Sarà presentata e condivisa il 26 novembre 2022 alle ore 10 presso la Sala Stemmi del Museo nazionale della Montagna, Piazzale Monte dei Cappuccini 7 – Torino
Mille firmatari per una proposta che farà storia
di Enrico Camanni
Sono più di mille i primi firmatari del progetto Una Montagna Sacra per il Gran Paradiso, e sono persone di radici e culture molto diverse: alpinisti, escursionisti, naturalisti, giornalisti, scrittori, artisti, montanari, frequentatori rispettosi di ogni vita e di ogni luogo che hanno condiviso con entusiasmo la proposta. Nessun conquistatore.
La presentazione del progetto sarà il 26 novembre 2022 alle ore 10 presso la Sala Stemmi del Museo nazionale della Montagna, Piazzale Monte dei Cappuccini 7 – Torino.
La filosofia del progetto
Il progetto, nato dall’idea di Toni Farina e Antonio Mingozzi per onorare i cent’anni del Parco nazionale Gran Paradiso con un’azione di alto profilo che si spingesse oltre la mera celebrazione, ha raccolto l’adesione di un qualificato ventaglio di sostenitori, in forma associativa e individuale, tra cui: il Club Alpino Italiano e l’Alpine Club di Londra, gli alpinisti Kurt Diemberger, Fausto De Stefani, Hervé Barmasse, Alessandro Gogna, Manolo, il climatologo Luca Mercalli, l’antropologo Duccio Canestrini, i giornalisti Paolo Rumiz, Michele Serra, Enrico Camanni, il regista Fredo Valla, i saggisti Guido Dalla Casa e Silvia Ronchey, gli scrittori Paolo Cognetti, Matteo Righetto, Tiziano Fratus, Daniela Padoan, Raffaella Romagnolo, gli attori Giuseppe Cederna, Lella Costa, Giovanni Storti.
In un’epoca avida di performance e povera di spirito, in una società segnata dalla competizione e dal dissennato consumo delle risorse naturali, i sostenitori del progetto auspicano che almeno su una cima – identificata con il Monveso di Forzo, l’elegante triangolo a cavallo tra la Valle Soana e la Valle di Cogne – ci si astenga dalla “conquista” per riscoprire il significato del limite. Si tratta ovviamente di un atto simbolico: fermarsi sotto la cima lasciandola ai giochi del vento è scelta rivoluzionaria per una cultura antropocentrica e “padrona”.
Niente di confessionale: il termine “sacro” va inteso in senso laico, nel segno del rispetto e della contemplazione. E niente di costrittivo: la “Montagna Sacra” non sarà mai un luogo di divieti. Il progetto non prevede alcuna interdizione formale e nessuna sanzione pecuniaria. Molto più semplicemente, l’impegno a non salire sul Monveso è una scelta culturale, un libero ammonimento, un vivissimo auspicio, nella speranza che venga compreso e abbracciato dall’intera comunità.
Per maggiori dettagli
www.sherpa-gate.com/la-montagna-sacra/
https://www.facebook.com/montagnasacra
Programma dell’incontro pubblico del 26 novembre 2022, ore 10, Sala Stemmi del Museo nazionale della Montagna
Piazzale Monte dei Cappuccini 7 – Torino
con il coordinamento di Rosalba Nattero
Saluto di Bruno Migliorati (CAI – Presidente Comitato Direttivo Gruppo Regionale Piemonte)
Saluto di Lorenzo Giacomino (Sindaco di Ronco)
Apertura
Antonio Mingozzi e Toni Farina: “Una Montagna Sacra per il Gran Paradiso”
Relazioni
Alessandro Gogna “La libertà del limite”
Guido Dalla Casa “La Montagna Sacra e l’ecologia profonda”
Riccardo Carnovalini “Cercando il Dio delle piccole cose”
Paola Loreto “Lo sguardo e la voce della poesia”
Ettore Champretavy “Corsa e contemplazione in montagna: l’apparente paradosso”
Intervengono on line
Daniela Padoan “Nello spirito della Laudato Si’”
Giuseppe Cederna “La bellezza, l’invisibile e il Pellegrino”
Conclusione
Enrico Camanni
Sarà proiettato in anteprima il documentario Montagna Sacra
di Alessandro Gogna e Achille Mauri
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Toni, ti ho visto, ho cercato più volte di salutarti, ma eri sempre circondato da mille persone.: comprensibile. Non mancheranno occasioni per chiacchierare di persona. Cmq, complimenti vivissimi per il Convegno: le sale gremite (ben due, la seconda collegata telematicamente alla principale) lo dimostrano ben più del mio apprezzamento. Ciao!
