Uja di Mondrone, 24 dicembre 1874

Difficile poter immaginare le Valli di Lanzo senza l’Uja, una montagna che non raggiunge nemmeno i 3000 metri ma che è bellissima ed ha pareti traboccanti di firme autorevoli dell’alpinismo, soprattutto la severa Nord. Poco prima di arrivare in auto a Ceres, si intravede il suo profilo slanciato ed elegante che ricorda il Cervino. E’ la Signora della Val d’Ala, vetta ambitissima da coloro che scorrazzano con scarponi e zaino sui suoi sentieri. Tutti desiderano possederla lasciando una firma sul libro di vetta, magari anche senza sapere che ha una storia alpinistica molto importante. Però forse la sanno i numerosi branchi di stambecchi che adorano sostare sulle sue pendici, osservando placidamente gli escursionisti che la sognano dal fondovalle. La sua via più facile per salirla – la cosiddetta “normale” – è un sentiero lungo e faticoso, molto verticale nella parte finale, che necessita esperienza di montagna, sebbene non richieda abilità alpinistiche. E’ la via meno elegante ma quella che può condurre alla conquista. Si può fare a meno di toccare la vetta accontentandosi di guadagnare il bivacco Molino, dove si gode una prospettiva fantastica del suo impressionante versante est-nord-est: da qui potete tentare di immaginare le imprese alpinistiche che connotano la sua esistenza. Una di queste, cerchiamo di narrarvela qui.

Uja di Mondrone, 24 dicembre 1874
di Maria Giangoia e Cristiana Stevano
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com il 22 dicembre 2024)

Gli storici, unanimi, hanno datato la nascita dell’alpinismo alla fine del XVIII secolo. La prima ascensione, presa come riferimento, è quella del Monte Bianco, il massiccio più elevato delle Alpi.

Il profilo elegante del versante est dell’Uja di Mondrone

Nell’estate del 1786 Jacques Balmat, cercatore di cristalli e contadino, insieme a Michel Paccard, medico condotto e botanico, entrambi di Chamonix, si avventurano nella perigliosa salita, sollecitati anche dalla ricompensa che il fisico e naturalista ginevrino Horace Bénédict de Saussure promette a chiunque avesse trovato un itinerario per scalare il Bianco.

La comitiva parte il 7 agosto, in incognita, e dopo diverse insidie quali crepacci, aria rarefatta, stanchezza, neve ghiacciata da intagliare con la punta dei bastoni, vento forte, neve molle, riesce, il giorno dopo, nell’impresa. Insieme a loro, un carico pesante formato dagli strumenti scientifici di misurazione di Paccard e ovviamente dal bivacco per ripararsi la notte.

Il tabù delle leggende di draghi, demoni, creature misteriose che abitano la cima delle montagne è iniziato a vacillare e la motivazione religiosa (come nell’ascensione del Rocciamelone di Bonifacio Rotario del 1358) viene affiancata da un pensiero laico e di conoscenza, di interesse scientifico: la scienza dà impulso all’alpinismo togliendo le cime dal regno dell’ignoto.

Anche gli stessi valligiani non si spingevano così in alto perché la montagna per loro era “utile” solo fin dove il loro bestiame poteva nutrirsi ed erano timorati dai racconti di anime in pena e mostri che dimoravano le aree cacuminali delle Alpi.

Potete allora immaginare quale scompiglio possa aver diffuso la conquista di una vetta, addirittura in inverno, che ci apprestiamo a raccontarvi.

Per introdurvi nell’epoca, osservate questa foto di Mario Gabinio del 27 settembre 1896. Anche se risale all’inizio dell’autunno di ventidue anni dopo, notate la neve ed il vestiario.

Due alpinisti durante la salita della parete est dell’Uja di Mondrone, 27 settembre 1896. Foto: da Wikimedia Commons.

L’Uja di Mondrone 2964 m, semplicemente Uja per chi la ama, è nel settore delle Alpi Graie Meridionali, ubicata sulla cresta spartiacque tra la Val d’Ala e la Val Grande di Lanzo.

