Ci sono alcuni luoghi comuni che, se non sfatati, fanno comodo agli appetiti insaziabili di un industria in cerca di nuove opportunità di guadagno facile.
Tutti i falsi miti sulle foreste italiane
(Dall’invasione dei boschi ai tagli “utili”)
di Aldo Loris Cucchiarini e Alessandro Bottacci
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 22 dicembre 2020)
Alcuni luoghi comuni “di tendenza” relativi alla situazione forestale italiana
Mito n°1: in Italia i boschi cominciano a diventare persino invadenti, siamo tra le nazioni più ricche d’Europa in quanto a foreste, come la Finlandia o i paesi balcanici; si parla addirittura di “perdita di paesaggio” in un Paese dove l’uomo, presente da tantissimo tempo, non ha una vera vocazione forestale e quindi l’avanzata dei boschi va regimata o arrestata per non modificare il paesaggio storico.
Mito n°2: i boschi, specialmente quelli impiantati dall’uomo, sono equiparabili a manufatti e quindi vanno tenuti puliti e in ordine, altrimenti si degradano. Di conseguenza, la “gestione attiva” (inspiegabilmente considerata sinonimo di “gestione forestale sostenibile”) sarebbe lo strumento più idoneo a mantenere in efficienza i soprassuoli forestali e a massimizzare la fornitura dei servizi ecosistemici.
Mito n°3: dai nostri boschi si può produrre energia rinnovabile attraverso un incremento dei tagli, per ottenere biomasse e l’avvio di circoli virtuosi di liberazione (attraverso le combustioni) e recupero del carbonio (attraverso la successiva ricrescita degli alberi).
La prima tesi è del tutto infondata. La media europea di copertura forestale è del 44%, in Italia raggiungiamo il 33%. Storicamente, nel nostro Paese la selvicoltura è stata applicata per lo più alle foreste alpine, molto meno a quelle prealpine e quasi per nulla sull’Appennino; unica eccezione le Foreste demaniali dello Stato dove, soprattutto nel dopoguerra, sono state ricostituite le aree deforestate nei due secoli precedenti. Parliamo comunque di superfici che, per quanto vaste, rappresentano una piccola estensione se paragonate alla superficie forestale complessiva, in maggioranza di proprietà privata, ma anche comunale e regionale. L’ipotesi dello “straordinario” aumento della superficie forestale perde di validità se non indichiamo il periodo di riferimento: una cosa è confrontare la copertura forestale attuale con quella degli anni ’50 (con l’indice forestale italiano ai minimi storici), un’altra è confrontarla con la superficie forestale potenziale che avremmo in assenza dell’azione antropica.
La qualità dei nostri boschi rimane scarsa e il loro volume medio è molto lontano da quello degli Stati europei più tipicamente “forestali”. Circa il 75% della superficie forestale italiana è governata a ceduo, una pratica anacronistica e con un grande impatto negativo, che prevede il taglio raso di vaste superfici di bosco a intervalli di tempo molto ravvicinati (14/20 anni); oltre a esporre interi versanti a intensa erosione, fa sì che gran parte dei nostri boschi abbia una struttura densa, intricata, difficilmente percorribile, ricavando quasi esclusivamente materiale di basso valore (legna da ardere e biomassa da energia), molto lontano dal legno da opera che invece rappresenta una voce importante delle nostre importazioni. Si tratta di un settore con ampie aree di illegalità che, insieme a notevoli finanziamenti pubblici, svolgono un ruolo fondamentale per la sopravvivenza del settore stesso: caporalato, lavoro nero con mano d’opera proveniente in prevalenza dall’Europa orientale e dal Nord Africa, scarso rispetto delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, evasione fiscale massiva. Tutti aspetti non degni di un Paese europeo.
La seconda tesi è vera solo in parte. Studi scientifici hanno dimostrato che le foreste, anche quelle impiantate dall’uomo, seguono processi naturali che vanno verso l’aumento della complessità e della stabilità. La “manutenzione” diviene necessaria solo in presenza di infrastrutture – come strade, ponti e simili – dove gli alberi cadendo possono, indirettamente o direttamente, provocare danni. Le foreste hanno un percorso di evoluzione autonoma di circa 300 milioni di anni, mentre il loro incontro con l’azione dell’uomo risale a poche migliaia di anni fa: non hanno alcun bisogno di noi, esistono da prima che esistesse l’uomo e all’uomo sopravvivranno.
Questo non significa che non si debba usare il legno, ma è indispensabile partire dal presupposto che ogni nostro intervento crea, in qualche misura, un disturbo al bosco; con umiltà intellettuale dovremmo operare imitando e seguendo la Natura, non contrastandola o addomesticandola. Se vogliamo raggiungere una vera e moderna economia forestale dobbiamo puntare a due cose: lasciare che le foreste divengano più evolute e stabili, e intervenire con i prelievi avendo cura di creare il minor disturbo possibile al sistema biologico.