Per Carlo Crovella. Peccato non esserci conosciuti
Interessante il Convegno al Monte dei Cappuccini (TO) il 26 u.s.: sale gremite. Molti sarebbero i punti da riportare. Mi ha particolarmente colpito un concetto: mentre “andare” è tendenzialmente scelta individuale (quindi autonoma, soggettiva, presumibilmente egoistica), “non andare” si consoliderà solo se diventerà scelta collettiva. “Scelta” e non “imposizione”, ovviamente. Si infittiscono quindi i segnali di una crescente consapevolezza all’interno della comunità degli appassionati di montagna.
Una idea bislacca, un arzigogolo logico che cerca di conciliare sacralità e laicismo. Una banalità suggestiva per anime belle intuppate di animalismo, ecologismo, antispecismo, e noia di esistere
“raggiungere la cima è un momento liberatorio. ”
e’ l’estasi dell’anima
La raggiungere la cima è un momento liberatorio.
“Panem et circenses”, “Panem et circenses”, “Panem et circenses” e impunità! Venghino siore e siori, venghino! Ce n’è per tutti e per tutte le esigenze. Guai a lasciare gli italiani senza leggi da infrangere, ne andrebbe di mezzo l’incolumità di tutti i loro amministratori, dall’ultimo al Primo che, visti quanti sono (?), non sanno più cosa inventarsi per non crearsi nemici e per continuare a sbarcare il lunario, comodamente. Quando uno ha la panza piena se ne fotte di tutto e di tutti e niente più lo riguarda, permettendo così ai manovratori di continuare ad agire a tutto campo e indisturbati. Di sacro, reale, c’è solo la loro poltrona e quello che ci poggia sopra.
Personalmente ritengo motivante il percorso per arrivare in cima e non la cima fine a se stessa. Anche nei commenti precedenti chi esalta la cima poi racconta con più dettagli la salita, racconta del rifugio, della gente incontrata e così via ma della cima dice poco! Questo perché la salita non parte dall’ultimo parcheggio che abbiamo lasciato, ma dall’allenamento, dalle salite precedenti, dalla ricerca e la scelta, insomma una gran bella fetta di vita.
@12
La mia affermazione era volutamente esagerata ma tanto per rafforzare il senso di salire in cima. Anche UTMB è Tornato non arrivano in cima a nulla o quasi e di certo non sono passeggiate…
Nel contesto rievocato dal tema, affermo che è il Vandelli a profanarla 😔
Enri, non tutti i giri circolari sono passeggiate.
Quello del Sorapìss, partendo all’alba dal rifugio Vandelli e tornandovi al tramonto, è stata, perlomeno per me, un’esperienza grandiosa. Altro che passeggiata!
Ciao
Un buon tema, di questi tempi ove il peccato ed il relativo senso di colpa non è più religioso ma è ambientale. Sentiti in colpa se fai gite sui monti, se raggiungi la vetta, se dopo una settimana di lavoro e di pianura, prendi la macchina e vai sui monti anche solo vicino a casa.
Sul tema si possono fare convegni, incontri, suggerire patentini e lasciapassare. È il filone del momento. Un peccato non seguirlo. Oggi va così, nel post pandemia che ha sdoganato il lockdown. Buona vita a tutti.
Sottoscrivo il N. 6. Si va in montagna per andare in cima. I giri circolari li classifico alla voce passeggiate.
Per i 100 anni del parco non sarebbe stato meglio e più’ concretamente utile “sacralizzare” per esempio il modo in cui si sale alla vetta principale? Cioè’ mettendo in discussione l’accesso al parcheggio, immenso, di Pont, al modo di gestire rifugi Chabod e Vittorio Emanuele: sono stato l’ultima volta a dormire 10 anni fa, alle sei di sera l’ambiente non era quello di un rifugio di montagna ma molto simile ai Navigli di Milano… Da allora non ho voluto mai più’ mettere piede in quel rifugio come in molti altri, a costo di accollarmi aggiuntivi metri di dislivello e partire ad improbabili ore notturne, scoprendo alla fine che il gioco e’ ancor più’ divertente e di molti rifugi se ne può’ fare proprio a meno.
Peccato, questa era un’occasione per osare un’azione più’ dirompente e mi spiace.
Comunque auguri
Nepal e Tibet hanno alcune vette sacre. Anche in Australia ci sono vette sacre. Sono collegate a culture molto diverse dalla nostra. Il punto è quale sia il senso dentro la cultura occidentale, alpina … la nostra
Nei paesi nordici probabilmente l’appello verrebbe valutato diversamente. In Italia non c’è nulla di più attrattivo della richiesta di non fare qualcosa o andare in un luogo. Il via sarà dato dal primo che si farà il selfie con la montagna sacra e lo pubblicherà su facebook. Dopodiché prevedo una crescita esponenziale degli escursionisti in zona Monveso, almeno fino a quando circolerà la notizia, poi torneranno i silenzi e la solitudine.
A me non piace andare in cima alle montagne, preferisco fare percorsi diversi, ma mi viene voglia di andare in cima a questa montagna solo perché la parola “sacro” e tutte le sue declinazioni (compresi gli onnipresenti simboli su qualsiasi minima elevazione) mi fanno venire l’orticaria.