Nel 1874 Luigi Clavarino, nel libro Le Valli di Lanzo, ben descrive il Mons Dreonis, così chiamato anticamente:

“[…] Questo monte privo di ghiaccio, è così bello, così attraente per un alpinista ed ha un atteggiamento così fiero che par che lo sfidi a calcargli la bruna fronte. Visto da Ala [di Stura], esso si presenta come una roccia colossale acuminata, selvaggia e sinistra, e poche sommità, anche fra le elevatissime, posseggono una fisionomia così altera e caratteristica. La sua altitudine è modesta, essendo appena di 2963 m. La sua posizione sulla cresta del contrafforte che in continuazione della Ciamarella, divide la Valle d’Ala dalla Val Grande [di Lanzo], la rende interessantissima. L’Uja di Mondrone consiste di serpentino il quale per resistenza ed inalterabilità non teme rivali […] (Luigi Clavarino ne Le Valli di Lanzo, edizione Libreria Beuf – Torino 1874)”.

I passeggeri che viaggiavano sull’omnibus tirato dai cavalli, che da Cirié andava a Lanzo nella gelida mattina del 23 dicembre 1874, furono inconsapevoli testimoni dell’inizio di un’avventura, che avrebbe scritto una pagina fondamentale nella storia dell’alpinismo invernale. Sul sedile dell’imperiale di quell’omnibus (cioè sul tetto) viaggiavano infatti due giovani di venticinque anni, amici fin dai tempi del collegio, che condividevano la passione per l’alpinismo: Alessandro Martelli e Luigi Vaccarone. Si assomigliavano molto, alti e biondi entrambi, vestiti già con abiti da montagna, sotto al sedile avevano sistemato “due sacchetti di tela con cinghie per appenderli alle spalle, un fascio di corda e due di quelle piccozze poste in uso dagli inglesi per tagliare i passi nel ghiaccio”1. I due erano partiti da Torino con l’obiettivo di salire su una delle cime balmesi, per tentare un’ascensione invernale, mai sperimentata fino ad allora tra i soci del CAI. Si erano convinti a cimentarsi nell’impresa leggendo e discutendo con altri soci del CAI delle ascensioni invernali già compiute da alpinisti stranieri, soprattutto inglesi. Il viaggio da Torino a Balme fu già una piccola avventura che durò circa dieci ore, infatti arrivati a Lanzo e scesi dall’omnibus, salirono su una piccola diligenza e si rintanarono nel coupè, per arrivare a Ceres, dove pranzarono e subito ripartirono a piedi per raggiungere Balme: “Lo strato di neve ghiacciata, che ricopre il suolo, crepita sotto ai nostri scarponi ferrati, ed i pochi viandanti che incontriamo, o gli abitatori delle case appollaiate sul fianco della strada, che ci vedono a filare come spie, ci guardano stupefatti e devono crederci contrabbandieri o disertori: i più benigni forse ci giudicheranno cercatori di minerali dal sacco e arnesi che portiamo in spalla”2. Camminarono veloci, senza dimenticare di ammirare il panorama che li circondava, in particolare: “allietandoci nella vista della torreggiante Uja di Mondrone che s’erge di fronte acuminata e scoscesa, colle forme del celebre M. Cervino. Pare che la sua presenza lassù eserciti su di noi un fascino ipnotico e come calamita ci attiri a sé, infondendoci lena ad accelerare la marcia”3.

