Trofeo Mezzalama 2023
(cosa resta dello spirito originario)
di Carlo Crovella
Il 22 aprile 2023 si è disputata la XXIII edizione del Trofeo Mezzalama, la celebre “Maratona dei ghiacciai”.
Nata nel 1933 su iniziativa dei soci dello Ski Club Torino con l’apporto del CAI Torino, del CAAI e del quotidiano La Stampa, il Trofeo ricorda Ottorino Mezzalama. Bolognese, trasferitosi a Torino per il grande amore verso le montagne, specie innevate, Mezzalama è colui che, recuperando intuizioni di precedenti scialpinisti, elabora in modo lucido l’idea di una traversata sciistica integrale delle Alpi. Egli la concepisce da Ovest verso Est, probabilmente perché risiede a Torino e gli viene naturale procedere in tale direzione. Ne compie anche diverse tranche finché resta vittima di un incidente da valanga nei pressi di Vipiteno (1931).
Gli amici dello Ski Club, in particolare Piero Ghiglione, desiderano ricordarlo con una competizione di rilievo. Dapprima (già nel ’32) valutano l’ipotesi di una gara in Val di Susa, ma poi, per vari motivi, optano per indirizzarsi l’anno successivo (’33) sul palcoscenico del Rosa, dove l’impegno individuale (sia tecnico che atletico) viene provato in un aspro confronto con le difficoltà ambientali e climatologiche delle alte vette. La preferenza per una gara a squadre di tre elementi è collegata alla mentalità dominante negli anni Trenta. E’ la metafora delle pattuglie esposte al fuoco nemico: abilità individuale e solidarietà di squadra si fondono indelebilmente per fronteggiare le difficoltà oggettive.
Il Trofeo Mezzalama conquista rapidamente un’aura eletta e diventa la concretizzazione del “sesto grado con gli sci”. Velocità (intesa come prerequisito per la sicurezza), difficoltà, “envergure” (per dirla alla francese) guadagnano la ribalta in una sorta di risposta occidentale e innevata alle crode dolomitiche, dove si punta a raggiungere l’estremo limite umano. E’ il fil rouge di tutte le competizioni scialpinistiche nate nel periodo, ma le alte quote e gli ambienti glaciali del Rosa portano all’estremo il concetto.
Non necessariamente un ottimo alpinista eccelle anche in questo tipo di gare. La controprova arriva dalla constatazione che molti “grandi alpinisti”, dopo la partecipazione “dovuta” alla prima edizione del ’33, si sono complessivamente defilati: per loro incombe il rischio di veder sminuire la reputazione eroica, se non realizzano una prestazioni agonistica di altissimo livello.
Ma la gara non perde di prestigio, anzi: a dominare la scena subentrano altri protagonisti. Come ha ricordato l’accademico torinese Pietro Crivellaro in questo Blog, sono le pattuglie alpine a raggiungere l’apice delle performance in queste manifestazioni. Allenamenti “scientifici” (estesi all’intero anno solare), alimentazione appropriata e sistematica, coesione della squadra, dimestichezza con lo sbrogliare gli intoppi in velocità e mille altri specifici risvolti confezionano una particolare abilità nel muoversi sui terreni tecnici (specie se glaciali e ad alta quota), tipica di squadre che si preparano in modo specifico.
Un importante fattore per le pattuglie italiane è che esse si potevano allenare nell’ambito della Scuola Militare alpina di Aosta, sotto la direzione del Capitano Silvestri, vero ideologo dell’allenamento scientifico per queste competizioni: gli Alpini italiani trionferanno anche nella prova per pattuglie alle Olimpiadi di Garmisch del 1936.
