Turismo bianco, futuro nero – 15

La valle piemontese nelle Alpi occidentali ha saputo trasformarsi in meta “slow”, economicamente sostenibile. Una perla che attrae appassionati da tutta Europa.

Il modello Val Maira
(riscoprire la montagna lentamente)
Turismo bianco, futuro nero – 15 (15-17)
di Michele Dalla Palma
(pubblicato su valori.it il 24 febbraio 2020)

La Val Maira rappresenta uno straordinario caso di intuizione turistica sostenibile in perfetto equilibrio con le nuove aspettative di un turismo attento all’ambiente naturale e attratto dalle sue prerogative.

Questa piccola valle occitana, arrampicata tra le impervie montagne del Piemonte occidentale, ha vissuto, per infinite generazioni, la difficile e severa esistenza legata alle poche “certezze” della montagna: freddo, isolamento, agricoltura di sussistenza e pastorizia di alpeggio. Ha tutte le caratteristiche negative che hanno portato allo spopolamento di gran parte delle valli alpine – una strada di accesso stretta e tortuosa che rende difficili i collegamenti con il fondovalle e “muore” in alta quota impedendo transiti abituali da una valle all’altra; una quota media delle frazioni elevata, sopra i 1500 metri di altitudine in alta valle; pendii irti e scoscesi con poca insolazione e ancor meno terreni “piani” idonei all’agricoltura; la mancanza di un nucleo abitativo principale e un’infinità di piccole e piccolissime frazioni (spesso costituite da un unico nucleo familiare) difficili da collegare e una conseguente mancanza dei servizi anche primari.

Una delle borgate dell’alta Val Maira nelle Alpi piemontesi. Foto: Consorzio Turistico Valle Maira.

L’addio dei residenti
Negli anni ‘50 del secolo scorso, in pochi anni, ha così subito una migrazione pressoché totale della popolazione residente verso la pianura torinese, che rappresentava allora possibilità di lavoro e di miglioramento della propria condizione.

Schema morfologico della valle Maira: le linee arancione rappresentano le creste, quelle violetto il fondo-valle e i punti in nero i centri abitati. Grafico di Luca Bergamasco. Clicca per ingrandire.

Per quattro decenni la Val Maira ha subito l’aggressione silenziosa della montagna, della neve, dell’abbandono. Poi, nei primi anni ‘90, qualcuno è tornato. Ha rimesso in piedi le vecchie case di famiglia, in pietra e legno, immaginando che quella condizione così lontana dalle necessità del turismo industriale alpino – fatto di simulacri della città, grandi comprensori sciistici e divertimenti “balneari” a base di discoteche e shopping center – forse poteva intrigare qualche visionario alla ricerca di pace e solitudine.

Il Vallone di Unerzio ad Acceglio in Val Maira è uno dei punti più suggestivi per amanti dello sci alpinismo e del trekking invernale con le ciaspole.

Il successo di una valle “impossibile”
Da quell’intuizione è nato un progetto che oggi si chiama Consorzio Turistico Valle Maira. Ma, a differenza di molte altre aree montane dove le esigenze del turismo industriale hanno portato allo stravolgimento delle caratteristiche e delle culture locali, la Val Maira è ancora quella che i suoi abitanti lasciarono negli anni ‘50: una strada “impossibile” che si inerpica tra stretti valloni rocciosi; nessuna infrastruttura “industriale”, ma solo piccole frazioni di pietra e legno che però oggi espongono alle finestre vasi di fiori colorati e insegne che raccontano una cura dell’ospite di altri tempi: locanda, osteria, bed&breakfast. Soprattutto, nessun impianto di risalita e nessuna pista da sci.

I versanti della Val Maira sono ancora oggi come li vedevano con timore i pastori dei secoli andati, carichi di neve fino alle creste che sfiorano i 3000 metri. Un autentico paradiso per gli appassionati di scialpinismo e ciaspolatori, che hanno fatto diventare questa sconosciuta valle piemontese un punto di riferimento internazionale per chi cerca una montagna ancora realmente autentica e non “addomesticata”.