Infine, i “circoli virtuosi” legati alla produzione di energia verde rinnovabile manifestano gli appetiti insaziabili di un’industria in cerca di nuove opportunità di guadagno facile. Bruciare la legna di un bosco provoca il rilascio immediato di CO2, il processo inverso (assorbimento dell’anidride carbonica emessa, tramite la fotosintesi) richiede tempi decisamente molto più lunghi. Intensificare i tagli per produrre energia, oltretutto in modo scarsamente efficiente, serve solo a trasformare i boschi da serbatoi di anidride carbonica in sorgenti di questo pericoloso gas serra. Il taglio del ceduo, inoltre, influenza negativamente anche molti altri servizi ecosistemici. Ad esempio incrementa l’erosione di una risorsa preziosa come il suolo, dove si trovano immagazzinate grandi quantità di carbonio organico e dove si svolgono i processi di base che mantengono vitali gli ecosistemi forestali.
Oggi abbiamo la straordinaria occasione di creare “foreste evolute”. Nessun periodo storico, negli ultimi secoli, è mai stato così favorevole. Per alcuni decenni lo scarso interesse per la legna da ardere ha permesso a molti boschi di crescere ed evolvere verso strutture più stabili, più efficienti e più capaci di fornire materiali legnosi di qualità e servizi ecosistemici indispensabili per la sopravvivenza dell’uomo. Tornare indietro, utilizzando di nuovo queste superfici col taglio del ceduo, sarebbe uno spreco economico e ambientale.
Far crescere i boschi esistenti e piantarne di nuovi è il modo più sicuro, veloce ed efficace per ripulire la nostra atmosfera e combattere il cambiamento climatico globale. Abbiamo deforestato per millenni, è arrivato il momento di invertire il processo: tutelare le aree forestali in crescita, piantare miliardi di alberi su milioni di ettari, estendere le buone pratiche forestali ad alto livello conservativo, rispettose del bosco e in grado di fornire il legname che ci serve senza produrre danni. La foresta significa suolo, acqua e aria pulita, conservazione della biodiversità, miglioramento del clima, benessere per la società, produzione legnosa responsabile. È questo l’obiettivo che dovremmo porci tutti a favore della generazione presente e di quelle future.
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IL MITO PRIMIGENIO E I CONTRO-MITI
Concordo in pieno con l’articolo e con tutti i commenti precedenti, ci aggiungo solo alcune puntualizzazioni. Quella fondamentale è che bisognerebbe aggiungerci il:
Mito n°0
Il bosco è terreno improduttivo, renderlo produttivo significa progresso e miglioramento del mondo.
Questo mito N°0, il mito primigenio, è alla base degli altri miti-truffe ed è molto, molto antico: non è vero che: “Le foreste … il loro incontro con l’azione dell’uomo risale a poche migliaia di anni fa”. L’agricoltura è di oltre diecimila anni fa e già prima i pastori deforestavano con il fuoco per ampliare i pascoli e prima ancora lo facevano i cacciatori di erbivori. Le grandi praterie nordamericane e quelle asiatiche sono antiche, ma non così naturali come noi crediamo.
Se gli speculatori edilizi, gli agricoltori, i pastori e i cacciatori (i raccoglitori no) hanno potuto distruggere tanti boschi è perchè l’umanità si è costruita un alibi etico con il mito primigenio N°0.
La stessa umanità però ha avvertito il problema e ha sentito di dover reagire con dei contro-miti: il bosco sacro intoccabile, la riserva privata di caccia, il parco naturale, le politiche green.
Oggi siamo in pericolo grave e così questi contro-miti trovano crescente sostegno, ma come sempre ci sono gli imbroglioni che li usano per travestire come green iniziative che in realtà seguono il mito primigenio.
Ad esempio c’è chi spaccia per green lo scempio dei boschi per aprirci piste sciistiche:
https://gognablog.sherpa-gate.com/cortina-2021-la-gara-per-distruggere-lambiente/
Ad esempio, come ho già commentato su:
https://gognablog.sherpa-gate.com/trilogia-per-le-energie-pulite/#comments
la provincia trentina afferma che riscaldare bruciando legna non inquinerebbe perchè l’anidride carbonica che si produce sarebbe compensata da quella assorbita durante la crescita degli alberi, tacendo che se il legno venisse usato per costruzioni non si inquinerebbe.
Ad esempio, a quella bugia trentina si accodano le truffe di società (tipo ENI) che acquistano quote green con delle forestazioni che produrranno combustibile o altri che “forestano” con piantagioni (ad esempio di palme da olio, di alberi da caucciù…) distruggendo foreste primarie o perlomeno più naturali.
