Tor des Géants 2019

Il Tor des Géants ha festeggiato 10 anni
di Carlo Crovella

E’ nota la mia personale idiosincrasia verso l’approccio “sportivo” alla montagna. Con ciò non indico esclusivamente il risvolto atletico/agonistico, ma la concezione per cui l’andare in montagna è approcciato come un qualsiasi altro sport, con tutto quello che ne discende.

Certo è che l’aspetto agonistico esaspera a dismisura la concezione sportiva della montagna. Correre, correre, correre, macinare dislivelli, ansimare, non vedere nulla intorno e poi classifiche, confusione, altoparlanti, elicotteri, telecamere, interviste, rifiuti, puzza di benzina.

Questo è il mondo dei trail, che sta espandendosi a macchia d’olio. Anche in versione innevata, con le cosiddette gare di scialpinismo, prossimamente ammesse anche alle Olimpiadi. L’altro giorno ho carpito una conversazione per strada di due sconosciuti che si compiacevano di tale novità perché “gli italiani nello scialpinismo sono forti e quindi vinceremo tante medaglie”.

Fra gare innevate ed estive il calendario è ormai fitto fitto, con inevitabili risvolti negativi.

Per questioni affettive ho un occhio di riguardo solo verso due competizioni che si svolgono su terreni alpini: il Trofeo Mezzalama, per motivi storici, e la Chaberton Marathon, perché si svolge in alta Val Susa, che frequento da molto tempo. Praticamente ho visto nascere questa gara quando si chiamava Trofeo Chaberton: mi ricordo ancora le primissime edizioni quando si correva a coppie con le scarpette da atletica. Non lo nascondo: una lacrimuccia di affetto la provo per queste due iniziative, anche se, osservandone gli sviluppi più recenti, mi sono scoperto sempre più distaccato e disturbato.

Per il resto sono contrario a questo modo di strumentalizzare la montagna. Se ciò che conta è correre, tanto vale correre lontano dalla montagna e lasciarla in pace. Questa concezione “machista” (che coinvolge sempre più spesso anche le esponenti del genere femminile) strumentalizza la montagna, nel senso che le persone coinvolte sono esclusivamente interessate alle proprie performance atletico/agonistiche. Potrebbero realizzarle ovunque, non è rilevante la specifica localizzazione.

E’ inutile che si lancino in affermazioni tipo “la pianura non è il mio forte”: di montagna, nel loro modo di fare, c’è ben poco.

Abbiamo già focalizzato che il mondo dei trail sta crescendo a velocità forsennata. Aumentano le persone coinvolte, aumentano le gare e quelle esistenti si moltiplicano, poiché affiancano alla gara tradizionale (in genere ad anello), altre iniziative come il “doppio km verticale” (2000 metri sparati in salita), varianti varie, più corte, più lunghe, più avventurose. Più avventurose?

Il cronometro uccide l’avventura. Eppure in questo particolare mondo ci si riempie la bocca con il termine “avventura”.

C’è un paradossale equivoco di fondo: si spaccia per “avventura” il proprio obiettivo di spingersi al limite fisico (quanto meno atletico). Il ragionamento è semplice: ho fatto tanto dislivello e l’ho fatto riducendo i tempi (quindi sono andato più veloce), per cui mi sono divertito un casino. Questa è, per loro, l’avventura.

L’obiettivo in sé è assolutamente legittimo, ma non ha nulla a che fare con l’avventura e potrebbe non coinvolgere la montagna, lasciandola tranquilla. Lo stress peggiore infatti è quello che devono sopportare le zone dove si svolgono le gare, specie quelle più importanti e frequentate.

Basta leggere con attenzione alcuni articoli di presentazione del Tor des Géants, il celebre trail valdostano giunto quest’anno alla decina edizione.

Non sono in polemica specifica con i giornalisti che hanno semplicemente scritto dei testi come piace al mondo cui quei testi erano destinati. Però già dai titoli si coglie al volo la mentalità dominante. Ne cito due a caso: “Una corsa ancora più massacrante” (La Stampa del 1 settembre 2019). “Dieci anni dopo il Tor des Géants sarà una gara ancora più dura” (Repubblica, Torino Cronaca del 26 agosto 2019)

Quindi non basta che il Tor sia già stato definito “la gara più dura al mondo”: 24000 metri di dislivello e 330 km di spostamento fra “le vette più alte d’Europa”. Per inciso le vette più alte si vedono con il binocolo, poiché l’itinerario non le raggiunge (per fortuna!). Inoltre vorrei capire cosa vedono dell’ambiente i vari concorrenti, concentrati sostanzialmente sulla loro performance atletica.

