Metadiario – 308 – Una giornata perfetta (AG 2023-001)
Il 13 aprile 2023 la mail di Matteo Pellegrini era arrivata puntuale, come tutti i giovedì, alla sgangherata accozzaglia della solita dozzina di amici in lista, più o meno tutti milanesi, salvo affezionate eccezioni.
Già il giovedì stesso, ma a maggior ragione il venerdì, di solito si assiste allo scambio convulso di frasi tipo “qualcuno ha qualche idea?”, “io salto perché devo pascolare la famiglia”, “io ci ho i miei cazzi, beati voi bastardi”, ecc. Frequenza, quantità e lunghezza delle mail dipendono, come è ovvio, dalla maggiore o minore bontà delle previsioni meteo. Il chiacchiericcio è tanto più fitto quanto più il sereno è promesso: al contrario, in caso di pioggia quasi certa, vento patagonico o temperature ritenute polari, la conversazione si fa rarefatta fino a spegnersi.
Fino a sette od otto anni fa l’obiettivo era l’intero weekend: oggi innalzamento dell’età media, lievitare dei costi, fabbrica di qualche figlio, ma anche miserabile immobilità in basso di certi stipendi, hanno fatto sì che sempre più spesso ci si limiti alle monogiornate, rimandando alle vacanze pasquali o ai ponti particolarmente favorevoli il lusso di soggiorni arrampicatori più lunghi.
Siti come 3bmeteo, ma anche app ancora più sofisticate, sono consultati proprio da tutti, perché in realtà non ci si fida appieno del giudizio dei soci che l’hanno appena fatto ma che sono sospettati di tirare l’acqua al proprio mulino per le ragioni più svariate. Se non è bello ovunque, diventa essenziale sapere dove ci sono maggiori possibilità di un’arrampicata all’asciutto. In questi casi è prioritaria la decisione se andare a est (tipo valli bresciane, valle del Sarca o val d’Adige), oppure al centro (valli bergamasche, Lecchese, Val Masino o Valtellina o Valchiavenna in generale), oppure ancora a ovest, che significa bassa Valle d’Aosta oppure le valli piemontesi escludendo il troppo lontano Cuneese. Più rare sono le mete tipo Finale Ligure o la Svizzera, in genere riservate a pochi periodi dell’anno.
Altra grande variabile è l’incorreggibile voglia di affrontare “vie lunghe” (si fa per dire) confrontata con il ricorso alla falesia sportiva, che alcuni vedono come salvezza, altri come ripiego, altri ancora ricettacolo di FF (FrocioFalesisti, e sempre si fa per dire). Spiccano in particolare coloro che vedono nella falesia un brulicare di umanità molesta. Chi ha la fortuna, pur essendo milanese, di abitare in luoghi remoti, spesso conclude: “io sono qui, se volete andiamo dove so e voglio io”.
Vi chiederete: ma questi lo sanno che esistono anche i gruppi whatsapp, assai più comodi e immediati?
Certo che lo sappiamo… il problema è che Matteo si ostina, per motivi non chiari a tutti e pur essendo ingegnere, a usare un telefonino che sta ai moderni smartphone come un cavernicolo sta a un millennial. E del resto cosa possiamo aspettarci da uno che parimenti è riottoso ad abbonarsi al Telepass? Ma è un po’ lui il capobanda, dunque si fa come vuole lui. Salvo riempirlo di improperi nel caso di viaggio con la sua auto e coda al casello.
Tanto lunga premessa per introdurre un fatto del tutto nuovo nella nostra routine. Era ormai chiaro che gli unici due interessati a un programma per quella domenica eravamo Matteo ed io. Quando lo chiamo la sera del sabato, sento subito una voce ancora più entusiasta del solito.
– C’è una novità! Ho chiamato Elio Bonfanti, verrà assieme a Gloria con noi e… abbiamo appuntamento…
– Con Fiorenzo Michelin? – lo interrompo.
– Sììì… come hai fatto a indovinare?
Era semplicemente nell’aria. Sono anni che ripetiamo le vie che lui ha aperto oppure ha sistemato: ogni volta pieni di meraviglia e di gratitudine per la sua creatività e dedizione. Tra di noi l’avevamo anche soprannominato l’Heinz Grill delle valli torinesi, anche se sappiamo bene che i due personaggi sono assai diversi. Ma il lavoro compiuto nel tempo da Fiorenzo non è dissimile, per qualità e quantità, da quello di Heinz nella Valle del Sarca. Stessa fantasia, stesso intuito, identiche estetica, misura e attenzione ai dettagli.
