La redazione è al corrente delle polemiche che hanno accompagnato per tutta la vita la figura di Toni Marchesini a proposito della veridicità di alcune sue realizzazioni. A dispetto di ciò, o forse proprio per questo, ignorare ciò che essa ha rappresentato e comunque sottomettersi all’imperante e super-invasiva “necessità della prova” non fa parte della nostra filosofia.
Toni Marchesini: un dimenticato
di Stefano Bodini
Ci sono persone che, pur esercitando molto e bene, non lasciano apparenti e famose tracce di sé. Forse perché non tutti hanno quel pizzico di auto-marketing, capace di farli notare ed apprezzare. O forse perché sono talmente coerenti con il loro modo di essere, da risultare addirittura ostili a coloro che, invece, abbisognano di qualche scusa per continuare a ritenersi comunque in gamba. Ho con me solo parole e ricordi, ma quella che racconto, forse, è una di queste storie.
Non potevo credere che quell’uomo normale, tutto sommato normale, non un prototipo dell’atletismo, insomma, non uno con le sembianze di un Emilio Comici, per capirci, ebbene, quell’uomo, mi aveva appena detto di essere sceso arrampicando da solo dalla Solleder alla Civetta. E alla mia replica, balbettata strabuzzando gli occhi, incredulo, aveva risposto con un laconico: “Cossa vùtu, a me sentivo ben!” (Cosa vuoi? Mi sentivo bene!). Era l’ottobre del 1999 ed avevo appena avuto la fortuna di incappare in Toni Marchesini.
Mio padre in verità mi aveva avvisato, con quella sua tipica espressione curiosa e nel contempo pronta al confronto; era tempo che papà avrebbe voluto conoscerlo, proprio perché aveva intuito che Toni fosse persona sicuramente profonda ed interessante. Ne aveva letto sul libro La Grande Civetta, di Alfonso Bernardi. E c’era voluta quella volta l’intercessione di mio zio Gianni Zara, di Bassano del Grappa, autentica autorità in ambito cittadino, che più volte si era riproposto di suggerire a Toni di venire a conoscere il nostro scalcinato gruppo di amici-alpini-escursionisti-alpinisti di vario genere.
Ma, a differenza delle precedenti, quella volta c’era riuscito. Perché Toni bisognava “meritarselo”.
Ottobre 1999, dunque, gita del gruppo ai Castelloni di San Marco, guest star annunciata Toni Marchesini.
E mentre questo signore parla, mi balena un flash del passato: ma certo! Toni Marchesini, l’autore di quelle guide di scialpinismo sui Lagorai e sul Monte Baldo, quelle con certosine cartine millimetrate che mostrano tempi e dislivelli, in cui non “alcuni” canaloni sono discesi con gli sci, ma “tutti” i canaloni presenti sul fianco del monte. Lo scialpinismo per Toni non è uno sport, è uno stile di vita. Lo capii pian piano.
E dunque torno là, voglio sapere ancora, io, fiero della mia storia dell’alpinismo, certosinamente costruita attraverso tutti i libri, pochi in realtà, allora disponibili. “Hai conosciuto Hermann Buhl?”, chiedo. “Al Pradidali el g’era sempre sentà de lù sòeo, el parlava pòco” (al rifugio Pradidali sedeva sempre da solo e parlava poco). Ma certo, le Pale di San Martino, vicinissime a Bassano del Grappa, terreno di gioco sicuramente preferito. E poi il discorso scivola su Fausto Susatti, su come i due, entrambi con l’indole di scalatore solitario, si fossero conosciuti sulla via Langes al Campanile Pradidali, facendosi “cucù” l’un l’altro su verticali lame gialle. Su come poi si fossero apprezzati ed avessero iniziato una splendida amicizia, attraverso numerose arrampicate insieme, terminata tuttavia tragicamente sulla cengia all’attacco di una nuova via sulla Figlia della Canali, dove Susatti trovò la morte per una probabilmente banale fatalità.
E quando Toni lo racconta, mimando il tentativo di utilizzare la corda per trattenerlo, non trattiene invece una lacrima. Ho cercato più volte nella bibliografia disponibile; anche Aste parla della morte di Susatti, ma Toni non viene citato in alcun testo.
