Zelens’kyj usa Telegram ma anche milioni di russi: il numero degli iscritti in Russia è cresciuto del 48% dall’inizio del conflitto. I lati oscuri, dalla mancata cifratura dei messaggi alla tollerante verso i reati, compresi quelli più odiosi come il revenge porn.
Ucraina, perché la guerra passa da Telegram
(e perché l’app non è sicura quanto si crede)
di Paolo Ottolina
(pubblicato su corriere.it il 22 aprile 2022)
Telegram è buono o cattivo? E il suo fondatore Pavel Durov è un alfiere delle libertà o un araldo del caos? Se chiedi a un ucraino qual è il primo posto dove cerca aggiornamenti sulla guerra, ti risponderà inesorabilmente: Telegram. E se domandi ai reporter sul fronte o agli esperti di questioni militari qual è l’unica app di cui non potrebbero fare a meno in queste settimane si finisce sempre lì: Telegram. La usa Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj, ma la usano anche milioni di russi. Dentro una tragedia che ha solo vittime e sconfitti, una vittoria certa è quella dell’app che ha per simbolo un aeroplanino di carta.
Mark Zuckerberg russo
Telegram non è uscito dal nulla. Arriva sugli smartphone nel 2013, da un’idea del programmatore russo Pavel Durov con il supporto del fratello Nikolaj. Durov in quel momento ha 29 anni e vede all’orizzonte la fine di una battaglia inevitabilmente perdente, quasi donchisciottesca, con Putin.
Pavel è nato a San Pietroburgo (allora Leningrado), ma è cresciuto a Torino («Mio padre insegnava lì Filologia. Ho dei bei ricordi dell’Italia, Torino è bellissima» dirà in una delle poche interviste). Tornato in patria nel 2006 diventa il Mark Zuckerberg russo: fonda VKontakte, un social network che in breve tempo decolla e conquista i compatrioti. Nel 2007 supera il milione di utenti, nel 2009 è il sito più visitato in Russia e per semplicità diventa VK. Ma non siamo in Silicon Valley e un business di successo, soprattutto se c’entra con la diffusione di informazioni, non può non attirare l’attenzione del Cremlino. Nel 2012 iniziano le tensioni con il governo.
Scalata ostile e oligarchica
Durov è un libertario di tendenze anarchiche, non ha alcuna intenzione di piegarsi. Dice no a Putin quando gli viene chiesto di rimuovere da VK le pagine di Navalny e di Euromaidan e di fornire informazioni private sugli oppositori. Nel 2014 la sua azienda è vittima di una scalata ostile guidata dall’oligarca Alisher Usmanov, grande alleato di Putin. VK finisce nelle mani di Sogaz, la compagnia di assicurazioni costola di Gazprom, e Durov viene cacciato dall’azienda che ha fondato. Nel frattempo si è messo in tasca 400 milioni di dollari e può dedicarsi, con un team di una dozzina di fedelissimi, alla sua nuova creatura: Telegram. Sposta la sede a Berlino, si compra la cittadinanza di Saint Kitts and Nevis (letteralmente: dona 250mila dollari alla locale “Fondazione per la diversificazione dell’industria dello zucchero”, che sembra uscita da una carta Imprevisti di Monopoly), infine approda negli Emirati Arabi.
Come funziona
Telegram è nato come sistema di messaggistica alternativo a WhatsApp ma nel tempo è diventato qualcosa di molto diverso. «Oggi ha 550 milioni di utenti attivi ogni mese, da numeri diffusi dalla stessa società», dice Vincenzo Cosenza, esperto di social media e marketing. «In Italia secondo le mie elaborazioni su dati Audiweb Nielsen (le trovate sul sito Vincos.it, ndr ) sono arrivati a 17 milioni di utilizzatori. È cresciuto tantissimo in questi ultimi anni». Uno dei segreti è la sua versatilità. Telegram oggi è molto più complesso e stratificato di WhatsApp. È a tutti gli effetti un social network o meglio è un ibrido tra un social e un instant messanger. Immaginate di buttare in una centrifuga WhatsApp, Facebook e Twitter (anche un pizzico di YouTube) e di mescolare il tutto.