I numeri della Val Maira
Il Consorzio, in continua crescita, attualmente associa una cinquantina di strutture turistiche principali – assimilabili alla categoria alberghiera Tre Stelle, con disponibilità da 5 a 20 camere, e sempre a conduzione “familiare” che permette di ottimizzare i costi – più una galassia di B&B, attività commerciali e artigianali. Tutte rigorosamente caratterizzate da un indissolubile legame con la tradizione valligiana. Molti hanno infatti riattivato le antiche case mantenendo con rigore la tipologia edilizia basata sulla pietra locale e sul legno di larice.

La valle accoglie circa 80mila turisti all’anno – 50mila dal 1 giugno al 30 settembre e 30mila nel periodo invernale da fine dicembre ad aprile – ma il dato straordinario, per i numeri del turismo attuale, è l’occupazione (totale) delle strutture esistenti, con un rapporto domanda/offerta di 3 a 1. Significa che una sola richiesta di alloggio su tre può essere accolta, e questo fa si che le prenotazioni, in Val Maira, spesso si fanno una stagione per l’altra. Nulla di più lontano dalla moda delle prenotazioni “last minute” che ormai caratterizzano la ricettività turistica industriale.

Uno scorcio invernale di Rocca Provenzale: la guglia domina la parte terminale della Val Maira e il borgo di Chiappera (Acceglio).

Contro lo sviluppo ad ogni costo
Tuttavia, gli operatori della Val Maira, da solidi e concreti montanari innamorati del loro territorio, non si fanno attrarre dalle chimere dello “sviluppo ad ogni costo”: «Cerchiamo di rimanere in equilibrio con la nostra montagna – racconta uno dei soci del Consorzio – e mantenendo le nostre strutture a conduzione familiare, senza farci attrarre dalla costruzione di nuovi edifici o dall’aumento delle possibilità ricettive delle nostre case, siamo certi di mantenere in corretto equilibrio il nostro lavoro con il nostro territorio. Chi vuol venire a trascorrere un periodo di vacanza nella magnifica natura della nostra valle deve pensarci per tempo. Siamo già pieni fino alla metà di aprile, e molte delle prenotazioni sono state fatte già la scorsa stagione da clienti che sono stati qui e si sono trovati bene».

L’80% dei turisti è straniero e viene da lontano
Un altro dato stupefacente è la tipologia della clientela che frequenta la Val Maira, costituita da italiani solo per il 20% e nei periodi canonici di agosto e vacanze di Natale. L’80% è invece costituito da stranieri e verrebbe facile pensare che, data la vicinanza, si tratti di francesi. Sbagliato.

«I francesi per noi sono una minoranza» conferma Fabrizio Fea, gestore del rifugio di Viviere, situato in una posizione idilliaca a 1770 metri di quota «e passano di qua, nelle loro escursioni di scialpinismo da rifugio a rifugio, solo verso fine stagione, da metà marzo in poi. Si fermano una notte e poi ripartono, non sono clienti particolarmente interessanti. Quelli che invece si fermano qui per weekend e settimane intere sono al 60% di lingua tedesca – svizzeri, austriaci e appassionati di montagna provenienti dalla Germania – 10% da Nordeuropa e Inghilterra, e un 30% di olandesi, soprattutto d’estate».

Sono dati che devono far pensare: arrivare fin qui dall’Inghilterra, dalla Norvegia o dalla Germania, è un vero e proprio “viaggio”. Perciò cosa spinge queste persone (parliamo di circa 65mila turisti/anno e non poche decine di “assatanati” di solitudine e natura selvaggia) ad affrontare migliaia di chilometri per raggiungere una sperduta vallata delle Alpi Piemontesi, priva delle offerte – in termini di strutture e servizi – considerate “indispensabili” dai crismi del turismo canonico?