Ma niente, questo signore, davanti a me, continua a sciorinare altro. Assiduo frequentatore del rifugio Vazzoler alla Civetta, amico di Armando da Roit, il Tama, e di tutti i frequentatori dell’epoca; un giorno un giovane Claudio Barbier gli propone di salire insieme, ma separatamente, lo spigolo sud-ovest della Busazza. Nell’affrontare un tratto di spigolo, Barbier scivola e cade riverso su una cengia. Si alza, si spazzola i pantaloni dalla ghiaia e dice a Toni: “Ah, beh, mi è successo altre volte”. Altri tempi, altre persone.
Ma Toni è sicuramente singolare; mi dice che la sua tecnica solitaria era quella di estendersi il più possibile alla ricerca dell’appiglio successivo, contrariamente ad ogni tecnicismo della sua epoca. “Quante meno volte toccavo la roccia, tante meno probabilità avrei avuto di staccare un appiglio e cadere”. Singolare, ma pragmatico, efficace. E nel diventare più conosciuto, mai famoso, comincia ad incontrare le resistenze dei “soloni” dell’epoca. Anche perché Toni non le manda a dire a nessuno.
Mi ricordo solo di averlo sentito parlare di un diverbio con Cirillo Floreanini, teoreta allora delle manovre di corda, sicuramente su argomenti pratici che Toni credeva e voleva interpretare a modo suo: fosse stato Frank Sinatra, il suo My way avrebbe calzato a pennello.
Sfoglio per caso le pagine del libro Agner – Croda Granda di Paolo Mosca e nuovamente mi imbatto in Toni; scopro che fece la seconda solitaria dello spigolo dell’Agner nel 1964, in solitaria. E sempre in solitaria salì in prima invernale la via Solleder al Sass Maòr, ma quest’ultima ascensione non gli venne mai riconosciuta dalla guide di San Martino di Castrozza, infastidite da questo irriducibile bassanese, anche se lui descrisse loro ogni appiglio ed ogni singolo passaggio, a riprova dell’accaduto. E l’astio delle guide del Primiero si confermò purtroppo quando Toni dovette affrontare una prova terribile: la scomparsa del figlio Fausto sulla Cima Undici, nelle dolomiti feltrine, accanto al Passo Cereda.
Quando mi raccontò che nessuno di loro lo aveva aiutato nella ricerca, lo sguardo non era né astioso né amareggiato, solo incredulo di fronte a quell’amaro diniego, a quella palese ed inumana incapacità di alcuni di abbracciare la solidarietà alpina, a dispetto di ogni diatriba.
Ottobre 2003, nuova gita autunnale del gruppo. Questa volta, andiamo a caccia della prima neve al Gardeccia, in Val di Fassa.
Il tempo è grigio, come l’ospitalità dell’albergo Foresta, sulla strada che porta a Moena. Appena accennato un canto alpino, senza alcuna evidente alterazione alcoolica, il cameriere si affretta a chiudere la porta della stanza in cui siamo ospitati. Capiamo già che dovremo alzarci subito, a fine pranzo.
Al Gardeccia, Toni se ne esce con un altro incredibile spaccato della sua vita: fu interpellato a suo tempo dal romano Giorgio Schanzer, che possedeva un appezzamento nella conca e che chiese a Toni di diventare il custode ufficiale del parco naturale che Schanzer voleva istituirvi. Toni accetta. Con famiglia.
E quindi tutti nella casetta in mezzo ai cembri, con Giuseppe, il figlioletto, che tutti i giorni scende in Val di Fassa per andare a scuola e rientra con la funivia del Ciampedìe. Se è inverno, si va con la slitta.
Ma sono estranei alla comunità, stranieri, quasi nuovi “Trusani” nella terra degli Arimanni. Tutti sono loro ostili, finché un bel giorno un sospetto fulmine colpisce ed incendia la loro casa, con l’aggiunta di ironici commenti dei locali.
“Ze quando che i vol cavarte daa tèra, che Toni ‘l méte e raìse!” (e quando ti vogliono strappare dalla terra, che Toni mette le radici!), commenta durante il suo racconto. Si trasferisce dunque con l’intera famiglia nell’attiguo fieniletto, forse poco più di un capanno porta attrezzi, e lì dimora. E si fa amico il peggior bracconiere della zona, ne conquista la stima, impara addirittura ad utilizzare una pistola e si addestra colpendo lattine sui pali. “A mé paréva d’esser Tex Willer!”. E finalmente conquista, come si sarebbe meritato sin dall’inizio, la stima dei locali.
