Si è svolto il 13 luglio 2021 il consiglio direttivo del Parco nazionale Gran Paradiso. Su richiesta del consigliere Toni Farina, nelle varie ed eventuali si è trattata la proposta “Montagna Sacra”, ovvero il documento progettuale inviato dal comitato promotore (qui di sotto pubblicato) sull’idea dello stesso Farina e di Antonio Mingozzi.
Il Presidente Italo Cerise e tutti i consiglieri si sono espressi in modo contrario al fatto che l’ente parco faccia proprio il progetto.
Alcuni hanno sostenuto che l’idea è in sé è bella ma non può essere il parco a sostenerla.
C’è da chiedersi, anche alla luce di quanto accaduto in Germania: ma se non è un parco centenario che sostiene un progetto culturale che ha come scopo la creazione di consapevolezza ambientale, chi lo deve fare? Progetto che tra l’altro non ha alcun costo e non prevede vincoli e divieti. Il presidente dovrà rispondere e prima o poi conosceremo le motivazioni di questa scelta.
Nel frattempo, come ovvio, il progetto prosegue (ente parco o non). E’ stato costituito un Comitato autonomo che presto inizierà la sua attività di comunicazione.
Quanti intendano aderire lo possono comunicare all’indirizzo mail montagnasacra22@gmail.com, indicando la qualifica con cui intendono apparire.
Una “Montagna Sacra”
(per il centenario del Parco nazionale Gran Paradiso)
a cura del Comitato “Una Montagna Sacra per il Gran Paradiso”
Torino, 8 luglio 2021
Le premesse
1922. Una data storica per la conservazione della natura in Italia. E’ l’anno che ufficializza l’istituzione del Parco nazionale Gran Paradiso (PNGP), seguito, a poche settimane, anche del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM).
L’istituzione dei primi due parchi nazionali italiani – tra i primi anche in Europa (preceduti dai PN istituiti in Svezia, Svizzera e Germania) – salva dall’estinzione tre specie “iconiche” della grande fauna italiana: lo stambecco nel PNGP, l’orso marsicano e il camoscio d’Abruzzo nel PNALM. La loro istituzione consente altresì la tutela di paesaggi, ecosistemi, comunità e specie animali e vegetali di straordinario valore scientifico e culturale e segna la nascita dell’ambientalismo pionieristico italiano.
Il prossimo anno, 2022, ricorrerà quindi il centenario dei due parchi, “fiori all’occhiello” del sistema di aree protette nazionali. La ricorrenza sarà occasione di manifestazioni, dibattiti, mostre, incontri e pubblicazioni, già in fase di preparazione da parte dei due Enti. Forse, per un’occasione del genere, serve proporre qualcosa di più.
Le problematiche ambientali che, cent’anni orsono, hanno portato alla nascita di PNGP e PNALM, come di altri parchi nazionali in Europa e altrove, sono ben diverse da quelle che l’umanità deve oggi fronteggiare e già evidenziate, nel 1972, dallo studio del Club di Roma “The limits to Growth”. La distruzione di ambienti e specie – culminata in Italia negli ultimi decenni del XIX secolo – è oggi connessa a minacce di scala globale, quali il riscaldamento climatico, la sovrappopolazione, l’inquinamento, l’esaurimento delle risorse, in associazione a una presenza umana sempre più invasiva e permeante gli ecosistemi. La natura intatta, libera o quasi da impronta umana (“the human footprint”), si trova relegata a pochi angoli e a estensioni sempre più limitate del nostro Pianeta.
Il territorio del PNGP, come quello della maggior parte delle aree mondiali protette (l’85% di esse non supera i 1.000 km2), copre un’estensione relativamente ristretta (710 km2). Il Parco tutela le ricchezze biologiche racchiuse al suo interno, ma poco può fare verso problematiche di scala globale.
Non del tutto.
Per la sua storia, per tutto ciò che ha rappresentato e rappresenta nel panorama della conservazione, anche a livello internazionale, il PNGP può e deve fornire, proprio in occasione del suo centenario, un segnale culturale forte per la tutela della natura, un messaggio di responsabilità, nuovo e dirompente, comparabile a quello che, cent’anni orsono, ha significato la sua istituzione. Il centenario del PNGP (come del PNALM) deve essere occasione per ripensare il ruolo di queste istituzioni. Un ruolo di riferimento, più incisivo di quanto sinora avuto, per far sì che la transizione ecologica non sia solo affidata alla tecnica, ma sia anche e, soprattutto, transizione culturale.
