Il 14 novembre 2014 Montagna.Tv dà, a firma Valentina d’Angella, una notizia importante: Base jump, highline e freesolo troppo pericolosi, l’azienda Clif Bar interrompe le sponsorizzazioni.
Un codice etico per gli sponsor?
di Mattia Bonanome (postato su facebook il 14 novembre 2014)
E’ tempo di avere un “codice etico” per gli sponsor?
La decisione di Clif Bar fa discutere e spero animi nuovamente il dibattito sulle sponsorizzazioni.
Personalmente condivido e comprendo le motivazioni, ma a scanso di ipocrisie mi verrebbe da domandare a Clif Bar se è consapevole di cosa rappresenta lo “sponsor” per un atleta. Se immagina quali pressioni dirette o indirette condizionano un “professionista” durante la sua carriera.
So per certo che in molte occasioni le esigenze del marketing hanno portato atleti molto meno confidenti con la zona del “rischio assoluto” a giocarsi un improbabile tutto per tutto pur di tener fede a patti commericiali, impegni di sponsorizzazione o, peggio ancora, unicamente per far salire le propre “quotazioni”.
– Jeremy Jones sta girando un video con elicottero pagato dagli sponsor (tra i quali Cliff Bar)… pensi che sceglierà la linea piu gratificante o quella più “estrema?”… c’è un “cliff” da 6 metri e uno da 12, sono convinto che saltando da quello da 6 si divertirebbe ugualmente ed avrebbe un buon margine di sicurezza… ma quale pensi che sceglierà Jeremy Jones?
– Greg Long ha programmato delle riprese per l’ennesimo video tra le Big Waves, non ci sono le condizioni ideali ma si deve girare… il rischio di una “frullata” sotto quelle enormi onde va ben al di là del margine… forse quelli di Clif Bar dovrebbero farci un giro per capire bene di cosa si tratta…
Forse chi legge con macabro interesse la cronaca (nera) di montagna.tv non si pone nemmeno il problema, alla fine dei conti siamo orde di onnivori mangianotizie ormai assuefatti a ogni disgusto e preparati a ogni tipo di tragedia.
Non è un nostro problema se quell’alpinista è morto sotto una valanga anche perché DOVEVA arrivare in cima. Nessuno ci racconta come ha trovato i soldi per quella spedizione, a chi ha dovuto chiedere, cosa ha dovuto promettere in cambio (… e chi finanzia sa bene che gli alpinisti sono gente la cui parola solitamente vale più di quanto consentito).
Nessuno è disposto a spiegare nei dettagli questi “dietro le quinte”, altrimenti saremmo costretti ad accettare quell’enorme zona d’ombra che si pone tra la realizzazione di un’impresa e la sua “mercificazione”. La stessa che, con buona pace dei finti moralisti, porta un nome e cognome a diventare un “prodotto” o una “merce di scambio”.
Mich Kemeter, highline senza protezione, Yosemite Valley
Quindi a mio parere quella di Clif Bar è stata una manovra puramente commerciale, per far parlare di sé usando in modo pretestuoso una presa di posizione fintamente “etica”, un ipocrita siparietto non diverso dai precedenti.
A fare le spese di questa manovra restano da una parte atleti come Steph Davis o Dan Potter che da anni vivono con trasparenza le loro passioni “al limite” e con le quali sicuramente non sono diventati ricchi. Dall’altra ne fanno le spese lettori e appassionati le cui idee e opinioni vengono costantemente “portate a spasso” da slogan commerciali, informazioni strumentali e notizie scadenti.
Che sia forse arrivato il momento di adottare un “codice etico” per gli sponsor?
Nell’attesa potremmo iniziare a produrre informazione di livello leggermente più alto, più completa, più professionale di quella che circola oggi tra rete e stampato, sia mai che questi onnivori mangianotizie incomincino finalmente ad affinare un po’ i palati e a vedere la realtà con occhi un po’ più aperti.
