Uguaglianza di genere nel CAI

La commissione permanente CAI per l’Uguaglianza di genere è una buona notizia. Ma è anche una pessima notizia.

Uguaglianza di genere nel CAI
di Alessandra Gionti

Questi giorni confrontandomi con persone con una esperienza maggiore dell’associazione ho scoperto che il CAI è un ente pubblico. In particolare, per essere più precisi, la struttura centrale del CAI Club Alpino Italiano si configura come un ente pubblico non economico, mentre tutte le sue strutture territoriali (sezioni, raggruppamenti regionali e provinciali) sono soggetti di diritto privato.

Questo comporta tra le altre cose che il CAI possa e debba, come altri attori del settore pubblico, darsi degli strumenti per l’attuazione dell’Agenda 2030, il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite.

Tra i 17 goal dell’Agenda 2030 il quinto è la parità di genere.

In questo quadro normativo più ampio si inserisce dunque la delibera presidenziale del 26 gennaio 2023 con cui il CAI istituisce la commissione permanente Politiche sociali – Uguaglianza di genere.

Un’ottima notizia no? Ecco, sì e no.

E’ sicuramente un primo fondamentale passo in avanti che il tema della parità di genere sia entrato ufficialmente tra gli obiettivi sociali e che questo sia stato comunicato in modo chiaro e netto.

Da questo momento nessuno potrà più considerarlo alla stregua di un capriccio di poche femministe arrabbiate col mondo. Ce lo siamo dati noi come associazione questo obiettivo, è entrato di pieno diritto tra i valori che il CAI si pone nella sua vita associativa.

Le perplessità però partono leggendo la notizia su Lo Scarpone in cui si dice che questa commissione avrà uno “sguardo attento agli ostacoli che socie e soci trovano sul proprio cammino”. Socie e soci? Soci? Non capisco.

Io penso che il patriarcato crei delle gabbie che ci imprigionano tutti e tutte e, ad esempio, schiacciano gli uomini su modalità aggressive che impediscono loro di restare in contatto con la propria vita emotiva, cosa che è fondamentale per garantire la salute mentale di ogni essere umano. Per cui sono la prima a riconoscere che è per il bene di tutta la società, non solo delle donne, che la cultura patriarcale deve essere rimossa.

Tuttavia mi pare buffo che questa neonata commissione pari opportunità livelli l’attenzione sulla partecipazione alla vita associativa di uomini e donne quando la sua stessa ragion d’essere è dovuta allo squilibrio esistente e che richiede, per il suo superamento, un focus specifico sulla condizione delle donne.

Ma questa è solo la prima perplessità.

La seconda segue immediatamente dalla dichiarazione rilasciata dalla coordinatrice della Commissione Avvocata Fabiola Fiorucci. La socia Fiorucci dichiara: “Personalmente sono l’unica donna a far parte della Scuola di alpinismo “la Fenice” di Ancona e posso dire di essere considerata assolutamente alla pari dagli altri Istruttori.”.

Sicuramente è un bene che la socia ponga l’accento sul fatto di essere l’unica donna nella sua scuola di alpinismo. Il dato numerico aiuta a capire che un problema esiste. Tuttavia dal modo compiaciuto con cui la socia Fiorucci ci comunica che lei è considerata del tutto alla pari degli altri istruttori viene il dubbio che se le donne non partecipano allora è per un loro timore o pregiudizio, perché se partecipassero troverebbero questa condizione paradisiaca descritta dall’avvocata Fiorucci. In sostanza sembra che si dica che il clima che le donne trovano frequentando le attività del CAI è assolutamente inclusivo e quindi che un problema in fondo non esiste. Come mai ci si potrebbe chiedere allora queste donne non partecipano o se partecipano non diventano istruttrici? Devono impegnarsi loro, di più, per vincere i pregiudizi che le frenano?

