Tre libri “in itinere”

Tre libri “in itinere
di Carlo Crovella

Mi sono recentemente imbattuto in tre libri che non conoscevo. Uno è addirittura fresco di stampa, per questo non potevo conoscerlo. Gli altri due invece sono stati una bellissima sorpresa. Tutti e tre questi libri mi hanno talmente “preso” che non so resistere alla tentazione di parlarne pubblicamente: spero possano costituire uno spunto di acculturamento o anche soltanto un momento di relax. Leggere testi di montagna è un modo alternativo al muoversi direttamente sul terreno.

Il primo di questi libri è del “mitico” Bernard Amy: un nome che ha contrassegnato un’epoca. Il secondo libro è di un altro francese: Antoine De Baecque, intellettuale e non alpinista (almeno, non risulta…), che però ha scritto Une histoire de la marche. Il terzo è dell’amico Lorenzo Bersezio (da decenni, siamo entrambi istruttori presso la Scuole di scialpinismo SUCAI Torino) e racconta l’evoluzione del “camminare” per i monti.

Bernard Amy (2010)

Andiamo con ordine. Il libro di Amy, Montagnes d’aventure, è uscito nel 2014. Non mi risulta sia stato tradotto in italiano e questo ovviamente ne ostacola la diffusione fra i lettori nostrani. Neppure io, che sono famelico di libri (specie di montagna) ero a conoscenza della sua esistenza. Ne sono rimasto folgorato.

Amy è nato a Beirut nel 1940. Alpinista ma soprattutto giramondo, è il classico rappresentante di quella troupe transalpina (tendenzialmente anni ’60-70) che ha masticato montagna in tutte le salse: con sci, senza sci, alte quote, falesie, trekking… Si è trattato di un flusso generazionale (forse irripetibile) che ha praticato una montagna intrisa di cultura e di ricerca esistenzialista, come raramente è accaduto nella storia. Già la generazione successiva, quella dei francesi anni ’80, aveva un taglio un po’ diverso, più giramondo ancora, ma più globalizzato e un po’ più consumista. Amy è un mito per intere generazioni di alpinisti italiani, ma ancor di più per noi torinesi. A maggior ragione per quei torinesi che si sono avvicinati alla montagna e alla relativa cultura all’incirca fra la fine dei ’60 e l’inizio degli ’80. Amy era corrispondente dall’estero della Rivista della Montagna (RdM), edita dal CDA di Torino, e nella sede del CDA tutto trasudava della visione “amyana”. Bastava entrare nei locali e ne eri immediatamente avviluppato.

Conoscevo già Amy come personaggio, ma non questo libro e la sua lettura mi ha davvero catturato. Però occorre sapersi districare nella lingua francese. Io sono fortunato perché noi “piemontardi” parliamo un dialetto francofono, quindi abbiamo orecchio congenito per la lingua dei Galli. Inoltre girovagando fra le nostre montagne, spesso sconfiniamo sul versante transalpino. In ogni caso, là sui bricchi, capita sovente di incontrare dei francesi e gli scambi di opinione allenano alla lingua. Pe me il francese è una seconda lingua: non ho problemi a leggere i relativi libri, anche se a velocità inferiore rispetto a quella degli scritti italiani. Ma qui scatta la prima felice sorpresa che Bernard mi ha regalato. Il suo stile colloquiale rende molto fluida la lettura. Sembra un nonno che racconta ai nipotini le avventure di quando era un giovanotto un po’ scapestrato, ma lo fa con un tono affettuoso, ironico e tendente a minimizzare le cose.

Bernard Amy nel 2016

Non ci sono sparate da eroismo alpinistico né esplicite elucubrazioni filosofiche che, in entrambi i casi, esigono frasi roboanti e complesse. Tutto fila liscio come se Amy parlasse di quando andava a comperare il latte e il giornale dietro casa. Niente fronzoli, né ideologici né stilistici. Non ci sono “sparate” alpinistiche, dicevo. A memoria mi ricordo solo di una citazione indiretta sulla valutazione di una cresta nel Caucaso. Un quinto grado (valutazioni di 50 anni fa…) gettato lì quasi per caso, giusto perché altri alpinisti in precedenza avevano azzardato quella valutazione. Per il resto non ci sono esaltazioni delle difficoltà, né del superamento di problematiche insorte cammin facendo. Insomma la sua prosa è l’opposto della tensione “bonattiana”: chi adora quest’ultima troverà insipido il libro di Amy. Ma è lì il suo bello. Però bisogna saperlo cogliere.