Uja di Mondrone 2964 m, versante orientale

Dopo circa 4 ore di camminata arrivarono a Balme mentre scendeva la sera e si recarono all’albergo di Stefano Drovetti, che fu molto stupito nel veder arrivare degli alpinisti nella stagione invernale, ma con la consueta cortesia li accolse: “con schietta cordialità il dabben’uomo ci introdusse nella invernale salle à manger, dove, ahimè!…. Strani commensali ci occorsero alla vista: due vacche, una capra, una nidiata di conigli, alcune galline e altri animali. Ne fummo a tutta prima dolenti, e più di tutti ci stava a disagio il naso, essendochè in quell’ambiente l’aria non fosse profumata a odor di rose, ma di poi vi ci assuefacemmo e tanto da conchiudere alla perfine, che nella sala-cucina-stalla di mastro Drovetti, facendo buona tavola, vi si poteva stare per benino”4. Da Drovetti si trovava anche Antonio Castagneri, che i due amici volevano come guida nell’impresa. Castagneri aveva solo cinque anni più dei due giovani, ma era già una guida affermata a livello internazionale e molto stimata dagli alpinisti. Con lui iniziarono a valutare quale cima potesse essere tentata nella stagione invernale, fu proprio Castagneri a proporre l’Uja di Mondrone, suscitando l’incredulità di Martelli e Vaccarone: “l’averla veduta da Ala erigersi acuminata, nevosa, selvaggia e sinistra, con tutta l’orrida apparenza del Cervino veduto da Breuil, ci aveva colpiti in guisa da crederla inaccessibile, e quindi non c’era passato neppure per la mente il pensiero di tentarne la sfida”5. Castagneri fu invece possibilista: “l’Uja di Mondrone. Io non mi faccio garante di condurli sulla vetta, è una prova che insieme faremo, potrà riescire e non riescire”6. Presa la decisione e conversato ancora un poco con il gradevole gruppo composto da Castagneri, Drovetti e don Didier De La Motte, parroco di Balme, i due furono poi accompagnati nella camera da letto: “Cristina Drovetti, la bella e rinforzita montanina, figlia allo Stefano, quella che sogghignando diceva noi venimmo a Balme perché avevamo il ruzzo di cacciare, volle scaldarci il letto: se non avessimo visto che veramente aveva adoperato della buona brace, avremmo di leggieri creduto non ci avesse ella fatto una burla, tanto erano fresche le lenzuola. In quelle cameruccie soffiava dalla Bessanese un’aria fina fina, indiavolata, che penetrando nelle ossa ci pareva essere in preda di una febbraccia terzana, laonde, Mettendo i denti in nota di cicogna, avemmo a rimpiangere amaramente di non trovarci più nella buona compagnia degli individui ruminanti, rosicchianti e gallinacei della salle à manger7.

La leggendaria guida alpina Antonio Castagneri, detto Tòni dìi Toùni (patois francoprovenzale)

Il mattino dopo la sveglia fu alle 3 e mezza e per colazione venne servito un bicchiere di vin brulé, per non venir meno al proverbio: “Non ti mettere in cammino se la bocca non sa di vino”8. Era una giornata fredda con il cielo terso, la temperatura media fu di -8° e sulla cima furono registrati -12°. La salita fu complessa perché la consistenza della neve era molto variabile: “La soffice neve s’apre sotto ai nostri piedi; spesso ci troviamo affondati fino alla cintola, e lavoriamo a tutto potere nello stricare le gambe dalle buche in cui si trovano cacciate; mentre in altri luoghi la neve flagellata dai venti è così soda, che gli scarponi più non vi mordono, e riesce necessario il lavoro d’ascia. […] e così una scambievolezza per più di due ore, finché attraversata una cornice, la quale, tagliando orizzontalmente roccie inclinatissime, richiamava al Martelli la Cravatta del Cervino, e su cui camminammo circospetti temendo la neve molle e ammucchiata dai venti non partisse in valanga trascinandoci seco, giungemmo alla base dello estremo picco; accordato un breve momento alla contemplazione del prospetto che ammirabile si svolgeva all’est, e ad affunarci l’un dietro l’altro, prendemmo a lavorare di mani e piedi su per la fina e dentellata cresta meridionale”9. Da Balme impiegarono 8 ore e mezza per raggiungere la vetta.

Giunti sulla cima, i protagonisti festeggiarono con grida di gioia e spari di pistola, si dedicarono quindi alle attività usuali per i pionieri dell’alpinismo: Martelli disegnò i profili delle montagne, Vaccarone scrisse il verbale dell’ascensione e fece alcune misurazioni climatiche, mentre Antonio Castagneri riparò il cumulo di pietre costruito nel 1857 da Antonio Tonini, il primo conquistatore della vetta, i giovani portatori invece mangiarono di buon appetito.

Luigi Vaccarone vestito da alpinista con la famiglia [Di Rudilux – Opera propria, CC BY-SA 4.0,
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=57744230]

La discesa fu meno faticosa: “mettendo in pratica quelle regole che suggerisce la prudenza in simili frangenti, finché, ritrovati i pendii di neve, ci ponemmo per essi tagliando diritto nei canaloni, vociando, scivolando, facendo un baccano di ca’ del diavolo. Dopo tre ore di incessante, precipitosa e sferrata corsa, nella quale ognuno di noi ebbe le proprie peripezie, che per essere passate liscie, rallegravano ogni quando la brigata”10.