Il Trofeo Mezzalama registra sei edizioni annuali negli anni Trenta (dal ’33 al ’38), poi si interrompe per la guerra e non riesce a ripartire. Occorre attendere gli anni Settanta, dove, abbandonando la cadenza annuale, si disputano quattro edizioni (dal ’71 al ‘78). Il maltempo del 1981, che costringe ad annullare la gara, stronca ogni successiva velleità. Ma il problema, più che organizzativo, è tecnico, cioè incentrato sul kit dell’attrezzatura a disposizione in quel frangente storico. Gli scialpinisti “normali” dispongono di attacchi vecchio stile, sci di metallo ancora vicini ai 2 metri, scarponi che (seppur da poco in plastica) non garantiscono snellezza e leggiadria di progressione. Viceversa i gareur puri utilizzano attrezzatura ottenuta come evoluzione dallo sci di fondo: sci strettissimi, scarponcini, tute da ginnastica. Insomma un kit leggero che permette di “correre”.
Non ci può essere “gara” fra la due categorie. E’ un problema che affossa l’intero scialpinismo agonistico del periodo, riducendolo al lumicino perché troppo ristretto è il circolo dei gareur puri, che sono pochissimi. Il contrasto si accentua maggiormente su terreni come quello del Mezzalama: i tradizionalisti sostengono che è imprudente correre il Mezzalama con l’attrezzatura leggera.
Pertanto il Trofeo si interrompe ancora una volta. Ma sul finire del XX secolo l’intero scialpinismo è caratterizzato da un’importante rivoluzione tecnica, quella della leggerezza, innescata dalla diffusione dell’attacco poi chiamato Dynafit, perché è questa azienda che lo costruisce e commercializza. Tale rivoluzione coinvolge l’intero kit di attrezzatura, sia sciistica che alpinistica, nonché l’abbigliamento e inoltre arriva anche fino ai risvolti collaterali, quali l’alimentazione durante lo sforzo (gel e barrette sostituiscono cioccolato e frutta secca).
Questa rivoluzione riapre completamente il discorso dello scialpinismo agonistico che, infatti, “esplode” nel giro di pochissimo tempo. E’ un fenomeno che riguarda l’intero mondo delle gare, ma che condiziona, ovviamente, anche il Mezzalama.
Il Trofeo rinasce nel 1997, con cadenza biennale. Da allora è saltata solo l’edizione 2021 per gli strascichi della pandemia: in tal modo nel 2023 si è disputata la XXIII edizione, con una partecipazione limitata per regolamento a 300 squadre. Senza tale milite le iscrizioni sarebbero molto superiori, indice della diffusione dello scialpinismo agonistico. Dal 2001 sono vietati gli sci stretti da fondo: sono obbligatorio gli sci larghi utilizzati nella totalità delle gare di scialpinismo. Ma questi sci moderni sono prodotti in modo tale da esser più maneggevoli e molto più leggeri del passato.
E’ un fenomeno che coinvolge tutto il mondo agonistico: quello che oggi si chiama “skialp race” esprime una vivacità senza precedenti. Possiamo dire che ormai il mondo agonistico si è staccato dallo scialpinismo in quanto tale e vive di vita propria. Ha una sua Federazione internazionale, che organizza un fittissimo calendario, e, in ambito italiano, l’attività fa riferimento alla Commissione scialpinismo della FISI (Federazione Italiana Sport Invernali) e non al CAI.
E’ corretto che sia così perché l’aspetto agonistico è di competenza della Federazione, mentre il CAI è l’ambito istituzionale per gli appassionati amatoriali dello scialpinismo in campo aperto. E’ un’antica diatriba, ma ormai sembra risolta a livello istituzionale, con la differenziazione dei compiti: però la disciplina è divisa in due. Il fenomeno è anomalo, perché gli scialpinisti che, accanto alle gite private, partecipano anche alle gare, hanno due riferimenti diversi. Non è problema peculiare dello scialpinismo, ma riguarda altre discipline che si praticano in montagna: la FASI si occupa delle gare di arrampicata, la FISky delle gare di corsa e così via.
