Tre perle da facebook – 4
Lettura: spessore-weight**, impegno-effort*, disimpegno-entertainment***
A gennaio pioverà merda bollente su tutte le Alpi!
di Ykir Reredlef (Riky Felderer)
6 novembre 2017 alle ore 8.38
Ho sciato per 40 anni.
In realtà per 25 ho sciato, poi 20 con lo snowboard e poi ancora 5 con gli sci.
E mi sono divertito un sacco, non lo posso negare. Dopo i primi 10 anni, un solo obiettivo: la neve fresca. Delle piste onestamente non me n’è mai fregato nulla. Cercavo la fresca, anche quella marcia e pesante, la crosta, qualunque cosa ma non la pista.
Ma oggi, anche in fresca (sarebbe meglio dire “ieri”), non mi diverto più. Anche per questo la decisione di trasferirmi in terre più calde non mi ha scombussolato l’esistenza.
Mi stava piacendo di nuovo lo scialpinismo, ma, detto chiaro e tondo, dove ci si diverte troppo spesso si rischia, e a una certa età l’esperienza, soprattutto la lista dei caduti si faceva troppo opprimente per permettermi di divertirmi a cuor leggero. Ma questo è un problema mio.
Adesso poi leggo di tutte le polemiche e i casini legati all’innevamento artificiale, e poi i casini degli impianti sotto i 6000 metri, quindi gli arva, le valanghe, gli artva, le vaTlanghe, gli airbag, gli abs e sedili riscaldati… eccheppalle! Manca solo di pagare il bollo e smettiamola lì.
Cosa sto dicendo? Sto dicendo, cari professionisti della neve, ciò che dicevo già 10 e 20 anni fa sulle mie riviste. Caro professionista, sia tu maestro, guida, operatore alberghiero od omino degli skilift. Non hai mai capito un cazzo, e continui a non capire. E la cosa bella è che me lo comunichi, come se questo bastasse. Continui a insegnare uno sci che non diverte in maniera non divertente, con gli scarponi blocca-circolazione su ghiaccio vivo al 1° di febbraio! Che schifo!!! Continui a voler far cassetta su periodi dove non ha MAI nevicato, porcatroia, maiiii! A Natale, quando si sciava, si sciava sui sassi. Da che io me ne ricordi, e, ahimé, ne è passato di tempo… continui a forzare immagini estreme per gente che non ce la farà mai, e il cui unico obiettivo è avere uno scatto da condividere sui social, fatto il quale cambierà sport come io cambio le mutande. Abbiamo menato il torrone con ‘sta cazzo di sicurezza che oggi, per essere sicuro, hai già investito il budget delle vacanze di 2 anni e quando la valanga arriva, te cupa istess… il 90% delle volte.
Non è ora di dire “basta”?
Ma non basta con lo sci e con la neve.
Basta con questa stagionalità, questi prezzi e queste svendite. Basta con giacche e artva che salvano la vita ogni anno meglio. Basta con ‘sto cazzo di carving su neve sparata. Basta con ‘ste curve a 50° con 3 metro di polvere. Basta con ‘ste vacanze di Natale da fratelli Vanzina. Basta con ‘sto fatturato che deve sempre crescere in località che sono già morte prima di nascere. Basta comunicare perché il tuo cazzo di ufficio stampa ti costringe.
Ma lo vogliamo usare ‘sto cazzo di cervello per ragionare? Comunichiamo qualcosa che abbia senso, diocaro!
Il primo che mi dice che a Natale 1983 c’erano 76 cm di neve al monte Pora lo inculo.
Perché così tante donne moraliste?
di Paolo Rosti
13 dicembre 2017 alle ore 0.05
Perché esistono così tante donne moraliste? Perché? Voi potreste dire lo stesso degli uomini, ma degli uomini me ne fotto, è un particolare da non sottovalutare. Il moralismo, cioè nel nostro mondo, la morale cristiana è una catastrofe per la vita, la gioia, il piacere. Una tragedia che sarebbe facile cancellare, peccato che costi la fatica di leggere testi diversi da quelli che ti dicono, studiare, non sia mai, eppure è proprio così, studiare e leggere ti permetterà di godere di più. E’ un maledetto dilemma. E anche incredibile. Ma siamo seri, sarà una piccolissima minoranza a farlo, del resto c’è una maggioranza che non sa leggere, figuriamoci, cosa leggere. Che peccato, soprattutto per le fichette secche, e per quelli che finiscono su youporn o similia. Oh, chi vuole capire, capisce, e non è una questione di età. Evitate commenti moralisti, mi interessano pareri onesti. O il silenzio.
Quanto può valere un interprete
di Luca Calvi
24 novembre 2017
Quale tempo fa sono stato contattato da un avvocato. Mi chiede se sono io il dottor Tal dei Tali bla bla bla… “Può trovarsi domani in Tribunale per un cliente che deve essere ascoltato dal Magistrato?”.