Geri
Era ora di essere chiari come hanno fatto gli autori di questo bellissimo articolo! Conoscenza e scienza, e non sentito dire…E per quanto riguarda le piantumazioni affidiamoci a chi conosce ed ama il bosco e non a chi desidera solo il profitto derivante dalla distruzione del bosco. Basta abete rosso nelle Alpi e Prealpi, basta pino nero nelle valli prealpine.
Forse non c’entra direttamente, ma scrivo un pensiero che mi ha ispirato questo interessante articolo. Gia’ qualche anno fa, ho letto sul sito ISTAT che un certa percentuale (non ricordo con precisione, ma era significativa, tipo almeno 30%) dei ragazzi (m/f) italiani fino ai 10 anni (tutte le scuole elementari) non erano MAI stati in un bosco, anche per una semplice passeggiata con i genitori. Ovviamente la responsabilità non è dei bambini da zero a 10 anni, ma dei loro genitori, i quali preferiscono trascorrere la domenica nei centri commerciali o a far struscio in centro o a guardare Pippo Baudo in TV. Con una ignoranza epidermica di tale riscontro fin dalla più tenera età, come possiamo aspettarci che ci sia una diffusa educazione ambientalista? Anche solo la sensibilita’ verso i boschi?
Concordo con il commento di Albert, da sedici anni abito sulle colline sopra il Lago Maggiore e quando sono arrivato intorno a casa mia era tutto un bosco di faggi e castagni, soprattutto di magnifici faggi, spesso centenari. Verso il 2010 hanno cominciato tagliare e i tagli sono aumentati enormemente dopo la legge forestale del 3 aprile 2018. Si sono moltiplicate le aziende dedite al taglio con macchinari enormi e modernissimi. Quasi sempre si tagliano gli alberi più belli e grandi, si portano via i tronchi lasciando in loco la ramaglia. Dopo un anno il bosco di faggio, che è di per sé autopulente, si riempie di rovi, arbusti, buddleie e diventa impossibile camminarvi.
Anno 2020, un mese prima della prima diffusione del Covid e conseguente clausura spinta.
In famiglia decidemmo gita sci fondistica escursionistica in localita’ dolomitica del cuore. Appena arrivati, di buon mattino ore 8 in mitica valle ..altro che aria fresca : decine e decine di camini di case con prime colonne stentate di fumo e pure mono maxi camino di mega centrale di teleriscaldamento a sfridi e cascami di legna cui non tutti aderirono.Un tanfo di affumicato aderi’ ai vestiti e penetro’nelle narici ed al piu’presto ce la svignammo, rinunciando a shopping e portandoci in altra valle, di quelle semi abbandonate.
Chiesi a dei conoscenti montanari se l’industria del legname locale producesse sfridi a sufficienza per la centrale.. risposta: .. NO un bel viavai rallentante la circolazione., ne occorrevano anche camion che ne importavano da altre zone.In aggiunta, pur essendo la zona dotata di ottime sorgenti, arrivavanoTIR di acque minerali ( molto pubblicizzate negli spot)imbottigliate da lontane fonti.
Dulcis infundo..alcuni ristrutturando casa , si fornivano di legname grezzo e lavorato..in Austria ed est Eu dal minor costo rispetto alle segherie e carpenterie locali…appositi studi di progettazione mandavano via mail il files con i disegni tecnici e le misure.
Anche in bassa pianura e’ esplosa la moda del pellelt e delle stufe-caminetto, ma non tutti bruciano legna adatta. Risultato: chi riscalda col metano ( e tassazione relativa)ed ha coibentato il suo edificio, non puo’ aprire le finestre. Si bruciano ritagli di mobilificio e ramaglie di vecchi impianti di vigneto estirpati per far posto al vitigno di moda…o legnami di essenze umide e ammuffite.Fino ad oggi il Comune non ha emanato regolamentazione.Tanto poi di sera e mattina presto chi vuoi che controlli i fumi…a volte una sfumatura nerastra fa sospettare che si elimini assieme al legname pure plastica o rifiuto indifferenziato che smaltito in apposito bidone viene registrato con codice a barre nominativo e messo in bolletta a 3 euro per operazione di conferimento.
Mi sembra di essere stato l’unico a comprare “Norwegian wood”di Lars Mytting.
Quanto agli effetti di uragano Vaia, almeno un ripensamento..quegli abeti rossi schiantati a milioni che tanto ci hanno commosso..sono coltivazione, mentre faggi e larici sono stati progressivamente messi in disparte , in zone dove un tempo crescevano spontaneamente..non rendono.Almeno ora si discute di rivalutarli e di mescolarli ad altre specie “industriali”nelle campagne di reimpianto.Ma noi vecchietti non ci saremo.Ci tocca vedere le enormi cataste di tronchi venduti sottocosto e le ceppaie che marciscono quando non fatte esploldere con candelotti di dinamite ..bella musica rilassante.