Tra Gaston e Sport Roccia
di Ugo Manera
Agosto 2020, siamo a Briançon; da molto tempo le condizioni meteorologiche sono perfette: sempre bello. Fortunatamente meno caldo degli scorsi anni, di notte fa fresco e le acque della Durance sono rimaste azzurre e non hanno assunto quel colore grigiastro testimone della rapida fusione dei ghiacciai. ‘Sto tempo costantemente al bello però preoccupa chi vorrebbe un rallentamento dei gravi danni che il riscaldamento globale provoca sulle montagne che ha tanto amato.
Finalmente due giorni di spiccato maltempo con temperature piuttosto basse per la stagione. Quando le nubi si sollevano lo Chaberton appare imbiancato dalla neve. Al vedere ciò Valentina ha subito un’esclamazione di entusiasmo: “La Meije sarà tutta bianca, non possiamo perderci lo spettacolo”. Io non sono molto entusiasta dell’idea, non ho tanta voglia di camminare e preferirei andare ad arrampicare; poi ad ammirare il versante nord della Meije imbiancato dalla neve siamo già andati più volte.
Valentina non demorde, sfoglia le sue cartine e trova un itinerario che non abbiamo mai percorso che porta sul Signal de La Grave 2448 m, punto sicuramente molto panoramico. Vince lei e ci troviamo a salire, fronte alla Meije, mentre le nebbie che ancora persistevano si stanno dissolvendo. Lo spettacolo è grandioso e affascinate, credo che il versante nord che va dalle cime della Meije fino al Râteau sia da annoverare tra i panorami più belli offerti dalle Alpi. Di neve ne è caduta tanta ed è appiccicata anche sui tratti di roccia verticali; la parete nord deI Râteau appare tutta bianca, quasi non sembra più una parete rocciosa. Sono contento di aver ascoltato Valentina e scatto foto a ripetizione mentre nella mia mente si rincorrono ricordi di tanti anni fa…
La via Diretta Ginel-Renaud sulla Nord del Gran Pic de la Meije venne tracciata nei giorni 1 e 2 settembre 1972. Raymond Renaud è un grande scalatore francese, non molto noto a livello internazionale, ma con una intensa e continuativa attività ad alto livello. Di questa formidabile sua via effettuò anche la prima solitaria. La Diretta figura al n° 100 del volume Le massif des Écrins: les 100 plus belles courses et randonnées, della fortunata collana voluta e curata da Gaston Rébuffat negli anni ’70 e inizio anni ’80. Notoriamente la n° 100 era la via più rappresentativa di ogni massiccio trattato nel volume ad esso dedicato. Ho avuto modo di collaborare con Gaston Rébuffat nella realizzazione di questa opera.
Incontrai la prima volta il celebre scalatore francese alla capanna dell’Aiguille du Midi nel 1965, io ero di ritorno dalla traversata delle Aiguilles du Diable e sostammo in quella capanna perché il mio compagno era sfinito e non più in grado di raggiungere il rifugio Torino attraversando la Vallée Blanche. Era con un cliente ed io, illustre sconosciuto, mi soffermai ad osservare quel personaggio celebre.
Negli anni a seguire ebbi l’occasione di conoscere personalmente Rébuffat grazie ad un comune amico: Lino Donvito. Donvito era un imprenditore di successo nonché alpinista, sua una via sulla parete est dell’Aiguille de la Brenva aperta nel 1941. Amava organizzare incontri, spesso attraverso il Lions Club, e in questi incontri invitava quelli che egli chiamava: “I miei amici alpinisti”; quasi sempre vi era anche il suo “grande amico Gaston”, con il quale spesso andava ad arrampicare. Mi ricordo ancora alcuni episodi di quegli incontri come quando, turbato e dispiaciuto, Rébuffat mi disse che Gian Piero Motti gli aveva scritto una lettera nella quale gli comunicava di aver distrutto tutte le sue diapositive di montagna. Altra volta quando noi, seduti davanti ad una tavola imbandita, commentavamo le notizie che “non giungevano” dalla Nord delle Jorasses ove da più giorni Giorgio Bertone, Michel Claret e René Desmaison, ostacolati dal maltempo, erano impegnati nell’apertura di una nuova via. Eravamo tutti piuttosto preoccupati, Gaston era invece ottimista: confidava sulla classe di Desmaison e sulla capacità di rimanere scherzoso in ogni situazione di Bertone.
