Trail running, una passione quanto diversa?
(pubblicato su In movimento, ottobre-novembre 2018)
Lettura: spessore-weight(3), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)
Probabilmente chi corre in montagna non si accorge neppure di essere criticato: perché chi la pensa in maniera contraria al trail running fa parte di associazioni o ambienti molto tradizionali, ben distanti da un nuovo mondo sportivo che, appunto, corre e non è interessato ai commenti di chi sta fermo. Gli esponenti del pensiero classico vedono nella corsa un gioco che non permette a chi lo pratica d’essere in comunione con la montagna perché, se si corre, la montagna non può che essere un sottofondo. Chi ha occhio solo per il cronometro non può averlo per la “sacralità” della montagna, che dunque viene svilita e fatta oggetto delle loro ambizioni.
Trail delle Orchidee, tra Carnia e Cadore
Chi la pensa in questo modo sono alpinisti, escursionisti o anche solo dei contemplativi che, a mio parere, dovrebbero prima di tutto farsi un bell’esame di coscienza. Partiamo dal caso più semplice, l’uomo che, seduto su un sasso, contempla la maestosità degli alti mondi che lo circondano. Quest’immagine è l’unità di misura della nostra unione con il verticale e fa parte di un immaginario più orientale che occidentale. E’ più facile che sia tutt’uno con il creato il monaco tibetano tipo Milarepa che non un normale cittadino che si appaga degli spettacoli che la montagna gli offre. Nessuno dunque discute quest’unione ideale, resa possibile dalla non-azione, quindi dalla non-volontà di conquista. Sembra dunque che i critici tendano a questa condizione umana, il ritorno all’unità uomo-montagna, merce assai rara dopo la rivoluzione romantica. Ma non riflettono abbastanza, perché la maggior parte di loro ha scelto un giocattolo con il quale “conquistare” la montagna. La tensione verso l’idea-montagna va amplificata, moltiplicata grazie al gioco. Quando mi metto a camminare, a meno che non faccia davvero come i camosci che camminano solo per pascolare, è perché ho una meta. Se la raggiungo ho vinto la mia piccola sfida con me stesso, se non la raggiungo la perdo. Vincendo ho l’illusione della riunione con la montagna, salvo poi accorgermi che questo comunque non è successo, dunque mi cerco un’altra sfida. Stesso gioco amplificato per l’alpinismo, dove mi sottometto a un sacco di regole, e dove rispetto un’etica. Il fair play la fa da padrone, oppure la conquista ad ogni costo: ma in ogni caso la riunione con la montagna è molto lontana. Più l’alpinismo è estremo, più la conquista è necessaria e più ci si allontana dallo scopo iniziale. Tornando al trail running, chi lo critica non vede che semplicemente ha scelto un altro giocattolo? Sci e pelli al posto di scarpette da ginnastica; piccozze e ramponi al posto dei calzoncini; corde e chiodi al posto del cronometro. Chi fa ferrate, non vede che usa un giocattolo? Chi fa arrampicata sportiva? Chi fa canyoning, mountain bike? Chi scende in pista, ma anche fuoripista? Perché dunque essere contrari a chi corre se le motivazioni sono le stesse, semplicemente ci sono due-tre-dieci giocattoli diversi? Per salvare il proprio giudizio il conservatore ricorre alla competizione, secondo lui negativa, aberrante. Eppure l’alpinismo si è affermato su una lunga serie di competizioni, dalla conquista del Cervino alla corsa alle Jorasses, dalla prima al Nanga Parbat fino alle discussioni sul Cerro Torre. E nessuno ha mai criticato niente di tutto ciò.
0Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Correre per monti… e chi non l’ha mai fatto o almeno tentato di farlo?
Il camoscio per l’80% della sua esistenza corre e salta.
L’articolo descrive una situazione praticamente inesistente, se non, forse, per qualche talebano psicopatico. Quasi un tentativo di trovare un nemico per sentirsi un eroe solitario che combatte per la giusta causa…patetico!