Steph Davis nel free solo di Pervertical Sanctuary, Longs Peak Diamond. Foto: Brian Kimball
Commenti (facebook, fino al 18 novembre 2014)
Lorenzo Canella: “All’inizio era più in alto, poi più difficile, poi, più pericolosamente, tra poco su una gamba sola, camminando all’indietro mentre si recita la tabellina del 13… con gli occhi chiusi. Poi capitano cose come il padre che porta i due figli di manco 10 anni sul Monte Bianco. Ovvio, quando non c’è alcuna cultura dello sport, della montagna e quando apri youtube”.
Lì risulta, chiaramente a livello di statistica, che chiunque scii è in grado di fare come minimo un backflip. Allora che fai? Compri un paio di sci e tenti un backflip… con gli inevitabili risultati
Sì, sto diventando vecchio…
Zeno Tajoli: “Mah, Mattia, il tutto è difficile da bilanciare. Certi risultati, certi livelli, certe imprese sono impossibili senza allenamenti e attrezzature professionistiche. Come si pagano i professionisti? Una volta era lo stato, tipo Everest, K2, Polo Sud [con tragedia di Scott annessa, dovuto a fretta e incompetenza ma con ‘l’onore nazionale’ che premeva]. Magari sponsorizzare anche un po’ di ‘attività di base’, ma ci vuole un quid in più a tramutarle in spot che vende. Con l’adrenalina vinci facile”.
Mattia Bonanome: “Concordo Zeno Tajoli… non sono contrario a nessuno sport adrenalinico, anzi. E per fortuna sono finiti i tempi delle “imprese di stato”. Solo che è sempre una coperta corta: ora i “Desio” si chiamano “direttore marketing” o “responsabile della comunicazione”. Quello che voglio dire è che se le aziende adottassero un “codice etico” che mette al primo posto la vita, la sicurezza e il rispetto dell’atleta ci sarebbe solo da guadagnare”.
Zeno Tajoli: “Sicuramente una base etica scritta e condivisa serve, ma penso serva di più il sentire il proprio investimento da ‘sponsor’ come qualcosa che rimane. E magari ‘sponsorizzare’ cose banali con una brava agenzia che te le valorizza lo stesso. Per dire: Red Bull ha sponsorizzato il record di lancio a caduta libera più alto: beh, da lì qualsiasi pubblicitario ti fa uno spot che spacca! Ci vuole un professionista valido però a ottenere lo stesso effetto sulle vendite se Red Bull avesse sponsorizzato la segnaletica dei sentieri di montagna sulle Alpi (senza metterci il marchio a ogni cartello)”.
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Sottoscrivo in toto il commento di Stefano Michelazzi, di rara chiarezza.
Se devo pensare di proporre l’adozione di un codice etico per un’azienda (qualsiasi azienda), l’ultima cosa che mi viene in mente sono le sponsorizzazioni o la pubblicità; per primi verrebbero come minimo la politica del personale e delle delocalizzazioni, dell’ambiente e degli acquisti.
Emilio Previtali ha commentato su facebook questo articolo:
Emilio ha scritto: “Come si fa ad appellarsi accoratamente ad una “informazione di livello leggermente più alto” scrivendo una cosa che è un minestrone di luoghi comuni e inesattezze del genere? Jeremy Jones ha da poco concluso una trilogia di film chiamata Deeper – Further – Higher per la realizzazione dei quali (eccezione assoluta nel settore) si è sforzato di ripristinare la relazione uomo-esplorazione “by fair means”. E’ una sua interpretazione personale del tema, certamente diversa dalla interpretazione data da altri grandissimi sullo stesso argomento, per citare i primi tre che mi vengono in mente Mummery, Messner, Glowacz. Per realizzare il progetto dei film non ha mai usato un elicottero e questo in sé, per un atleta e per un sistema di promozione dello sport come quello dello snowboard basato sugli ski-movie, è stata una vera e propria rivoluzione. Come si fa a presentare Jones a chi non lo conosce definendolo uno che “sta girando un video con elicottero pagato dagli sponsor”? Per concludere: dopo avere definito la scelta da parte di Clif Bar di interrompere la sponsorizzazione di Honnold e compagni “una manovra puramente commerciale” la logica del ragionamento distilla un pensiero che è: “che sia arrivato il momento di adottare un “codice etico” per gli sponsor?”. Mi chiedo: ma non è esattamente quello che hanno fatto? Lo dice Honnold stesso, nel bellissimo articolo che ha scritto per il The New York Time.