Un più alto valore simbolico, e pratico, avrebbe avuto la chiusura della strada che porta al colle del Nivolet al traffico privato, e non solo qualche weekend estivo.
A mio modesto avviso sono iniziative che non portano nulla. Evitare di andare in cima? che senso ha? Posto che la cosa sia limitata a questa cima e allora nulla di “grave” a me sembra soltanto il simbolo della decadenza mentale e psichica della societa’ odierna. La famosa decrescita felice (che non esiste sia chiaro), ritorniamo a vivere come la nonna, etc. Una sorta di castrazione mentale, di abbassamento degli obiettivi che via mass media qno vuole (e ve lo dico anche il perchè… perchè la domanda è satura, l’economia è piena di debiti e han cavato sangue dai sassi e ora si inverte marcia per smantellare il tutto, ma proprio tutto, per poi ripartire… tra 100 anni rideranno delle nostre scelte di non andare in cima) Sicuramente ci sono problemi di affollamento, uso di una risorsa limitata. Ma questi problemi li risolvi togliendo impianti, rifugi, etc.
Facendo scarpinare la gente (e gia’ qui scremi gran parte dell’utenza di massa)…
Altro che non andare in cima. La cima è la cosa piu’ bella in montagna, non faccio quasi mai giri circolari…li faro’ quando saro’ vecchio… ma sempre cime perchè la cima non hai barriere allo sguardo, e allo spirito, alla visione dell’eden terrestre. Togli la parte piu’ essenziale della montagna. E poi è anche una forma mentis personale di raggiungere gli obiettivi (ma è di secondaria importanza questo). Saluti.
Concordo con Mauro, vedere, respirare sacralità in un luogo è un fatto del tutto soggettivo. Le sensazioni, le emozioni che si respirano sono personali, non si può generalizzare, altrimenti diventa un luogo comune, un luogo che ci si va perchè è di moda.
Ho il vago timore che l’iniziativa, per quanto lodevole, possa avere l’effetto di aumentare la frequentazione di un luogo che fino ad oggi era pressoché sconosciuto. Si tratta di una zona che richiede avvicinamenti importanti, nel cuore del Parco, dove fuori dal periodo estivo non mi è mai capitato d’incontrare altre persone, bensì d’incontrare tanti animali. Un aumento della fruizione seppur sostenibile, temo possa cancellare la magia e quindi appannare la sensazione di sacralità del luogo. La sacralità di un luogo mi sento di dire che sia una nostra proiezione, pertanto un fatto soggettivo, una sorta di percorso da noi al luogo. Nel momento in cui si dichiara un luogo sacro e lo si pubblicizza, ho la sensazione che il percorso s’inverta e siamo noi ad adattarci ed uniformarci alla sacralità di un luogo definito come tale da terzi.
E’ un’idea provocatoria (evviva Dio! non ne sento da un po’), visionaria e impossibile da realizzare per statuto. Si scontra con la libertà di circolazione negli spazi di montagna, non è applicabile per decreto legge, non possono essere sovvertiti i Piani del parco. Ma è un’idea meravigliosa e potente (ho firmato) perché fa leva, a mio parere, sulla libertà decisionale del singolo e sul senso di autoresponsabilità CONDIVISA. Un manifesto di presa di coscienza. Forse i tempi sono maturi (il dialogo multireligioso, l’appello alla sobrietà, l’esigenza di mettere in cima ai nostri pensieri i valori ecologici su quelli dell’era dell’Antropocene, il superare ogni colonialismo di tipo mentale) per affrontare questo bisogno collettivo e riposto nell’angolo della nostra sensibilità. I nostri antenati lo facevano perché era esigenza e rispettoso mistero verso ciò che accade al di fuori di noi. Siamo mortali, siamo vulnerabili e niente è per sempre, neanche le montagne che attraverso i secoli mutano i crinali (pensiamo alla fusione dei ghiacci perenni). Aggiungerei: e cominciamo a non apporre più simboli sulle cime ma ometti di pietra. Se è sacra una montagna cerchiamo di rispettare di più ogni cima da questa invadenza pervasiva di segni antropici e culturali. Prego Alessandro Gogna, se può, di fare una sintesi dell’incontro del 26 sul suo blog perché siamo tutti interessati! Buon convegno.
L’idea è lodevole, ma temo si creerà una processione di gente che si fermerà sotto la cima, gente che probabilmente mai ci andrebbe. Comunque apprezzo che qualcosa si faccia per sensibilizzare anche se sarebbe oramai ora di far sul serio e lasciarci alle spalle i gesti simbolici. Che so, l’estensione del parco nazionale o creare una ampia zona di tutela e rispetto tutto attorno per esempio. Comunque lodo l’impegno e, come si dice, la “messa della faccia” da parte di molte firme che stimo e con cui condivido i temi. Come di dice da noi : Speren ben, dai
E dunque sia.