Sì, era nell’aria. Più volte ci eravamo detti che ci sarebbe piaciuto, prima o poi, incontrarlo. L’unico contatto però era il suo sito, tanto essenziale e preciso nelle descrizioni delle vie quanto muto su questioni più personali, ivi compresi vita, mestiere, indirizzo, mail e cellulare.
Sappiamo solo che abita nella natia Val Pellice, che dovrebbe avere circa 74 anni e che arrampica ancora a pieno ritmo.
Nei pressi di Pinerolo, in una zona precisata solo quanto basta per incontrarci, abbiamo appuntamento con Elio e Gloria. Questa è genovese, ma da tanti anni vive a Torino condividendo le sorti con Elio. Come tutte le liguri, Gloria Bernardi difficilmente si fa indirizzare in qualunque tipo di comportamento, specie se a volerla dirigere è un uomo. Ne nascono talvolta dei battibecchi assai divertenti, almeno se visti da fuori.
Con loro è un altro torinese, il neurologo Antonio Migheli.
Alla mia battuta “Bene, così abbiamo anche un medico”, Elio si affretta a specificare che l’amico non sopporta la “vista del sangue”!
L’incontro con Fiurens è più o meno all’inizio della Val Pellice, a bordo strada. Matteo non sta nella pelle e, da espansivo milanese, quasi abbraccia il minuto ed esitante essere che, in tutta evidenza, non si aspettava tanto calore.
– Era da un po’ che volevamo conoscerti… ci fa proprio piacere…!
Conoscendomi di fama, Fiurens cerca di replicare almeno con me le attenzioni appena ricevute, e con ciò si smolla sensibilmente. Ma subito porta il discorso su terreno sicuro: – Dove volete andare?
Questa è la semplicità del fare. Di un uomo la cui volontà dev’essere rigorosa come quella del gneiss cui è abituato. Discrezione e misura abbinate alle fantasie più concrete, quelle rocciose. Un uomo di pietra al cui interno batte un cuore tutto da scoprire.
Lasciamo alla sua indiscutibile conoscenza dei luoghi il compito di dirigerci, non abbiamo alcun dubbio che la sua scelta sia la migliore. Il breve tempo che passa prima della sua proposta lascia intendere che avesse già deciso in precedenza: ben venga, che oggi sia lui il nostro Virgilio, duca, segnore e maestro!
Veniamo a sapere che l’ultima via che ha aperto, nel novembre scorso, corre su una bella struttura chiamata Sperone di Barfè, dal nome del villaggio in Valle Angrogna che ne è alla base. Dalla sommità, sarebbe sua intenzione traversare nel bosco e in discesa, ma senza sentiero, fino a raggiungere il fondo della valle del torrente Vandalino. Da lì risalire brevemente fino alla base della Parete di Embergeria, un’imponente lavagna di roccia scura con parecchi itinerari impegnativi e subito dopo iniziare la salita della via dei Lamponi profumati, sullo Sbalzo del Vandalino, che è sul lato opposto, rivolto a ovest e dunque al sole pomeridiano.
Questo bel programmino mi piace in modo particolare. La via dei Lamponi profumati, aperta da Gabriele Beuchod e Roberto Bonelli nel giugno 1980, l’avevo inserita nei miei Cento Nuovi Mattini, dopo averla ripetuta con Gabriele Beuchod e Marco Marantonio il 13 luglio 1980. In più sapevo che Michelin l’aveva ripercorsa, ripulendola coscienziosamente e attrezzandone le soste. In più aveva aperto una variante iniziale molto bella, senz’altro più coerente come difficoltà con il resto della salita che non la lunghezza originaria, in realtà percorsa in artificiale.
Insomma il programma ci piace a tal punto che, dopo aver portato una delle due auto un paio di km più oltre e terminati i preparativi, al momento della partenza Elio dimentica una corda su una staccionata, per fortuna non ben visibile dalla strada per via delle auto. Nessuno se ne accorge e partiamo tutti e sei baldanzosi. Elio si era comunque caricato di un’altra corda, così non è necessario tornare a prenderla. Dopo una ventina di minuti siamo ormai all’attacco, ed è lì che lui si ricorda di quella corda. La dimenticanza non è poi così grave, ma le salaci battute di Gloria sul suo stato mentale sono inevitabili… Noi aggiungiamo che, a corda ritrovata, questa sera gli sarebbe toccato pagare almeno un giro di birre!