Alle 19 il gruppo di alpinisti rientrò a Balme e annunciò la vittoria al parroco, che li invitò a partecipare alla messa di mezzanotte. Entrando in chiesa Martelli urtò con la testa una lampada, rovesciando il contenuto a terra e generando un comprensibile scompiglio, i due si rifugiarono allora nel campanile, dove si diedero a scampanare con tutta la loro forza, quasi volessero festeggiare, oltre al Natale, la riuscita della loro impresa.

Rivista mensile del Club Alpino Italiano, 1928, n. 7-8

Si sono celebrati il 24 dicembre 2024 i centocinquant’anni di questa prima ascensione invernale sull’Uja di Mondrone. Spesso è stata ricordata come la prima invernale italiana, ma sappiamo che in realtà vi fu un antecedente una decina di anni prima. Infatti il primato venne presto rettificato dallo stesso Vaccarone, che nel Bollettino del CAI del 1887 pubblicò una tabella di aggiunte e correzioni alla statistica delle prime ascensioni, dove si legge che Antoine Laurent (geometra di Pont Saint Martin) salì da solo il Grauhaupt (Testa Grigia) il 10 gennaio 1864, notizia che era già stata data senza altra descrizione da Nicola Pellati nel Bollettino n. 15 del 1869. Sicuramente il fatto che Laurent non abbia pubblicato alcuna relazione descrittiva e anche che non fosse socio del CAI11 ha impedito all’impresa di avere il dovuto risalto, infatti la sua ascensione non fu notata né adeguatamente comunicata.

In questi centocinquant’anni si è scritto molto sull’impresa ed è difficile aggiungere qualcosa di nuovo, è però possibile pubblicare alcuni documenti mai ripubblicati, che possono far rifiorire la narrazione con la freschezza dell’emozione dei partecipanti e che ci consentono di poter essere, per qualche istante, con loro sulla cima.

Sulla Gazzetta Piemontese (antico nome de La Stampa) del 2 gennaio 1875 fu pubblicato il seguente articolo:

Ascensione dell’Uja di Mondrone in Val d’Ala (Vallata di Lanzo) eseguita il 24 dicembre 1874.

La sera del 23 scorso dicembre giungevamo a Balme, ultimo Comune in Val d’Ala, cordialmente accolti da quei buoni montanari, che non potevano comprendere come da noi si volesse alla vigilia del Natale tentare alcuna delle superbe cime, che al loro paesucolo fanno bella corona. – Si tenne consiglio colla guida Antonio Castagneri.

 A. E. Martelli, il celebre alpinista, mio amico e compagno in questa escursione, proponeva di ascendere la Torre d’Ovarda, ma furono sì molte le difficoltà accampate dal Castagneri, che vi si dovette rinunziare, e fra tutte quelle altre poste innanzi, quali la Croce Rossa, la Punta d’Arnas, la Bessanese, il Coularin, la Ciamarella, affermò che se vi era qualche probabilità di riuscita dessa militava per l’Uja di Mondrone: all’unanimità fu conchiuso che il domani ne avremmo tentata l’ascensione.

Alle cinque eravamo in marcia, accompagnati dalle guide Antonio, Giuseppe e Pietro Castagneri: il termometro segnava -9, il cielo bello, spazzato, lucidissimo, e la luna ci rischiarava la via facendo l’aria tutta all’intorno biancheggiante, e i monti e le valli e i colli tinti di bella luce argentina.

Scendemmo per una mezz’ora attraversando paesetti silenziosi e immersi tuttavia nel sonno, quindi piegammo a manca salendo ai casolari della Molera: la soffice neve s’apre sotto i nostri piedi, e noi spesso ci troviamo affondati fino alla cintola, mentre in altri luoghi flagellata dai venti la neve è così dura che gli scarponi più non vi mordono, e riesce necessario il lavoro d’ascia.

Alle nove il sole incomincia ad essere caldo, onde noi, adocchiata una roccia tersa da ogni macchia nevosa, vi ci accoccolammo, e tratte fuora le provvigioni fecimo una colazione né abbondante, né sontuosa, ma sana, pulita ed allegra.

