Metadiario – 109 – Un luglio di grandine (AG 1982-005)
Era tanto tempo che non frequentavo più le Dolomiti, le montagne della mia formazione, dei miei ricordi più cari. L’estate del 1982 fu quella del “grande ritorno”, complice un raduno di donne alpiniste che si teneva ad Alleghe in luglio, non ricordo più organizzato da chi.
Il 5 luglio eravamo già in loco. Elena Morlacchi, Nella, un’altra amica ed io al mattino scalammo la via Comici alla Torre Piccola di Falzarego, quella via “facile” che però era stata fatale al grande Albino Strobel Michielli.
Il giorno dopo con Nella salimmo al rifugio Coldai con l’intenzione di salire la storica via Videsott-Rudatis al Pan di Zucchero. Quello era un periodo di grazia, Nella aveva accantonato una buona parte di paure e mi seguiva ormai sulle vie con una certa frequenza. Eravamo ben distanti dai tempi in cui faceva scenate tali da farmi pentire anche di aver solo proposto qualcosa.
Il tempo non era bello, anzi minacciava temporale: ma naturalmente negavo l’evidenza e procedevo imperterrito prima sul sentiero e poi sul ghiaione, seguito da una dubitosa moglie che però aveva tutte le ragioni. La Videsott-Rudatis sostanzialmente sfrutta un’evidente serie di camini e fessuroni (di quelle che in caso di rovescio d’acqua diventano vere e proprie cascate). Attaccammo la via verso le 10, ma alla quarta lunghezza lampi e tuoni bloccarono la nostra trionfale avanzata. Non facemmo a tempo a impostare la prima corda doppia che già fummo investiti da una violenta grandinata, dalla quale non riuscivamo a trovare riparo a dispetto del fatto che fossimo incassati in un camino. Inutile dire che in breve eravamo fradici e intirizziti, lei aveva le mani gelate. La calai di brutto tre volte, fino a raggiungere il ghiaione. Lì smise di grandinare, il temporale si stava allontanando e il pietrisco era imbiancato di grandine. Dopo un vin brulé al rifugio non ci rimase che riguadagnare il pullmino, dove finalmente potemmo indossare abiti asciutti. Nella non aveva mai vissuto un’avventura di questo genere. Non si lamentò, ma è chiaro che era stata solo la paura a farla tacere.
Per fortuna il tempo si rimise al bello in serata. Il giorno dopo ci spostammo verso Malga Ciapela e nel tardo pomeriggio salimmo all’accogliente rifugio Falier. L’obiettivo del giorno dopo era la via Bettega-Zagonel-Tomasson alla parete sud della Marmolada, una via di IV grado ma impegnativa per i suoi 650 m di dislivello. La scelta fu fatta in base a un preciso suo desiderio, quello di ripetere una via storica, per di più aperta grazie alla pervicacia di una donna assai volitiva, l’inglese Beatrice Tomasson. Al rifugio c’erano anche Heinz Mariacher e Luisa Iovane, in partenza per la loro via dei Tempi Moderni: non ricordo se per loro quella era la volta definitiva oppure solo una ricognizione. In ogni caso non facemmo assieme la salita verso il Passo Ombretta, loro se la prendevano con più calma. Mentre io volevo essere sicuro di non dover bivaccare in parete. Ma, almeno questa volta, il tempo sembrava davvero bello: la grandinata di due giorni prima sembrava molto più lontana…
La via non ebbe storia, tutto funzionò a meraviglia. Nella mi seguiva abbastanza veloce e non si stancò se non proprio nelle ultimissime lunghezze, ormai sulle facili rocce che precedono la cresta Penìa-Rocca. Io poi avevo già fatto la via, anche se molti anni prima, e ricordavo benissimo tutti i punti in cui non bisognava sbagliare. Giunti in vetta, ci concedemmo una sosta alla capanna Penìa, che a quell’ora scoprimmo essere già stata lasciata dal custode sceso a valle. L’idea di stare da soli lassù non ci dispiacque per nulla, soprattutto a lei che vedeva una bella branda al posto delle pericolose placche e dei gradini della via ferrata da fare in discesa.
Fu una serata bellissima, con un bel tramonto, una minestra e qualche scatoletta. La mattina dopo, con calma, scendemmo per la via ferrata alla Forcella Marmolada, risalimmo al Passo Ombretta e tornammo al rifugio Falier e a Malga Ciapela.
La Sud della Marmolada, pur con le sue difficoltà di ordine classico, rimane una grande salita: una soddisfazione ben diversa dalle brevi arrampicate cui da un po’ di tempo indulgevo. Nella, poi, era al settimo cielo.
