Nel mondo quasi uno sciatore su due si reca sulle Alpi. Ma le presenze sono calate. Dal cambiamento climatico danni per centinaia di milioni all’anno. Così il clima minaccia un settore miliardario.
Alpi senza neve (e turisti)
Turismo bianco, futuro nero – 2 (2-17)
di Matteo Cavallito
(pubblicato su valori.it il 24 febbraio 2020)
Se le Alpi fossero una nazione sarebbero la seconda economia europea. Prospettiva un po’ forzata, d’accordo, ma nemmeno troppo a giudicare dai numeri e dal riconoscimento istituzionale. Montagne come filo conduttore, storia ed economia di una macro area identificata ufficialmente da Bruxelles. EUSALP (EU Strategy for the Alpine region), che in sintesi significa andare dal Piemonte alla Slovenia, passando per la Francia e i cantoni svizzeri, il Liechtenstein, l’Austria e la Baviera. Come dire, 48 regioni, quasi 80 milioni di individui e un Pil da 3 trilioni di euro.
È il cuore ricco, anzi ricchissimo, dell’Europa; ma è anche una meta per i turisti: oltre mezzo miliardo all’anno secondo le stime più recenti. Non di soli vacanzieri si vive nei pressi delle Alpi, ci mancherebbe. Ma i cambiamenti in atto nel settore, da queste parti, sono seguiti con particolare attenzione. E anche, inutile negarlo, con crescente preoccupazione.

Alpi sempre meno bianche
Lo spettro è sempre lo stesso: il clima che cambia, ovvero temperature in rialzo con tutto quel che ne segue. Le ricerche scientifiche si susseguono da anni e i dati dipingono un quadro complessivo fatto di montagne sempre meno bianche.
Dal 1960 al 2017, la stagione della neve nei centri abitati delle Alpi si è accorciata in media di 38 giorni, ha scritto Time.
Quattro anni fa, prosegue la rivista, le precipitazioni nevose nell’arco alpino francese sono state pari ad un quinto del normale. Impossibile, per ora, quantificare i danni potenziali per il settore turistico. Di certo, in ogni caso, non saranno trascurabili.

Olimpiadi invernali addio
Nel 2018, i ricercatori dell’Università di Innsbruck Robert Steiger e Bruno Abegg hanno preso in esame le 310 aree sciistiche nel settore orientale delle Alpi. Ipotizzando un incremento medio delle temperature (rispetto al periodo 1981-2010) pari a 1°C nel 2030 e a 2°C nel 2050, le aree in grado di garantire almeno cento giorni di neve all’anno si ridurrebbero del 9% nei prossimi dieci anni e di quasi un terzo nello spazio di trent’anni. E i problemi, ovviamente, non riguardano solo l’arco alpino.
Due anni fa, un pool di ricercatori ha analizzato le prospettive climatiche degli impianti sciistici che fino ad oggi hanno ospitato una o più edizioni delle Olimpiadi invernali. In uno scenario ottimistico soltanto 13 dei 21 impianti osservati sarebbero in grado di ripetere l’esperienza nel 2050 mentre gli altri 8 dovrebbero chiudere per mancanza di neve. Nello scenario peggiore, proseguono i ricercatori, gli impianti disponibili entro la metà del secolo si ridurrebbero a dieci per scendere a otto, ovvero poco più di un terzo del totale originale, nel 2080.
Gli sciatori in Svizzera? Meno 25% in 10 anni
Occhi puntati sul comparto sciistico dunque, che significa alberghi, impianti di risalita e attrezzature e servizi. Il mercato mondiale vale 70 miliardi di dollari e le Alpi, riferisce l’ultima analisi globale sul settore (il celebre Laurent Vanat – International Report on Snow & Mountain Tourism, pubblicato nell’aprile 2019) attirano da sole quasi la metà degli sciatori del Pianeta (il 44%). L’arco alpino, inoltre, ospita più di un terzo degli oltre 2.000 resort sciistici – soprattutto i più grandi – presenti nel mondo e quasi il 40% dei 26 mila impianti di risalita. Il fatto, però, è che nell’ultimo decennio il numero degli sciatori rilevato nell’area è calato un po’ ovunque.
