Un ricordo di Don Whillans

E’ l’introduzione al libro Don Whillans, ritratto di un alpinista, di Don Whillans e Alick Ormerod, traduzione di Silvia Mazza, Centro Documentazione Alpina (CDA), Torino, ottobre 2001. Il titolo fa parte della collana Le Tracce, diretta dalla stessa Mirella Tenderini.

Un ricordo di Don Whillans
di Mirella Tenderini

Avevo letto di lui e ne avevo sentito parlare tanto che mi sembrava già di conoscerlo, ma quando l’incontrai per la prima volta a Buxton nel 1984 confesso che rimasi intimidita. Non mi è mai successo con un alpinista: quello stesso giorno avevo conosciuto Chris Bonington e altri personaggi dell’Olimpo alpinistico britannico e mi ero ritrovata, come sempre con gli alpinisti, in buona cameratesca compagnia.

Don aveva un’espressione canzonatoria negli occhietti celesti e nella piega della bocca nell’angolo libero dalla cicca e non sembrò prendermi sul serio quando gli chiesi di intervistarlo.

Don Whillans e Chris Bonington. Foto: Adrian Bailey.

”C’è già scritto tutto nel mio libro”, disse. Ma il suo libro – questo, che ora pubblichiamo in italiano – era ormai esaurito e introvabile (Heinemann, Londra, 1971). L’avevo cercato invano a Londra in tutti i libri vecchi di Oxford Street e gli amici inglesi che ne possedevano una copia erano riluttanti a separarsene anche per breve tempo. ”Vorrei che mi parlasse di Gary Hemming’,’ gli dissi, ”Si ricorda? Le ho scritto che sto raccogliendo le testimonianze di chi l’ha conosciuto…”.

Si ricordava. ”Vediamoci e parliamone”, disse, ma non lo vidi più per tutti i giorni che durò il convegno organizzato dal British Mountaineering Council. ”Sarà al pub”, mi rispondevano quando chiedevo all’uno o all’altro se sapevano dove avrei potuto trovarlo. Dopo che il convegno fu finito, Ken Wilson, amico prezioso tra i più preziosi, mi combinò un appuntamento a casa di Don, nel Galles. Mi mise su un treno e mi prestò anche il suo registratore, perché il mio era andato in tilt.
Al mio arrivo alla stazione ad attendermi un Don Whillans sorridente, accompagnato da sua moglie Audrey, una signora gentile dall’aria riservata. La casa era piena di libri – in contrasto con l’immagine dell’uomo rozzo e illetterato che Don sembrava voler dare di sé. Libri di montagna, perlopiù, e mi accorsi che di montagna Don sapeva davvero molto.

Parlava volentieri, senza aspettare le domande, e la sua voce dolce e un po’ cantilenante per quel suo accento delle Terre di Mezzo dissolse del tutto l’espressione scostante del primo incontro.

La cosa che più mi colpì fu la generosità con cui parlava degli altri alpinisti e l’apprezzamento senza riserve dei suoi compagni di cordata.

La firma della nota a mano è di Ken Wilson, in cui lo stesso chiede il favore di fargli avere la traduzione dell’introduzione di Mirella tenderini

L’anno dopo venne a trovarmi in Italia, con un giovane amico conosciuto da poco, con cui era diretto alle Tre Cime di Lavaredo. Arrivarono dall’Inghilterra con due moto gigantesche e si installarono a casa nostra come se ci avessero abitato da sempre. Sembrava che non avesse fretta di arrampicare e preferiva contemplare le montagne standosene seduto tranquillamente a fumare in giardino, circondato da bottiglie di birra vuote.

”Ma sei sicuro di riuscire a fare la Nord della Grande senza allenarti?”, gli chiese mio marito. E aggiungeva preoccupato: ”Con quella pancia che hai!”. Don sorrideva malizioso socchiudendo gli occhietti celesti: ”In Dolomiti la pancia se ne va”, diceva calmo calmo. Vennero a trovarlo Casimiro Ferrari e Daniele Chiappa che lo aveva conosciuto in Patagonia, e ci fu un’epica festa in suo onore da Gigi Alippi, nel suo rifugio ai Resinelli, con asado e fiumi di vino. Noi ce ne andammo abbastanza tardi, la festa continuava ancora e questa volta Don era circondato da bicchierini di grappa vuoti. Il giorno dopo partirono di primo mattino per andare ad arrampicare al Sigaro. Fecero due cordate, Don col suo amico e mio marito con nostro figlio. Don si legò con la corda in vita senza imbragatura, accese una sigaretta, ripose il pacchetto sotto il berretto da dove l’aveva preso, e attaccò la parete con la cicca tra le labbra. Aveva sudato e sbuffato per salire fino alla base del Sigaro, ma non appena mise le mani sulla roccia si trasformò, divenne agile e leggero e salì con la grazia di un ballerino adolescente. Partirono il giorno dopo per le Lavaredo, con le grosse moto rombanti e la promessa di tornare a trovarci l’anno successivo. Nessuno di noi sapeva che quella era l’ultima estate di Don.

