I tre condannati del Col del Cuc

Sciando fuoripista, provocarono una slavina con un fronte di 15 metri e una lunghezza di 400. Per questo motivo il 16 dicembre 2016 tre scialpinisti francesi sono stati con­dannati a un anno ciascuno di reclusione.

L’episodio risale al 14 febbraio 2010, quando – stando alla rico­struzione dell’accusa – la comitiva di turisti provocò la slavina duran­te una discesa fuoripista in località Col del Cuc ad Arabba, nel Bellunese.

La slavina percorse un ripido canalone e travolse il primo dei quattro sciatori, Bruno Jean Martens, 44 anni, di Argonay, che venne trascinato verso valle dalla massa nevosa, nella quale, per fortuna, riuscì a galleggiare, uscendone con qualche lesione. Gli altri la evitarono per un soffio.

Il processo ai quattro, indagati dal marzo 2012, è iniziato, dopo ripetuti rinvii, il 18 settembre 2015 in tribunale a Belluno. Il processo è partito solo per tre di loro: Vanina Françoise Doneddu, 39 anni, di Mont Dauphin, Baptiste Emile Marie Leclerc, 36 anni, anch’egli di Mont Dauphin e lo stesso Bruno Jean Martens. In alcune udienze precedenti era stata stralciata la posizione di Emmanuelle Sarah Rosalie Herenstein, 45 anni, di Le Monetier Les Bains, perché irreperibile. Gli imputati erano tutti difesi dagli avvocati Luca Dalle Mule e dal collega Enrico Gandin.

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I francesi rispondevano del reato di valanga colposa perché, «in cooperazione tra loro esercitando lo sci fuori dal­le piste regolamentari in condizio­ni climatiche avverse, cagionavano con il loro passaggio il distacco di una slavina dal fronte di 15 metri per 400 di lunghezza». Il procedimento ha visto parecchie udienze e vari rinvii per la difficol­tà a notificare gli atti oltralpe.

Al processo, i due poliziotti che hanno effettuato i rilievi avevano sottolineato che quel giorno il bollettino diramato dall’Arpav annunciava il grado di pericolo valanghe 3 (marcato), quindi molto alto visto che la scala si compone di 5 gradi. Hanno spiegato che la lunghezza della valanga era di 400 metri, secondo le stime, mentre la profondità, misurata con una sonda, era di 3 metri. Hanno sottolineato che gli sciatori stavano percorrendo proprio il canale dove è avvenuto il distacco: «Abbiamo assistito a tanti distacchi naturali per attività eolica, ma quel giorno non c’era vento, ma il sovraccarico degli sciatori». Il pericolo di valanga 3 non bastò a convincere i transalpini a non avventurarsi lungo quel versante. La Procura di Belluno, con il pm Giuseppe Gulli, ha chiesto la condanna. La difesa ha sostenuto che, quella caduta, fosse una quantità di neve che non avrebbe potuto determinare alcun pericolo, visto che uno di loro, tra­volto a sua volta, ne è uscito illeso. Infine si è giunti alla sentenza del giudice Elisabetta Scolozzi, che ha accolto le richieste avanzate dal pubblico ministero. Immediatamente dopo la difesa ha annunciato ricorso in appello da parte dei tre “stangati” (come subito la stampa locale ha impietosamente definito i tre transalpini).

Le operazioni di recupero di uno dei tre sciatori coinvolti dalla caduta della slavina a Campo Imperatore, 28 gennaio 2014. ANSA/ CLAUDIO LATTANZIO

Una sentenza di attualità, in un momento in cui i com­prensori sono al lavoro e si stanno preparando per aprire la stagione invernale. Sono infatti sempre di più gli sportivi che pre­feriscono sciare sulla neve fresca. Il problema è che non si tratta solo di rischiare una sanzione, ma il pe­ricolo è soprattutto quello di pro­vocare valanghe che potrebbero travolgere gli escursionisti che si trovano a valle. Non a caso, infatti, i carabinieri sciatori della Compa­gnia di Cortina d’Ampezzo il primo dicembre 2016 si sono riuniti sulle piste del Faloria a Cortina d’Ampezzo per un aggiornamento tecnico in vista della stagione turistica inver­nale, che li vedrà impegnati in atti­vità di vigilanza e soccorso in nu­merosi comprensori dell’alto bellu­nese.