Il richiamo della Natura
Credo il richiamo di una Natura ancora integra, e la possibilità di viverla a misura d’uomo, con le piccole accortezze dell’ospitalità tipica dei montanari ma senza la maggior parte dei bisogni, spesso inutili, che ci portiamo addosso nella quotidianità. Un esempio da seguire? Personalmente ne sono certo.

Ma mi interessa anche analizzare alcuni dati emersi dalle mie chiacchierate con gli imprenditori locali. Innanzitutto il dato relativo alla presenza di clientela olandese, che si focalizza nel rapporto con DUE (due, non duecento o duemila) Tour Operator di quel paese. In un’epoca in cui, secondo le “leggi” del turismo industriale sembra indispensabile andare a prendersi i clienti uno per uno, spesso rubandoli ai competitors, facendo operazioni capillari di promozione in ogni parte del mondo, stupisce che un prodotto turistico apparentemente di nicchia come la vacanza montana in una valle che offre la sua Natura e l’accoglienza sicuramente calorosa di rifugi e B&B, ma nessuno dei “must” apparentemente obbligatori per posizionarsi sul mercato mondiale del turismo, attiri 15/20mila persone da un paese molto lontano dal turismo alpino.

Bisogna, forse, ripensare a quello che le persone vorrebbero realmente per la propria vacanza? Probabilmente si, a guardare i dati della Val Maira. Che, con un pernottamento medio intorno ai 50/60 Euro e un pranzo tipico con prodotti locali a 30 Euro, e un’occupazione delle strutture di circa 200 giorni all’anno, produce un indotto economico stimabile tra i 7 e 9 milioni di Euro all’anno.

Il rifugio di Viviere, Valle Maira.

Guide in trasferta alla ricerca della montagna autentica
Ma c’è un ultima, piccola sottolineatura che mi piace evidenziare: «Sai da dove viene gran parte delle Guide Alpine che frequenta la Val Maira, soprattutto d’inverno?» confessa Fabrizio. «Da Chamonix e Courmayeur: loro, che hanno a portata di mano il Re delle Alpi, il Monte Bianco, spesso portano i loro clienti qui da noi, per fargli respirare le atmosfere della montagna autentica».

C’è n’è abbastanza per cominciare a ripensare a quello che potrebbe essere un turismo montano capace di eccitare la fantasia e le aspettative di molti che ormai cercano di fuggire dagli stereotipi ormai stantii del “progresso ad ogni costo”.

Michele Dalla Palma è uno degli esploratori italiani più noti, con più di 500 fotoreportage all’attivo, pubblicati su riviste nazionali e internazionali. Giornalista e scrittore, fotografo e conduttore TV, ha realizzato spedizioni in ogni continente. È direttore responsabile di Trekking&Outdoor, la più qualificata rivista sul tema del turismo responsabile. L’articolo completo è stato pubblicato dalla testata Trekking – Vivere Scoprire Viaggiare.

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Turismo bianco, futuro nero – 15 ultima modifica: 2020-10-07T05:28:09+02:00 da GognaBlog

4 pensieri su “Turismo bianco, futuro nero – 15”

  1. Negli anni 70 ho avuto la fortuna di incontrare una ragazza di origini “locali”. L’ho sposata ed ancora oggi d’estate e un po’ d’inverno andiamo su e giù per le suoi innumerevoli sentieri… Ho seguito costantemente l’evolversi di quanto raccontato nell’articolo. Mi preme ricordare che bisogna ringraziare soprattutto una signora tedesca capitata qui quasi per caso e poi anche numerosi giovani che hanno preso in mano le numerose attività. Buona vacanza a tutti!!! 