Fabiola Fiorucci

A me sarebbe piaciuto che alla sua prima dichiarazione, che si potrebbe dire delinea gli intenti del futuro lavoro, la socia Fiorucci avesse accennato ad un collegamento tra i dati numerici che vedono uno squilibrio nella partecipazione delle donne nelle strutture tecniche e nelle gerarchie CAI alla cultura sessista esistente nel CAI.

Sennò davvero non si capisce quei numeri da cosa vengono fuori.

La seconda perplessità è dovuta alla scelta delle donne che parteciperanno alla commissione. Vedo che c’è anche la presidentessa della sezione CAI a cui sono iscritta, Evelin Franceschini. Non ricordo onestamente – ma potrei essermela persa lo ammetto! – una comunicazione del CAI che mi invitava a partecipare alla scelta di socie che sarebbero andate ad operare in questa commissione pari opportunità. Non mi pare, per dirla in altre parole, che queste donne siano espressione dei territori che hanno dato loro fiducia per operare su questo tema.

Io di certo non avrei dato fiducia ad Evelin poiché si è dimostrata del tutto sorda alle mie richieste di aiuto e alle mie segnalazioni del clima sessista nella sezione CAI di Pisa.

Mi viene dunque il dubbio che queste donne siano state scelte con criteri diversi dalla loro attenzione ai temi di genere. E mi viene il dubbio che queste socie siano state scelte dall’alto, da chi in fondo il problema della discriminazione non lo vive e non ha quindi a cuore che questa commissione permanente operi con efficacia e non si riduca ad una semplice spunta su una checklist di cose che si dovevano fare e allora sono state fatte ma senza un reale interesse a che il problema vero sia risolto.

Mi si potrebbe dire che delle donne pure esistono nelle gerarchie e nelle strutture tecniche del CAI e se queste donne, come l’avvocata Fiorucci, un problema non lo percepiscono forse questo problema in realtà non esiste.

Qui vorrei fare un discorso più profondo, sul bisogno di appartenenza ad un gruppo. E parto dalla mia esperienza di ingegnera che ha quindi sempre vissuto ambiti prevalentemente maschili dall’università al luogo di lavoro.

Il desiderio di essere accettati è un motore potentissimo dell’animo umano. E’ stato studiato che sentirsi esclusi attiva le stesse aree della corteccia cerebrale del dolore fisico. Provoca dolore. E per evitare questo dolore a volte si scende a compromessi, si preferisce far finta di nulla, si sorride ad una battuta fuori luogo o addirittura la si dice per prime, per ottenere approvazione. Come dire “vedete, la penso come voi? sono una di voi”. Ma tutto questo ha comunque un prezzo. Il prezzo di non poter essere noi stesse in modo autentico, di dover rinnegare una parte della nostra identità pur di essere accettate. Questa dinamica che ho descritto spero possa aiutare a capire i motivi per cui forse – ma non ne sono sicura, non la conosco – l’avvocata Fiorucci e altre donne come lei negano che esista un problema di sessismo nel CAI.

E’ per tutti questi motivi che io e altre donne abbiamo deciso che bisogna fare qualcosa per cambiare questo CAI e per immaginarcene insieme uno nuovo, che sia davvero una casa per tutte le socie e tutti i soci. Abbiamo deciso di fare una rivoluzione che ho chiamato Primavera Alpina. C’è già una pagina facebook di questo movimento www.facebook.com/primaveraalpina e presto ci sarà un sito web. Ma soprattutto il 1 Marzo ci sarà il nostro primo incontro online, aperto a tutte le donne del CAI e in generale amanti della montagna interessate a capire cosa si può fare tutte insieme per superare il sessismo nel CAI e rimuovere davvero gli ostacoli che impediscono una partecipazione piena delle donne alla vita associativa. Donne, riprendiamoci le montagne, devono essere casa anche per noi.

Uguaglianza di genere nel CAI ultima modifica: 2023-02-02T05:11:00+01:00 da GognaBlog

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