Più che una notizia, sembra un arringa sindacale a sostegno dell’operaio licenziato di turno…
Porsi delle domande su ciò che è o non è etico, morale, lecito, è certamente un esercizio intellettuale importante ma credo sia altrettanto importante non travalicare i limiti del buon gusto, quanto meno…
Chi vive e vuole vivere di sport, credo si renda conto (lo spero…) che si piazza ai limiti estremi dell’andamento dell’odierna società, si pone in quel microcosmo riservato che stuzzica nella pubblica visuale il mito dell’eroe.
Non vive di stipendio, non si pone il problema di far quadrare il bilancio famigliare a fine mese e tante altre belle “amenità” colle quali la persona normale, il Monsù Travet, che identifica oltre il 60% della popolazione mondiale (un altro 30% si identifica oggi nel quarto Stato) deve lottare ogni giorno per sopravvivere. Vive in un contesto sociale quindi, al di fuori degli schemi imposti e se da una parte questa situazione porta a degli evidenti agi, forse non in termini economici ma certamente in termini di stile di vita, per contropartita (perché il rovescio della medaglia esiste in qualsiasi umana attività) è sottoposto a sostenere i capricci dello sponsor e deve essere consapevole, che tutto è destinato a scomparire all’arrivo del prossimo “eroe” che lo sorpasserà in bravura e quindi verrà mediatizzato al posto suo con l’immancabile conseguenza di ritirarsi trovando e mettendo in atto altre soluzioni di vita.
Perciò qual’è lo scandalo se un’azienda decide di ritirare le sponsorizzazioni per uno o l’altro motivo?
Motivazioni fasulle, falsamente etiche? Può darsi… Ma può pure essere che non sia così…
Può benissimo trattarsi di una revisione della situazione anche alla luce di fatti come quelli descritti di Mr. Smith (ovvero l’americano comune per antonomasia) che rischia la pelle sua e dei propri figli per simulazione di falsi miti, presentati appunto come eroi.
Questi atleti indiscutibilmente al di sopra della norma, per realizzare ciò che poi viene mediatizzato e dato in pasto agli affamati di adrenalina accettano compromessi, anche sul fattore rischio, che nessuno gli impone. Facendo il salto della staccionata e ritornando in una condizione sociale comune non avrebbero quei problemi. Ovviamente lo stile di vita cambierebbe, i risultati non sarebbero gli stessi e dovrebbero guadagnarsi il pane come tutti…
Non è certo con la Clif Bar che si può diventare un fuoriclasse come Honnold, quindi come dicevo un falso mito sfruttato a dovere spingendo il consumatore, avido di uscire dalla propria, spesso grigia, routine quotidiana a crederlo.
Più che porre un marchio di scandalo su una questione che travalica, come detto, i normali canoni degli stili di vita comuni, sarebbe da discutere, se si desidera toccare le “radici del male” , sul come uscire da una situazione di decadentismo culturale estremo e globalizzato che abbisogna di immagini sempre più forti per dare stimoli alla società.
Personalmente mi fa incazzare di brutto, la situazione che vede un mercato del lavoro sempre più schiavizzante, che limita le libertà e la dignita personale dei lavoratori, di tutte le persone comuni, che non hanno chances. E questo è scandaloso!
Chi può scegliere, chi è nella cerchia dei privilegiati non mi fa scomporre.