Nulla di male, anzi meglio perché è più chiara la competenza istituzionale fra il CAI e le varie Federazioni. Occorre però che i singoli individui sappiano cambiare cappello a seconda del contesto organizzativo in cui si muovono.
Infatti a mio parere, rispetto ad altre discipline praticabili in montagna, nello scialpinismo il problema è più ambiguo e infido. L’abbattimento di barriere tecniche, per i citati motivi collegati all’attrezzatura, ha aperto le porte delle gare a persone che, senza tali prerequisiti, alle medesime gare non si avvicinerebbero neppure. A maggior ragione per la regina delle gare scialpinistiche, ovvero il Mezzalama.
Fin qui tutto bene: una volta in gara, c’è una sovrastruttura organizzativa che garantisce la supervisione e, quindi, la sicurezza.
Il problema emerge, invece, quando gli agonisti amatori (definisco così quelli che si allenano – anche con passione – ma non sono dei professionisti puri delle gare, come gli atleti dei gruppi sportivi, specie militari) si impegnano poi in uscite private. Spesso non sanno spogliarsi della forma mentis connessa al coinvolgimento in una gara. In gara si è concentrati sul “correre” (quindi “non” si è attenti a cosa accade intorno), ma ci si muove su un percorso pre-verificato e controllato in ogni istante, con personale di assistenza pronto a intervenire.
Invece una escursione scialpinistica in campo aperto è cosa completamente differente. Presuppone un approccio mentale forse addirittura opposto: correre non deve essere l’obiettivo principale, mentre lo diventa guardarsi introno, “ascoltare” i segnali che arrivano e, soprattutto, saper “leggere” la montagna.
Purtroppo non sempre gli agonisti in uscita privata sanno riposizionarsi nella corretta mentalità dello scialpinismo amatoriale. Spesso li si riconosce a vista da come agiscono sul terreno. Per il fatto che, anche nelle uscite private, indossano l’abbigliamento da gara vengono chiamati “le tutine”. Normalmente uno scialpinista vecchio stampo scuote la testa quando li osserva.
L’approccio mentale fra skialp race e scialpinismo è molto differente: è doveroso in ciascuno dei due contesti seguire i diversi comportamenti di riferimento. Ma è necessario saper cambiare cappello, altrimenti ci si trova in situazione impreviste. Mi viene da concludere che skialp race e scialpinismo siano ormai due discipline completamente diverse: occorre prenderne atto e ragionare in tal senso. Sono convinto che molti degli incidenti delle uscite private abbiano questo vulnus all’origine.
Vi è infine un altro aspetto discutibile e connesso alla rinascita dello scialpinismo agonistico, in particolare per le manifestazioni storiche come il Mezzalama: la “spettacolarizzazione” richiesta dai nostri tempi, che inquina le gare con risvolti da Circo Barnum.
Le foto testimoniano più di ogni descrizione. Occorre esser fighi, plastici, atletici. Più o meno sono le foto che si incontrano in giro, non solo per il Mezzalama. Tra l’altro il Trofeo dal 2010 è stato inserito nel circuito denominato La Grande Course, che comprende altre classiche di polso: Pierra Menta (FR), La Patrouille des Glaciers (CH), Adamello Ski Raid e Tour du Rutor. Si tratta del cerchio delle gare di alto profilo, cioè in quota e con impegno tecnico e atletico di particolare evidenza. Ne consegue che le foto di tutte queste gare sono molto spettacolari, ma spesso mescolano il sacro con il profano: accanto a guizzi plastici in contesti innevati abbiamo partenze ammassati come animali dentro ai recinti, arrivi a bassa quota sull’asfalto e in mezzo a prati verdi, interviste “inside the race”, tifosi con campanacci…
Nelle recenti edizioni la partenza del Mezzalama è prevista a Cervinia e avviene in linea, cioè tutti insieme: in pratica, una volta dato il via, la marea di atleti attraversa l’abitato con scarponi ai piedi e sci in mano. L’effetto non è molto dissimile da una mandria di bisonti al galoppo.