Quarta di copertina

Le principali ascensioni di Don Whillans
di Derek Walker
a cura di Mirella Tenderini (2001)

Questo libro si conclude con la scalata della parete sud dell’Annapurna, nel 1970; ma l’attività alpinistica di Don Whillans proseguì, sempre ad alto livello, fino alla sua morte, nel 1985, avvenuta per infarto. Ci sarebbe piaciuto completare il libro con il racconto delle sue imprese successive al 1970, ma il finale (Scalata terminata il 27. Ciao, Don) è una perfetta chiusura in perfetto stile Whillans. Il libro finisce proprio qui; ma per dare al lettore le notizie salienti sull’intera attività alpinistica di Don, pubblichiamo una cronologia compilata da Derek Walker, attuale presidente del British Mountaineering Council, che è stato compagno di cordata di Don e che ringraziamo per questo laborioso lavoro di ricostruzione, che ha fatto appositamente per noi.

Ecco dunque tutte le principali ascensioni di Don Whillans:

1933, 18 maggio Nasce a Salford, Manchester.

1947 Inizia a frequentare la montagna nel Derbyshire Peak District.

1950 Inizia l’arrampicata nel Peak District e Skye.

1951 Incontra per la prima volta Joe Brown nei Roaches e fa cordata con lui. È l’inizio del sodalizio alpinistico più formidabile nella storia dell’arrampicata britannica.

1951-62 Compie diverse salite di eccezionale difficoltà in Gran Bretagna, tra le quali: Sloth (1952), Goliath (1958) e Sentinel Crack (1959) nel Peak District; Surplomb (1953), Slanting Slab e Woubits (1955), Taurus e Cromlech Girdle (1956) nel Galles settentrionale; Triermain Eliminate e Dovedale Groove (1953) ed Extol (I960) nel Lake District; Sassenach (1954), Centurion (1956) e Carnovore (1958 e 1962) in Scozia.

1952 Prime vie sulle Alpi.

1954 Seconda ripetizione della parete ovest del Petit Dru con Joe Brown in velocità. Prima ascensione della parete ovest dell’Aiguille de Blaitière con Brown.

1956 Via Comici sulla Cima Grande di Lavaredo e parete nord-ovest della Cima Su Alto con Pete Greenwood (prima britannica).

1957 Prima spedizione (in Karakorum) – tentativo al Masherbrum fallito 100 metri sotto la vetta. Capospedizione Joe Walmsley.

1958 Prima ascensione britannica al Pilastro Bonatti al Dru – con Paul Ross, Chris Bonington e Hamish Mclnnes. Parete ovest delle Petites Jorasses con Joe Brown e Joe Mortimer Smith.

1959 Sperone Walker alle Grandes Jorasses con Les Brown. Seconda ripetizione della parete nord-ovest della Cima di Terranova, con Walter Philipp. Prima britannica del Pilastro Sud della Marmolada di Penia, con Steve Read. Via Cassin sulla Cima Ovest di Lavaredo e Pilastro di Rozes sulla Tofana con J. Smith.

1960 Spedizione al Trivor (capospedizione Wilfred Noyce); Don si ammala alla vigilia della salita in vetta. Rientra in Inghilterra da Rawalpindi in motocicletta.

1961 Prima ascensione del Pilone Centrale del Frêney, con Chris Bonington, lan Clough e Jan Djugloz. Via Brandler-Hasse sulla Nord della Cima Grande di Lavaredo con Keith Sutcliffe.

1962 Prima ascensione dell’Aiguille Poincenot in Patagonia, con Frank Cochrane (spedizione irlandese). Via Schmid-Krebs nel Karwendel e prima ascensione britannica della Nord-est del Badile con Chris Bonington.

1963 Prima ascensione della Torre Centrale del Paine, in Patagonia, con Chris Bonington – seguiti il giorno dopo da una cordata italiana condotta da Armando Aste.