Ad essere sinceri forse non è neppure un libro di montagna. È un libro di viaggi, di cammini, dove le montagne sono un pretesto per partire.

Poche sono le pagine veramente dedicate a pareti, creste, colli, vette. Molte pagine invece sono piene di impressioni, riflessioni, incontri, personaggi, attese nei porti, viaggi in auto per migliaia di km (es: dalla Provenza al Caucaso…), traversate in traghetto, visite turistiche di città o località di rilievo. Insomma: è un testo che io metterei più in relazione con i libri di Chatwin che con quelli di Messner o di Gervasutti. La biodiversità vale anche per la letteratura ed è utile leggere i testi di ogni categoria. Tuttavia va precisato che chi si eccita a leggere di 7a, 8c, 9z troverà questo libro un po’ insulso. Invece è in questa montagna “sgradata” che si sintetizza il vero messaggio di Bernard: la sua ricerca è altrove. Il viaggio di Amy, prima ancora che geografico, è un viaggio interiore: sfrutta gli avvenimenti in cui si è imbattuto per scoprire angoli reconditi della sua persona. Un viaggio che non termina mai, data la complessità del personaggio: ecco perché Amy è “in itinere” per definizione.

Bernard Amy

Amy è sempre stato così, ma in questo libro lo è in modo particolare. Racconta alcuni dei suoi viaggi con pretesti alpinistici in un arco temporale compreso fa gli anni ’60 e l’inizio del secondo decennio del 2000. Qui scatta una mia personale riflessione: Amy è un mito e nessuno lo mette in discussione. Tuttavia è stato facile essere Amy negli anni in cui Amy ha realizzato la sua attività più rappresentativa, cioè i Sessanta-Settanta. Infatti erano ancora i tempi precedenti alla vera globalizzazione: quest’ultima ha comportato maggior facilità di spostamento sia in assoluto che per grandi numeri di viaggiatori. Il prezzo che abbiamo pagato è che il mondo si è turisticizzato, intaccando quel contesto primordiale in cui era possibile vivere davvero l’avventura, quella profonda. Certo bisognava essere Amy per avere dentro una spinta motivazionale così marcata come la sua. Evidentemente di Amy non ce n’erano tanti, ma, se eri cosi, la Terra ti offriva ancora sconfinate opportunità di vera avventura.

Oggi non so dove un novello Amy potrebbe rivolgere la sua sete di “vera” avventura, visto che Himalaya, Sahara o Alaska sono terre ormai mappate al millimetro e turisticizzate come un qualsiasi centro cittadino. La globalizzazione ha ucciso l’avventura o, almeno, l’ha strozzata fortemente: amara constatazione. Ma io credo che, oggi, l’avventura si possa trovare dietro l’angolo: certi valloni a meno di 50 km da Torino contano pochi visitatori all’anno… Forse è in quei contesti che riemerge lo spirito di Amy.
(NdR: E’ da notare che l’editore Éditions du Belvédère nel frattempo ha chiuso, dunque chi fosse interessato all’acquisto del libro può farlo scrivendo all’autore b.amy@wanadoo.fr)

Antoine De Baecque

Il secondo libro è scritto da un altro francese. Antoine De Baecque: non risulta esser un alpinista, bensì un intellettuale, specializzato nel settore cinematografico. De Baeque è però un camminatore: dopo un trekking sulle Alpi Francesi (GR 5 dal Lago Lemano a Nizza: con la solita tracotanza transalpina, è considerata La Traversata delle Alpi!) si è appassionato ai risvolti culturali e storici del camminare, a prescindere dal camminare in montagna. Ha deciso di descrivere le differenti modalità di camminare, ponendosi quindi un ampio orizzonte, ma proprio per questo è la sua analisi interessante.