Malgrado ciò può far aprire una discussione e concede l’opportunità di spunti di riflessione a chiunque, corridori o camminatori o soltanto contemplatori (il paragone tra le diverse filosofie orientali e occidentali è divertente quantomeno), su due situazioni piuttosto in evoluzione:
1- le gare: quali dovrebbero essere le regole di comportamento in questo frangente affinché l’impatto ambientale, piante e rocce certamente ma anche e soprattutto il disturbo arrecato ai residenti sul territorio ovvero gli animali?
Sparare musica a centomila decibel qualche danno lo fa… per non parlare degli elicotteri… Si parla di spese per la comunità quando un escursionista viene recuperato dall’elicottero di come per questi, si corra il rischio di portare via il soccorso a chi magari ne ha bisogno veramente… e quelli che ronzano sulle manifestazioni con tanto di insegne delle diverse aziende regionali d’emergenza?Quello va bene perché porta soldi a qualcuno?
2- certi tipi di pubblicità che mostrano fenomeni da corsa filare leggeri su creste e valloni hanno creato una situazione pericolosissima a causa dello scimmiottamento derivato. Mi è capitato l’estate scorsa di trovarmi su ghiacciaio in pendenza, legato con cliente al seguito, che un fenomeno da circo senza ramponi “perché tanto è facile”, mi sia scivolato addosso rischiando di farci ruzzolare per il pendio… e fortuna che c’eravamo noi a bloccarlo altrimenti in pantaloncini corti e maglietta sai che goduria per il chirurgo plastico…
Ecco a mio avviso queste sono le problematiche reali che solleva la situazione, non certo il fatto che qualcuno si viva la montagna di corsa. Ripeto: gli animali già lo fanno.
Ho cominciato a correre per tenermi in forma per la mia pratica di alpinismo.Ricordo di essere andato a correre con Casarotto nel periodo in cui preparava le sue avventure,lui con un giubbetto da 10 kg e io che faticavo a stargli dietro…
Poi la corsa è diventata un attività che mi faceva bene anche dal punto di vista mentale e così chilometro dopo chilometro ho voluto provare una maratona. Una sfida contro me stesso, niente di più…Alla seconda maratona (venice marathon) avevo fatto un buon tempo ( per me) e mi stavo accorgendo che mi stavo troppo specializzando a discapito dello scopo iniziale oltre il fatto che correvo spesso solo su strada…
Ho cominciato allora a correre in montagna, luogo molto più ideale e vicino alla mia passione e così è nato il connubio tra l’alpinismo e la corsa che ci sta benissimo e mi ha permesso spesso di arrivare su cime, contemplare il mondo e tornare a casa in tempo per dedicarmi alla famiglia e/o ad altre cose.
Non mi sono mai sentito,durante queste “gite”, sfruttatore di un ambiente ma casomai al contrario mi sono sempre sentito “parte” di quel sistema naturale e meraviglioso.
Il tempo mi ha portato a rimettermi in discussione con me stesso e partecipare a varie competizioni in montagna ( trofeo Kima, gare in Dolomiti ,ecc) dando sempre il massimo come quando si scala un tiro a vista o si apre una via in montagna, per il gusto di trovare quel limite personale che ti fa’ sentire “vivo”.
Non ho mai pensato realmente che tutto ciò potesse “rovinare” un ecosistema e tuttora sono convinto che l’unica cosa negativa che forse ho contribuito a fare è quella di aver percorso centinaia di volte gli stessi sentieri ( malga Ciapela-rif. Falier) e di averli un pò “consumati”…
Ma ancora adesso “che gioco a carte e bevo vino” (per dirla alla LUCIO DALLA)….ancora adesso che corro per sentieri nonostante non abbia più ventanni, se mi capita di trovare una bottiglietta di acqua dimenticata per terra da qualche escursionista maldestro, la raccolgo e tenendola in mano ( visto che non corro con lo zainetto…) la riporto a vallee la getto nella plastica.
Se qualcuno vuole condannare la corsa in montagna non deve concentrarsi,secondo me, sullo specifico modo di andare in montagna ma sull’aspetto commerciale delle attività legate alla montagna.
“Ortodossanamente”? Boh! Comunque sia i bresciani e i trevisani fanno più casino. 🙂
Riguardo all’ambientalismo penso di essere inattaccabile.
Detto ciò, credo che due “caiani” di Brescia o di Treviso, ortodiossanamente in cammino lungo una cresta, parlottando tra loro facciano più casino di venti trail runner.