Le potenzialità
Iscriversi a Telegram è facile, bastano un nome e un numero di cellulare. Quando ci si registra si può anche inserire con un nickname, come su Twitter preceduto dalla @. Se lo facciamo, il nickname diventa pubblico e può essere cercato anche da chi non ha il nostro contatto in rubrica (una grossa differenza con WhatsApp). Su Telegram è possibile fare un sacco di cose. Si può chattare con un altro utente, volendo con funzioni che fanno molto 007 come i messaggi che si autodistruggono. Oppure creare gruppi come quelli di WhatsApp, con la differenza che nell’app di Zuckerberg ci si ferma a un massimo di 256 iscritti, mentre sulla piattaforma di Durov si arriva a ben 200 mila. Negli anni Telegram ha aggiunto decine di funzioni, dalle chiamate vocali alle videocall, dai messaggi vocali a quelli video, dalle foto agli sticker fino alla condivisone di documenti. Poi ci sono i canali, che ne fanno un vero e proprio strumento per il broadcasting. Un singolo o un’organizzazione può impugnare un potente megafono digitale, senza limiti di iscritti. Con una delle ultime aggiunte, le dirette video, Telegram è diventato a tutti gli effetti un’alternativa anche alla tv. Per trovare un canale o un gruppo pubblico basta digitare le parole chiave nella barra di ricerca. Come su Google, facilissimo. Telegram piace per le sue funzioni, ma perché è diventato un’arma imprescindibile nello scenario attuale di “infowar” che accompagna il conflitto sul campo? Telegram è da tempo un fedele compagno di strada per Zelens’kyj.
Zelens’kyj e i suoi fratelli
Già nel 2019 i consiglieri dell’allora candidato alla presidenza usarono con intelligenza l’app durante la campagna elettorale. Nel 2020, il canale @COVID19_Ukraine diventò un servizio ufficiale. Da quella base è nato Ukraine Now, che ha circa 1,2 milioni di iscritti più 150 mila per la versione tutta in inglese (e ora ci sono doppioni in molte altre lingue, italiano incluso). Lo affiancano gli altri canali ufficiali del governo: oltre a Zelens’kyj, anche il sindaco di Kiev ed ex campione di pugilato Vitali Klitschko e il ministro al Digitale e vicepremier Mykhailo Fedorov hanno tutti grandi canali Telegram con centinaia di migliaia di membri. Il canale di Zelens’kyj aveva 65.000 abbonati il 23 febbraio. Ora ne ha più di 1,4 milioni. Ma anche la maggior parte delle città e persino dei villaggi, così come i loro amministratori locali, hanno i loro canali. Con l’aiuto dei cittadini, vengono condivisi avvisi sui raid aerei, mappe di rifugi, consigli di sicurezza, suggerimenti per scovare i presunti sabotatori russi.
Il Financial Times ha raccontato come Telegram sia stato uno strumento centrale nella difesa di Kiev dai russi (insieme a idee brillanti come sfruttare tappetini di gomma da 2 euro), attraverso l’utilizzo di canali ufficiali alimentati dai cittadini .
Sul fronte russo
Anche in Russia Telegram è nel cuore del conflitto. Il servizio è sempre stato molto popolare nel Paese anche se ha rischiato più volte di essere sospeso. Il nuovo, violento, giro di vite di Mosca che si è abbattuto sui media ha regalato a Telegram milioni di nuovi utenti affamati di notizie (+48% di iscritti in Russia dopo il 24 febbraio). L’app è utilizzata da molti gruppi di opposizione ma anche, e assai bene, dal Cremlino. Gli account filo-russi fanno ciò che sanno fare meglio: inondare la piattaforma con bot (software automatizzati, un altro dei segreti del successo di Telegram) che diffondono disinformazione. Poche settimane dopo l’invasione, è intervenuto lo stesso Pavel Durov, ipotizzando di rendere più restrittiva la policy di condivisione in Ucraina e in Russia. Poi ha fatto retromarcia, dopo aver compreso che la sua app era diventata una chiave della comunicazione sul conflitto.