Ognuno segue la sua modalità del camminare, afferma De Baecque, e ciò ha forgiato caratteristiche ormai autonome e indipendenti per la marcia: non è più un’appendice dell’alpinismo (dove si cammina per arrivare all’attacco della via…), ma è ormai un’attività fine a se stessa, anche fuori dalle montagne, anzi lì più ancora che in montagna. A giudicare dai parametri francesi (per i quali si stima che ogni week end ci siano dai 10 ai 12 milioni di camminatori attivi), possiamo dire che la marcia è oggi una disciplina matura e autonoma. In ogni stagione e in ogni contesto geografico.

Piuttosto che spendere tempo per descrivere il succo del libro, lascio allo stesso autore il compito di spiegarlo in questo video, un po’ “costruito”, ma esemplificativo. Inoltre è un video intrigante per chi ama la cantilena francese, di chiara estrazione parigina:

Però c’è un aspetto, abbozzato anche da De Baecque, che induce a una riflessione profonda. Ovvero: concordiamo tutti sul fatto che, negli ultimi decenni, l’evoluzione tecnologica di materiali, attrezzatura, vestiario, alimentazione, visione ideologica ecc ecc ecc ha innescato un modo più tecnico, prestazionale e sportivo del muoversi in contesti outdoor. Ma c’è anche un altro risvolto, sottolineato dall’autore: i nuovi mezzi tecnologici, alleggerendo la fatica di tutti, stanno alimentando una sorta di consumismo “pigro” dell’outdoor (anche nella veste del solo escursionismo), permettendo di realizzare le stesse gite, negli stessi tempi e sulle stesse difficoltà, ma con maggior confort.

Aggiungo io che tutto ciò, in prima battuta, facilità molti “vecchietti” che, senza il progresso tecnologico, sarebbero ormai degli ex escursionisti (o ex alpinisti o ex scialpinisti…). Fin qui va ancora bene, abbiamo allungato la vita fruibile della montagna per un gruppo di appassionati, che numericamente non sono ingestibili. Dove il fenomeno sconfina nel patologico è quando questo consumismo “pigro” coinvolge le generazioni giovani (o più giovani), che dovrebbero aver voglia di far gite a prescindere dalle calzature ipertecniche, dagli zaini sagomati, dagli integratori performanti. Quando avevo vent’anni andavo a far gite in ogni condizione, con zaini massacranti, mangiando semplice pane e salame e dormendo sul nudo pavimento nei rifugi d’antan. Poche parole, acqua fresca e poi… via a camminare: questa la parola d’ordine, allora. Oggi? Oggi sembra tutto molto diverso: per camminare ci si deve dotare di un’attrezzatura che costa un patrimonio. Siamo di fronte a una evoluzione o a una degenerazione del fenomeno? L’utilizzo dell’aggettivo “pigro” mi fa propendere, purtroppo, per la seconda ipotesi.

Lorenzo Bersezio

L’ultimo libro, fresco di stampa, è quello di Bersezio: A piedi sotto il cielo. Il focus è più concentrato sull’evoluzione dell’escursionismo, su e giù per i monti, dagli albori dell’imperatore Adriano (salito in vetta all’Etna) fino al fenomeno di massa di giorni nostri. Inizialmente si salivano le montagne per esigenze particolari (cartografiche, militari, recupero di bestiame fuggito…), ora ripercorriamo gli stessi passi con un’ottica molto diversa. Bersezio ci accompagna in questa plurisecolare trasformazione del camminare da negotium a otium.

Sentiamo cosa dice direttamente l’autore torinese: “Vi compaiono fatti serissimi e aneddoti gustosi su personaggi molto famosi che camminarono per puro diletto (Darwin, Kant, Hermann Hess, Goethe, Victor Hugo, Hobbes, Stevenson, Cooleridge, Leonardo da Vinci, Adriano imperatore, ecc.) uniti a tanti altri personaggi assai meno noti al grande pubblico, ma tutti accomunati nella stessa opera corale di preparazione di sentieri e itinerari, a suon di machete e suggestioni, che noi percorriamo in ogni nostra escursione, ricevendo momenti di serenità.”