Nello spazio di dieci anni l’affluenza sulle le piste svizzere, che nella stagione invernale 2008-09 avevano accolto quasi 30 milioni di visitatori, si è ridotta del 25%. Gli ultimi dati globali disponibili, relativi al 2017-18, segnano una ripresa generalizzata, ma i numeri, sulle Alpi, restano inferiori ai picchi rilevati sul finire del primo decennio del secolo.

Danni al turismo per €780 milioni
Una ricerca pubblicata nel 2016 dall’editore scientifico Elsevier ha stimato che il climate change potrebbe causare al turismo invernale europeo perdite fino a 780 milioni di euro all’anno (ma negli USA, stima un’altra analisi, si arriverebbe a 2 miliardi di dollari). I danni più ingenti – c’è chi dice 300 milioni – li pagherebbe l’Austria dove un lavoratore su 14 opera nel settore degli sport sulla neve. Ma sono molte le aree alpine particolarmente esposte: nel 2018, ricorda Bloomberg, i turisti accorsi nella regione francese dell’Alvernia-Rodano-Alpi hanno speso 21 miliardi di euro, contribuendo a un decimo del Pil locale e a 171 mila posti di lavoro. In Italia, secondo le stime di Ski Pass panorama, il turismo sciistico in senso stretto (skypass, noleggio attrezzature, lezioni etc) vale oggi 4,58 miliardi (+0,2% rispetto al 2018-19).

Montagna estiva? Non proprio un affare
Il paradosso è che il cambiamento climatico può rivelarsi per contro una mezza benedizione per il turismo fuori stagione. La calura insopportabile delle città nel periodo estivo renderebbe la montagna ancora più attraente. Un autunno mite anche in alta quota favorirebbe inoltre un prolungamento della stagione turistica. Gli esempi, nota ancora Bloomberg, non mancano. A Garmisch, storica mecca degli sport invernali in Germania, il 60% dell’afflusso turistico complessivo si registra in estate. In Svizzera le presenze estive negli alberghi superano ormai di un terzo quelle invernali.
La logica è evidente: le Alpi, in fondo, possono sopravvivere anche senza sciatori in bassa quota. Ma le cifre in gioco, purtroppo, sono un’altra cosa. L’economista Therese Lehmann, del Centro per lo Sviluppo Regionale dell’Università di Berna, nota ad esempio come le presenze estive, pur maggioritarie, contribuiscano in definitiva a meno di un quinto del fatturato complessivo dell’industria turistica elvetica. Ad Arosa, apprezzata località sciistica e non solo, osservava a luglio la Reuters, un pass giornaliero per gli impianti di risalita nella stagione invernale costa 79 franchi. Per l’accesso al lago e al parco acrobatico, in estate, se ne spendono diciotto.
21
Turismo invernale: se manca neve si pratica skiroll, ciclismo, nordic Walking e si cammina senza ciaspole, ginnastica presciistica in palestra, poi se e quando la neve arriverà, si sarà’pronti.Almeno per chi abita e lavora in montagna o nelle vicinanze.Ci sono localita’ di pianura nelle vicinanze del mare, che hanno la pista di fondo e discesa sintetiche..ben gestite e con corsi ed allenamenti. Poi tutto il di piu’ naturale e’ ben accetto.
Eh, di’, nel breve temo e tu abbia ragione. Confidiamo negli adulti di domani. Ciao
Carlo,
Trovo le tue proiezioni ragionevoli ma io sono pessimista. A inizio luglio sono andato per vedere come era la situazione funivie per il Plateau roisa’. Sono rimasto esterefatto. Mucchi di persone stipate in funivia. Io ho preso un ovetto, attendendo due ore perche’ la coda terminasse, rigorosamente da solo. E all’ultimo troncone dove c’e’ funivia ho abdicato, senza senso. Me ne sono scappato. Ero lontano non solo dalla sicurezza ma dal modo con cui desideravo stare in montagna. Poi sul breithorn ci sono andato, in modo diverso….