E poi c’è il Toni “citizen scientist”, come direbbero adesso, un uomo che instancabilmente batte tutti i terreni ghiacciati o innevati di Alpi ed Appennini, spinto dalla sua curiosità, magari a bordo del van attrezzato di tutto punto, alla ricerca del cosa e del perché; pianta la tenda ovunque, su nevai, ghiacciai, si cala nei crepacci a misurare spessori, temperature. Dalle stiloliti su una bancata calcarea ai licheni su un sasso, non c’era nulla che gli sfuggisse. Un giorno gli chiesi di accompagnare sul Monte Grappa due miei amici inglesi laureati in chimica e biologia: quale non fu il loro stupore nel vedere sbucare dal bagagliaio dell’auto di Toni un fascicolo nutritissimo di fotografie, appunti, misurazioni, materiale da far sbiancare anche i più incalliti Stanley e Livingstone.
Mi feci promettere di dedicarmi una delle prime copie del libro che gli augurai di stampare, e così fece, anni dopo: “Il mondo del ghiaccio”. La sua dedica? “Ritenendoti tra i pochi in grado di valutarne i contenuti, tramite la tua innata indole curiosa e minuziosa, ti affido queste note di un ‘pirla’ qualsiasi”. Fosse nato due o tremila anni prima, Toni sarebbe stato probabilmente un druido e non perdevo occasione di ricordarglielo.
Toni scompare qualche anno fa, ma non in montagna, come avrebbe magari voluto. “Ich bin der Geist”, soleva dire, io sono uno spirito, vado e vago tra i monti, “albero tra gli alberi, sasso tra i sassi”.
Senza lasciare traccia. Un bell’insegnamento, mi dico, in un mondo dove all’ingenuo spirito di curiosità che spinge alla conoscenza è subentrato un presuntuoso senso di invincibilità, che spinge solo, purtroppo, all’ignoranza.
Ciao Toni, per quel poco che forse può servire a ricordarti, spero che queste poche mie parole possano raggiungerne lo scopo. E se il tuo “sasso tra i sassi” era il tuo modo ante litteram di parlare di sostenibilità, opposta all’odierno “overtourism”, beh, ben lieto di abbracciarne la causa.
Addio a Toni Marchesini
di Omar Dal Maso
(pubblicato su ecovicentino.it il 10 maggio 2018)
Un appassionato membro del locale Club Alpino Italiano, e uno dei maestri d’altri tempi delle botteghe d’artigianato del centro storico di Bassano. Il tempo libero, e la professione di una vita per Toni Marchesini, persona tanto conosciuta quanto stimata che nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2018 è spirato, circondato dall’affetto della moglie Caterina e dei figli Stefania e Giuseppe. Se ne è andato così, oltre che un esperto e riconosciuto cultore della montagna e delle mille sfaccettature della neve, una delle memorie storiche fra i bassanesi. Aveva 77 anni.
Una malattia negli ultimi tempi lo aveva provato fortemente nella salute. Il lavoro di rilegatore aveva caratterizzato la sua esistenza, sfogliando di pagina in pagina i capitoli che hanno contraddistinto: molti dei quali legati al CAI, dalla meteorologia agli sporti invernali. Anche il Giornale di Vicenza, oggi, gli dedica un ricordo e un ritratto attraverso il presidente della sezione bassanese Franco Faccio.
Altre furono scritte invece di suo pugno, in qualità di grande conoscitore e studioso della nevosità, di istruttore benemerito di alpinismo e scialpinismo, e infine di autore di pubblicazioni, manuali e guide. L’ABC della neve e Il mondo del ghiaccio in particolare. Proprio l’amata montagna tolse un figlio a Toni Marchesini nel 1985, si chiamava Fausto e insieme all’amico Paolo fu vittima di un incidente durante la scalata del Sasso delle Undici, nelle Prealpi feltrine. Avevano 19 anni e i loro corpi furono ritrovati solo un anno dopo. Una ferita impossibile da rimarginare.
Il mondo del ghiaccio
di Toni Marchesini
(dalle alette della copertina de Il mondo del ghiaccio. Osservazioni e appunti per chi va in montagna, di Toni Marchesini)
Appunti che si susseguono uno dietro l’altro… una somma algebrica d’esperienze che si traduce in stillicidio d’essenzialità per sublimare in parole stampate che suonano d’Infinito… infinito il mistero dell’Universo nella sua pochezza microclimatica o nel mega riconoscimento macroscopico degli eventi più rilevabili!
