Tra orsi ed eremiti
Le dolci e verdissime colline dell’Appenzell, punteggiate di rade e ben disposte fattorie, hanno uno sfondo comune, non visibile da ogni angolo ma sempre riconoscibile: una lunga barriera di rocce che culmina, in corrispondenza della vetta, con una torre che assomiglia ad una sottilissima ciminiera. La costruzione, alta 123 metri, è un’antenna emittente, figlia dell’ultima tecnologia delle telecomunicazioni: alla cima del Säntis, a 2502 m, si arriva con una capace e scintillante funivia che ogni giorno porta centinaia di persone ad ammirare lo splendido panorama e i tranquilli discendenti della prima colonia di ripopolamento di stambecchi voluta e realizzata dallo studioso valtellinese Bruno Galli-Valerio.
Ma questa Svizzera moderna, turismo avanzato ed efficienza di installazioni high tech, allorché si svolta l’angolo delle ultime colline ed appaiono le frastagliate e precipiti vette di bianco calcare dell’Alpstein, scompare per incuriosire con le sue meraviglie di piccolo gioiello di montagna: pareti e creste si raggruppano come tanti raggi di una stessa ruota, convergenti all’unico centro, la vetta del Säntis. In fondo alle valli così disegnate s’annidano gli specchi d’acqua del Seealpsee, del Fälensee e del Sämtisersee, tanto ridenti e gioiosi in una giornata di sole quanto tetri e minacciosi nei momenti più grigi, d’inverno sempre ghiacciati.
Le falesie di calcare disegnano le parti alte di questi rilievi e si appoggiano su ripidi pendii erbosi o sull’ultima vegetazione: e alla radice di una di queste lunghe pareti si apre la grotta del Wildkirchli. All’inizio del XVII secolo era già luogo di culto e il Padre Paul Ulmann nel 1656 vi costruì un eremo che fu abitato dagli eremiti fino al 1853. Oggi si possono vedere l’altare, un piccolo campanile e la casetta di legno ricostruita a copia dell’originale. Agli albori del turismo alpino, gli eremiti del Wildkirchli vendevano all’affascinata borghesia cittadina denti d’orso della caverna, a ricordo della visita. Soltanto però all’inizio del XX secolo gli archeologi riportarono alla luce arnesi in pietra preistorici in quantità sufficiente a giustificare una supposta presenza dell’uomo di Neanderthal nelle Alpi. Nel contempo erano raccolte anche dalle 600 alle 800 ossa di ursus speleus, animali presumibilmente morti durante gli inverni rigidi mentre cercavano rifugio nella grotta. Le leggende fiorite attorno a questa località, assieme all’atmosfera romantica e misteriosa ch’essa era in grado di evocare, fecero aumentare le visite turistiche tanto da convincere gli eremiti ad ospitare sporadicamente gli studiosi, ma anche i poeti ed i letterati interessati in maniera diversa a quel luogo. Nel 1846 fu costruita, praticamente accanto, in una grande concavità giallastra della roccia, una locanda. Oggi l’Äscher Gasthaus non si differenzia di molto dalle mille altre località panoramiche e suggestive: con i suoi ombrelloni e le centinaia di comitive giunte fin lì con la vicina funivia, ha poco da raccontare ad una visita superficiale. Occorre un po’ di sforzo per rivivere mistero, raccoglimento e preistoria.
È più facile invece vivere atmosfera e cultura rurale: i costumi vivaci, i ricami famosi nel mondo sono base essenziale all’amorosa mimica della danza, che in pochi movimenti ritmati riassume le emozioni degli innamorati, piccoli litigi compresi; gli orecchini degli uomini fatti a forma di mestolo per il formaggio, la pipa con il fornello rivolto in basso (Lendauerli) ed altre caratteristiche usanze non sono momenti di folklore turistico ma spontanee manifestazioni popolari. La musica tradizionale, vivace ma non troppo, a volte seriosamente classica, sottolinea feste particolarmente vive in occasione dell’inalpamento o della discesa a valle del bestiame; la musica è ciò che aggiungiamo noi con il pensiero alla suggestione visiva dei dipinti del XIX secolo conservati al museo di Stein. Lunghe tavole rappresentano il motivo fisso del corteo di animali e di pastori che parte o torna al villaggio: gli animali con i loro nomignoli, i pastori che camminano sotto il peso di una coppia di enormi campanacci da festa delle mucche. Un motivo campestre e naif iniziato ai primi dell’800 da Conrad Starck e continuato con poche varianti per tutto il secolo.