Mentre uno scialpinista vecchio stile come me resta attonito di fronte a queste immagini della partenza, sui social dominano caterve di commenti entusiastici del tipo “Che spettacolo!”, “Che emozione!”, “Che bellezza!”…
Spettacolo, emozione, bellezza??? Ancora ancora veder gli atleti saettare sull’affilata cresta del Castore. Ma vederli caricare come bisonti in mezzo all’abitato… io non mi capacito. E’ un altro mondo.
C’è addirittura chi prevede, specie per la Maratona dei ghiacciai, un futuro in perfetto stile Formula 1: cubiste che sculettano, striscioni pubblicitari lungo tutto il percorso, pit stop, radioline in presa diretta, altoparlanti, droni che filmano dall’alto, elicotteri, puzza di gasolio, confusione, rifiuti… Insomma: show in business.
Non si può ostacolare l’evoluzione delle cose umane, ma non credo proprio che il buon vecchio Ottorino, con i suoi bei baffoni, approverebbe tutto ‘sto circo…
Nota: gli interessati a comprendere come sia cambiata la concezione ideologica dello scialpinismo agonistico, dalle prime competizione degli anni ’10 del Novecento fino ai nostri giorni, trovano maggiori dettagli nel volume Scialpinismo (a cura di Carlo Crovella) compreso nella recente Collana del Corriere della Sera dedicata alla montagna.
15Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Ma grazie, davvero interessante. Grazie ancora….avendo i dinafit presi dopo i silvretta 404 (per non cambiare scarponi) non avevo capito che si intendessero gli attacchini.
Veramente grazie
13. Carlo.
Qui trova un ottimo riassunto della storia dell’attacchino.
https://skialper.it/lincredibile-storia-dellattacchino-che-fa-impazzire-il-mondo-2/
@12 Carlo. L’attacco ora in auge è stato sviluppato, addirittura a cavallo fra anni ’80 e ’90, dall’ingegnere austriaco Fritz Barthel. I primi prototipi hanno iniziato a circolare in modo “ristretto” più o meno nella prima metà degli anni ’90, in modo pubblico dalla metà di quel decennio. L’azienda Dynafit, con ottimo fiuto imprenditoriale, se ne è assicurata i diritti di produzione e commercializzazione (anche delle versioni successive). A livello gergale vi sono ambienti dove lo si chiama, fin dall’inizio, “attacchino” (per l’esiguità delle forme) e altri dove lo si chiasma “attacco Dynafit”. E’ un’imprecisione, ma serve per capirsi al volo. Mi pare che si tratti di una figura retorica: l’antonomasia. Di fatti la frase nell’articolo è: “…la diffusione dell’attacco poi chiamato Dynafit”. Quel “poi” chiarisce il concetto.
Non è stato l’attacco in quanto tale a determinare la rivoluzione del kit tecnico completo, ma (quanto meno cronologicamente) ne ha dato il là rappresentando lo sdoganamento della violazione dei parametri precedente e permettendo così il recepimento delle novità che giravano nel settore dello sci. Peraltro si tratta di un fenomeno ricorrente nella storia dello scialpinismo. Infatti le tre grandi rivoluzione storiche del kit tecnico individuale sono state “innescate” dalla diffusione di un “nuovo” tipo di attacco, che ha scombussolato i parametri precedenti. Negli anni Trenta l’attacco Kandahar (quello col cavo metallico); negli anni Settanta la talloniera Marker (che ha mandato in pensione le ultime evoluzioni dell’attacco col cavo); infine a cavallo del 2000 (circa) l’attacco Dynafit, la cui filosofia di fondo è la ricerca della leggerezza, non solo con la snellezza delle forme, ma anche attraverso l’utilizzo di materiali prima non esistenti o non coinvolti nella produzione di attrezzatura alpinistica/scialpinistica. Questa filosofia, sdoganata dalla diffusione del “nuovo” attacco, è divampata in brevissimo tempo. La storia dimostra che, almeno finora, sono le novità sugli attacchi che aprono nuovi scenari tecnici che, rapidissimamente, coinvolgono l’intero panorama, arrivando a generare nuove mentalità e nuove ideologie.