Per celebrare i 10 anni le gare del Tor da una sono diventate quattro, tanto per alleggerire il “peso” sulle montagne.

Il Tor des Géants propriamente detto è partito da Cour­mayeur per tornare a Courmayeur, percorrendo l’anello for­mato dalle Alte Vie 1 e 2. I mille iscritti hanno iniziato la corsa alle 12 di domenica 8 settembre 2019, con l’obiettivo di tagliare il traguardo en­tro 150 ore (le 18 del sabato suc­cessivo).

I migliori erano attesi già per mercoledì 11: il vincitore, Oliviero Bosatelli, ha tagliato il traguardo in 72 ore, 37 minuti e 13 secondi.

Chi viaggia su quei ritmi, oltre ad avere un’eccezio­nale preparazione fisica, riesce a limitare al massimo i ri­posi: è quello l’elemento chiave. Tutti gli altri hanno potuto contare sui tanti punti di ristoro e ri­fugi lungo sul percorso e soprattutto sulle sei basi-vita (a Valgri­senche, Cogne, Donnas, Gresso­ney-St-Jean, Valtournenche e Ollomont) dove potersi ferma­re a mangiare cibi caldi, farsi una doccia e dormire qualche ora su una branda.

Per festeggiare i 10 anni, gli organizzatori hanno inventato una gara ancora più dura: il Tor des Glacier.

Non si calpestano i ghiacciai (per fortuna, visti i problemi che i ghiacciai devono affrontare per il cambiamento climatico), ma in alcuni tratti ci si passa proprio a fianco. Che brivido!, mi viene da pensare.

E’ la grande novità. Si tratta di un anello anco­ra più largo e a quote maggiori (diversi colli sono a oltre 3.000 metri), disegnato dove erano state ipotizzate (ma poi non realizzate) le Alte Vie 3 e 4. I chilometri sono 450, il dislivel­lo 32 mila metri.

Sono stati ammessi solo 100 concorrenti, cioè quelli che nel curriculum potevano vantare almeno un Tor des Géants concluso sotto le 130 ore.
Qui di ore ne avevano a di­sposizione 190, dalle 20 di venerdì 6 settembre alle 18 di sabato 14, sempre a Courmayeur”.

Meno basi-vita e ristori lungo il cammino, dove però si incontrano 23 rifugi: “tracciati più impegnativi e alcuni tratti dove il sentiero manca ed era necessario il gps. Un’avventura nell’avventura”

Le altre gare
Il Tot Dret («tutto dritto» in pa­tois) era alla terza edizione e que­st’anno è stato ribattezzato Tor 130, che sono i chilometri da percorrere da Gressoney-St-Jean a Courmayeur: un’i­deale linea retta con 12 mila me­tri di dislivello. Il via per i 500 iscritti alle 21 di martedì 10 settembre 2019: avevano a disposizione 44 ore di tempo (arrivo entro le 17 di giovedì 12).

L’altra novità del de­cennale è stato il Passage du Malatrà: un trail di 30 chilometri, e 2300 metri di dislivello, sull’ultimo tratto del Tor des Géants, pas­sando da quello che è diventato il simbolo della gara: il Colle del Malatrà. In 500 sono partiti da St-Rhémy-en-Bosses sabato 14 settembre 2019 alle 10 per arrivare a Cour­mayeur entro 8 ore.

Dal mio punto di vista il massimo della parodia è nel commento riferito al Tor des Galcier: in alcuni tratti – udite udite! – non c’è sentiero e quindi era indispensabile il gps. Un’avventura nell’avventura.

E poi mi dicono che sono acido: beh, se le cercano e io non riesco a trattenermi.

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Tor des Géants 2019 ultima modifica: 2019-11-11T05:26:06+01:00 da GognaBlog

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116 pensieri su “Tor des Géants 2019”

  1. Prima di parlare o di scrivere di endurance trail dovresti provarlo almeno una volta (in valle d’aosta soprattutto) e scoprirai un mondo che è distante anni luce dall’articolo che hai scritto. Purtroppo (o per fortuna) certe cose nella vita bisogna viverle per capirle!