Il termometro segnava -11, però il freddo non ci arrecava alcuna molestia per il molto calore in noi svoltosi nel faticoso cammino.

Alle 9 ½ riprendemmo la marcia attaccando un canalone, in cui la neve era durissima; poco tempo dopo la ritrovammo soffice, e così fu un’alternativa per più di due ore: a mezzogiorno lasciammo i banchi di neve per lavorare di mani e di piedi su per le roccie. – Era fenomenale l’impressione che da noi si provava nell’attaccarci alle roccie, o nello stringere il ferro dell’ascia; parevano sì quelle come questo fossero spalmati d’una sostanza vischiosa, per cui la mano restava attaccata, e si doveva fare un leggiero sforzo nel ritirarla.

Giungemmo in un luogo scaglioso e prerutto da potere arrecare fastidio non lieve a chi fosse andato soggetto a vertigini; la prudenza ci consigliò d’adoprare le corde: Antonio Castagneri apriva la marcia e ognuno di noi non moveva passo prima che tutti gli altri fossero postati in modo da resistere all’urto di una eventuale caduta; così cautelati si procedè lentamente, ma sicuri d’evitare disgrazie.

All’una e quaranta minuti con grida di gioia e con spari di pistola salutavamo la superba vetta.

A. E. Martelli intende a disegnare profili panoramici, io m’occupo del verbale dell’ascensione, mentre Antonio va riparando il segnale costrutto dall’ingegnere Tonini, e Giuseppe e Pietro si sdraiano comodamente e mangiano!

Il giorno era brillante e limpidissimo, lo stato atmosferico puro e tranquillo; noi presenziavamo ad uno spettacolo veramente meraviglioso. – Si scorgevano in giro gli Appennini, le Alpi Berninesi, il gruppo del Monterosa, quello del Gran Paradiso, la Levanna, la Ciamarella, il Coularin, il Chardonnet, la Bessanese, la Punta d’Arnas, la Croce Rossa, la Lera, il Monviso, la Torre d’Ovarda, e moltissimi colli, contrafforti e valli.

Alle 2 ½ lasciammo la vetta e scendemmo cautamente, sebbene con minore fatica, mettendo in pratica quelle regole che suggerisce la prudenza in simili frangenti, finché, ritrovati i pendii di neve, ci ponemmo per essi tagliando diritto nei canaloni, gridando, scivolando, facendo un baccano indiavolato.

Dopo tre ore di incessante e precipitosa corsa fummo ai casolari della Molera, e quivi, concessa mezz’ora al riposo e ad ammorzare le infuocate fauci col tiepido latte, il prelibato liquore dell’alpinista, riprendemmo cammino. Alle 7 alcuni spari di pistola annunziavano ai pacifici abitanti di Balme il nostro arrivo e la riuscita impresa.

Avv. Luigi Vaccarone

Vetta dell’Uja di Mondrone. In centro il versante est mentre a sinistra quello sud. Tra i due passa la via normale, molto probabilmente quella seguita dalla comitiva il 24 dicembre 1874.

Vetta dell’Uja. In centro il versante Est mentre a sinistra quello Sud. Tra i due passa la via normale, molto probabilmente quella seguita dalla comitiva il 24 dicembre 1874

Nello stesso 2 gennaio 1875, anche la Gazzetta del Popolo pubblicò un articolo ancora scritto da Vaccarone:

Pubblichiamo anche un vero inedito: la pagina tratta dal libretto di guida di Antonio Castagneri, scritta dai due giovani alpinisti dopo l’ascensione: Vaccarone si affidò alla lingua francese per lodare le qualità di Antonio Castagneri, mentre Martelli si limitò alla lingua italiana, ma espresse analoghi complimenti alla guida.

Archivio Alpinistico, Centro Documentazione Museo Nazionale della Montagna – CAI Torino.

La rilevanza e la vasta diffusione della notizia di questa ascensione suscitarono anche qualche critica nell’ambiente alpinistico, ricordata ancora dopo quindici anni: “La notizia di tale impresa fu accolta allora da molti con un sorriso di compassione, e la si disse poco meno d’una pazzia; ma l’esempio diede i suoi frutti, ed ora questi si son fatti numerosi: le salite di simil natura andarono man mano ripetendosi e aumentando d’importanza per frequenza ed ardimento”12.

