una normalità come le fortissime donne capocordata sia a Trieste che nella vicina Slovenia con la quale spesso si sono condivise le sorti alpinistiche.
Scrive Paolo al commento 13 :
La ricordo più ambiziosa e competitiva che brava e di spessore, era molto corteggiata ed elogiata, poi forse mitizzata.Un cordino forse come alcuni grandi delle sue parti !Scalava bene, ma non era eccezionale.Una bella “mula” (?) e la vedevi sempre dappertutto.
ed in parte ha ragione, non ebbe tempo di fare grandi numeri ma per un neofita, dopo 4 stagioni, ciò di cui era capace si poteva benissimo percepire.
Sarebbe interessante Paolo che ci mettessi la faccia quando dai delle opinioni così forti mettendoci pure dei punti di domanda che non hai esplicitato… Sarebbe interessante per capire da quale pulpito arrivino tali considerazioni che possono dare da pensare solo se hanno alle spalle qualcuno che possa sostenerle a seguito di ciò che ha fatto, quindi con cognizione di causa.
Roberto, ora vivo a Ferrara, la città più bassa e lontana dai monti d’Italia… Anche se lavoro pendolarmente in alcuni giorni settimanali. Ma mi piacerebbe venire!
Adriano, sono contento davvero!
La ricordo più ambiziosa e competitiva che brava e di spessore, era molto corteggiata ed elogiata, poi forse mitizzata.
Un cordino forse come alcuni grandi delle sue parti !
Scalava bene, ma non era eccezionale.
Una bella “mula” (?) e la vedevi sempre dappertutto.
…nel ’73 la incontrammo sullo spigolo dell’Agner insieme a un compagno di cordata
Bello scritto, piacevole a leggersi, che descrive molto bene il personaggio di Tiziana Weiss. Un passo è frutto di un “peccato originale” che deriva dagli scritti di Spiro: non risulta che Tiziana abbia mai arrampicato con Cozzolino e che tra loro vi sia stato un rapporto amoroso concreto. Tiziana vedeva in lui un mito e se n’era infatuata, ahimè non ricambiata. Inoltre un’ulteriore imprecisione: L’infortunio sul Campanile Basso di Brenta non fu dovuto alla sua azione di soccorso al compagno (ero io), ma viceversa, fui io a colpirla, essendo scivolato sul nevaio (sbagliato) in discesa. Fummo poi soccorsi da due amici della XXX Ottobre: R. Priolo e G. Sbrizzai.
Racconto.. ,di una donna , che amava profondamente la Montagna . Scritto con molta cura letto con passione….! Un C. Saluto…………
Bellissimo e poetico articolo che mi lascia una tristezza infinita, perché quando muore una ragazza per me è come se morisse un piccolo universo insieme a lei.
Grazie per raccontare queste storie, per far emergere dal passato visi, sorrisi, emozioni, passioni che ci fanno sentire fratelli e sorelle di ragazzi e ragazze bellissimi.
I tempi non stanno cambiando, sono GIÀ cambiati, proprio grazie alle donne che abbiamo citato, anche se qui siamo in ritardo di cinque/dieci anni: basti pensare al paradosso che abbiamo un solo leader politico donna.
Paolo Gallese says:
31 Gennaio 2020 alle 10:08
Cordate femminili o gruppi femminili non li ho ancora incontrati. Ma sono felicissimo di quel che dici Roberto.Spero di vederne anche io.
Vai in Slovenia a pochi passi da Trieste e cordate, gruppi femminili ne incontri a iosa. Ma da anni non da ora.
Paolo, se vivi a Milano vieni un giorno in via Fantoli e potrai vedere un laboratorio vivente di quello che sarà il mondo dell’arrampicata tra qualche anno. Tieni conto che molti vanno anche fuori o sono intenzionati a farlo. Recentemente è stata organizzata una lungimirante serata con le guide alpine sui temi della sicurezza in cordata e ha avuto molto successo, con tante ragazze tra il pubblico.
Cordate femminili o gruppi femminili non li ho ancora incontrati. Ma sono felicissimo di quel che dici Roberto.
Spero di vederne anche io.