Il paradosso della sicurezza
Prima della guerra, la creatura di Durov si è costruita una solida fama di spazio anarchico e libertario. Negli anni, violente controversie l’hanno chiamato in causa per aver dato spazio ai jihadisti e all’Isis, a gruppi neonazisti e ai Proud Boys dell’assalto al Capitol Hill, fino ai peggiori complottari estremisti; ma anche a gruppi che diffondono opere protette da copyright come libri e giornali. Il paradosso è che i contenuti su Telegram non sono affatto sicuri. «Tra le varie piattaforme più diffuse è quella, di base, meno sicura» ci spiega Stefano Zanero, esperto di cybersicurezza e docente al Politecnico di Milano. «Le altre, almeno quelle più importanti, da WhatsApp a Signal, utilizzano tutte la crittografia “end-to-end”. Su Telegram non la usano le normali chat e i canali, ma solo le chat segrete». End-to-end significa che solo le persone che stanno comunicando possono leggere i messaggi, mentre non può farlo alcuna terza parte, compresa la piattaforma su cui i messaggi transitano né gli Internet Service Provider o gli operatori di telecomunicazione. «È comprensibile dire “non voglio dare i miei dati a WhatsApp, cioè a Facebook, perché li vendono”. Ma d’altronde con la crittografia end-to-end non ho bisogno di fidarmi di Zuckerberg. Nel caso di Telegram invece devo proprio fidarmi, perché i dati archiviati sui loro server non sono cifrati. E va aggiunto che i server di Telegram sono in un Paese come gli Emirati Arabi Uniti, dove non c’è la cosiddetta “rule of law”, ma vige la volontà del sovrano, è una monarchia assoluta», dice ancora Zanero.
Dal grigio al nero
Allora perché Telegram resta circondato da un’aura di inviolabilità, di estrema sicurezza? «Perché ha un atteggiamento di estrema complicità e di resilienza verso tutta una serie di reati. Paradossalmente è molto più trasparente la posizione di Facebook sull’utilizzo dei dati» dice Matteo Flora, docente, esperto di digitale e fondatore di The Fool. «Facebook, complice anche uno scrutinio da parte del legislatore molto più ampio, ha dovuto esplicitare gli utilizzi di quei dati. Cosa che Telegram non ha mai fatto. Per questo è diventato la scelta di quel mondo che va dal “grigio chiaro” al “grigio” fino al “nero”». Ad esempio, aggiunge Flora: «Telegram è sordo alle richieste di rimozione sul revenge porn. Su piattaforme come quelle di Meta non serve neppure un ordine del giudice: basta la richiesta della vittima per ottenere la cancellazione di contenuti in tempi abbastanza rapidi. Su Telegram non c’è verso. Nella pratica, intervengono solo per reati che abbiano un regime sanzionatorio pesante nei Paesi di origine, quindi negli Emirati. Altrimenti se ne fregano. Agiscono sulle frodi, dove il governo americano può contestare il favoreggiamento. E per la pedopornografia, ma nemmeno tutta».In Italia intervennero sui gruppi No Vax «ma solo quando ci furono minacce di morte» spiega ancora. «E non hanno chiuso i gruppi, hanno disattivato e cancellato solo alcuni contenuti. Tanto che il famigerato “Basta dittatura” è ancora online». Nell’ultimo report State of Revenge di PermessoNegato, associazione di cui Flora è co-fondatore che combatte il revenge porn, vengono censiti 190 gruppi e canali Telegram italiani attivi nella condivisione di “pornografia non consensuale”, con ben 8.934.900 utenti (non unici) registrati, 380.000 dei quali nel canale più grande. Il tutto con un trend di crescita particolarmente preoccupante.
Uno dei tanti aneddoti su Durov risale al maggio 2012. Dalla finestra del suo ufficio a San Pietroburgo, cominciò a lanciare aeroplanini di carta, ma fatti con banconote da 5.000 rubli, all’epoca circa 200 euro. In strada si scatenò un putiferio. Durov dovette interrompere la smargiassata ma quell’aeroplanino di carta gli rimase in testa e diventò l’iconcina della sua app. A differenze di quelle banconote, a nove anni dalla nascita Telegram è più in quota che mai.
Nota
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