La prima riflessione
L’anno della pandemia, l’anno del confinamento degli uomini nelle loro abitazioni, ha visto gli animali ricomparire in spazi “umani” con una rapidità sorprendente. Noi chiusi, loro liberi. Ma il confinamento ha anche prodotto, appena le norme lo hanno consentito, un’esplosione di presenza umana nelle aree protette, come mai prima. Un’affluenza che impone nuove riflessioni verso le necessità di rispetto e tutela delle aree di natura più delicate. E’ evidente, infatti, che anche le attività ricreative “verdi” (escursionismo, ciclismo, corsa, arrampicata, sci alpinismo, canoeing, ecc.) pongono problemi d’impatto sull’ambiente, determinato non tanto dai mezzi (in sé, “eco-compatibili”) con cui sono praticate, ma dall’intensità (numero di persone) e dalla frequenza (ricorrenza temporale) del fenomeno.
L’impatto non è slegato dalla coscienza con cui le attività sono praticate, ossia una natura fruita dai più come spazio, come palestra delle proprie attività, luogo d’azione e di soddisfacimento personale e non come ambiente, magari fragile ed esclusivo, di vita di altri esseri.
Tutto lascia ipotizzare che numeri e modalità di questo uso ludico-sportivo-ricreativo di natura si manterranno o, anzi, incrementeranno negli anni a venire. Il primo problema per la conservazione nelle aree protette è già, e sarà sempre più, l’impatto turistico/ricreativo di massa.
Il PNGP racchiude uno spicchio di straordinari ambienti alpini. Ambienti simbolo, per loro stessa natura, di inacessibilità, inviolabilità e di dominio della natura. La realtà non è esattamente questa. Tutte le cime del Parco sono “classiche” alpinistiche. Le arrampicate, su roccia o ghiaccio, sono ampiamente diffuse e praticate da numeri rilevanti di persone. Non esistono nel Parco luoghi o aree precluse agli uomini o non raggiungibili da alpinisti esperti.
Le altre riflessioni
– Invasività e alterità.
L’Uomo è di gran lunga la prima e più importante specie invasiva. Da quando è uscito dall’Africa (l’“Out of Africa” degli antropologi) Homo sapiens ha poco per volta raggiunto e colonizzato – unica specie vivente – ogni angolo del mondo, Antartide esclusa. La sua espansione si è accompagnata alla scomparsa degli “altri”: le tre-quattro specie cugine del genere Homo prima esistenti e poi migliaia di altre specie (quante scomparse prima di essere descritte?), in percentuali elevatissime tra quelle di grandi dimensioni e insulari.
Ora siamo quasi 8 miliardi e il numero crescerà ancora, sin oltre i 10 miliardi. Quale spazio avranno gli “altri” in un mondo sempre più sovrappopolato e antropizzato? Forse lo spazio di un’Arca di Noè? No, non basta. Limitate ad aree ristrette (popolazioni numericamente piccole), le specie inevitabilmente si estinguono e non tutte si adattano a vivere in ambienti antropizzati.
Indipendente da ogni diretto tornaconto umano, è nostra etica responsabilità consegnare alle future generazioni la ricchezza biologica che abbiamo conosciuto (già notevolmente impoverita rispetto al passato). Per farlo, si dovrà pensare di lasciare spazio alla “alterità” (ciò che non è noi), decidendo di escludere la nostra presenza da date aree del Pianeta, da (con)sacrare agli altri. E’ l’idea recentemente espressa anche da Edward O. Wilson – il Darwin del XXI secolo – con il suo libro Metà della Terra.
– Conquista e limiti.
L’idea della conquista (la “mad ambition”), la stessa che ci ha condotto in ogni angolo della Terra, sulla Luna e, tra qualche anno anche su Marte, è profondamente insita nella natura umana, tanto da averne forse una base genetica. L’idea della conquista è, soprattutto, fortemente radicata nella cultura alpinistica, ne è, in qualche modo, l’anima stessa.
La natura alpina, da oggetto di ammirazione estetica dei romantici, è divenuta con l’alpinismo (e anche con la scienza) luogo di conquista e di sottomissione, a scopo militare, sportivo e ora soprattutto turistico.
Un’anima che si è, peraltro, fortemente trasformata negli ultimi anni, con la prevalenza dell’esibizione sociale sulla semplice soddisfazione privata. E’ il momento del protagonismo, delle performance sportive autocelebrative, praticate da persone indifferenti (in percentuale non trascurabile) al rispetto e alla conoscenza dei luoghi, nonché al relativo impatto della propria presenza. Palestre all’aria aperta più che ambienti, come si è detto, terreno prediletto per mettere in scena il superamento di ogni limite (quello della verticalità, della fatica, delle prestazioni, della velocità, dell’affollamento, del deterioramento degli habitat naturali…).