1964 Tentativo sulla parete nord-ovest del Gauri Sankar, in Nepal, con lan Clough e altri.

1966 Partecipa alla Diretta invernale alla Nord dell’Eiger con ruolo di supporto. Scalate in Yosemite (parete nord-ovest dell’Half Dome, parete nord della Sentinel Rock, Lost Arrow, Crack of Doom).

1968 Tentativo sulla parete sud dell’Huandoy con un gruppo di alpinisti scozzesi.

1969 Sperone nord-est de Les Droites con Mick Burke.

Secondo risvolto di copertina

1970 Prima ascensione della parete sud dell’Annapurna, con Dougal Haston (spedizione Bonington). È la prima scalata di una grande parete a quota ottomila.

1971 Parete sud-ovest dell’Everest; con Dougal Haston raggiunge 8290 m e trascorre 21 giorni consecutivi sopra i 7450 m (spedizione internazionale).

1972 Parete sud-ovest dell’Everest: con Doug Scott raggiunge gli 8000 m (spedizione Herrligkoffer prima del monsone). Non viene invitato alla spedizione postmonsonica dello stesso anno (Bonington) né a quella del 1975 (sempre di Bonington) che raggiungerà la vetta.

1973 Climb to the Lost World al Roraima, Ande amazzoniche, con Mo Anthoine, Joe Brown e Hamish Mclnnes.

1974 Partecipa alla spedizione di Leo Dickinson che tenta la scalata della Torre Egger in Patagonia. Salvataggio di un membro della spedizione, Mick Coffey.

1976 Sperone ovest del McKinley (Denali) in Alaska con un gruppo di alpinisti britannici. Tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ’80 compie numerose scalate in Africa (Ice-Window sul monte Kenya), in America (Mount Whitney) e in Nuova Zelanda (Mount Cook).

1981 Spedizione con Doug Scott e altri allo Shivling.

1983 Ultima spedizione in Himalaya-Karakorum con Doug Scott e una squadra di forti alpinisti. Alla vigilia del suo turno per scalare la vetta, muore per sfinimento il suo compagno Pete Thexton, che aveva raggiunto la vetta il giorno prima. Don rinuncia alla salita.

1985, 4 agosto Muore a Oxford al ritorno da un tour in motocicletta con scalate in Dolomiti e a Chamonix. Alla fine dello stesso anno viene istituito un Don Whillans Memorial Fund.

1993 Viene inaugurato ai Roaches un rifugio intitolato a Don Whillans (Don Whillans Memorial Hut), sotto le rocce dove incontrò per la prima volta Joe Brown e vide per la prima volta sua moglie Audrey e dove scalò molte delle sue vie famose.

In Gran Bretagna – e ovunque sia conosciuto – Don Whillans è un mito non solo per la sua bravura e la sua audacia, ma anche per la generosità e considerazione per i suoi compagni. Sono numerosi gli episodi in cui si prodigò per soccorrere compagni infortunati, rinunciando persino a proseguire la salita, se necessario, senza alcuna esitazione. Come asserisce Ken Wilson (cui pure vanno i nostri ringraziamenti per la sua preziosa assistenza), Don era “una delle persone con cui era ideale andare in montagna. Con lui si poteva stare assolutamente tranquilli anche quando le cose si mettevano male“. Come nell’episodio di Hamish Mclnnes al Pilastro Bonatti raccontato in questo libro. Wilson ricorda anche come al Masherbrum, nel 1957, Whillans e Joe Walmsley erano arrivati a 100 metri dalla vetta dopo aver scalato un tratto di parete particolarmente difficile. Rimaneva da superare un canalino ripido ma non particolarmente impegnativo. A quel punto però Walmsley era stremato dalla fatica e Don, che avrebbe potuto agevolmente scalare da solo quegli ultimi cento metri, non volle lasciarlo ad aspettare e decise di scendere con lui. La carriera di Don Whillans è costellata di episodi di solidarietà che rendono alcuni suoi tentativi addirittura più ammirevoli delle salite riuscite.

La copertina dell’edizione italiana

Recensione
a cura di inalto.org
(pubblicato su inalto.org)

Non ci sono molte illustrazioni in questo volume, ma due di esse rappresentano perfettamente non solo un momento particolare, ma tutta una vita dedicata all’alpinismo. In primo luogo la copertina: l’uomo che vi appare non sembra certo una star.