Prendiamo accordi di massima anche sul compenso e ci diamo appuntamento per l’indomani. Solo dopo averlo salutato mi rendo conto che, come al solito, non mi ha detto per che lingua e per quale ambito di trattazione… Civile? Penale? Truffe? Omicidio? Boh…
Il giorno successivo arrivo in Tribunale, in perfetta tenuta da interprete “serio”; quindi pinguinato (ovvero in giacca e cravatta) e con aria più seria che mai. Mi trovo di fronte l’avvocato, compunto e quasi contrito, che mi presenta l’assistito… Un richiedente asilo nigeriano, dallo sguardo particolarmente dolce e triste…
Nessun problema, ovviamente. “Pecunia non olet”, aggiunge l’avvocato… Salvo poi aggiungere “Sperando che una qualche pecunia arrivi…”.
So che quell’avvocato è un’ottima persona (anche se dire così di un avvocato suona da ossimoro…). So che mi posso fidare… Sì, perché ormai con avvocati e questioni legate a tribunali e simili è sempre cosa buona e giusta spiegare da subito la legge del “dare soldo per vedere cammello”, altrimenti magno cum cavolo che ti pagano…
Quel ragazzo, però, continua a essere triste, eppure incredibilmente dolce. Cordiale e gentile. Parla un ottimo inglese. Inizia con molta difficoltà a parlarmi… E’ timido… Poi mi dice “vedi, so già che farai fatica a credere a ciò che devo raccontare al giudice…”.
Non ho il tempo per stare a pensarci. Ci chiamano. Entro e vengo presentato al magistrato, una signora dolce anche se necessariamente fiera e con uno stupendo sguardo indagatore. Inizio a tradurre…
La professione prevede che il traduttore/interprete rimanga il più possibile asettico, che si concentri sulla resa nella lingua del recipiente di quanto viene detto nella lingua d’origine, e bla bla bla… Io, però, ormai sono anziano, posso permettermi di far deroghe a quanto si insegna.
Quel ragazzo racconta di un gruppo etnico della Nigeria presso il quale vige l’abitudine di “far passare a miglior vita” con un complicato rituale i primogeniti, pratica che prevede, per chi non la attua, l’uccisione dei genitori…
Il giovane è fuggito e chiede, con estrema dignità, rifugio per evitare di essere fatto fuori. Semplicemente, senza troppi giri di parole.
Il magistrato mi guarda… Mi vede corrugato in volto. Traduco quello che dice lei e si vede che si è informata mica da ridere… Il ragazzotto dalla pelle ambrata si scioglie e per un attimo sorride.
La magistrata mi chiede di tradurre “dolcemente” un po’ di domande, poi di spiegare alcune questioni burocratiche… Lo faccio tranquillamente. Il ragazzotto vede la mia pazienza nello spiegare ad abundantiam quando vedo che più di tanto non segue gli arzigogoli del sistema giudiziario e della burocrazia italiota.
Se ne accorge anche la magistrata, che mi ringrazia e mi chiede se mi potrà contattare, perché ho davvero mostrato collaborazione… Le rispondo, spudorato come sempre: “Figliola, quante storie per il mio numero di telefono…”. Lei mi fa un bel sorriso, l’agente “di supporto” (insomma, la scorta) scoppia a ridere ma non sa se lo può fare… Traduco per il ragazzotto e, davanti all’avvocato e al giudice dice “Tu bravo traduce, tu piace bella donna…”. Prime parole in italiano.
Risate generali, ci accomiatiamo. La giudice passa al tu: ”Bene, ti devo davvero ringraziare”. Rispondo, come faccio di solito, con “Sai, da quando sono uscito per omicidio cerco di rigare dritto…”. Mi guarda stralunata… Poi si rende conto che la sto leggermente perculando e mi manda a quel paese, ridendo.
Il ragazzotto dalla pelle ambrata, dopo l’incontro, è sollevato, perfino allegro… Sente che mi chiamano “Dottore” e mi chiede se sono anche medico… Gli spiego che in Italia si dà del “dottore” a chiunque, e che io preferisco essere chiamato per nome…
E’ il momento di salutarci: arrivano due suoi amici, uno è una montagna umana, l’incubo di chi ha paura dell’uomo nero. Due metri di muscoli color ebano. Sorriso a novantasei denti. Mi stringe la mano con una benna a polipo dall’aspetto umano… L’altro è già scafato e mi saluta con estremo rispetto.
Il ragazzotto, a quel punto, esce con un “Oddio, stavo per dimenticarmene…”. Si alza, va dall’amico e tirano fuori un sacchetto pieno di biglietti da cinque euro (pochini) e soprattutto monete da uno o due euro… Iniziano a contare febbrilmente “Sorry, sorry, just a minute Sir…”. Mi rendo conto che stanno contando i soldi per pagarmi l’onorario…
“Scusate, ragazzi, ma voi i soldi per l’avvocato e per me come ve li siete guadagnati? Avete un lavoro?”.
“No, signore… Ma io e i miei due amici abbiamo lavorato davanti al Supermercato per tutta la settimana… L’avvocato ci aveva detto che gli interpreti costano molto…”.
“Scusa, ma non mi hai risposto… Che lavoro fate?”.