In uno di questi incontri mi accennò alla sua amarezza per l’esito della vittoriosa spedizione francese al primo ottomila salito, l’Annapurna; ove la scelta della cordata per la vetta fu più politica che non determinata dalla capacità alpinistica dei partecipanti. Mi disse che alcune sue critiche sulla conduzione della spedizione ebbero l’effetto di escluderlo dalle successive spedizioni nazionali francesi.
Ebbi ancora l’occasione, al festival di Trento del 1975, di cercare di alleviare la sua amarezza per il mancato successo del film che egli aveva presentato: Les Orizons Gagnés. Puntava molto sul suo film, vinse invece Mort d’un guide di Jaques Ertaud.
Ho ammirato molto Gaston Rébuffat, sia come alpinista che come uomo, egli aveva una visione serena della montagna, forse un po’ utopistica, ammaliata dalla bellezza di quel mondo meraviglioso, degno di una dedizione assoluta. Nella mia lunga carriera ho conosciuto tanti alpinisti ma solo in due mi pare di aver ravvisato un amore così totale, incondizionato ed ottimistico per la montagna come in Gaston: Gian Carlo Grassi e Patrick Gabarrou.
Ritorniamo al Massif des Écrins ed alla course n° 100. Nel 1985 contava poche ripetizioni e non era mai stata salita da scalatori italiani. Io coltivavo una vera passione per quelle selvagge pareti, avevo già al mio attivo le prime italiane delle courses: 96 e 99 e la seconda italiana, dopo ovviamente Gervasutti, della 98: la Nord dell’Ailefroide. Mi sentivo quasi in dovere di salire l’ultima course del volume di Rébuffat.
All’inizio del luglio 1985 il tempo era stabile e le condizioni dell’alta montagna ottime ma nel primo fine settimana di quel mese era programmato un evento di grande importanza: Sport Roccia, le prime gare di arrampicata a Bardonecchia. Io ero favorevole e interessato alle gare di arrampicata, mi incuriosivano molto ed ero conscio della grande importanza dell’evento. Ideatori e promotori dell’evento erano poi due miei amici: Andrea Mellano, grande alpinista che ho sempre apprezzato per la sua attività ma anche per le sue idee, ed Emanuele Cassarà, giornalista sportivo di Tuttosport prestato all’alpinismo. Emanuele aveva una visione dell’alpinismo che non aveva proprio nulla da spartire con la mia, egli tendeva ad identificare una competizione sportiva in ogni forma di alpinismo. Eravamo amici e ho collaborato alla sua rubrica su Tuttosport con notizie e scritti, ma non gli ho mai risparmiato vivaci critiche quando portava avanti le sue interpretazioni degli eventi alpinistici che spesso a me parevano strampalate.
Sport Roccia era un evento molto importante ed i due promotori meritavano tutto l’apprezzamento possibile, mi trovai allora a dover fare una scelta: Gaston o Sport Roccia? In verità la scelta non fu difficile, da una parte c’era da agire da protagonista, dall’altra come spettatore, inevitabilmente scelsi la “diretta” sulla Nord de la Meije.
Dei miei due principali compagni di allora uno (Franco Ribetti) era coinvolto nel programma di Sport Roccia, l’altro (Claudio Sant’Unione) aderì molto volentieri alla mia proposta della Meije Nord; così mi persi Sport Roccia.
Meije Nord via Diretta
Il viaggio in auto da Torino a La Berarde è lungo e la salita da questo bel villaggio al rifugio del Promontoire è altrettanto lunga e molto faticosa. Il nostro obiettivo è la via Diretta Renaud sulla parete nord de la Meije: una via molto impegnativa su una parete bella e severa che conta poche ripetizioni e non è mai stata salita da alpinisti italiani. Negli anni ho maturato uno spiccato interesse per le grandi pareti nord del Massif de Écrins. Offrono un ambiente selvaggio e un tipo di scalata definito dai francesi “stile Oisans” ove il granito non sempre è saldo e dove non è raro trovare la roccia ricoperta da ghiaccio colato.
Per la nostra parete nord abbiamo scelto di salire da sud, contiamo di scavalcare notte tempo la Brèche de La Meije e alle prime luci dell’alba compiere una lunga traversata sotto la grande Nord per raggiungere il nostro obiettivo. Troppo laborioso sarebbe stato salire da la Grave e raggiungere direttamente la base della parete.