Anche se l’epoca non era quella degli sponsor tecnici, la coppola quadrettata come Andy Capp (il personaggio delle strisce a fumetti), la giacca scolorita, la scarpa ginnica modello “naia”, rivelano un uomo dalla vita difficile, i cui problemi non erano solo quelli sportivi, ma molto più prosaicamente quello di “tirare avanti” fino alla fine del mese. L’altra immagine è nel risvolto della terza copertina: una trentina d’anni dopo non è cambiato granché, resta la coppola, la sigaretta… solo le corde sono in nylon anziché in canapa. Anche i “chili” sono cambiati: Don Whillans è apparentemente diventato un signore inglese ben in carne con la barba bianca. Eppure la roccia è sempre lì, a pochi centimetri dal suo volto, a testimoniare la sua “fedeltà” alla compagna di una vita (senza con ciò voler nulla togliere alla signora Audrey, che ha condiviso l’esistenza con Don).

Questa autobiografia, riveduta, corretta e qua e là sunteggiata da Alick Ormerod, ci presenta uno dei personaggi più famosi (nell’ambiente) del ventennio 1950-1970. Un duro e puro come solo chi viene dai ceti più umili riesce ad essere, con quel carattere riservato da vero inglese, ma con quella generosità ed umanità che solo i “grandi” in senso lato sanno avere. «Se devo tentare un bilancio devo riconoscere che forse, più che l’alpinismo in sé, sono le persone che ho incontrato a rendere la mia vita così ricca e interessante». Il che, detto da chi sovente aveva problemi a “mettere insieme il pranzo con la cena”, la dice lunga su quali erano per lui i valori fondamentali.
La vita di un alpinista è ovviamente costellata di salite e gli appassionati dell’azione pura troveranno nel libro tutta una serie di capitoli dedicati ai suoi maggiori successi. Per noi italiani riscuote particolare interesse la prima del Pilone Centrale del Frêney, avvenuta poche settimane dopo il tragico tentativo di Bonatti-Gallieni-Oggioni assieme ai francesi Mazeaud-Vieille-Guillaume-Kohlmann, che vide la morte di quattro dei sette protagonisti.
Manca anche una vera descrizione della Sud dell’Annapurna (spedizione Bonington), prima ascensione di una grande parete himalayana e punto più alto raggiunto dal nostro autore. Anzi, con poche righe l’argomento è liquidato e l’autobiografia si conclude in perfetto stile Whillans: «Scalata terminata il 27. Ciao, Don».
In realtà la sua attività proseguì con alterne fortune fino al 1985, quando un attacco cardiaco lo stroncò ad Oxford, al ritorno da un tour motociclistico nelle Dolomiti ed a Chamonix.
Come ricorda Mirella Tenderini, curatrice della collana che ospita questo volume, la sua è stata una carriera singolare, «costellata di episodi di solidarietà che rendono alcuni suoi tentativi addirittura più ammirevoli delle salite riuscite».

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Un ricordo di Don Whillans ultima modifica: 2023-12-10T05:07:00+01:00 da GognaBlog

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8 pensieri su “Un ricordo di Don Whillans”

  1. Mi sono comprato subito il suo libro su Amazon. Sarà la mia lettura nelle “vacanze” di Natale (il virgolettato si impone in relazione alla presenza del cedolino … INPS).

  2. Grande Don, quello che in un bivacco a 7000 metri fumava tranquillamente le sue paglie, guardato con gli occhi sgranati da Dougal Haston… Purtroppo ho conosciuto Bonington, ma non sono riuscito a conoscere Don… 

  3. Ho la versione in inglese “The Villain – The Life of Don Whillans” di Jim Perrin comprato in una piccola libreria a Garloch in Scozia nel 2014.

  4. È vero, Alberto.
     
    Nelle ultime due decadi si sono moltiplicati gli articoli la montagna e le attività sportive in genere, per indurre l’acquirente a credere che la sua performance migliorerà, se compra la cosa giusta. 
    La gente non ci crede che ciò che conta davvero si trova solo dentro di sé.

  5. È spettacolare questa foto che lo vede al bivacco, credo sul Pilone Centrale, con ai piedi le scarpe da tennis.

  6. Una storia molto romantica.
    Si fa davvero fatica a mettere insieme l’avvenente e aitante giovane della foto con l’immagine di un uomo appesantito.

  7. Esiste una fotografia di Don Whillans che lo ritrae invecchiato con una pancia enorme (enorme!) mentre arrampica sul Sigaro in quel lontano giorno del 1985, poco tempo prima della morte. Se non sbaglio, si tratta della stessa foto di cui viene presentato un ritaglio nel secondo risvolto di copertina dell’edizione italiana. È l’immagine della triste parabola della vita umana.
     
    Io però preferisco ricordarlo come in copertina: giovane e forte.
     

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