Metadiario – 147 – Un ghiacciaio a sorpresa (AG 1988-003)
(scritto nel 1999)
Due giorni dopo la nostra manifestazione per lo smantellamento della funivia dei ghiacciai, esaurita la sbornia di interviste e polemiche varie, Marco Milani ed io decidemmo che era ora di andare a curiosare un po’ su qualche via che al momento andava per la maggiore. Erano già tre anni che avevo editato la più che famosa guida di Michel Piola Il granito del Monte Bianco, e francamente ero desideroso di andare a capire di persona cosa avessero di così particolare quelle vie che a prima vista sembravano essere state prodotte in serie.
Non ci fu bisogno di grandi esperienze per capire che Piola era stato davvero un innovatore, e con lui i suoi compagni, frimo fra tutti Pierre-Alain Steiner. Il 18 agosto, preso il primo trenino per il Montenvers, dopo essere scesi sulla Mer de Glace e averla salita per un pezzo, passammo sotto il Glacier de Trélaporte e salimmo fino al refuge de l’Envers des Aiguilles 2523 m, davvero in bellissima posizione sull’ultimo promontorio della cresta sud-est dell’Aiguille de Roc. Dato il vicinissimo attacco proseguimmo subito per iniziare Le Marchand de sable sul versante sud-est della Tour Rouge, che Piola giudicava una delle vie più belle del Monte Bianco. Alla fine però realizzammo una combinazione di vie, assieme a Copie Carbone. Dieci lunghezze di corda semplicemente stupende. La giornata magnifica ci faceva ancor più apprezzare la bellezza di quell’arrampicata che alternava placche delicate a rudi fessure atletiche.
La sera ci fermammo all’accogliente rifugio, allora tenuto dall’efficiente e simpatica Babette Borgeat, perché il giorno dopo, 19 agosto 1988, ci concedemmo una seconda salita alla Première Pointe des Nantillons, Bienvenue au Georges V. Dopo una prima fessura, a freddo piuttosto duretta, la via si è svolta con regolarità, una serie di lunghezze stupende, in tutto dodici, sempre in splendida alternanza di delicato ad atletico.
Da un po’ di tempo Nella ed io avevamo progettato un giretto per conto nostro in Austria. Quella fine agosto fu la volta buona.
Dal Passo Résia la catena principale alpina si svolge da ovest a est fino all’Hohe Wilde e al Langtaler Joch, con il nome di Alpi Venoste, poi continua da sud a nord verso il Timmels Joch (Passo del Rombo) con il nome di Alpi Passirie. I tirolesi chiamano queste montagne Ötztaler Alpen, ma le due definizioni non coincidono perché in quest’ultima denominazione sono compresi tutti i poderosi rilievi (Innere Ötztaler Alpen) che dall’asse principale della catena (Äussere Ötztaler Alpen) si diramano a nord per una cinquantina di km di rocce e ghiacci verso la valle dell’Inn. E proprio nelle Innere Ötztaler Alpen si erge la vetta più alta, quella Wildspitze 3768 m che supera di trenta metri la Weisskugel (Palla Bianca), la più alta nelle Alpi Venoste. Sono tre le valli parallele che corrono da nord a sud e solcano le Innere Ötztaler Alpen: da ovest, la Kaunertal, la Pitztal e l’Ötztal. Ma è quest’ultima la più importante, quella che raccoglie a Sölden le acque del bacino enorme delle due subvalli Ventertal e Gurglertal e che rappresenta anche la via più semplice di accesso alle montagne più alte e alla catena spartiacque. Per questo l’Ötztal ha dato il nome a questo gruppo.
In quell’estate 1988 feci la prima conoscenza con le belle montagne tirolesi delle Ötztaler Alpen. Del tutto casualmente con Ornella Antonioli avevamo deciso di fare una capatina turistica nella Pitztal, ma naturalmente avevamo con noi l’equipaggiamento d’alta montagna. Così, date le previsioni discrete, decidemmo di salire la Wildspitze. Nel tardo pomeriggio nebbioso del 25 agosto 1988 ci preparammo nel posteggio di Mittelberg e poi ci avviammo per la lunga e quasi pianeggiante Taschachtal e alla fine, per più ripide balze, arrivammo alla Taschachhütte sotto una fine pioggerella. La sera tra un boccale di birra e l’altro, gustammo le specialità della casa: sembrava di essere in un ristorante a menù ampio e variato. Il sole del mattino dopo ci vide scarpinare sulle lunga morena che limita a nord il Taschachferner.