Aggiungo una mia personale chiosa. Camminare è, in fondo, mettere un piede davanti all’altro, un’azione in sé semplicissima e ripetitiva. Eppure ha costituito un momento fondamentale per la specie umana: non è casuale che sia stato uno dei principali fattori nella nostra evoluzione. Infatti, a differenza degli altri primati (da cui ci separano solo pochi tratti distintivi nel DNA), i Sapiens si sono rizzati in piedi, cioè hanno assunto sistematicamente una posizione verticale ed eretta. Diventare bipedi ha comportato un’infinità di differenziazioni comportamentali rispetto ai nostri cugini primati, fra queste la propensione a spostarci camminando e non “gattonando”, come fanno ancora oggi i primati.

Ergersi verticali ha stimolato l’intelligenza, l’ha fatta “partire”. Una volta eretti i primi timidi passi costituirono l’inizio dell’avventura umana. Da lì, dal semplice rizzarsi eretti e dal mettere un piede avanti all’altro, si è sviluppata l’intera evoluzione, che ci ha portato fino ai nostri giorni: a esser sinceri oggi non sappiamo se ciò sia un bene o in male, visto che la distruzione del pianeta è, almeno negli ultimi decenni, imputabile soprattutto al nostro agire.

A parte queste ultime considerazioni, possiamo però dire che camminare eretti è il sigillo ideologico dell’esserci alzati in piedi, cioè del fatto che ci siamo distaccati dalle altre specie animali, siamo diventati i “Signori della Terra”. Per questo motivo conoscere i risvolti di quella banale attività, che all’atto pratico consiste nel mettere un piede davanti all’altro, è un obiettivo che non dovrebbe mancare a nessun appassionato di outdoor. Non ha senso camminare senza sapere “perché” si cammina e “cosa” si fa mentre si cammina. Cosa ha spinto i nostri progenitori a camminare e perché il camminare si è evoluto in certi modi e non in altri.

La speranza è che, interiorizzando sempre di più perché si cammina, impariamo a camminare meglio, anche e soprattutto in senso metaforico: apprezzare il mondo in cui viviamo e custodirlo proteggendolo, anziché distruggerlo come stiamo facendo.

Bernard Amy – Montagnes d’aventure, Éditions du Belvédère, Pontallier, 2014
Antoine De Baecque – Une histoire de la marche, Editions Perrin, Parigi, 2016 Lorenzo Bersezio A piedi sotto il cielo, Utet, Torino, 2022

34
Tre libri “in itinere” ultima modifica: 2022-10-08T05:42:00+02:00 da GognaBlog

13 pensieri su “Tre libri “in itinere””

  1. Camminare per diletto rende felici. Tutti i camminatori per diletto, i grandi personaggi come gli sconosciuti, sempre narrano della serenità ricevuta dal camminare. La storia dell’escursionismo è, prima di tutto, una storia della felicità, realizzata passo dopo passo, nelle varie epoche. A portata di mano, o di piede, di chiunque e quasi rivoluzionaria negli anni poco allegri in cui viviamo.

  2. … grazie a Carlo Crovella per questi spunti sul camminare. Seppur anch’io sabaudo (di seconda generazione), non conosco il francese e quindi per il momento mi limiterò al solo testo del già conosciuto Bersezio. Per chi non li avesse letti, meritano senz’altro i testi suggeriti da MG (Mc Farlane – tutta l’opera – ed il poetico Michieli). Chiudo con una considerazione sulle “chiose crovelliane” qui spesso dibattute: possono piacere/non possono piacere; autoreferenziali o no; barbose/ non barbose ma, mi permetto, mai a vanvera, questo no. Quello che trovo, invece, è  che la “chiosa crovelliana” –  anche se mi può dare alcune volte un po’ sui nervi e farmi dire “… eccolo qua il solito Crovella” – sia sempre sviluppata “cum grano salis” (si scrive così?), avendo fatto prima lo sforzo, il grande sforzo, di contare fino a 10/100/1000 prima di parlare e, soprattutto, avendo messo in connessione (sempre prima)  intelletto e pancia e non solo quest’ultima come spesso siamo portati a fare. Buone letture e buone camminate a tutti!