  2. Bravo Alessandro ad aver pubblicato questo splendido articolo su questa splendida valle !  Paradiso per scialpinisti , escursionisti , ciaspolatori ,amanti della natura incontaminata ed anche amanti di “piole” e locande . Inoltre va ricordato che in una piccola frazione oltre Chialvetta  nel 1879 nacque Matteo Olivero . Grande pittore del Divisionismo, che ha riprodotto paesaggi bellissimi di questa sua valle natia . Le sue nevi sono famose e considerate tra le più belle in assoluto . In valle ne sono giustamente orgogliosi e taluni  lo chiamano il Segantini piemontese .  Speriamo tutto resti così , senza cedere alle tentazioni…
     

  3. Conosco val Maira anche se solo indirettamente: è stata l’asempio,  nella valle del Lys in Val d’Aosta, per “I sentieri del Lys” di cui sono orgoglioso di essere stato tra i fondatori pur proveniendo dal Veneto. Una filosofia turistica lontana mille miglia dal consumo (di suolo, divertimentificio, merci, cultura, tradizione….) la cui “visionarietà” si sta dimostrando profetica ed intelligente. Chissà che anche qui in Veneto si riesca a riconsiderare i modi di fare turismo… Purtroppo i segnali sono rari e per nulla incentivati!

  4. Bellissimo articolo, che rende omaggio a una Valle occitana da me spesso citata come esempio di turismo alternativo e illuminato. Per pura casualità cronologica, ho assistito al doppio trend della valle. Dapprima, anni ’70 e primi ’80, ho visto la coda dello spopolamento dei residenti, sfiducuati per l’abbandono da parte delle istituzioni (niente nuova strada, niente infrastrutture, neppure uno skiliftino d’inverno ecc ecc ecc). Poi i primi “ritorni”, a volte anche di cittadini che hanno dato una svolta strutturale alla loro esistenza, per esempio riattivando le locande anche nei valloni laterali. All’inizio le locande erano quasi deserte perché non c’erano più tanti residenti e i turisti li contavi sulle dita. Poi la voce si è diffusa e  in particolare dal 2000 in poi si sono iniziate a vedere frotte di turisti nordici (tedeschi, olandesi, svedesi), cioè provenienti da quei Paesi che, oggi, chiamiamo “frugali”. Mai termine fu più azzeccato per la Val Maira e il suo modello turistico: l’opposto dei resort alla Briatore. Ora la Valle è stabilmente inserita nei cataloghi internazionali di un “certo” turismo che ama l’outdoor semplice e a contatto con la natura. L’orografia della Valle, un tempo “nemica” delle esigenze umane, oggi  paradossalmente le favorisce: dal solco principale si dipartono diversi valloni al cui termine si trova un paesino con tanto di locanda, “viva” e attiva. Ottimo per traversate, sia estive che invernali (sci e ciaspole), laddove la stagione “invernale” qui si può estendere anche fino a maggio inoltrato. Insomma l’esatto opposto dei mega comprensori sciistici: un vero esempio che conferma che si può lavorare con soddisfazione (anche economica) pur senza skilift. Pare che alcuni tassisti di Cuneo abbiano abbandonato l’attività in città per trasferirsi in valle e funzionare da transfer per i vari turisti impegnati nelle traversate da vallone a vallone: il modello genera anche un indotto. L’attività è talmente viva e in espansione che, per un vecchio scarpone come me, ogni tanto viene un pizzico di nostalgia per quando la valle era deserta. Ma il bello del modello slow è che i turisti di questo tipo si spalmano abbastanza intelligentemente sul territorio, perché sono più o meno alla ricerca di rarefazione antropica. Sono pochi gli itinerari veramente affollati. Ultima annotazione: non è infrequente risultare gli unici italiani in cammino e inglese e tedesco sono, oggi, lingue molto più diffuse del patois occitano originario. Speriamo che questo gioiellino non stuzzichi la bramosia di operatori senza scrupoli, che possano introdurre elementi di contaminazione, di cui l’eliski potrebbe essere solo l’inizio. Ciao a tutti!

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