Certo, a commento di questa vicenda, sarebbe assai interessante sapere se la slavina provocata ha coperto tratti di pista battuta oppure no. La legge italiana, come abbiamo spesso denunciato in questo quotidiano, non è all’altezza dei tempi nuovi e della soverchiante richiesta pubblica di fuoripista. Lo dimostra questa sentenza che ha applicato rigidamente la normativa e non ha tenuto minimamente conto delle esigenze di libertà e di responsabilità delle quali si è discusso ampiamente in più sedi.

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I tre condannati del Col del Cuc ultima modifica: 2016-12-26T05:27:51+01:00 da GognaBlog

6 pensieri su “I tre condannati del Col del Cuc”

  1. 6
    Alessandro Simoni says:

    Può essere interessante, per chi voglia inquadrare il problema, quanto pubblicato non molto tempo fa su questo stesso blog circa la storia dell’articolo del codice penale qui applicato, e che non ha simili nel diritto degli altri paesi dell’arco alpino. https://gognablog.sherpa-gate.com/il-codice-penale-e-le-valanghe/

  2. 5
    Vittorio Lega says:

    Sentenza giusta? Certo, giustissima. Non è successo nulla di nulla, e tre ragazzi si beccano un anno di galera. Chiunque faccia free ride, se è onesto, può ammettere che avrebbe potuto esserci benissimo lui, al loro posto. Questa è la verità. La passione alpinistica (Holderlin diceva “Dove c’è il pericolo, là cresce anche ciò che salva”) dovrebbe renderci più solidali. Alla faccia dell’ossessione securitaria e di chi, come Carlo, ne è vittima e quindi – mi auguro – non andrà mai più più né in auto né in bicicletta.

  3. 4
    carlo says:

    Sentenza corretta. L’esercizio della propria libertà non deve creare pericolo per se e per gli altri.

  4. 3

    La legge è legge ma come tutto ciò che la riguarda è soggetta ad interpretazione ed a diversi ambiti dove questo può avvenire, specie nel contesto di una particolarità, dato che ogni legge per la sua natura di carattere generale non può al suo interno rilevare eventi eccezionali rispetto alla parte normata. E questo lo imparavo dal mio insegnante di diritto molti anni fa, il quale era un giudice di Cassazione e quindi piuttosto sensibile in questo senso.
    Ora, esiste un articolo del Codice Penale il 426 che accoglie al suo interno anche il distacco colposo di una valanga ma è un articolo che necessita di giurisprudenza per essere interpretato e vista la genericità della definizione e dell’articolo stesso, in casi di evento particolare può essere impugnata la sentenza che lo applichi.
    In merito sarà poi solitamente la Corte di Cassazione a decidere se validare o meno l’impugnazione e nel caso sentenziare e creare quella giurisprudenza che reputa mancante nel contesto.
    Tanto per leggiucchiare qualcosa in merito, consiglio la sentenza 30 maggio 2014, n.22671 (non è l’unica nel merito) che seppure tratti di argomento relativo a frana, indica anche la valanga come esempio, essendo tutte e due eventi compresi nel 426 c.p. .
    La stessa rileva che in casi colposi si possano applicare le normative conseguenti solo in caso di evento realizzato…
    Fossi in loro impugnerei la sentenza del Tribunale…

  5. 2
    Marco Benetton (Blitz) says:

    Grazie per l’ interessante spiegazione (che dovrei stampare e far imparare a memoria ad un paio di amici…)