Bel ‘ssai roba!L’atmosfera che si viveva a Trieste, ciò che “in zità” era stile di vita si riconosceva pure in montagna e Riccarda De Eccher lo fotografa alla perfezione. Ciò che ho postato sull’articolo su Bianca Di Beaco (https://gognablog.sherpa-gate.com/bianca-di-beaco/)in merito allo spirito dei triestini e della nostra modalità di visione della montagna e di conseguenza dell’alpinismo, qui in questo articolo, risalta in modo perfetto.Tiziana fu una meteora che lasciò il segno anche probabilmente per quella passione che la animava, che non lasciava spazio ad altro.Fuori dall’ambiente triestino che fosse una donna lasciava perplessi mentre in casa “iera una che andava” niente distinzioni tra uomini e donne come probabilmente ancora oggi accade, malgrado, a quanto mi raccontano, l’ambiente si è trasformato anche sulle pareti della Napo e della Valle e quel particolare spirito goliardico che ci ha contraddistinto per tanto tempo ha perso un po’ di verve.
Bellissimo scritto, molto intenso, complimenti!
Ho la sensazione che per la componente femminile dell’arrampicata ci sia stato un forte salto generazionale, ma sarebbe interessante che ci fosse qualche intervento di donne in proposito. Nella generazione di Bianca Di Beaco le donne erano poche, i modelli di ruolo erano maschili e si sono dovute fare strada in un mondo dominato concettualmente ed emotivamente dagli uomini. La generazione di Lynn Hill, Catherine Destivelle (al cui abbigliamento anni 70 si ispirano oggi molti climber maschi !?!) e di Tiziana Weiss è cresciuta in un’epoca di grandi trasformazioni sociali, caratterizzate dal femmininismo e dai movimenti degli anni ’60, erano di più, avevano dei modelli di riferimento femminili e anche l’atteggiamento dei cooetani maschi era cambiato, almeno in parte. Le ragazze di oggi (20-30) anni rappresentano un universo ancora diverso. Sono tante, hanno molti modelli di ruolo femminili a disposizione, i coetani maschi sono molto diversi dagli uomini nati negli anni ’30 o nel dopoguerra, possono fare scelte di vita molto più libere e autonome, compreso il fatto che alcuni tabù sono caduti. E’ accaduto nell’arrampicata lo stesso fenomeno che si è verificato nel mondo del lavoro e della vita sociale. Un’ ulteriore conferma che l’arrampicata non è un mondo separato. Per ora emerge poco di questa nuova generazione, le mie intuizioni si basano su letture di riviste e siti di climbing e su osservazioni personali, quindi limitate e soggettive. Bisognerebbe approfondire. Io noto ad esempio in palestra gruppi di ragazze che se ne stanno per conto loro e incontro nei luoghi di arrampicata che frequento un numero crescente di cordate femminili giovani, mentre nella mia fascia di età vedo ancora dominante il modello misto, con spesso il maschio col ruolo di leader.
Che storia meravigliosa. E che peccato. Lasciarci così a 26 anni, chissà quante cose avrebbe potuto fare.
Grazie per queste storie di donne.
Se ne parla sempre troppo poco, forse perché non sono tante. Ma sempre lasciano un segno intenso. E a me, personalmente, affascina il diverso sentire femminile alle cose, alla montagna, alla Natura.
Confesso di aver sempre avuto rarissime occasioni di conoscere donne appassionate di montagna, nonostante abbia lavorato per tutta la vita praticamente quasi solo con donne.
Mi sono sempre chiesto perché, senza tuttavia mai fare l’errore di credere che non fossero fatte per questa vita.
Ho sempre attribuito al caso, il non averne incontrate tante. E ho sempre sperato di averne l’opportunità prima o poi. Ma non è avvenuto, mi diedi poi al vagare solitario, osservandole, sui monti, solo da lontano.
Le compagne che ho avuto e infine mia moglie, non hanno la spinta che ho io. E non la capiscono pienamente, pur sostenendo il contrario.
La donna alpinista è un vissuto sconosciuto per me. Ma fascinoso e interessante, per le opportunità di confronto che potrebbe offrirmi, di conoscenza, di visuale.
Chissà, quando porterò mia moglie o la mia bimba adottiva su un ghiacciaio, potrebbe nascere una folgorazione.
Chissà…