Sotto di noi è lo splendore di una Valle Angrogna che più verde non si può; sopra di noi fugge lo sperone roccioso a risalti. Ed è particolare che gli alberi, ben radicati nel canalone a sinistra, siano alti sempre quanto lo siamo noi durante la salita. Un effetto strano, la sentiamo come una specie di protezione.
Antonio fa sicura a Fiurens che, messe le scarpette e l’imbragatura, parte per primo, sparendo alla nostra vista dopo neppure mezzo minuto. Sappiamo che le prime due lunghezze sono di 5b, dunque non ci aspettiamo difficoltà gravi, ma neppure potremo correre. Per secondi si avviano Elio e Gloria, la quale sul tettino a 10 metri da terra qualche difficoltà la trova. Ma lei ci scherza sopra, dice d’essersi messa in “modalità sofferenza” e procede come un carro armato.
Tocca poi a Matteo e a me: ci godiamo i primi due tiri, felici di essere qui, in questa giornata e con questi compagni, peccato però vedere Fiurens solo da lontano…
Matteo affronta il terzo tiro, un elegante spigolo affilato che richiede delicatezza e tecnica (5c); poi vado davanti io sul quarto, una breve “dülfer” al fondo di un diedro, poi una liscia placca quasi verticale sulla faccia destra, infine un entusiasmante passaggio di uscita. Il tutto fino al 6a, ma con evidente e grande lavoro di pulizia. Tiro stupendo, letteralmente strappato a terra, muschio, licheni, rovi e quant’altro.
Alla Sosta 4 la via sembra finita. Poi invece ci accorgiamo che poco sopra, dopo un facile tiro di raccordo, c’è un’altra parete che continua lo sperone. Matteo fa dunque la sesta lunghezza, data di 6b, che si rivela essere ancora più bella della precedente e ancora più faticosamente ricavata: molto varia e lunga 30 metri, ha il suo passaggio chiave nell’alternare mani e piedi in una doppia fessurina superficiale. Quando poi affronto l’ultima lunghezza, vedo che Gloria sta sparendo dietro all’orlo sommitale. Un attimo dopo vedo affacciarsi Fiurens con l’evidente intenzione di fotografarmi su questo bel tiro di 6a.
Me la cavo con sufficiente dignità e mi preparo per fare sicura a Matteo. Lui intanto mi chiede un parere sulla via, io ne sono entusiasta e lodo in generale il suo intuito e in particolare la sua dedizione. In queste quattro parole mi chiede quanti anni ho: gli rispondo che vado per i 77. Allora il suo viso si illumina:
– Però! Te li porti bene… e comunque mi posso consolare: almeno altri due anni ce li ho di buono, per poter anch’io scalare ancora così…
Nel frattempo Matteo ci raggiunge e visto che stavo parlando con il nuovo amico, con un sorriso a 32 denti si spertica in lodi e giubilo.
Rimesse le scarpe per camminare, seguiamo Fiurens che, come il più navigato dei valligiani, si muove agile in questo bosco dal fondo irregolare e improbabile. Devi sempre stare attento a dove metti i piedi, ma si procede sempre in leggera discesa.
Mi esce una battuta: – Beh, almeno per questo concatenamento non si possono usare né parapendio né elicottero…
Dopo una ventina di minuti arriviamo al torrente Vandalino, che oltrepassiamo su alcuni sassi che affiorano. Per via della siccità, la quantità d’acqua non è propriamente primaverile. Dall’altra parte c’è il sentiero, a volte attrezzato, che serve per raggiungere la Parete di Embergeria. Michelin ci fa vedere l’attacco di una via che non si può più raggiungere per via che nel tempo il corso del torrente ha deviato. Poi risaliamo un masso con tanto di due primitivi gradini di ferro e cavo d’acciaio. Arriviamo così al sole, alla base dello Sbalzo del Vandalino. Qui l’acqua scorre tra due placconate e per attraversare preferiamo legarci.