Nell’ambito del meeting femminile di Alleghe ci furono parecchi incontri, anche se il tempo era quasi sempre incerto. L’11 luglio con Anne-Lise Rochat e Alessandra Gaffuri salimmo la via Myriam alla Torre Grande delle Cinque Torri,e subito dopo il Diedro Olga. Non contenti, e visto che non pioveva ancora (ma poco ci mancava), assicurato da Anne-Lise provai a salire in libera il primo tiro della via Franceschi, quello famoso con il tettino. Non ci riuscii, ma subito dopo la pioggia giustificò la ritirata generale.
Terminato il meeting, ci spostammo in zona Primiero, dove tra gli amici di Manolo trovai molta simpatia in uno dei suoi più fedeli compagni, Paolo Loss. C’era anche Roberto Bassi con il quale il 19 luglio tentammo di salire Lucertola schizofrenica al Monte Totoga. La mia seconda grandinata del mese ci bloccò all’inizio dell’ultimo tiro…
Con Paolo mi accordai per una breve puntata in Civetta. Il 20 luglio, saliti al rifugio Vazzoler, proseguimmo per il Campanile di Brabante perché ero incuriosito dalla storica via che Attilio Tissi aveva aperto per salire quell’inviolata torre. Domenico Rudatis, che faceva parte della cordata assieme a Giovanni Andrich, Carlo Franchetti e Re Leopoldo del Belgio, aveva fatto grande pubblicità al passaggio di sesto grado che Tissi dovette superare. Insomma, una via famosa, giustamente breve per un pomeriggio. Purtroppo mi dovetti attaccare a un chiodo… Spettacolare poi la discesa a corda doppia sulla vetta del Bòcia. Dopo una bella dormita al rifugio, il mattino dopo andammo alla base del caminone iniziale della via Videsott-Rittler-Rudatis allo spigolo sud-ovest della Cima della Busazza. In quel camino era l’altro passo di sesto pubblicizzato dal Rudatis nei suoi racconti: per credere, leggere il racconto di come Videsott lo superò!
Questa volta passai in libera abbastanza agevolmente, quindi proseguimmo spediti verso la vetta. In sei ore e mezza ci siamo bevuti questo grandissimo vione di 1100 metri, uno dei primissimi sesti gradi italiani anche se, in valutazione generale, al limite inferiore per l’impegno richiesto.
Il giorno dopo giornata di cazzeggio e riposo in una palestrina vicino a Fiera di Primiero, la Palestra di San Silvestro, assieme a Nella, Paolo Loss e il gigantesco Leopoldo Simion.
Seguirono giorni incerti, nei quali ci trasferimmo al Passo Pordoi dall’amico Almo Giambisi. Lì incontrai il trio errante di Benvenuto Laritti, Fulvio Mariani e Gianluigi Quarti, una compagnia di buontemponi con la quale ci facemmo un sacco di risate. Il 25 luglio attaccammo la via Dibona sul Bec de Mesdì, nel gruppo del Sella): la serie esilarante di stronzate pronunciate a raffica s’interruppe di brutto quando, circa a tre quarti della salita, un temporale venne a guastarci il divertimento. Eravamo su una comoda cengia. I tre, maledetti, tirarono fuori dai loro zaini giacche e sovrapantaloni impermeabili, nuovi fiammanti, mentre io dovetti accontentarmi della mia lisa giacca a vento. Per salire uno strapiombo dovemmo ricorrere alla piramide umana, poi c’infilammo nel camino finale dove la pioggia torrenziale si tramutò in grandine. Arrivammo in vetta che non aveva ancora smesso: l’unica mia consolazione era che, se io mi ero infradiciato subito, a loro questo era successo un quarto d’ora dopo, non di più. Però li invidiavo ugualmente, se non altro per i sovrapantaloni che almeno non li facevano tremare come invece facevo io. Ma già al rifugio Boè l’umorismo era tornato, e con lui un’altra valanga di stronzate.
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Che piacere vedere le foto del raduno di Alleghe! Quanti ricordi stupendi, le amicizie e le vie fatte con le ragazze !!! Sono passati 40’anni circa e ricordo ancora adesso quei momenti; ricordo perfettamente anche quel “fastidioso passaggio facile” in cui ero rannicchiata.
Nella prima foto si riconosce Gino Buscaini al centro in basso ….
Sull’immagine del Pan di Zucchero manca una via dei primi anni Ottanta ad opera di Roberto Canzan, Fabio Bristot, Marco Zago e (forse non ricordo bene) Mauro Piccolin, la via “Sogno degli omini rossi”. Grande Pol..