detto questo, nei pochi metri in cui sono stato in coda prima di acquistare biglietto per l’ovetto, devo dire a distanza rispettata, ho sentito una guida alpina, non credo di Cervinia, che si faceva bello del magnifico lockdown che aveva passato, sempre sui monti a fare salite e scialpinismo, con la sola paura di infortunarsi, cosa che gli avrebbe fatto perdere la faccia…..
credo che il covid abbia insegnato poco…
Per Paolo. Si vede che stamattina abbiamo scritto quasi in contemporanea perché non avevo letto il tuo commento. Concordo in pieno con te: adulti irrecuperabili o scarsamente recuperabili (forse qualcuno sì, dai, ma pochi), occorre educare gli adulti di domani, cioè i ragazzi di oggi. Non che sia facile, anzi. I giovani e i bambini sono figli degli attuali adulti e respirano il loro modo di ragionare. Inoltre tutta la società, attraverso la pubblicità, la tv, i social ecc converge ancora verso un modello consumistico ed edonistico. Ma nelle generazioni più giovani io vedo una maggior sensibilità al tema ambientalista. Anzi diffusi accenni a una maggior severità di intenti. Bisogna lavorarci sopra, naturalmente. Per questo gruppi di lavoro come quello di Paolo sono importantissimi e vanno elogiati e sostenuti. Nel privato, ogni piccolo sacrificio alle comodità serve come esempio e insegnamento. Ho già parlato in passato della folla sul Breithorn Occidentale. In giornate estive ci saranno almeno 100 persone al giorno. Di queste, ancora oggi l’85-90% prende gli impianti fino a Plateau Rosa’. È già un segnale positivo che vi siano alcuni che, pur con gli impianti funzionanti, prendono solo la prima tratta o addirittura la fanno tutto a piedi. Parlo naturalmente di persone in piena forma e senza problematiche ne’ in eta’ avanzata. Vent’anni fa tutti prendevano gli impianti fin su’. A botte di 15% ogni vent’anni, in 140 anni (se non ho sbagliato i calcoli a mente) arriveremo ad avere solo persone che lo fanno tutto a piedi. A quel punto, forse, il business degli impianti, almeno d’estate, non renderebbe più e li spegnerebbero. Meglio che niente, ma temo che le esigenze della montagna richiedano tempistiche molto più rapide. Per questo occorre “lavorare” a fondo sulla mentalità, ognuno con i suoi mezzi. Chi opera professinalmente (come Paolo e i suoi) può incidere di più, seppur con immensa fatica. Chi scrive articoli, può ribadire i concetti ad ogni occasione, ecc ecc ecc. Speriamo tutti insieme di rallentare la deriva distruttrice della società consumistica. Io un filino di speranza ce l’ho, incredibile dictu. Buona serata a tutti.
Carlo, del mio punto di vista che ne pensi? Troppo negativo?
Il succo dell’ntervento 5 (credo s che 4, ma non coinvolgo Daidola che sa esprimersi da solo) coincide con la conclusione del 6 e con il 7. Forgiare (anche se il termine a molti dara’fastidio) progressivamente l’opinione pubblica affinché cambi la domanda dei turisti (più percorsi per ciaspolatori intorno ad una stazione e meno impianti). Cosi’ si spera che cambi anche l’offerta che dovrebbe (secondo logica adeguarsi) alla “nuova” domanda. Se tutti o molti si alzeranno col buio come Enri, per apprezzare il silenzio, si riconsiderera’l’impostazione tecnologica delle stazioni. I tempi per cambiare l’opinione pubblica sono lunghi, mentre quelli richiesta dalla Natira, che è allo stremo, sono brevi, brevissimi. Questo è il principale problema. Che il lockdown ci faccia riflettere e modificare le nostre abitudini, ottima osservazione. Speriamo in bene. Ciao.
Io considero le generazioni adulte ormai non recuperabili, sul fronte della sensibilizzazione. Chi vuole fare affari continuerà a farli incurante. Gli altri hanno tutti problemi quotidiani sempre più contingenti e desideri diversi, per impegnarsi attivamente in un fronte di cambiamento. Quelli invece sensibili sono un numero non significativo.