In Dolomiti, i primi, li sento a distanza di chilometri.
Più che altro io non sono mai riuscito a capire chi si appiccica un numerino sul petto, si imbranca con un certo numero di altri numerini e si fà dire quello che deve fare e quando lo può fare…ma mica solo in montagna, voglio dire, anche in uno stadio, in acqua o lungo un anello di ghiaccio.
Chi corre in montagna invece lo capisco benissimo, perché è capitato qualche volta anche a me.
Per una birra, per una bionda, per arrivare presto all’attacco, ma anche solo per il puro piacere di muovermi.
Ma se qualcuno mi avesse detto parti a quest’ora e segui questo nastro bianco-rosso non l’avrei fatto.
Forse nemmeno per la bionda.
Ma sono io che sono strano…
non so se la natura è Dio, nemmeno so se un Dio esiste. Però la natura è da rispettare e cerco di farlo il meglio che posso anche se non sempre ci riesco. Certamente bisogna trovare dei compromessi, del resto da qualche parte bisogna pur stare e per farlo, l’uomo ha bisogno come di te di: ponti, strade, case, ect. Anche questo però si può fare in tanti modi. Si può cercare il compromesso che sia il più possibile in sintonia con l’ambiente circostante. Si può invece violentare l’ambiente circostante. Quindi niente compromessi ma imposizione.
Ora, non ho nulla contro di corre in montagna, come già ho detto e scritto è un modo come un’altro di vivere l’esperienza in sintonia con l’ambiente .
Altri però potrebbero ritenere in sintonia anche altre forme di vivere l’ambiente montano: elicotteri, fuoristrada, trial, musica a palla, manifestazioni/gare che lasciano deturpazioni di sentieri, piante e rocce, ect. ect.
Queste io non le condivido.
Luca, mi permetto di darti del tu, mi è più congeniale. Ti sei spiegato benissimo.
Per me una montagna , in particolare la sua vetta , è un luogo in cui si respira sacralità.
Non so se ho usato il termine giusto per farmi capire, l’esperto di vocabolaro sei te.
Non sono le attività in sé che risultano positive o negative. Questo vale per qualsiasi attività praticabile in montagna. sia nei mesi estivi che invernali.
Sono invece i personaggi che risultano positivi o negativi.
Il punto è che sono 15-20 anni che in montagna si assiste all’invasione di questi “barbari”. Ciò accade in ogni disciplina, dallo scialpinismo alla corsa, dalle cascate alla MTB.
Contro i barbari occorrerebbe elaborare un significativo modello etico di comportamento. Se il riferimento “positivo” diventa corposo ed esteso, i barbari verranno progressivamente emarginati finché si sentiranno fuori posto e… passeranno a praticare un nuovo sport (kite surf, base jumping, Parigi-Dakar…). A quel punto potremmo tornare a disporre in libertà della montagna.
Quindi è un discorso di “persone” e non di “discipline”. Tuttavia va da sé che le discipline introdotte di recente (intendo negli ultimi 15-20 anni) in montagna, pur annoverando anche persone “serie”, si sono portate dietro una moltitudine sconfinata di “barbari”. E’ un fenomeno inevitabile, perché la filosofia di fondo delle “nuove” discipline é allineata ai tempi odierni e non ai valori tradizionali della montagna.
Ma siamo così sicuri che chi corre in montagna pensi esclusivamente alla prestazione e non goda l’ambiente da un altro punto di vista, anche “spirituale”? Io ho amici che fanno pure le gare e mi raccontano di esperienze bellissime, collettive e interiori. Li ammiro. Le urla mentre corrono, poi, non le ho mai sentite.
Un paio di precisazioni per il sig. Benassi
Nel mio intervento parlavo di attività in montagna. Se preferiamo attività outdoor. Intendevo, chiaramente, attività fisica, aerobica. Non prendevo in considerazione nessun tipo di mezzo a motore. Colpa mia di non averlo specificato (forse).
In secundis… Per me -ma solo per me – parlare di sacralità della montagna è una adorabile sega mentale. Ritengo la Natura, nel suo complesso, l’equivalente di ciò che per alcune religioni viene definito come Dio.