Forse è giunto il momento di porsi dei limiti, superando il concetto novecentesco della conquista “no-limits”, come già fecero – in grande anticipo sui tempi – gli scalatori del Nuovo Mattino negli anni Settanta, che respinsero l’obbligo e il feticcio della vetta.
E’ tempo di cambiare. Conquiste non più fisiche, ma spirituali. Cime come luoghi da lasciare “inviolati” alle aspirazioni di “possesso” fisico, ma fonti di ispirazione, contemplazione e riflessioni interiori.
La Montagna Sacra
La proposta è semplice, priva di costi e di divieti: istituire una Montagna Sacra nel Parco nazionale Gran Paradiso, una montagna consacrata alla natura da cui escludere ogni presenza umana, per dare senso e concretezza al centenario del Parco. Un’idea progettuale “rivoluzionaria” – in quanto capovolge dei modelli culturali: da no-limits a off-limits – di grandissimo valore simbolico, più che direttamente finalizzata alla conservazione (come nel caso delle riserve integrali).
Un’idea mai realizzata ex novo nel mondo occidentale. Montagne sacre, nel senso religioso del termine, esistono in altre culture. Sono sacri alle culture locali il Machapuchare 6993 m (Nepal) e il Kailash 6638 m (Cina), preclusi all’accesso umano e, quindi, all’alpinismo, e l’Uluṟu – Ayers Rock, nell’omonimo parco nazionale australiano, vietato all’accesso turistico nel 2019.
Nel nostro caso, il termine sacro vuole enfatizzare un altro significato. La sacralità è, in effetti, una costruzione culturale, declinata in molte forme da diverse culture, anche come visione laica.
Sacro come simbolo di tutta la Natura. Sacro non vuole quindi avere alcun collegamento a una particolare religione, né essere segnale di un particolare misticismo. La più antica etimologia del termine, d’altra parte, indica un luogo elevato e inaccessibile, affascinante, a prescindere dal culto religioso.
Montagna Sacra come luogo da lasciare esclusivamente agli “altri”, come simbolo affettivo ed emotivo della Natura tutta per il suo valore intrinseco, non in funzione umana.
Non tutto quello che siamo in grado di fare deve essere fatto. Non tutte le montagne che siamo in grado di salire, devono essere scalate (conquistate). Per una volta, in un luogo almeno, può prevalere l’idea dell’astensione. Astenersi non significa necessariamente privarsi. In questo caso, l’astensione, più che togliere, regala qualcosa. Si tratta di un simbolismo profondo, un simbolismo di dialogo con gli elementi naturali senza sopraffazione, che stimoli sentimenti di fascinazione e affiliazione. Sono i due costrutti individuati da Edward Osborne Wilson nella sua ipotesi della biofilia.
Un luogo che incrementerà il proprio valore simbolico nel tempo: con che occhi sarà guardata quella cima dopo generazioni di assenza umana?
La Montagna Sacra non sarà luogo di divieti. Un progetto culturale non può basarsi sull’imposizione. Non vi sarà, quindi, alcuna interdizione formale, nessun divieto d’accesso, nessuna sanzione pecuniaria per chi non vorrà “astenersi”. Molto più semplicemente, l’interdizione all’accesso sarà una scelta suggerita e, alla fine, (possibilmente) condivisa e rispettata da tutti. Il rispetto dell’area dovrà basarsi sulla condivisione e sull’autocontrollo sociale. Se qualcuno riterrà di dovere comunque salirci, renderà pubblica la propria insensibilità e il proprio egoismo.
Un progetto che propone una nuova forma di fruizione del Parco, totalmente diversa dalle attuali. Intorno alla Montagna Sacra si potranno costruire, con la collaborazione degli operatori locali, itinerari e punti di sosta che pongano l’enfasi sull’osservazione e non sulla conquista, sul momento di conoscenza e di contemplazione più che sulla competizione sportiva, così da generare riflessioni sul nostro rapporto con la natura e promuovere una diversa cultura della fruizione della montagna e, più in generale, degli ambienti naturali.
Quale e perché
Il progetto propone di eleggere il Monveso di Forzo 3322 m a “Montagna Sacra” del Parco nazionale Gran Paradiso.