  3. L’intelligenza è sofferenza. Oltre che ottusità. E l’io ragione della guerra. Padroni della terra è autoreferenziale e antropocentrico. Analitico e scientista. 

  4. La posizione eretta come simbolo evolutivo va intesa con due precisazioni, che davo per scontato: 1) è limitata alla cerchia dei primati (scimmie): pinguini, uccelli, canguri ecc, pur muovendosi da bipedi, non rilevano in merito, poiché l’intelligenza non è confrontabile con quella dei primati; 2) alcuni primati (cui si aggiungono altri mammiferi, come gli orsi ecc) si alzano  in posizione eretta, ma da eretti o stanno fermi o compiono brevi tragitti, mentre la peculiarità umana è che, una volta alzatici milioni di anni fa, da allora ci spostiamo esclusivamente con l’andatura bipede (anche per lunghi tragitti, come testimoniano i libri citati). Questo ha comportato una serie di conseguenze che ci hanno progressivamente distaccati dalla vita animale intesa in senso stretto (cioè prettamente “istintuale”). Innanzi tutto abbiamo perso l’intera copertura dei peli, che sono invece tipici dei nostri cugini primati (gorilla, scimpanzé, oranghi) e, sempre grazie allo stare eretti, abbiamo assunto modalità comportamentali (dalla caccia alla costruzione di utensili, dalla socialità alla sessualità all’elaborazione logica…) che hanno consentito lo sviluppo dell’intelligenza della nostra specie ben oltre i confini del mondo animale. Questa intelligenza, partita – anche grazie al pollice opponibile – dall’invenzione e dall’uso di utensili molto semplici, è arrivata fino ai nostri giorni e ha consentito l’elaborazione delle ultimissime e più avanzate tecnologie.
     
    In questo senso siamo i Signori della Terra: pur essendo costituzionalmente più deboli di molti predatori, l’intelligenza ci ha consentito di inventare strumenti e tattiche di caccia che ci permettono addirittura di essere noi a predare gli altri predatori. Ad es, grazie al fucile (invenzione frutto della progressiva intelligenza umana), nonché a specifiche tecniche di caccia, siamo noi che uccidiamo il leone e non viceversa, come sarebbe implicito nei disegni della Natura (stante il confronto fra leone e uomo a mani nude). E così via.
     
    Però l’affermazione Signori della Terra oggi assume un tono ironico e provocatorio, nel senso che, col tempo, siamo diventati talmente “signori” di questa povera Terra che l’abbiamo considerata “cosa di nostra proprietà”, abusandone e distruggendola senza ritegno. E’ la pena del contrappasso: saranno le conseguenze della nostra intelligenza a determinare la distruzione del pianeta (o a renderlo invivibile), attraverso l’inquinamento, il disboscamento,  l’industrializzazione esasperata, il consumismo, ecc. Per cui, paradossalmente, è la nostra stessa intelligenza che alla fine ci danneggerà o addirittura ci ucciderà. 
     
    C’è tutto un filone di antropologia che poggia su un libro specifico: “La scimmia nuda” che, seppur datato (la prima edizione risale mi pare al 1967), sviluppa bene questi principi, che sono poi stati perfezionati nel corso dei decenni successivi. L’uomo è una scimmia nuda perché, passando dal gattonare tipico dei primati alla vita costantemente eretta, ha perso la pelliccia. Poi è arrivato tutto il resto, fino alla bomba atomica…

  5. Le tre segnalazioni di Crovella sono utili e stimolano riflessioni interessanti. Proporrei di mantenere la discussione al livello dei libri citati e di trascurare elementi di dettaglio concentrarsi sui quali porta al solito rumore di fondo che interessa ormai pochi appassionati. 