Sacralità è un’aura che viene applicata dall’Essere umano per giustificare una qualche supremazia altrimenti non spiegabile (la sacralità dle Potere, per esempio, sia esso temporale o religioso, magari ricordando che l’uno è il braccio dell’Altro).
Non ritengo la Montagna un qualcosa da avviare al solo sfruttamento, ma se un luogo è “antropizzato”, ovvero se la gente ci vive, vengono costruite strade, ponti, case… Ad essere talebani sono tutti stravolgimenti della Natura primigenia.
Credo di essermi spiegato cosa intendo per seghe mentali quandomi riferisco alla sacralità ed all’aura di quasi religiosità che viene applicata all’ambiente montano.
Concludo ribadendo un punto: nella mia ricerca della concisione, onde evitare di essere prolisso e/o logorroico, non ho ripetuto a dovere il fatto che il MIO modo di andar per monti non deve inficiare quello di altri. Questa è la base… Se un consesso umano determina che l’attività (ribadisco AEROBICA, senza mezzi meccanici) può essere svolta senza deturpare,senza inquinare con rifiuti o con il rumore un ambiente che è Bellezza ma anche richiamo turistico (non dimentichiamolo), sarà compito dei singoli membri di detto consesso umano sapersi comportare in modo tale che tutti possano trarre giovamento e gioia dalla propria attività. Il COMPROMESSO necessario è quello che porta alla regolamentazione, al rispetto reciproco ed alla riduzione al minimo dell’inquinamento, di un tipo o dell’altro che tali attività portano, soprattutto quando convogliare verso un cosiddetto “evento sportivo ” (gara di corda in montagna,ultra-trail,gare di arrampicata,meeting di vario tipo, ecc.).
Io – e parlo solo per me – sono per il rispetto dell’alterità e delle differenze di approccio. A me piace camminare e salire lungo vie di basso grado di difficoltà e di altissimo grado in termini di storia dell’alpinismo. Me le faccio, me le godo, cerco di non lasciare traccia alcuna oltre a quelle (compromesso) lasciate in loco da chi è passato prima e dalle Guide Alpine che ne curano la manutenzione. Ci passo, le salgo e me le godo. Se l’Amico o qualcun altro passa di corsa e mi doppia in salita-discesa slegato lungo la via, non mi offendo, anzi,rido di gusto e, probabilmente, al rifugio berremmo assieme la birra, ognuno allegro per la propria esperienza.
Spero di essermi spiegato meglio.
Cordialità
AMICO…. è vero hai pienamente ragione. C’e’ da rifletterci e fare un esamino di coscenza….alpinisti e arrampicatori per primi, tra i quali anche io!
Benassi, ti stai addentrando in un ginepraio. Pratico sia trailrunning che alpinismo e falesia ma per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare una sola uscita di trailrunning nella quale abbia piantato dei chiodi o degli spit o lasciato degli antiestetici cordini. A proposito di entrare in punta di piedi, a proposito di luoghi sacri.
Un plauso a Luca per l’intervento, poche ma sagge parole.
Pienamente d’accordo con Carlo Crovella e Alberto Benassi
Infatti. Ma cosa ben diversa sono certe manifestazioni che sul terreno lasciano solo pattume :
A differenza di quello che scrive Luca Calvi:
è proprio perchè della montagna come del mare, del deserto e in generale di tutti gli oramai rari luoghi selvaggi non abbiamo più un rispetto sacrale, li stiamo sputtanando.
In questi luoghi, dovremmo entrare in punta di piedi, con il minor impatto e il maggior rispetto possibile. Proprio come entrassimo in un luogo sacro, in un tempio.
Ci vorrà l’arrivo di qualcuno che ributti fuori e mercanti dal tempio?!?!
ma trail running non significa correre per sentieri? o trail running significa gara organizzata ed eventificata?
io faccio delle corsette sui sentieri, perchè mi piace il panorama e mi piace sentire il motore che pompa, mi piace attraversare in “velocità” luoghi selvaggi, un po’ come un animale nel suo ambiente, mi piace vedere come sono andato rispetto alla volta prima, e magari faccio un lontano confronto con quelli che corrono seriamente.
poi ci sono le gare, la plastica, le bandierine e gli elicotteri, che non mi piacciono e che evito. ma son cose diverse. se vogliamo possiamo discutere degli eventi, ma credo che nessuno voglia/possa condannare il correre in montagna.