  2. È come per la santa Nutella: se Ferrero ci mettesse meno zucchero e grassi ne basterebbe un cucchiaino e poi ti stuferesti ma il fatturato, l’occupazione, l’eccellenza italiana…ne risentirebbero. Non riuscirai mai ad imporglielo: ti arriverebbe contro un TIR di interessi diversi, compresi gli appassionati come Nanni Moretti (vedi campagna sui biscotti di questi giorni, i media campano di pubblicità e zucchero e grassi creano sensazioni piacevoli e dipendenza) Non bisogna però scoraggiarsi e continuare, ognuno come può, a sensibilizzare consumatori e produttori all’equilibrio tra golosità, salute ed interessi economici.

  3. E con buona pace di tutti, i VDA Trailers hanno appena annunciato che anche nel 2020 nel contesto del Tor des Geants le gare in programma a settembre saranno 4. Esattamente come quest’anno…

  4. Secondo me la discriminante è, o dovrebbe essere, se si va in montagna lo si fa by fair means. Anche se si fanno le corse (o i concerti, peraltro)
    Quindi ti porti quello che ti serve sulle spalle.
    Se c’è un rifugio (e ce ne sono anche troppi) mangi o dormi; altrimenti scendi alla prima strada, dove eventualmente l’organizzazione può allestire un punto vita.
    Se ci sono passaggi esposti o pericolosi, sei capace di farli; altrimenti passi da un’altra parte.
    Se ti fai male, speri in un soccorso, non lo pretendi.
    Solo dopo pensi al cronometro
    Così anche la competizione diventerebbe significativa, altrimenti finisce in una, o molte, Parigi-Dakar

  5. Mi sa che non leggete con attenzione. Un primo ragionamento di accordo (fra le due curve di tifoseria) è costituito dalle due proposte contenute nel commento 106. Se entrate nella logica di plafonare le gare come numero delle stesse e come partecipanti ad ogni singola competizione, si può ragionare. Altrimenti è chiaro che, di fronte all’ipotesi di aumento incontrollato, non resta che irrigidire le posizioni di difesa. Ciao!

  6. No, cari amici. Così non si va da nessuna parte. È inutile continuare a sventolare le bandiere dalla curva sud e dalla curva nord. Bisogna rimboccarsi le maniche, trovare anche piccole soluzioni che nel loro insieme possano far convivere bisogni diversi e poi ognuno con le sue possibilità fare pressione sui decisori, con lettere, articoli, incontri, prese di posizione. Crovella propone una forte limitazione nel numero delle gare e dei partecipanti. Va bene.  Io non so se sia una soluzione realistica ma si potrebbe sicuramente proporre agli organizzatori del TOR una riflessione: ancora quattro gare in una settimana? Non pensate che sia eccessivo? E poi non sarebbe il caso in alcune zone di ridurre l’accesso di auto e camper di accompagnatori e potenziare i servizi di navetta, perché non usare segnaletica cancellabile, in alcune zone c’è un dedalo di frecce e freccione colorate su strade, sassi, muri veramente brutte da vedere, perché non chiedere ai vari sponsor e ai comuni interessati di devolvere una parte dei fondi per mettere a posto sentieri e aree di accesso, cosa che in parte viene già fatto, ma potrebbe essere potenziato, perché non coinvolgere anche prima e dopo i volontari come me in attività di miglioramento sul percorso, che poi è quello dell’Alta via 1 e 2. (In gran parte), perché non essere più rigidi sul regolamento per partecipanti e accompagnatori su alcune regole ambientali e così via…questa secondo me è la strada, un approccio realista, riformista e rispettoso di tutti. Purtroppo funziona poco da noi e non solo sui temi della montagna. Tanti tuttavia non desistono nel sostenerlo e applicarlo nelle loro possibilità, allenati dalla montagna alla resistenza. In attesa di un mondo migliore, incomincia a pulire davanti a casa tua, si diceva una volta. Amen e buona notte.

  7. Quindi tutti quelli che qui scrivono di impedire ai “cazzoni” e ai ” non contemplativi” e ai ” non sinceramente appassionati” di frequentare la montagna, concretamente come pensano di farlo? Mi piacerebbe leggere soluzioni, proposte concrete. nel frattempo che scrivete di impedire, fuori c’e’ gente che si allena, fatica, vuole migliorarsi. E, scusate, se ne infischia di chi vorrebbe impedirglielo.
    se comunque preferira parlare di impedire certi fenomeni quando fuori la gente scala sul 9a, fa Utmb in 19 ore o soltanto frequenta la montagna ad un livello inimmaginabile ai piu’, fate pure, mi sembra un po’ come parlare del gettone e cabina telefonica in tempi di I Phone 11… ( battuta di proprieta’ di un ex presidente del consiglio). Forse vi state perdendo che nel frattempo sono passate altre due se non tre generazioni che vivono la montagna in modo diverso da quarant’anni fa. Quindi la prima cosa sensata da fare, ammesso che questi interventi abbiano velleita’ concrete, sarebbe andare a parlare con costoro. Non pretendere di giudicare soltanto sul sentito dire, senza aver mai nemmeno lontanamente provato.