Io e il mio gruppo lavoriamo sui bambini, gli adulti di domani. Ma vi confesso che è sempre più difficile. Le attività scolastiche e le indicazioni del Miur rendono quasi impossibile dare luogo ad una azione efficace.
Non demordiamo. Esempi positivi e virtuosi non mancano e prendiamo ispirazione anche da chi ha più mezzi ed è più bravo di noi (benché noi si lavori all’interno di due grandi istituzioni museali pubbliche).
Perché continuare con questi articoli? Per tenere a mente almeno che il problema c’è e peggiora. Che altro dovrebbe fare un blog?
Anche io a leggere questa serie di articoli ho detto: e quindi? Che utilita’ hanno. Allora, e’ giusto sensibilizzare ma dobbiamo sempre valutare i risultati. Mi sembra che l’avanzata imperante degli impianti e, in generale, della solita civilta’ del consumo stia dominando da anni e chi, come noi, prova a fare qualcosa, vede ben pochi risultati. Quindi la domanda e’: come sensibilizzare chi ha il potere di prendere ( o non prendere ) certe decisioni? E’ questo il punto. Fino a che leggiamo gli articoli siamo tutti d’accordo ma poi come si fa? Oggi primo giorno di ferie in valtournanche, di ritorno da una salita iniziata al buio ( se no dove lo trovo il silenzio) ammiro il nuovo megagalattico hotel in procinto di nascere, sopra Cervinia, sara’ a 2150 mt. Anni fa dicevo, beh lo scempio si e’ fermato a quota 2000, da li in su basta non guardarsi indietro. E invece no. Questi costruiscono ovunque! Hotel, impianti, funivia da plateau a piccolo cervino, cannoni ovunque. Cosa si puo’ fare? Ma di concreto. E nella lista delle cose da fare metterei anche un bell’esame di coscienza generale, perche’ durante il lockdown ho letto ( non solo qui) fiumi di buone intenzioni ma a me sembra sia cambiato poco anche sui sentieri ed in montagna…. mi sbaglio?
la “comunita’ degli alpinisti” non doveva prendere posizione forte, a maggior ragione dopo il lockdown, per una montagna piu’ originale ed incontaminata? Forse, me compreso, avevamo tutti fretta di recuperare quanto perso nel lockdown, senza accorgerci che avremmo potuto fare molto di piu’ e grazie ad un evento dirompente come il covid. Mi sbaglio? non basta scrivere un articolo per sensibilizzare, bisogna fare scelte radicali, come non basta dire che una via sembra fattibile se poi non riesci a farla.
buone vacanze e scalate a tutti.
Mi spiego: sono estremamente d’accordo con le parole di Daidola, Crovella e degli articoli, ma mi sembra che il farne una serie che ribadisce più o meno lo stesso concetto, viene meno al dono della sintesi e fa si che la giusta teoria si perda nel vento di troppe parole.Sensibilizzare l’opinione pubblica e i politici è, secondo me, da farsi con poche parole ben dette e non con troppi discorsi che hanno il solo effetto di rendersi noiose da leggersi.Io la penso come voi ma quella di voler convincere gli operatori dello sci a ritornare alle piste con le gobbe e con la neve solo naturale è una battaglia persa. Sarebbe come convincere la Fiat a ri-costruire la Balilla perché viaggiarci era più emozionante che farlo sulla 500 di oggi.
Lo sci come oggi è concepito non potrebbe fare a meno dell’innevamento artificiale anche quando le precipitazioni naturali fossero abbondanti.Quindi l’operazione da fare sarebbe quella di persuadere gli sciatori a prendere le pelli o a fare altro.