Maggiori approfondimenti su questo, come su mille altri risvolti dello scialpinismo, si trovano nel volume citato (“Scialpinismo” – nella Collana dedicata alla montagna da parte del Corriere della Sera), uscito a fine gennaio 2023.
Se si riesce a guardarsi introno, “ascoltare” i segnali che arrivano e, soprattutto, saper “leggere” la montagna. riuscendo anche ad andare veloci però è meglio, e invece del maglione di lana usare un abbigliamento moderno non ci vedo niente di male… 😉
Sign Penotti…….Dynafit (e la storia della genesi di questo attacco è veramente interessante) m……
Mi piacerebbe leggerla
8, i centri commerciali, ormai, usano pannelli solari e differenziano le immondizie e vendono alimenti indispensabili alla vita. Ormai per questo sci la montagna è solo contorno. Così come l’arrampicata è diventata sportiva e si è trasferita indoor, così da essere codificata e diventare olimpica. Ormai abbiamo tecnologia per fare neve, nuvole, vento e scarsità di ossigeno e la tecnologia per fare ciò con energia rinnovabile. Perché quindi non fare lo skialp indoor? Codificabile e farlo diventare disciplina olimpica. Il pubblico e gli addetti si recherebbero con il treno o la metro sl grande dom, rinsaldando il legame con le arene romane, gli stadi, i dom americani. Tutto in sicurezza e con impatto ambientale molto minore. E lasciando la montagna alla montagna
“Beati noi che possiamo scegliere, no?”
come disse l’anziano passeggero del Titanic davanti alla scelta degli antipasti alla cena del 14/4/1912…
ogni uscita strampalata del crovella il CAI perde dieci iscritti
@commento 1
meno che un qualunque centro commerciale dalle 9.30 alle 9.45 di sabato scorso. Infinitesimamente meno di quello che fa una nave da crociera in un minuto. Consiglio: non disperdere le tue energie su falsi obiettivi.
riguardo all’articolo in oggetto. Il succo qual’è? Non ci sono più le mezze stagioni? Nella natura umana c’è insito il fatto di fare meglio le cose, di rifinirle. Quello che per me “è meglio” non è detto che lo sia per te e viceversa, ovviamente. Oggi puoi andare a fare skialp con due assi di legno e goderti 1000 mt di dislivello in 6 ore nel silenzio della natura oppure partecipare a una gara dove le tipe fanno ballare i seni a ritmo di trap. In mezzo tutte le sfumature. Beati noi che possiamo scegliere, no?
Premesso che lo scialpinismo agonistico è in netta crisi rispetto a 5-6 anni fa (i numeri lo confermano), ritengo che la montagna debba essere la patria della libertà, con unico limite la salvaguardia della medesima, al di là di ogni pregiudizio; pregiudzio che, a mio modesto avviso, emerge nell’ultima parte di questo comunque splendido articolo. In quanto ai rischi, basti considerare il Mezzalama di quest’anno: circa 900 persone che transitano di corsa sul Castore addomesticato, ma ghiacciatissimo, e sul Naso, in parte nella bufera, senza nemmeno una scivolata, significa atleti molto preparati, ben di più di tanti gitaioli da 400 metri di dislivello all’ora usciti da corsi e ricorsi di scialpinismo. Si ricordi, infatti, che velocità e sicurezza spesso coincidono in alta montagna. In merito, da ultimo, alla spettacolarizzazione, ognuno ha il proprio metro, che dipende dalla propria cultura, ma purtroppo la società attuale è quella del’immagine, dell’apparire e lo skialp non ne può certo fare a meno.
