Un destino ridicolo
Presentazione del saggio di Monica Malfatti su Fabrizio De André, marcoserratarantolaeditore, 2020
Pochi sanno che l’ultimo lavoro di Fabrizio De André non è stato l’album Anime salve (1996) e neppure una singola canzone, magari di quelle recalcitranti, potenzialmente grandiose ma ancora ritenute imperfette. Su cui un cantautore può lavorare per anni. No, l’ultimo lavoro di Faber è stato un romanzo.
Scritto a quattro mani con lo psicologo mantovano Alessandro Gennari, Un destino ridicolo fu pubblicato il 1° dicembre 1996 da Einaudi.
Già a leggere la trama si resta stupiti di fronte al caleidoscopio di fatti e di coincidenze, al cospetto dei fuochi artificiali che santi, vagabondi e mascalzoni fanno brillare in una quasi improbabile convivenza di esistenze sospese fra emarginazione e poesia, storie che si succedono in sequenze illogiche che catturano l’attenzione e l’affetto del lettore. Fino a coinvolgere entrambi gli stessi autori, che si mescolano con le loro storie vere alla trama delle invenzioni. E’ lo stesso splendido meccanismo armonico che si dispiega ogni volta che ascoltiamo una sua canzone, dove appunto i santi vanno a braccetto con i peccatori, dove tutti sono assolti ma nello stesso tempo condannati a morire a stento.
Ebbene, questo romanzo che sembra davvero il testo di una canzone di De André è stato preso come pietra cardine di un bellissimo studio elaborato dalla filosofa trentina Monica Malfatti: che ci tiene a precisare “che il suo lavoro non è animato dall’intenzione di violentare i testi delle canzoni di De André con il proposito di ottenere una lettura filosofica delle stesse”. No, perché l’autrice sa bene che non si può interpretare un’opera poetica oltre a un certo punto, magari facendo dire all’artista-poeta cose che questi non si è mai sognato di dire. Bisogna piuttosto aggirarsi nel delicato mondo dello stupore dato “dal peso di un’assenza”. Perché “sono assenti le mille suggestioni dell’autore, cosa l’ha influenzato, cosa l’ha spinto a usare una parola piuttosto che l’altra, da dove deriva quel pensiero, quella determinata frase, quel determinato messaggio”.
Monica Malfatti ha intitolato il suo lavoro (che deriva dalla sua tesi di laurea) allo stesso modo del romanzo di De André/Gennari: Destino ridicolo. Con il sottotitolo Fabrizio De André ascoltato da una filosofa.
Lei ha ascoltato e riascoltato centinaia di volte tutti gli album del cantautore genovese: ma si è anche letta decine di volte quello strano romanzo. Decidendo alla fine che in esso si evidenziavano, chiarissime, le cinque grandi tematiche che per tutta la vita hanno tormentato De André e deliziato gli ascoltatori: divino e spiritualità, le radici e la terra, l’amore, miseria e rinascita, i miracoli. Cinque sono dunque i saggi che la Malfatti ci presenta, evidenziando come l’immensa produzione di De André possa essere legittimamente “costretta” in queste cinque tematiche, dove la poesia e le note musicali fanno da mattoni a costruzioni che prendono forma, dove inevitabilmente l’interpretazione, gettando luce sui testi originali, se non si ha la mano leggera rischia di contaminare la freschezza delle sensazioni che il semplice ascolto poteva aver generato. Si sa, dove mette le mani, l’uomo un po’ disfa e un po’ costruisce. Qui succede la stessa cosa, è inevitabile. D’altra parte è il nostro destino cercar di comprendere con la ragione ciò che il sentimento ci manifesta da sempre. Seguendo la Malfatti ci si trova in una continua altalena tra alcune visioni dell’autrice, in certi momenti perfino pari alla poesia di De André, e la concreta analisi delle estasi e dei tormenti dell’universo tempestoso e ineffabile in cui si aggirava il poeta, quello dei suoi contemporanei e quello eterno della sua anima.
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Dietro l’arte di non prendersi sul serio ci sta spesso la più profonda serietà.
Non per un dio, ma neppure per gioco. L’altro.
Bello.
“è il nostro destino cercar di comprendere con la ragione ciò che il sentimento ci manifesta da sempre”
È qui che parte la tangente. È qui che ci si stacca dal mistero nel tentativo di comprenderlo. È questo il punto culturale da rivisitare. La ragione ci fornisce gli argomenti per ritenerci soddisfatti dalle spiegazioni, dalle dimostrazioni. Ma questo è terza cosa, non è più l’oggetto originale. L’arroganza del razionalismo ci impedisce di prendere coscienza che la modalità razionale è solo una – e la più superficiale – tra quelle della conoscenza. Questa, se in campo amministrativo fa il suo servizio, esportata in contesto relazionale non fa che disastri.