La scelta è motivata dalle seguenti ragioni:
a) Si tratta di “una delle più eleganti montagne del vallone di Forzo” (https://vallesoana.it/attivita-sportive/alpinismo/monveso-di-forzo/), la cui forma di “slanciata piramide quadrangolare” (Gran Paradiso, Andreis, Chabod & Santi, CAI-TCI 1980) – da qualunque versante la si guardi -, rappresenta l’icona delle cime alpine nell’immaginario collettivo.
b) Si trova sulla cresta spartiacque tra Piemonte e Val d’Aosta ed è quindi condivisa dai due versanti del Parco.
c) Sul versante piemontese, la cima si trova alla testata del Vallone di Forzo (Val Soana) e, assieme alla Torre di Lavina, ne caratterizza in modo importante il paesaggi. La cima è ben visibile già dalla media valle. Sul versante valdostano, si localizza sul versante destro del Vallone di Valeille (Val di Cogne) nel gruppo di cime detto “Le Arolle”, ed è visibile da Gimillan e, anche se in modo meno prominente, dall’abitato di Cogne. Il Monveso è visibile dalla pianura canavesana e dall’area metropolitana torinese.
d) Il gruppo de Le Arolle, di cui il Monveso fa parte, racchiude “montagne belle e solitarie” e dove “gli incontri umani sono al limite dell’inesistente” (https://gognablog.sherpa-gate.com/le-arolle-montagne-belle-e-solitarie/). Il Monveso costituisce, in effetti, una meta alpinistica da sempre molto poco frequentata, per il suo isolamento e per l’impegno fisico richiesto al raggiungimento della sua cima (dislivello di 2144 m da Forzo e di 1700 m da Lillaz).
L’istituzione del Monveso a “Montagna Sacra” comporterebbe quindi l’esclusione umana da un’area (l’intera piramide) già attualmente frequentata in modo limitatissimo a fini alpinistici ed escursionistici. C’è però da ritenere che proprio la sua istituzione costituirebbe un “unicum” attrattivo, per una fruizione turistica responsabile e a distanza, particolarmente rilevante per la Valle di Forzo.
Primi sottoscrittori
Giuseppe Barbiero ‐ ecopsicologo (Università Valle d’Aosta)
Luisella Battaglia – Presidente Istituto Italiano di Bioetica
Franco Baudino – montanaro di Elva
Piero Belletti – Segretario generale Federazione nazionale Pro Natura
Diego Bianchi, Laura Tempesta – Chalet Rosa dei Monti, Piamprato Soana
Giuseppe Bogliani – Zoologo, Università di Pavia
Luisa Bonesio – Direttore Museo dei Sanatori di Sondalo
Giorgio Boscagli
Fabrizio Bottelli – Direttore Oasi WWF Giardino Botanico di Oropa
Enrico Camanni ‐ scrittore, giornalista, alpinista
Duccio Canestrini ‐ antropologo
Milena Carrara – scrittrice, traduttrice
Daniele Cat Berro – Redattore Rivista Nimbus
Andrea Cavallero – alpicoltura, Università di Torino
Guido Dalla Casa ‐ filosofo e scrittore
Giovanna Davini – dottore forestale, prima donna guardaparco al Gran Paradiso”
Marcello Dondeynaz – membro Consiglio di Amm.ne Parco naturale Mont Avic
Toni Farina ‐ membro Consiglio direttivo Parco nazionale Gran Paradiso
Franco Ferrero ‐ Direttore Consorzio Operatori turistici Valli del Canavese
Maria Grazia Gavazza – Presidente Comm-TAM CAI Piemonte Liguria Valle d’Aosta
Ivana Grimod – Guida naturalistica del Parco Gran Paradiso
Pietro Lacasella ‐ blogger Alto Rilievo
Beppe Leyduan ‐ blogger I Camosci Bianchi
Matteo Lener – biologo, Ispra, Progetto Life Sic2Sic
Sandro Lovari
Massimo Manavella – Rifugio Selleries, Roure Chisone
Luciano Mazzoni Benoni – antropologo – Religions for Peace
Roberto Menzio – Rifugio Massimo Mila Ceresole Reale, Valle dell’Orco
Giuseppe Mendicino – scrittore, dirigente comunale
Luca Mercalli – Presidente Società Meteorologica Italiana
Franco Michieli – geografo, esploratore, scrittore
Bruno Migliorati – Presidente CAI Piemonte
Antonio Mingozzi ‐ zoologo (Università Calabria), già Direttore PNGP
Federica Moretti, Libreria dell’Orco, Ceresole Reale
Adriana My – Italia Nostra Piemonte
Alberto Paleari – guida alpina in pensione, scrittore
Pietro Passerin d’Entreves, zoologo, già Rettore Università della Valle d’Aosta
Paolo Pileri – Politecnico di Milano, Dip.to Pianificazione ambientale e territoriale
Piermauro Reboulaz – Presidente CAI Valle d’Aosta