L’articolo contiene delle imprecisioni:
L’attacco attuale non si chiama di certo Dynafit. Vero che la prima a sviluppare un attacchino leggero fu la Dynafit (e la storia della genesi di questo attacco è veramente interessante) ma il termine corretto è attacco Low Tech o attacco a pin o più gergalmente attacchino. Sarebbe come dire che tutte le creme spalmabili si chiamano Nutella perché la Ferrero è stata la prima.
L’evoluzione dei materiali (sci, scarponi e pelli) non è causato dalla comparsa dell’attacchino ma da altri fattori, industriali e commerciali e, guarda un po’, dalla evoluzione delle attrezzature da discesa.
Sulle considerazioni personali di Crovella non concordo in quanto basate su un suo pregiudizio, non suffragato dai fatti.
Per chi volesse avere una fotografia effettiva e molto articolata sullo sci alpinismo agonistico consiglio questo articolo apparso su skialper:
https://skialper.it/ceravamo-tanto-amati/
In tutti i campi dell’andare per monti e per mare si è creata un’area gare che ha caratteristiche sempre più spinte di laboratorio di sperimentazione e di innovazione di metodi di allenamento, di tecniche e di materiali. Un mio giovane parente, ing. navale, lavora da mesi in Florida con il team USA che farà la coppa america nel 2024. Sono un gruppo di ragazzi superspecializzati che lavorano esclusivamente sulle vele. Altri lavorano su altre parti della barca e sull’equipaggio. Non sono più barche ma auto da corsa. Lo stesso vale per la montagna. Ovviamente le priorità e i valori di questo mondo sono diversi da quelli delle attività originarie da cui derivano: competizione, specializzazione, innovazione, controllo sistematico dei fattori in gioco, focus sull’incremento continuo della prestazione, ricerca di finanziamenti, esposizione ai media…..il lato avventura sicuramente e’ meno sviluppato perché le gare avvengono di solito in contesti ben definiti e marcati, snche se alla montagna e al mare comunque non si comanda completamente. È un processo attraverso il quale passa oggi l’innovazione in molti campi. Non è detto che non ci siano connessioni tra i due mondi. Ad esempio mio nipote è un grande amante del mare, un provetto velista d’altura e appena puo’ fa grandi navigate tradizionali fuori dal circuito. Lo stesso ho visto accadere per lo sci, l’arrampicata e il trail running. Anch’io non amo l’aspetto spettacolare caratteristico di questo mondo, dovuto anche alla necessità di reperire fondi attraverso la raccolta pubblicitaria, ma cerco di vederne non solo le influenze negative sul tradizionale ma anche i contributi positivi in termini di Ricerca & Sviluppo. Ovviamente sono cose ben distinte e non bisogna confonderle. Certo a volte credo per tutti alcune prestazioni spettacolari che vediamo in TV ti lasciano a boxca aperta anche se tutto il circo che le circonda infastidisce non poco. Purtroppo tutto ha un prezzo e l’armonia è un’eccezione piu’ che la norma.
Ho molto apprezzato la prima parte dell’articolo, meno la seconda con commenti personali che, in certi passaggi, reputo un po’ dozzinali e rovinano il ricco e puntuale quadro che era stato creato.
Comunque prossimamente prenderà il via il trofeo Mezzasalma
https://www.youtube.com/watch?v=yRAq_xhHwug
Crovella dovrebbe limitarsi alla descrizione senza poi addentrarsi nella sua valutazione personale delle cose, sempre uguali, anacronistiche, caiane e insopportabili. Peccato.
300 squadre da 3 atleti l’una, organizzatori, servizio di gara, giudici, pubblico….mi domando quante siano le tonnellate di rifiuti e l’impatto ambientale di simili competizioni fatte, oltretutto, in ambienti molto fragili dal punto di vista naturale….ne vale la pena ora che abbiamo preso coscienza che “qualcosa non va” nel nostro modo di essere al mondo??