Poi una facile traversata sul ghiacciaio ed un ultimo canalino ci portarono alla vetta della Wildspitze. Il tempo si era involuto e c’era una seria minaccia di temporale. In fretta riscendemmo al ghiacciaio e lo ritraversammo verso nord. Ma qualche occhio di sole tra sbrendoli di nebbia ci convinse, visto che avevamo tempo, ad oltrepassare l’ampio Mittelberg Joch per fare la traversata alla Braunschweigerhütte. Ero un po’ preoccupato perché pensavo alle difficoltà di orientamento che avrei avuto su un ghiacciaio crepacciato a me del tutto sconosciuto, il Mittelbergferner, con tale visibilità, a volte del tutto nulla. Cominciammo a scendere alla cieca, quand’ecco che improvvisamente scopriamo di essere sotto uno ski-lift, non in movimento ma su neve battuta. La carta Kompass, di qualche anno prima, non riportava nulla del genere; pensai perfino di aver sbagliato ghiacciaio, ma questo non era possibile. Seguendo l’impianto, a questo punto slegati, arrivammo ad una quota con maggiore visibilità. In giro non c’era nessuno. Raggiungemmo la Braunschweigerhütte in serata e vi passammo la notte, per poi scendere l’indomani a Mittelberg per un bellissimo sentiero ricavato in un’orrida gola. Non volevo credere a ciò che ci era successo.
In seguito m’informai sulla marcia trionfale della valorizzazione di questi luoghi. A Sölden, Obergurgl e Hochgurgl non bastavano più le piste nei dintorni degli abitati, così cominciarono la costruzione di un’assurda strada che da Sölden, lungo la Rettenbachtal, porta a 2850 m, nei pressi del Rettenbachferner. Qui ricavarono un posteggio per 1500 auto e irretirono il ghiacciaio con impianti per discesa anche estiva; poi con un tunnel verso sud est si affacciarono nella Ventertal. Da qui con un altro impianto aprirono al turismo il Tiefenbachferner (nel 2000 i ghiacciai di Tiefenbach e Rettenbach sono stati collegati da una galleria innevata artificialmente, completando così il carosello).
Nel frattempo da Mittelberg fu costruita una funicolare sotterranea che sale a 2860 m al margine settentrionale del Mittelbegferner: fu così possibile vomitare sopra l’intero ghiacciaio 1600 persone all’ora e invaderlo con altri cinque impianti fino alla vetta dell’Hintere Brunnenkogel, a 3438 m. Ciò che ci aveva provocato la sgradita sorpresa.
E non è finita! Oltre alla successiva cattura sciistica del Weissseeferner (alta Kaunertal), altri deliranti progetti sono ventilati dai responsabili dello sviluppo. Finché gli uffici turistici sbandiereranno con orgoglio ogni nuova «vittoria» della tecnica, ogni conquista a vantaggio della montagna finta, finché si continuerà a promettere all’uomo di strada qualcosa che le altre stazioni turistiche non hanno, in una folle gara concorrenziale al suicidio ecologico delle valli, non serviranno a nulla i marchi di qualità, i sigilli più o meno ecologici, le gestioni intelligenti, la vantata sicurezza per il fruitore. I ghiacciai si stanno ritirando, forse stanno morendo. Lasciamoli agonizzare in pace, senza movimentazione di gatti e senza esplosivi per tappare i crepacci. Nel 2000 Marco e Andrea salirono alla Braunschweigerhütte con la stessa cartina che avevo 12 anni prima. Ricordavo l’episodio, ma stranamente non li avvertii. Arrivarono di notte al rifugio equipaggiati d’alta montagna: gli sciatori li guardavano in modo strano e loro non si capacitavano di quest’anomalia. Il giorno dopo, con la luce, capirono dov’erano finiti.
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Bien sûr, il faudrait toujours porter le casque.
Mais en pratique, suivant l’humeur du jour ?..
I sassi rompono la testa e il casco i coglioni.
In certi luoghi anche io, ancora oggi, arrampico spesso senza casco. Un mio amico spesso mi rimprovera, perchè non do il buon esempio. Gli rispondo che qualcuno che da il cattivo esempio, da non seguire, ci vuole.
Tutti senza casco. (Anch’io ai tempi).
Mi domando: eravamo coglioni imprudenti o i sassi hanno iniziato a cadere dopo?
Comunque trovo le foto con alpinisti senza casco molto più belle.
questa guida di Piola è un’ altro bel vangelo, assieme a 93 arrampicate scelte in Dolomiti di Dinoia/Casari sempre stesso editore
Bei ricordi gli anni passati a ripetere le belle via di Piolà intorno all’accogliente rifugio dell’Anverse allora gestito dalla gentile Babette. La Marchand de Sable fu la prima che facemmo.
Tra le tante belle che ripetemmo ricordo in particolare i bellissimi diedri di Subtulitè dulferienne (non so se ho scritto bene) all’Auguille de Roc.