Sopra di noi incombe la via dei Lamponi profumati, vedo sia la lunghezza dell’attacco originale sia la variante a destra aperta da Fiurens. Quest’ultimo sembra quasi giustificarsi con me a causa della sua decisione di aprire un attacco alternativo. Gli rispondo che è molto logico, caso mai era l’itinerario originale a non esserlo, perché costringeva a una scalata in artificiale. E la variante a destra sicuramente era stata scartata per via dell’eccessivo lavoro di pulizia che avrebbe richiesto.
Fiurens però sostiene che in più oggi l’attacco originale sarebbe impedito dal mutato corso dell’acqua. A me francamente non sembra, anzi. Con una spaccata, neppure troppo ampia, ci si può afferrare al primo metro di roccia. Ma la discussione è puramente teorica e nessuno dei due insiste. In ogni caso quella lunghezza di trenta metri, attrezzata per la libera, così a occhio viaggerebbe sul 7a, pertanto è al di fuori delle possibilità delle nostre attuali vite.
In compenso sembra che la parte alta sia proibitiva, perché incombe su di noi in modo preoccupante. Ma Michelin ed io sappiamo che non è così… Quando si è lassù si trova una via in mezzo a tutto quello strapiombare.
Mentre attraversiamo il torrente, Matteo mi bisbiglia che Elio gli ha sussurrato che Fiurens avrebbe piacere a legarsi con me. Probabilmente il nostro è l’incontro di due diverse timidezze: infatti anch’io avrei desiderato la stessa cosa ma, preferendo l’approccio diretto all’obliquo, alla fine non mi ero mosso e lasciavo che le cose andassero per il loro verso. Come sapesse che ormai ero al corrente, Fiurens mi si avvicina e assieme ci prepariamo alla base della via, distante circa una ventina di metri dal punto dove avevamo traversato.
Nel frattempo erano anche arrivati Gloria ed Elio, rallentati dalle improvvise bizze di lei nel superamento di quel masso munito di scalini distanti, arrugginiti e storti. In genere un maschio non concepisce che si possa rifiutare un ostacolo come quello dopo aver salito dignitosamente una via di sette lunghezze con difficoltà fino al 6b. Ma tant’è. La stessa cosa si ripropone davanti al passaggio nella corrente d’acqua, ma a noi che siamo un po’ distanti giunge voce che Gloria non voglia fare la seconda via. Niente di più sbagliato, quello che lei non vuole, con conseguente nervosismo, è semplicemente una scivolata in acqua…
Fiurens mi chiede se voglio andare io sul primo tiro. Sapendo che il passo chiave è nel secondo e immaginando che il 6b+ non perdoni nulla esattamente come la volta scorsa 43 anni fa, scelgo di partire subito.
– Va bene – mi dice – tanto io su quel diedro mi attacco a due chiodi lo stesso, sia da primo che da secondo.
La seconda lunghezza è un breve diedrino, all’apparenza abbastanza innocuo. Fiurens sale come un gatto fino al passo chiave poi, senza esitazioni, si attacca allo spit piazzato da lui l’anno scorso e si ristabilisce velocemente sul comodo terrazzino superiore. Quando poi tocca a me, giunto al passo duro, sento la corda che mi tira con energia. Normalmente sotto questo genere di sollecitazioni non protesto mai, però qui, in questa scomoda posizione, tutta storta, il tiraggio mi dà molto fastidio.
– Per favore, non tirare, ché mi stai sbilanciando.
La trazione cessa immediatamente, ora posso impostare il passaggio che necessita di far forza sulla punta delle dita della mano destra in un fessurino verticale appena accennato. Riesco nel movimento duro ma, con la sinistra già salda su un appiglio buono, mi accorgo di non aver staccato il rinvio dalla corda…! Fiurens non mi ha avvertito perché troppo impegnato a fotografarmi, così sono costretto ad appendermi un attimo per recuperare il fottuto rinvio. Peccato!
La via prosegue con un’esposta traversata a destra, bella e piuttosto facile; poi la quarta lunghezza supera una placca meravigliosa, dotata di una stupenda fessura. Il quinto tiro tocca di nuovo a me, e si tratta proprio della lunghezza che dal basso non si indovinava: quella che permette di superare gli strapiombi con un’arrampicata entusiasmante. Il passo duro (6a+) è dato dallo strapiombo finale, fessurato obliquamente, che supero incastrando gamba e braccio sinistri ed emettendo una lunga serie di muggiti da sforzo.