L’insieme di queste tradizioni determina lo stile di vita appenzellese, per nulla simile al resto della Svizzera di lingua tedesca. Non per nulla gli abitanti di questo cantone sono considerati dagli altri svizzeri un po’ come i nostri toscani, sempre pronti alla battuta sagace e ad avere l’ultima parola. Un esempio? Ad Appenzell furono gli ultimi a concedere, solo nel 1990, il voto alle donne a livello cantonale…
L’impianto del caseificio di Stein è un caposaldo dell’economia appenzellese non solo per la sua produttività ma anche perché simpatica attrattiva turistica. Si può seguire infatti l’intero processo di caseificazione dell’«Appenzeller» da dietro enormi vetrate, prima della finale ed inevitabile degustazione.
In questo modernissimo caseificio, al centro di uno dei più bei villaggi di Appenzell, ogni giorno confluiscono 16.000 litri di latte fresco, da mucche alimentate con solo fieno o erba.
Dopo averne scremato della panna una parte, latte scremato e quello intero sono riscaldati assieme nello scambiatore di calore e versati in un paiolo di 6.000 litri a 31°C. Dopo l’aggiunta di caglio e di culture batteriche, inizia il processo di precaseificazione e dopo trenta/quaranta minuti il latte è ormai diventato cagliata. Con il tagliacagliata la si divide in grani grossi e in latticello. Poi, con altro calore, i grani acquistano la consistenza voluta, fino a che si può dire che il formaggio ha «preso». La massa dei grani, assieme al latticello, è pompata direttamente nelle forme. Queste sono poi pressate, per l’eliminazione definitiva del latticello, e messe a sgocciolare su appositi scaffali. Qui comincia a formarsi la crosta, per la quale ci si aiuta con un bagno di salamoia. In seguito, la stagionatura (fermentazione e maturazione) si svolge a 14/15°C e umidità superiore al 90%. Dopo 5/7 settimane le forme sono ritirate dai commercianti, i quali, con formula assolutamente segreta, le trattano con una miscela di vino bianco, erba e spezie. Soltanto dopo 14/20 settimane dalla produzione il formaggio «Appenzeller» può essere venduto e consumato.
Abbandonare questo mondo colorato e gioioso è facile. Oltre alla già citata funivia del Säntis, che porta alla vetta massima, con quelle di Ebenalp e di Hoher Kasten in pochi minuti si è in alto, ma ancora abbastanza in basso da iniziare lunghe traversate su panoramiche creste; oppure si può cominciare con belle passeggiate dal fondo delle valli, sostare alla quiete dei laghi, poi pian piano raggiungere posizioni dominanti lungo gli ultimi valloni ed alpeggi.
Il panorama è eccezionale: a settentrione sfuma il gigantesco Bodensee (il nostro Lago di Costanza), preceduto dalle colline dell’Appenzell che riescono a nascondere la città di St. Gallen; se si è sulla cresta che collega l’Hoher Kasten con la seconda vetta del gruppo, l’Altmann, oltre alla processione di torri della catena di Kreuzberge, lo sguardo abbraccia la valle del Reno, con la linea del grande fiume tra verdi coltivazioni. Verso sud, se si è in posizione alta sul Säntis o sull’Altmann, ecco la catena dei Churfirsten, decisamente caratteristica, quasi unica per le sue forme che sembrano ripetersi all’infinito, sia da questa visuale che da quella opposta dal Walensee. In lontananza, l’arco alpino.
4
Molto ben scritto, anche se si tratta di chiara promozione turistica. I nostri operatori turistici (molti, per fortuna non tutti) hanno molto da imparare dagli svizzeri.