Ebbene, niente di tutto ciò che conosciamo sarebbe possibile se non soggiogato ad una regola tanto elementare quanto semplice: l’umiltà di riconoscere nel mattoncino del predecessore la possibilità di essere ciò che siamo ora, altrimenti fondamenta non ce ne sarebbero e staremmo a discutere del nulla senza nulla togliere al resto.
Dieci anni al cospetto del Rosengarten quale unico guardiano e garante del primo parco naturale privato di Giorgio Schanzer… prima durante e dopo istruttore nazionale di alpinismo e scialpinismo… che dispiaccia o meno, fondatore della scuola di scialpinismo di Marostica (non me ne vogliamo i denigratori, ma così è…). Sette Comuni, Monte Baldo, Lagorai, non di certo in ordine cronologico, guide scialpiniste che si perdono nel tempo in cui lo sci non era sfuggire alle piste, ma vivere la montagna anche con la neve al suol … di qui L’ABC della Neve, primo trattato basilare per chi pensa di poter interpretare l’ambiente innevato qualsiasi sia l’accesso.
Che altro dire: quando le parole non contano, le parole toccano, toccano il cuore di chi sa ascoltare, la mente di chi pensa di possedere solo quella, ma si accorge di avere anche uno spirito, la sublime essenza di chi sa essere parte costituente dell’Universo…
Ma questo fa parte di un altro trattato, il trattato della Vita!!!
Anche questa è vita: anni di osservazioni, esperienze personali condivise con pochi indigenti o meno del sapere che si tramuta in curiosità per essersi accorti di non sapere e per sapere di non aver mai finito di capire che la differenza è proprio qua: discussione di tutto il saputo per appurare confutare enumerare catalogare e credere nel lavoro che si sta compiendo, lavoro perché fatica, fatica perché emblema di sacrificio per lasciare quel piccolo mattoncino che va a collimare con la cima apparente del sapere odierno e che in realtà non è nient’altro che uno scalino verso l’Universo Infinito e i “misteri” in esso racchiuso…
Se avrete la pazienza di leggere questo trattato, vi invito a osservare le stelle prima di imprimervi nella mente il contenuto di quattro righe forse insignificanti ai più, poi leggete e dopo aver meditato, osservate le stelle con altro occhio e mi concedete, con altro spirito: sono sempre le stesse sì, ma è forse la simbiosi tra noi e l’Universo che è cambiata, se percepiamo in piccolissimi frammenti di osservazioni naturali una legge universale che va ben oltre qualsiasi formula matematica empiricamente dimostrabile.
Tutto qua!
A buon intenditor buone (!!!) parole si dice, ma aggiungo: il buon intenditor dimentichi l’autore e faccia tesoro di ciò che ha scritto qualcuno semplicemente di passaggio in un periodo indefinito che si chiama Universo Infinito…
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Non conoscevo l’esistenza di questa persona che , da quanto leggo, è il prototipo dell’umiltà e della genuità , doti che solo rare persone possiedono.
Ogni essere umano ha la propria personalità e spesso,( purtroppo,) esprime ciò che prova nel modo sbagliato, banalizzando tutto quello che ha fatto e che sta facendo.
In merito alla veridicità della prima solitaria invernale della Solleder al Sass Maor, con molta discrezione e senza voler prendere (non ne ho gli elementi) né la parte di Marchesini né quella delle “presunte astiose” guide di San Martino è meritevole ricordare a completezza di cronaca che coloro che subito dopo la notizia andarono a fare un sopralluogo nella neve alta verso l’attacco e non trovarono le impronte di Marchesini pare fossero Giulio Faoro e Camillo Depaoli. Ora, in particolare a una figura umana onesta e buona come quella di Camillo Depaoli appare ben difficile applicare la categoria dell’astio, dell’invidia e del complotto contro chicchesia; e questo a me qualche dubbio lo fa venire. Mi limito a citare questo aspetto, non citato nell’articolo, solo per completezza, affinché poi ciascuno possa farsi poi liberamente ed eventualmente una sua idea.
Certamente non sono mai state semplici le sue riflessioni, sicuramente mai banali
La descrizione di Dal Maso non è di facile comprensione ed è pure un po’ strana.
Grazie per avermi fatto “conoscere” la storia di quest’uomo, nella società dell’apparire lui “appare nella sua vera essenza pratica e schietta”.