L’arrivo in cima è sereno, Fiurens vuole fotografarmi subito su di un masso che sporge fortemente nel vuoto. La Parete di Embergeria è proprio di fronte, contrasto scuro e ombroso con noi che siamo al sole sorridenti.
In breve giungono Elio e Gloria, con quest’ultima decisamente soddisfatta della giornata e della sua prestazione. Quest’ultimo anno per lei non è stato tanto facile: ritrovare una condizione fa sempre piacere. Poi ecco Matteo e Antonio, così siamo ancora lì a ridere e scherzare, tutti e sei.
La giornata è ancora abbastanza lunga, Matteo ed io pregustiamo una goduriosa merenda sinoira, da qualche parte che certamente qualcuno saprà.
Riscendiamo al torrente, recuperiamo il sentiero ma questa volta lo seguiamo in discesa. Oltrepassiamo un argano, diligentemente ricoperto da un telo impermeabile: Fiurens mi fa notare il lavoro che c’è ancora dietro a questi boschi per fare legna: “se ne fanno di culo”, conclude.
Poco dopo traversiamo la piccola frazione di Làouza, che Fiurens ci aveva avvertito essere solo saltuariamente abitata, contrariamente a una volta. Infatti c’è solo una coppia di anziani, un lui e una lei, con cui Fiurens scambia qualche battuta in rigoroso dialetto della Val Pellice. Comprendo quasi tutto quello che si dicono, e poi mi metto a ridere quando il discorso finisce su quanto siamo matti noi che andiamo a scalare quelle rocce.
Ci si saluta e proseguiamo. Qualche metro dopo Fiurens mormora: – Sì, sì… siamo matti, dice. Già… E se sapesse che due sono venuti perfino da Milano…
Ancora una decina di minuti di mulattiera e arriviamo al ponte di legno sul torrente Angrogna. Risaliamo alla mia auto e raggiungiamo il posteggio di Barfè.
La corda di Elio è ancora lì!
Poco dopo decidiamo di andare a far merenda a San Pietro Val Lémina. Non è proprio sulla strada, ma Antonio, Gloria ed Elio sono sicuri ne valga la pena. Qui riceviamo l’unica brutta notizia della giornata: Fiurens non sarà dei nostri, preferisce andare diretto a casa perché ha da fare delle cose. Lì per lì non insistiamo.
Giunti alla sua auto, ci riproviamo, ma senza risultato. Non rimane che accomiatarci, con la promessa di scambio di fotografie e di ulteriori visite. E’ stato bello, ma tutto ha una fine.
Giunti al bar trattoria Ardité ci passa immediatamente la tristezza. Essere in un posto dove degli uomini alle quattro del pomeriggio giocano a carte è cosa meravigliosa. E vedere che l’anziana matrona proprietaria del locale gioca con loro usando le stesse colorite espressioni è ancora più fantastico!
Intanto la figlia di costei ci fa accomodare in una saletta spoglia, ma è una nudità stranamente calorosa, dove l’antico sposa l’attualità essenziale.
Il vino della casa è onesto e va giù che è un piacere: alla fine saranno due i litri bevuti, con Gloria astemia. Ma ne abbiamo ben donde, con due interminabili giri di antipasti, gli agnolotti e il dolce… Una festa, che conclude con le gioie del palato questa giornata perfetta, che neppure l’idea di avere ancora quasi 200 km da fare per tornare a casa riesce a incrinare.