Daidola mi ha tolto le parole di bocca. “Repetita juventus”, proprio così dicevano ad Alto Gradimento, se la memoria non mi inganna. Battere e ribattere, per diffondere una nuova-vecchia forma mentis a difesa dall’ambiente naturale. Mi trovo in Val Susa, regno della Via Lattea, gran carrozzone invernale. Pensare che le stazioni originarie, poi assemblate, erano nate con la giusta mentalità e lo sono rimaste fino a tutti gli anni 70- inizio 80. Relativamente pochi impianti, per lo più skilift, poche piste (gobbute e non tirate come biliardi), tanto fuoripista, allora paradisiaco anche grazie alle abbondanti e frequenti precipitazioni. Ho avuto la fortuna di godere ancora di quel paradiso. Ricordo un articolo proprio di Giorgio pubblicato su uno dei primi numeri di RdM e relativo ai percorsi di fuoripista dell’alta Val Susa sfuttabili con gli impianti di allora. Oggi molti di quei fuoripista sono stati trasformati in piste oppure sono inutilizzabili per vari motivi (fra cui la bassa quota, almeno nella parte finale, il che li rende non più sciabili). L’epoca d’oro è terminata quando è subentrata senza più ostacoli la mentalità dei business men: gli impianti devono rendere al massimo sul piano del profitto, se ne sono costruiti a bizzeffe, collegando le singole stazioni, gli skilift sono stati sostituiti da seggiovie a 4-6 posti, insomma un gran carrozzone. Morale: nuove infinite piste che, tutte uguali (tirate come biliardi), hanno distrutto il paradiso del fuoripista. Prezzi alle stelle: mi pare che lo skipass giornaliero oggi costi 46 euro. Una famiglia di 4 spende quasi 200 euro, pochi possono permetterselo. Neve in gran parte sparata, per garantire innevamento omogeneo. Ma diventa omogeneo anche nella qualità. Le piste, che sono già tutte uguali perché spianate, hanno tutte la stessa neve, “sintetica”. Risultato? Pochi sciatori nostrani (almeno in termini relativi rispetto alle esigenze del business impostato), tra l’altro in diminuzione ogni anno. Ecco allora la necessità di vagonate di inglesi, già da una ventina d’anni almeno, e più di recente di russi, ceki, polacchi e perfino cinesi. Tutti che sottoscrivono servizi full option: li vestono, li sfamano, li trastullano sulle piste, ecc. Per sostenere il modello aziendale è necessario importare consumatori globalizzati, asettici e uniformi, “standardizzati”, perché quelli autoctoni non sono sufficienti. Il fenomeno è uguale in tutte le Alpi. Nell’Appennino gioca anche l’ulteriore fattore negativo della minor altezza: scarse precipitazioni naturali e difficoltà anche a sparare neve per l’elevata temperatura. È un business che di per sé non sta in piedi, è una esplicita forzatura, spesso si impostano nuovi investimenti con un’ottica “truffaldina”, cioè solo per accaparrarsi i fondi pubblici e/o europei, il magna magna la fa da padrone. Questo vale ovunque, ma in Appennino purtroppo raggiunge l’apice per la minor quota rispetto alle Alpi. Ergo: battere, battere, battere per far cambiare la mentalità dell’opinione pubblica (ottima quindi questa serie di articoli). Se cambiano i gusti e le richieste, anche l’offerta dovrà rimodulasi. La speranza in futuro è di veder meno nuovi impianti (optimum: zero nuovi impianti) e più tracciati per ciaspolatori, scialpinisti, fondisti…
“chiara produzione appenninica”??
Cos’è, dietrologia spinta?
Lo scopo, caro prof. dell’intervento 2, è quello di sensibilizzare operatori, esperti, politici, finanziatori e sopratutto sciatori che ancora credono nello sci sintetico, a riflettere sui cambiamenti in atto, attraverso dati che non sono affatto tutti uguali. E a cambiare di conseguenza, ammesso che si sia ancora in tempo, un modello di turismo invernale ancora dominante ma senza futuro. Forse servirà a poco, se è questo che lei voleva dire, perché l’umanità intera sembra seriamente impegnata a scavarsi la tomba.
Qual’è lo scopo di questa sequela di articoli tutti uguali che oltretutto dicono molto poco e si vede che sono di chiara produzione appenninica?
A me lo sci di discesa piace.
Cosi’ come altrettanto mi piacciono molte altre attività in montagna più sostenibili.
Ora pero’ ci vado pochissimo. Motivi?
– Mi piace sciare con la neve naturale, mi fa ribrezzo sciare sui nastri bianchi in mezzo ai prati marroni
– E’ diventato troppo caro per me. Soprattutto quando ci si deve muovere con una famiglia.