Il resto, dalla sacralità delle montagne al fastidio per le urla, sono solo piacevoli seghe mentali.
La montagna non sarà un luogo sacro e ognuno ha il diritto di andarci come meglio crede ma la montagna ha qualche suo diritto ??
Oppure è un luogo solo da usare?
Luca Calvi, allora anche quelli con le moto da trial.
Provare fastidio per le urla altrui NON è una “sega mentale”.
Se uno corre in silenzio mi sta bene. Se invece è accompagnato da urla, schiamazzi ed elicotteri NON mi sta bene: disturba il prossimo.
Miei cari “grandi uomini della montagna”, una domanda, sommessa, da parte di chi conta meno di zero:
Pensate a Lucio Dalla.
La melodia – quella dell'”anno che verrà”.
Il testo “e si andrà in montagna – ognuno come gli va…”.
Perché il fare attività in ambiente e come fare l’amore… Ognuno come gli pare, con chi gli pare, rispettando l’altrui punto di vista.
Il resto, dalla sacralità delle montagne al fastidio per le urla, sono solo piacevoli seghe mentali.
Se uno corre, mi sposto e lo lascio correre felice mentre io continuo a camminare.
Perché mai dovrebbe fungere da puetra di paragone il MIO modo di gustare le montagne?
Viva l’alterità
Absit iniuria cerbis
concordo decisamente con quanto scritto da Carlo Crovella.
Correre in montagna non c’è nulla di male. E’ un’attività come tante altre, un modo diverso di vivere l’ambiente montano.
E’ la mercificazione e l’uso egoistico che ne derivano che fanno schifo. Ma non solo per la corsa, per l’arrampicata, per l’alpinismo.
Ciao a tutti, può darsi che invecchiando io mi sia inacidito, ma a me tutto ‘sto “circo” che si è impossessato della montagna proprio non va giù.
Non faccio esclusivo riferimento alle corse “estive”, ma anche a quelle con gli sci (unica eccezione il Mezzalama, cui sono affezionato per motivi storici, pur ravvisando aberrazioni insopportabili nelle ultime edizioni, es intagliare i gradini nel ghiaccio con il trapano), ma mi riferisco poi anche a tutto il becerume che si è diffuso in qualsiasi attività praticabile in montagna, dalla mountain bike all’arrampicata, dallo sci ripido all’alpinismo, dal canyoning allo sci alpinismo (altro bel contesto di malcostume dilagante).
Non sono un semplice contemplatore della montagna, che pratico da oltre 50 anni sia con gli sci che senza. Però non mi piace per nulla questo dominante atteggiamento che “usa” la montagna come scenario di un proprio bisogno egoistico.
Si ha esigenza di una “scarica di adrenalina” e si strumentalizza lo montagna per ottenere soddisfacimento a tale esigenza. Ovviamente tutta l’attuale società è impostata in questo modo su tutti i fronti, non solo quelli della montagna.
Io invece appartengo ad una visione romantica della montagna, mi piace una montagna silenziosa e questo approccio “sportivo” stona ai miei occhi.
Questo è il presupposto di base della mia contrarietà al trend in essere, poi ci aggiungo gli elementi addizionali di inquinamento sia concreto (elicotteri, puzza, rumori, etc) che ideologico e devo dire che trovo insopportabile il circus che oggi gira introno alla montagna.
Ripeto che tutto ciò accade non solo nel mondo delle gare (della montagna), ma certo è che il mondo delle gare estremizza queste caratteristiche negative.
“Corro” in montagna da ormai un paio d’anni ed è una novità (ma non del tutto una sorpresa) sapere che c’è chi è “contro” questa attività. I miei risultati sono talmente scarsi quindi non corro per attirare l’attenzione su di me o per vantarmi. Queste gare mi hanno dato la possibilità di allenarmi meglio e con più costanza e di essere ancora più in forma, ma non è il fine ultimo che mi spinge a correre.
Come per tutte le altre attività in montagna (dalle escursioni che ho fatto per anni all’arrampicata che ho iniziato da qualche anno) queste gare mi regalano emozioni uniche, paesaggi e passaggi che difficilmente avrei visto continuando solo a camminare e tante tante storie, esperienze e ricordi che, per me, sono il vero sale di questa attività.