E’ proprio vero che le cose migliori avvengono e succedono quasi sempre per caso…
Per concludere, voglio riportare lo scritto dell’Accademico del CAI Marco Conti, che così si è espresso in un suo commento al mio post dedicato a Fiorenzo Michelin:
“Come già ampiamente scritto e ribadito da più parti, Fiorenzo non ha solo ripreso, rivalutato e aperto itinerari bellissimi sulle “pareti di casa” per noi pinerolesi, tanto per capirci (Bourcet, Gran Dubbione, Cristalliera, ecc. in Val Chisone, e tante, tantissime pareti e paretine della Val Pellice, dal Vallone degli Invincibili, a Punta Ostanetta, passando per la parete del Pis fino alle pareti più remote e spesso trascurate della conca del Prà). Fiurens è stato ed è tutt’ora un instancabile esploratore e valorizzatore di luoghi e pareti per molti quasi sconosciute. Sull’onda esplosiva dello spit di fine anni ’80, tramite l’influenza di Gianfranco Rossetto, che con il sottoscritto frequentava assiduamente le pareti francesi del Briançonnaise e dei Cerces, è riuscito a portare anche sulle nostre pareti quello che Jean-Michel Cambon e compagni stavano facendo sulle montagne d’oltralpe. Dapprima in maniera più rozza e artigianale, poi via via sempre più moderna e soprattutto sempre più sicura e in un certo qual modo “divertente”. Attenzione però a non confondersi o fraintendere… le multipich di Michelin e compagni non sono mai troppo pericolose, ma neppure mai banali o scontate, e forse sta proprio in questo mix di severità, sicurezza e divertimento il grandissimo successo dei suoi itinerari per un vasto e quanto mai entusiasta pubblico di seguaci. Su queste basi, e su questa straordinaria quanto lunghissima dedizione all’arrampicata e divulgazione della stessa, vorrei come gruppo accademico occidentale proporre quanto meno un riconoscimento particolare a Michelin, un premio meritatissimo alla carriera per quanto ha fatto e continua a fare”.
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Matteo, era una considerazione che avevo fatto 20 anni fa e la consideravo scontata.
Grazie del supporto Marcello, ma io ne faccio una questione più politica, se posso.
Non vedo perché dovrei pagare per fare un favore a gente che usa i miei soldi per risparmiare licenziando casellanti e poi, alla prova dei fatti, non riesce (o non vuole!) nemmeno manutenere bene i viadotti autostradali.
Grande ammirazione per Matteo che è riottoso ad abbonarsi al Telepass!
Il Telepass (l’ho avuto, quindi so di cosa parlo) è uno strumento da schiavi del sistema. Una persona libera davvero, non si abbasserà mai al Telepass.
Io no lo vorrei avere manco se me lo regalassero, intendo i pedaggi, oltre allo strumento. Mi sembra oltretutto una cosa da veri sfigati.
Matteo tieni duro.
Mi ricordo tanti anni fa (troppi anni fa, chasserual … ) una via del Fiorenzo alla punta Ostanetta. Ricordo bene quel cordino che pendeva … da un raccordo a “T” da idraulico martellato in una fessura. Una specie di “marchio di fabbrica” del “Fiurens d’la Val Peli”. Impossibile “rampiè” nel pinerolese e non imbattersi in una delle sue bellissime vie.
Grandissimo !!!
#3 Bello il vallone di Massello, bellissimo il Pelvo e la sua via dagli spit blu, ma ancora di più la Via dell’Arcobaleno alla sua base..
Anch’io penso (da tempo) come Marco Conti che il Club Alpino Accademico dovrebbe accogliere (se il suo regolamento- che non conosco – lo consentisse; ma mi permetto di aggiungere che è sempre questione di interpretazioni) o comunque tributare un riconoscimento alla straordinaria attività di valorizzazione ed esplorazione (ma anche propriamente alpinistica) di Fiorenzo Michelin delle Alpi piemontesi e pinerolesi in particolare. Alcune vie sono esteticamente straordinarie e di concezione, direi, geniale.
Dell’enorme lavoro di Michelin ritengo che uno dei più significativi sia la la valorizzazione e l’apertura di tantissime vie nel vallone del Bourcet dove il lavoro di pulizia e disgaggio è stato imponente.
Ma io, più alpinista che arrampicatore, resto legato emotivamente al suo spigolo Nord del Pelvo di Massello. Una cavalcata non difficile ma che per ambiente, isolamento e avvicinamento è una bella avventura da 1.500 metri di dislivello fra avvicinamento e arrampicata. Credo con pochissime ripetizioni…
Fiorenzo Michelin è un personaggio unico, non è che ami le sue valli, non è che sia in sintonia con esse.
Lui è le sue valli.
Credo che il primo che usò l’espressione genius loci avesse in mente qualcuno come Fiorenzo.
A quanto pare i 200 km dopo la merenda sinoira per Alessandro sono la norma. Visto che è successa la stessa cosa pochi giorni fa a Finale dopo un incontro a sorpresa alla Scaletta di Feglino con me, mia moglie Marta e le figlie di Alessandro: Elena e Petra.
E crepi la barista. Si fa per dire.