“Chiediamo l’elemosina, portiamo i carrelli… Cerca di capire, signore, noi non possiamo lavorare. Ci vergogniamo, ma non vogliamo rubare e finché non possiamo lavorare dobbiamo chiedere… Mendicare”.
La montagna umana ha quella che secondo lui è un’illuminazione e mi dice: “Signore, io avrò dal mese prossimo un lavoro, vado a fare l’assistente di security (e te credo…) in un negozio… Mi arriva il permesso. Io poi potrò pagarla come si deve, con delle banconote, ci scusi…”.
“Sentite, ragazzi, ma è con questi soldi che vivete? Con quelli che recuperate al supermercato?”.
“Non abbiamo altro modo e proveniamo da famiglie per le quali piuttosto di rubare o vendere droga è più dignitoso morire”…
“Sentite, ragazzi, ficcatevi quei soldi dove dico io… Avete più bisogno voi di me… Eddai, datemi un abbraccio e siamo pari”.
“Ma no, signore, noi non volevamo offenderti…”.
“Mi offendete se provate ancora a pagarmi. E se dovessi prendere dei soldi per quello che ho fatto oggi mi sentirei di valere meno di una merda. Oggi mi avete dato la possibilità di conoscere e imparare. Sono io a ringraziarvi”.
“Ma noi non possiamo accettare, tu hai lavorato per noi, signore”.
“Mi volete pagare? Bene, allora segnatevi questo: un domani – spero presto – starete bene. Incontrerete qualcuno che sta peggio di voi. Aiutatelo a nome mio. Con quei soldi prendetevi da mangiare… E se non siete islamici, pure una birra! Se siete islamici, un’aranciata o quel che vi pare!”. Sorrido.
Il giovanotto mi viene incontro, vado per abbracciarlo. Mi vorrebbe baciare la mano. Glielo impedisco. Lo abbraccio e poi abbraccio gli altri due. Li saluto e mi trovo di fronte l’avvocato e la giudice. L’avvocato mi stringe la mano, passa al tu e mi dice “Grazie, farò come te. Hai ragione. Sei davvero un bravo traduttore…”.
La giudice mi guarda e dice: “Ho capito quale sia il valore del traduttore… E adesso ho capito perché di te dicono che costi tanto. Forse fanno confusione tra costo e valore…”.
In realtà per me ha avuto valore solo la telefonata, inaspettata, dopo qualche tempo, di ringraziamento del giovane nigeriano, che stava per partire, con documenti a posto, per una nuova fase della vita. “Ho capito che sei una brava persona e farò come mi hai detto tu! Un abbraccio e spero di vederti… Da qualche parte, un giorno”.
Non so quale sia il reale valore di un traduttore, a dire il vero… Chi è davvero asettico? Chi partecipa? Chi si immedesima? Tutti e nessuno. Il vero traduttore è colui che “tra-duce”, il Caronte delle parole, colui che traghetta il significato… E se sono riuscito a dare un piccolo contributo per far evitare l’Inferno ad un ragazzo che ora naviga verso altri Paradisi… Forse qualcosa di buono l’ho fatto pure io.
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Le parole e le frasi scurrili devono essere censurate.
A suo figlio, se ne ha, parla con lo stesso linguaggio? e a sua moglie? a sua madre? a suo padre? Invitato a casa di amici, se ne ha? parla così? se per caso fosse a casa a mia e parlasse così le chiederei di uscire e non farsi vedere più. Chi spaccia scurrilità per libertà di cultura e linguaggio e un non essere pensante, ha la stessa consistenza dei rumori corporali.
la mia impostazione “culturale” invece mi permette di spostarmi serenamente dalle paludi mefitiche e solforose del turpiloquio ai meravigliosi campi verdi di cavilli da accademici della crusca, scialando con un cazzo come con un corbezzolo. Mi diverto da matti ad esprimermi come mi pare con i colori che più mi divertono in quel momento. Mi spiace per lei!
Io odio il politicamente corretto, il perbenista e soprattutto il buonista, ma non sopporto il linguaggio sguaiato che usa termini come c….o ogni 2 per 3, indica semplicemtente unas povertà culturale e lessicale. Andate a scuola per reimparare, e per avere qualcosa da dire. Perchè l’unica cosa di cui è ricco il suo articolo, chiamiamolo così, è la scurrilità, il resto è uno ZERO
Caro Alberto,
felice di farti schifo!
E felice che tu abbia potuto sentire una voce fuori dal coro, nei toni e nei contenuti.
Cordialmente,
l’autore del primo articolo
(che poi è un mio post su FB ripreso, chiamarlo “articolo” mi pare quantomeno fuori luogo)
ps: del buon gusto del politically correct e del falso perbenismo imperante, soprattutto quando si parla di lavoro, denaro e anche vite, sinceramente ne faccio a meno
di nuovo
Gente che usa il linguaggio del primo articolo, mi fa schifo. E’ rivoltante dare spazio a mentecatti simili. Il buon gusto e l’educazione sapete ancora cosa sia?
comunque 25+20+5 fa 50, dai… 😉