Mentre noi siamo qui a Bardonecchia si svolgono le prime gare di arrampicata della storia, noi abbiamo però dato priorità al mondo selvaggio della parete nord alla festosa e importante novità.
Siamo saliti abbastanza velocemente. Dal Promontoire, vero nido appollaiato tra le rocce, ci hanno visto salire. Quando entriamo il custode ci chiede qual è il nostro obiettivo; conosciuta la nostra meta vedo sorgere in lui un vivo interesse che genera una palpabile attenzione nei nostri confronti.
Al buio raggiungiamo la facile Brèche, scendiamo con attenzione il ripido versante nord del colle ed iniziamo la lunga traversata sul ghiacciaio de La Meije fino a dove la parete scende più in basso, esattamente sotto la verticale calata dalla vetta del Gran Pic. Superiamo la crepaccia terminale ed un breve pendio ghiacciato ci porta alla base di un canalino ghiacciato. Mentre siamo impegnati nel canalino una scarica proveniente dall’alto passa sopra le nostre teste. Non abbiamo capito se era solo ghiaccio o se c’erano anche pietre, ma abbiamo capito che occorre togliersi al più presto da questo posto. Saliamo veloci e raggiungiamo un vago sperone arrotondato ove ci sentiamo più al sicuro da eventuali scariche.
La via da seguire è abbastanza evidente e troviamo anche qualche vecchio chiodo. L’ambiente è molto severo e la roccia è scura con qualche riflesso rosato, è un granito a grana fine molto avaro di fessure per cui è laborioso infiggere chiodi per assicurarci. E’ saldo però, più di quanto ci aspettavamo, per cui l’arrampicata, seppur impegnativa, risulta varia e di soddisfazione.
Le lunghezze si susseguono ed alternandoci al comando della cordata progrediamo in altezza abbastanza rapidamente. Raggiungiamo una torre staccata collegata alla parete da un’esile crestina nevosa, la superiamo e continuiamo sulla roccia verticale. Siamo soddisfatti ed allegri, questa parete ci piace, riusciamo anche a divertirci per la bella arrampicata malgrado le difficoltà. Cominciamo ad essere convinti di riuscire a raggiungere la vetta prima del sopraggiungere del buio.
Così avviene e al tramonto siamo in vetta al Gran Pic con 750 metri di parete sotto ai piedi. In futuro, quando passerò da La Grave e alzerò gli occhi verso la Nord de La Meije mi verrà da pensare: “Lassù ci sono stato”. Ma non c’è da soffermarsi troppo, il buio sta giungendo e noi dobbiamo trovare un buon posto per bivaccare. Mi ricordo che 13 o 14 anni prima, dopo aver salito la Allain ‘35 sulla parete sud, in discesa, avevamo trovato una ottima grotta tra neve e roccia alla base del Glacier Carré sulla via normale e avevamo trascorso un bivacco quasi piacevole.
Ci precipitiamo in discesa, raggiungiamo il Glacier Carré e ci fermiamo a bivaccare nello stesso luogo di tanti anni prima. Nella notte parliamo della salita appena compiuta, ci domandiamo cosa sarà successo a Sport Roccia a Bardonecchia, poi ci addormentiamo. Domani percorreremo in discesa la bella via Normale della Meije e, scendendo verso La Berarde, commenteremo ancora la Nord e poi, come dice il nostro amico Lino Castiglia: “E via verso nuove avventure”.
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Come sempre Manera ci regala bei racconti . Questo poi è ancora più apprezzabile per la serenità che si respira nonostante la severità scenografica. Il bivacco in vetta è la ciliegina sulla torta.
Le prime gare sono state un evento storico, ma i protagonisti sarebbero stati altri. Mentre sulla nord della Meje ci si è potuti esprime come meglio si sa fare. E… “via verso nuove avventure”.
Bellissimo racconto, letto tutto d’un fiato. Non occorre essere grandi alpinisti come Ugo Manera per apprezzarlo.
Ottima scelta, quella di andare al Pic de la Meje. Le gare di arrampicata, anche se quelle di Bardonecchia furono le prime, saranno uno spettacolo futuro fin troppo noto.
E l’alpinismo si fa salendo le montagne, non solo guardandole.