  8. Cominetti il problema è proprio questo: un cazzone è meglio che vada allo stadio o altrove perchè altrimenti farà anche della montagna una cazzata, e in montagna c’è pieno di cazzoni, in tutte le salse e la montagna sta diventando una gran cazzata.

  9. Il contemplare, quindi, sarebbe l’unico genere ammesso dai “guelfi” di turno. E chi invece passa di corsa (o lentamente perché sciupá) e non è interessato alla contemplazione: stia a casa! Mi sembra un po’ discriminante. Le montagne non sono un tempio religioso. Sono territorio poco accessibile, ma non sono chiese o moschee. 
    Se un cazzone decide di andare in montagna si farà più bene che se andasse allo stadio. O no?

  10. Caro Crovella, la tua proposta di autoriduzione del numero di gare e di partecipanti può essere una soluzione da discutere. Anche nel mondo trail c’è in atto una riflessione sulle gare. Tieni conto che non tutti partecipano alle gare o perché non vogliono o perché non possono. Ci sono anche i tapascioni come me, più o meno “diversamente” giovani che alternano altre attività montane con la corsa da soli, o con pochi compagni, corsa si fa per dire la nostra visti i tempi dei vari Bosatelli. Ho segnalato in un intervento precedente un esempio in merito in ambito UK. Altri li ho segnalati al gestore del sito e probabilmente verrano pubblicati prossimamente. Si tratta di proposte che riguardano la limitazione delle aree o una serie di azioni sui fattori di impatto ambientale. Più dura da affrontare l’autoriduzione, anche per le implicazioni economiche sull’indotto ma si può discutere. Ognuno fa quello che può. Ho mandato il tuo articolo alla direzione del Tor e alla direzione di Spirito Trail, la rivista più prestigiosa del settore. Spirito Trail ha in cantiere un numero proprio sul tema della eco-compatibilità. Fattore Greta? Comunque significa che ci si pensa. Credo che la maggioranza di noi frequentatori di questo blog vorrebbe conciliare libertà individuale, qualita’ dell’ ambiente per gli umani e gli altri abitanti della montagna, benessere e lavoro per chi lavora dove noi ci divertiamo. Trovare soluzioni equilibrate sarebbe un compito difficile anche per l’amato Tex Willer, che, detto tra parentesi, risolveva i problema in modo più sbrigativo. Noi amanti della montagna dovremmo dare il buon esempio e non ricalcare i modelli peggiori di altri campi. Altrimenti cosa ci ha insegnato la montagna? Non ci insegna forse umiltà, solidarietà ed equilibrio ? Con un po’ di buona volontà e frequentando ogni tanto gli Alcolisti Anonimi dell’Ego, come dice l’amico Trabucchi, possiamo dare il nostro piccolo contributo. Buon Monday Morning a tutti.

  11. In un uggioso pomeriggio dove fuori imperversa la pioggia e, dentro l’anima, una certa noia in attesa della ripresa professionale del lunedì mattina, torno dopo molto tempo su un articolo che per me è ormai “preistoria”, considerato quanto ho scritto di altri dal momento dell’inizio di questo ampio dibattito.
    ——-
    Innanzi tutto ringrazio chi mi riconosce il “merito” di introdurre temi sui quali c’è molta sensibilità, nei due sensi. In effetti, come prima annotazione, segnali che e un piacere dibattere con alcuni di voi  anche se magari le opinioni sono diametralmente opposte. Viceversa altri commentatori sono indisponente per principio e,  almeno ai miei occhi  si macchiano di quelle “nefandezze” (in sintesi atteggiamenti salviniani e dittatoriali) che rinfacciano a me. Chi sparge tentativi di cassare aprioristicamente, in nome di suoi principi chd considera “benedetti” dalla verità oggettiva, si rivela ben più autoritario di chi esprime la sua opinione e la difende perché ne è convinto in buona fede.
    ——–
    Per quanto riguarda il tema specifico delle gare in montagna (che siano ultratrial, gare di un giorno  estive o sulla neve), visto che vi aspettate delle proposte operstive, ne avanza una di massima. Premetto che, se dipendesse solo da me, le cancellerie tutte senza esclusione. Tuttavia nella ricerca di un compromesso, io faccio questa riflessione. Qualcuno di voi (scusate, non ricordi chi) ha segnalato che risultano 382 gare totali in un anno. Sono troppe: più di una al giorno, ipotizzando di correre 365 g/anno. Probabilmente si concentrano nei weekend  con ulteriore concentrazione nei mesi della bella stagione (maggio-settembre). Ciò significa che in certi weekend estivi ci saranno anche 8-10 gare in contemporanea. Troppe. Perché non ipotizzare due cose: 1) Ridurre/dimezzare le gare in assoluto; 2) Metterd un limite alle iscrizioni (per es per il Tor 300 anziché 1000). In conclusione, se non si interviene ld gare annue, che oggi sono circa 400  potrebbero diventare 500 e poi 600 e poi… Una gramigna che va arginata/ridotta altrimenti le montagne diventeranno uno stadio chd non avrà più nulla a che fare con la montagna e i valori storici dell’andare in montagna. Augh, ho detto (vi ricordate di Tex Willer?). Ciao e chd torni presto il sole!