L’importanza dell’impresa fu quindi tanto nel compimento dell’ascensione, quanto nella diffusione dell’informazione. Le relazioni di Vaccarone e Martelli hanno fornito fondamentali notizie agli altri alpinisti, mettendo a disposizione di tutti la testimonianza della loro esperienza e hanno così invogliato altri ad esplorare le vette in inverno. L’evento e la pubblicazione dei dettagli alpinistici pone a buon diritto quest’ascensione all’inizio della storia dell’alpinismo invernale italiano; pur non essendo la prima assoluta, resta certamente imprescindibile perché la prima ampiamente descritta. Questo dimostra quanto la narrazione delle ascensioni sia intrecciata in modo inestricabile con l’alpinismo: “Da subito, gli alpinisti hanno dovuto raccontarsi in prima persona. D’altra parte, come potevano far capire quei mondi e quelle altezze mai percorse da nessuno se non con i récit d’ascension? I racconti e le storie delle loro salite sono la necessaria testimonianza, nonché una traccia, per chi viene dopo. E, allo stesso tempo, rendono reale l’avventura”13

Raccomando ai colleghi anche le ascensioni invernali, non più pericolose di quelle estive quando si possegga un notevole grado di resistenza alla fatica, di energico coraggio e di esperienza della montagna, si sia equipaggiati di quanto può essere utile a ripararci dal rigore della stagione, e si proceda secondo le norme più elementari che la prudenza consiglia, e certo non meno piacevoli, interessanti ed utili per emozioni giammai provate, per scene grandiose e nuove, per osservazioni sotto molti aspetti proficue, in ispecie dal lato meteorologico (Luigi Cibrario, CAI Sezione di Torino)”.


Vi segnaliamo che in merito all’anniversario dei centoquarant’anni della prima ascensione invernale all’Uja (1874 – 2014), ne abbiamo scritto qui; mentre dei centocinquant’anni (1857 – 2007) della prima assoluta, ad opera dell’ingegnere catastale Antonio Tonini, trovate qui il post.

Sabato 28 dicembre 2024 a Balme si è tenuta una serata per ricordare la prima invernale all’Uja di Mondrone. Trovate qui la locandina (pdf) con il programma.


Note
  1. Alessandro Emilio Martelli, Le Valli di Lanzo, Torino, CAI Torino, 1904
  2. ibid.
  3. ibid.
  4. Luigi Vaccarone, L’Alpinista, Club Alpino Italiano, 1875, n. 2
  5. ibid.
  6. ibid.
  7. ibid.
  8. ibid.
  9. ibid.
10. ibid.
11. Bollettino del Club Alpino Italiano, 1869, n. 16
12. Rivista mensile del Club Alpino Italiano, 1889, n. 2
13. Vinicio Stefanello, La ricerca della felicità, in Montagne360, Club Alpino Italiano, dicembre 2021.

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Uja di Mondrone, 24 dicembre 1874 ultima modifica: 2025-02-16T05:43:00+01:00 da GognaBlog

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5 pensieri su “Uja di Mondrone, 24 dicembre 1874”

  1. Matteo, non so, visti i tempi che corrono, se sia il caso che torni in dotazione!

  2. Come curiosità è da notare che la “normale dotazione alpinistica” all’epoca prevedeva almeno pistola!

  3. Grazie per questi racconti che spero diano una dimensione diversa al nostro andar per monti, così fissati con l’equipaggiamento ultra performante.

  4. J’aime beaucoup la photo des deux alpinistes prise en 1896.
    Elle respire la pureté et la sérénité.

  5. Agli appassionati di storia dell’alpinismo e soprattutto a chi interessa la pluralità di informazioni, segnalo (non come alternativa, ma come integrazione di questo interessante articolo), l’articolo dell’accademico torinese Enrico Pessiva, pubblicato sul sito Valli di Lanzo in Vericale.
    Per festeggiare degnamente i 150 anni dell’impresa del 1874, Enrico Pessiva, con Marco Bongiovanni (suo abituale compagno nelle “alpinate”, specie in Valli di Lanzo) ha ripercorso l’invernale all’Uja di Mondrone il giorno 21 dicembre 2024.
    https://www.vallidilanzoinverticale.it/news/24-dicembre-1874-lascensione-invernale-delluja-di-mondrone
     
     

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