  6. 1

    Come “esperto” dell’argomento, mi sento di fare notare a tutti i lettori che il distacco colposo di valanga è un reato che esiste, a livello legislativo (art. 426 c.p.), da molto prima che si costruissero le piste da sci. Infatti provocare valanghe, anche involontariamente, che possano travolgere strade, centri abitati e/o luoghi normalmente percorsi da mezzi e persone, rientra tra i reati contro la pubblica incolumità.
    E’ anche vero che l’area sciistica di Arabba (dove io vivo), che presenta numerose possibilità di fuoripista in prossimità delle piste, da quando il freeride è divenuto molto popolare, può godere di tracciati sciati regolarmente e quindi resi più sicuri dai freerider stessi che “battono” la neve con i loro ripetuti passaggi. In certe giornate alcune piste si confondono con i fuoripista adiacenti da tanto entrambi vengono sciati.
    Diverso è il discorso dopo una nevicata abbondante (oltre 30 cm), perché vi è un momento in cui il pericolo resta alto, ovvero prima che un certo numero di sciatori scenda fuoripista “tritando” la neve di certi pendii potenzialmente pericolosi, rendendoli più sicuri. Non dico “sicuri” ma semplicemente “più sicuri” di prima. Se questi pendii si affacciano su normali piste per lo sci alpino, il distacco colposo di valanga è sempre in agguato. Nei punti più soggetti a questo rischio del comprensorio di Arabba esistono degli impianti per il distacco artificiale di valanghe che mettono in sicurezza le piste situate a valle di pendii potenzialmente pericolosi, prima dell’apertura delle stesse. Inoltre a Arabba esiste il Centro Valanghe e Difesa Idrogeologica dell’ARPA Veneto e il nome della valle stessa: Livinallongo significa “laddove le valanghe cadono a lungo”. Mi sono spiegato?
    I poliziotti che dalla postazione di Porta Vescovo sorvegliano tutto il comprensorio sanno benissimo quando, dove e come i freeriders si scatenano e, quando le condizioni e il buon senso lo impongono, logicamente intervengono. Negli ultimi 4/5 inverni mi sono sembrati più comprensivi e sicuramente più esperti di quanto avvenisse tempo fa, ovvero quando sanzionavano senza pietà chiunque si avventurasse fuoripista con qualunque condizione.
    Certo che è sacrosanto il diritto dello sciatore che paga lo skipass perché pensa (o magari neppure lo pensa, chissà…) di praticare un’attività sicura al 100% e quindi non deve venire investito dalle valanghe perché altri sciatori più avventurosi di lui hanno deciso di estendere la propria libertà fino ad invadere quella altrui.
    Se quei 4 francesi hanno provocato una valanga potenzialmente pericolosa per la pista sottostante e sono stati condannati, è solo perché il giudice ha applicato la legge e i poliziotti hanno fatto il loro dovere. Che poi la stampa locale (che è perfetta per essere letta e commentata nei bar del posto che di certo non sono dei caffè letterari e che anch’io -quindi- ogni tanto frequento) li abbia bollati in modo poco elegante, non deve stupire per il motivo di cui sopra fra parentesi.
    I gestori degli impianti poi, si trovano tra l’incudine e il martello perché a Arabba in certe giornate i freeriders sono di numero consistente e comprano anche loro lo skipass portando guadagno alle casse delle funivie. I gestori mettono dei cartelli di divieto di sciare fuoripista che non hanno alcun valore legale ma dovrebbero servire a scoraggiare la parte meno informata dei freeriders che comunque è di numero elevato, alleggerendo eventuali lavori di recupero di infortunati e/o comunque di molestie alla regolare attività impiantistico-sciatoria del comprensorio. Per non parlare di complicazioni legali che vedono spesso i responsabili degli impianti doversi recare in tribunale in caso di incidenti nonostante la legge non li veda come responsabili.
    A tale pratica l’ordinamento italiano delle piste di sci (legge 24 dicembre 2003, n. 363)
    dedica un’unica disposizione (l’art. 17 comma 1°), stabilendo che “ il concessionario e il
    gestore degli impianti di risalita NON sono responsabili degli incidenti che possono
    verificarsi nei percorsi fuori pista serviti dagli impianti medesimi”.
    A tale proposito vi invito a leggere una relazione, scritta in maniera comprensibile a tutti, dal magistrato Dott. Bruccoleri di Bolzano che è un esperto in materia: http://www.bormioforumneve.eu/img_archivio2009/downlads/Relazioni/BRUCCOLERI.pdf
    Infine inviterei gli appassionati di freeriding (se oggi lo chiamiamo fuoripista alcuni non sanno di che si parla) a sciare su pendii che non si affaccino sulle piste seppure serviti da impianti. A Arabba, tanto per restare in zona, ce ne sono molti anche per chi vuole imparare.
    Purtroppo siamo in tanti (troppi a volte) e delle regole sono necessarie, ma se lo spazio si amplia andando in zone meno frequentate e magari senza piste vicine, le regole si fanno meno rigide e più dettate dal buon senso e dall’autoresponsabilità. E questo fa bene a tutti.

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