  12. Intervengo solo in risposta a Paolo, così sfatiamo un mito: non c’è nessun premio per chi vince il TOR, solo un ricordo per tutti i finisher; generalmente in tutti i trail i primi classificati ricevono un premio in natura, non ci sono premi in denaro, perciò, prima di trarre conclusioni avventate, sarebbe opportuno informarsi.
    Ed in ogni caso, se vuoi mettterla su questo piano, da ex-alpinista e trail runner ti posso garantire che gli alpinisti sono molto più competitivi dei secondi, e sai benissimo che non si tratta di una competitività genuina, di chi vive l’evento sportivo fine a se stesso. Molti alpinisti si sono rovinati l’esistenza a causa di questa competitività, quindi di che parliamo?

  13. Imitando il nostro iniziatore  (bisogna dargli atto che i suoi interventi, condivisibili o meno, ma sempre stimolanti e quindi utili, portano oltre il numero 100 e quindi vuol dire che toccano temi “sensibili”)
    #piu’concretezzaper tutti
    Ecco un piccolo esempio proveniente da uno dei due schieramenti: in altri contesti sia i guelfi e ghibellini cercano di incontrarsi sugli obbiettivi comuni invece di posizionarsi in attacco o in difesa.
    https://www.trailrunningmag.co.uk/news/articles/leave-no-trace
     

  14. Forse nella società moderna c’è bisogno di tante gare e tanti premi (di entrami ce ne sono un’infinità e per ogni gusto) perché, ripeto forse, l’uomo comune ha perso la fiducia nelle proprie capacità,  la stima delle proprie possibilità e ha bisogno che qualcun’altro le riconosca per poter un poco credere in se stesso.
    Ma così è sempre più manipolabile. 🙂 

  15. Mi unisco volentieri, indegnamente, al coro di illustri vecchi barbogi (Gogna, Crovella e altri) che deplora un certo modo di andare in montagna, in particolare la sportivizzazione imperante. Ormai ci sono gare dappertutto, tutti i giorni, estate e inverno. L’uomo moderno è spinto alla competizione non solo sul lavoro, ma anche nel tempo libero. La contemplazione in montagna, non è, appunto, contemplata. Tuttavia occorre riconoscere che si tratta di categorie mentali, dove una minoranza (solitamente ahimè di anziani) ritiene di dover stabilire come è giusto o sbagliato andare in montagna. Personalmente, penso che ciascuno debba essere libero di andare in montagna come meglio crede, se non lede la libertà altrui. Non ho la pretesa di imporre il mio punto di vista, anche se ovviamente lo difendo.
    Il punto vero però forse andrebbe spostato sulla questione ambientale: tutti questi eventi con migliaia di persone sono sostenibili senza snaturare la montagna? Ma anche qui si cade nella categoria mentale… qualcuno potrebbe obiettare: perché no? Non se ne esce, temo…  

  16. L’umanità è divisa in quattro categorie: le femmine e i maschi, le donne e gli uomini. Si nasce tutti femmine o maschi poi alcune diventano donne e alcuni diventano uomini. Con l’avvento dei social le quattro categorie si sono divise in altre due categorie: striscianti e non striscianti. Per il bene di tutti è opportuno che ognuno si rapporti esclusivamente con i propri simili.

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