  6. Escursionisti a 4 zampe ne esistono ? Le opinioni di Crovella sono sempre discutibili ma questa dei signori della terra mi pare innocua rispetto a tante altre

  7. Sul fronte evolutivo, la posizione bipede non è una prerogativa umana. 
    L’affermazione ha un senso simbolico, ma sciovinista.

  8. Eh sì….gli altri esistono e spesso non sono come li vorremmo Pensa un po’ che disgrazia. Non ve ne eravate mai accorti? Auguri e buon futuro. 

  9. Si Cominetti, anch’io dico per fortuna!
    Però per sfortuna le città si stanno sempre più allargando, invadendo zone periferiche una volta vivibili, come la mia. 
    E soprattutto i cittadini, anche ottimi alpinisti, prendono i loro SUVvoni, i loro motoroni, (i loro elicotterini), i loro soldoni e salgono a greggi in montagna, una transumanza umana motorizzata, portandosi usi, costumi, rumore, immondizia e bisogno di città ovunque.
    Non te ne eri accorto? 

  10. Ho notato che negli ultimi 20 anni le “distanze” da percorrere a piedi si sono sempre più allungate. Questo sia nella versione “veloce” che nella “versione” lenta. Da un lato i trail running sempre più lunghi, dall’altro i grandi “cammini” sempre più frequentati e versione moderna dei pellegrinaggi del passato. Un fenomeno su cui riflettere. Ho cercato in giro ma non ho trovato per ora grandi contributi. Ho visto uno studio sulle motivazioni dei trail runner che vorrei proporre al blog ma non mi soddisfa. Una compensazione inconscia alla “fine della distanza” caratteristica del mondo moderno come conseguenze delle nuove tecnologie (era il titolo di un libro di un sociologo un po’ di anni fa). Da pensarci. Certo il fenomeno è possente e in crescita. Io stesso mi sono fatto attirare, con gli anni ho ridotto la velocità (inevitabilmente certo) ma ho aumentato le distanze, a volte con obiettivi e sogni non realistici. Ci sto lavorando per capire. 

  11. Correre/ camminare in palestra su un tapis roulant che simula itinerari d’ogni tipo è quello che fa la maggior parte delle persone. Per fortuna.
    Sempre per fortuna, la maggior parte delle persone vive nelle città. 
    Non ve ne eravate accorti?

  12. “A parte queste ultime considerazioni, possiamo però dire che camminare eretti è il sigillo ideologico dell’esserci alzati in piedi, cioè del fatto che ci siamo distaccati dalle altre specie animali, siamo diventati i “Signori della Terra””
    le chiose crovelliane riescono sempre a banalizzare qualunque tema (e magari son pure libri interessanti).
    Camminare è un atto rivoluzionario e zen allo stesso tempo.
    non ha nulla a che fare né con i signori della terra (che non siamo), né con l’essere migliori di alcuna altra specie (che non siamo).
    quando non si ha nulla da dire, e allora si commenta a vanvera pensando di apparire colti… il tutto condito dal solito, “ai miei tempi…”
    ci sono libri bellissimi sul camminare quale atto in sé, che prescinde da qualunque signoria o da qualunque tecnologia. speriamo fuggano alla banalità di taluni recensori… 
    erlin kagge, camminare
    thich Nhat Hanh, Camminare in consapevolezza. 
    mac farlan, le antiche vie
    Henry thoreau, camminare
     Michieli, la vocazione di perdersi, come le vie trovano i viandanti
    quando non si ha

  13. “Siamo di fronte a una evoluzione o a una degenerazione del fenomeno?”
    Se anche per camminare bisogna obbedire alle regole della tecnica siamo sicuramente di fronte alla degenerazione dei valori che trasformano i mezzi in fini. In questo caso il mezzo (camminare per andare in montagna) diventa un fine (andare in montagna per camminare) e riduce il senso della vita a mera esercitazione tecnica. Alla fine sarà sufficiente un tapis roulant in palestra di fronte alle diapositive delle montagne.
     

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.