Assolutamente non è tutto oro quel che luccica, ci sono tanti problemi, dagli aspetti ecologici (non potete capire la rabbia passando vicino a certi ristori che diventano una distesa di plastica, anche se solo per qualche minuto) a quelli organizzativi (a volte i sentieri vengono violentati sia dal passaggio di così tante persone sia dalla presenza di segnaletica non proprio temporanea) e più filosofici (ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma vedere ai nastri di partenza gente che arriva solo per fare il tempo e sfidare il “d+” e la montagna quasi la odia non è proprio il massimo).
Io non capisco.
Mi sembra che tutto il proprio vivere venga quasi ridotto a mettersi in mostra e partecipazione a qualsiasi cosa fino allo sfinimento, come se fosse solo una questione fisico-economica con uno smisurato bisogno di riconoscimento.
E non solo per il correre.
Leggevo poco fa di un alpinista fortissimo che anni prima aveva ripetuto una via, l’ha ripetuta ancora, ha salito il primo tiro, quello più difficile, slegato per memorizzarlo, l’ha salita slegato e filmato e cronometrato, ma con l’imbrago, l’ha rifatta per le foto…
Non capisco il perché di questo “come”, non riesco ad andare oltre la riduzione della vita ad un fatto fisico-economico, oso dire da frustrati.
Roberto Serafin: a qualcuno vanno bene certamente, ma è un argomento che comincia a venire discusso tra gli organizzatori che si stanno rendendo conto (alcuni di sicuro altri ancora no), che non sia proprio nello spirito con cui sono nati questi contesti sportivi che appunto perdono l’identità sportiva per lasciare spazio al business…
Su questo punto reputo che la maggior parte della responsabilità sia da imputare alle amministrazioni locali (parchi, comuni, ecc.) che non fanno ciò che gli spetta ovvero far rispettare le normative che già esistono e se provi a mettere la radio a tutto volume per strada te ne accorgi di certo…
Ma a qualcuno vanno bene le arene del tifo a tremila metri, con folle che tifano per i loro beniamini? Ed è lecito conservare una certa idea di montagna, non certo sacrale o imbalsamata, ma a misura d’uomo e di divertimento?
Mamma mia che frustrazione!
Ma la mamma ti ha sgridato stamattina e quindi tu (riferito allo scrivano ignoto) adesso vuoi vendicarti ?
Aldilà dei concetti espressi per ambiti come l’alpinismo che evidentemente non conosci nemmeno di striscio se non per quell’esercizio di contemplazione di cui fai menzione o magari qualche maldestro tentativo, direi che il camoscio brucante l’erbetta ha meno caos nella materia grigia…
Trail, Ultra trail, Sky running, Sky trail, Sky marathon, ecc. sono attività sportive che se organizzate rispettando l’ambiente su cui si svolgono danno l’opportunità di vivere l’ambiente stesso senza arrecare danni superiori a quelli della frequentazione turistica agostana, e salvo forse qualche talebano da tastiera non ho mai letto prese di posizione significanti contro queste attività.
Diverso invece, in merito a vari exploit conditi di elicotteri, team di supporto e via dicendo, i quali dell’ambiente se ne fregano (ma anche dei futuri candidati dilettanti che spesso si trovano nelle peste tentando di imitare i campioni) e servono più che altro al mercato per ampliarsi ed alzare le vendite…
Conquista e realizzazione sono termini nettamente differenti, nei concetti che si possono esprimere in ambiti alpinistici, escursionistici e anche perché no, in quelli agonistici o amatoriali della corsa in montagna. Ma appare chiaro tu abbia saltato le ultime lezioni a scuola eh… birbantello!!!
Dai ora fila a studiare che la mamma ti prepara la merenda!!!
la bellezza dell’andare per monti è che ognuno può frequentarli nei tempi e nei modi che più aggradano, nel rispetto dell’ambiente e del prossimo.
l’unica cosa che mi sento ai runner è quella di ridurre il tutto a solo una questione di performance, in cui bastano polmoni e gambe allenate, sull’esempio di quelle buffonate dello spagnolo