Enrico Rivella – biologo naturalista, ARPA Piemonte
Silvia Ronchey – Università di RomaTre, Dipartimento di Studi Umanistici
Annibale Salsa – etnografo alpino e filosofo, past President CAI
Michele Serra – giornalista, scrittore
Francesco Tomatis – Un.tà degli Studi Salerno, Dip.to Scienze Patrimonio culturale
Marco Varda – guida ambientale escursionistica Regione Piemonte
Boris Zobel – ex Direttore Centro di Educazione ambientale di Pra’ Catinat
Altri sottoscrittori
Silvana Accossato – ex Presidente Commissione Ambiente Cons. Reg. Piemonte
Rolando Ballestroni – Presidente – Gruppo Walser di Campello Monti
Elio Barello – Associazione Amici del Parco nazionale Gran Paradiso
Sergio Beccio – ex Presidente Parco del Po cuneese – beccio@isiline.it
Giulio Beuchod – guida alpina
Andrea Bocchiola – psicoanalista, alpinista
Vanda Bonardo – Presidente CIPRA Italia, responsabile Alpi Legambiente
Fabrizio Bottelli – Direttore Oasi WWF Giardino botanico di Oropa
Dany Boute – cittadino belga con casa a Boschiettiera
Stefano Camanni – Presidente Cooperativa Arnica
Emanuela Celona – giornalista
Piero Cresto-Dina – insegnante
Alberto Farina – insegnante
Assunta Prato – insegnate in pensione, amante della montagna
Donatella Steffenina – Guida Parco nazionale Gran Paradiso
Dario Zocco – Direttore Parco del Po piemontese
Leggo, su un sito “di alpinismo” la proposta della Montagna Sacra, in occasione dei 100 anni del Parco del Gran Paradiso. Ne abbiamo parlato qui ad agosto e, dopo un paio di mesi, fuor di polemica, ripropongo qualche mia considerazione. Il fine della proposta sarebbe anche condivisibile: la montagna non è un luogo, per forza, a nostra disposizione. Io però ritengo che faremo qualcosa di concreto se cominceremo ad eliminare gli aiuti che, nei decenni, sono stati realizzati per facilitare la salita in vetta: strade sempre più invasive nelle valli, rifugi sempre più simili ad alberghi, corde fisse a facilitare salite superfamose…. Ecco, magari un corda in meno, sul Cervino, sul Dente, una porzione di valle a traffico limitato e magari, che ne so, per i 100 anni del Parco, la strada viene chiusa a Valsavaranche e chi vuol salire si fa il resto della valle a piedi? Oppure per i 100 anni del Parco fare come Montagna Sacra proprio la vetta del Gran Paradiso? Ai promotori: questa proposta sembra un po’ fatta con il freno a mano tirato, perchè non scegliere una vetta più conosciuta? Le mie possono sembrare provocazioni, ma servono gesti concreti. Senza dimenticarsi che le persone locali (ristoratori, guide, negozianti ecc.) vivono del territorio e quindi non ha senso lanciarsi in battaglie ideologiche che mettono gli uni contro gli altri. Qualche aiuto in meno su certe vie risveglierebbe l’interesse di tanti alpinisti che hanno smesso di frequentarle per sovraffollamento. Forse più clienti si rivolgerebbero alle Guide, essendo aumentata la difficoltà. Azioni concrete e condivise si possono realizzare. Si sta parlando di un progetto per un differente mezzo di comunicazione fra Courmajuer e Val Ferret, molto interessante, speriamo sia un grande passo avanti per la salvaguardia di un vero paradiso terrestre.
La proposta di rendere il Monveso inaccessibile, come già ebbi occasione di dire, mi lascia molto freddo e le modalità, temo, rischiano di ottenere l’effetto contrario. Mi permetto un solo consiglio ai promotori; il termine Sacro lasciatelo a ciò che è realmente Sacro per ognuo di noi, sia questo una Chiesa italiana, un Monastero Buddista, l’Everest per gli sherpa….. Se questa proposta andrà avanti, questa vetta non sarà un luogo Sacro ma solo proposto come inaccessibile.
È interessante l’approccio penitenziale di molti frequentatori della montagna. Indubbiamente legato a dinamiche psichiche che concepiscono la vita come espiazione di colpe arcaiche, queste persone non riescono neppure a concepire l’idea che dove essi cercano sofferenza gli altri cerchino e trovino sano divertimento.
Questi altri diventano subumani da rieducare: insomma come i selvaggi devono essere convertiti dai nuovi gestori del sacro.
Buffo
commento 50
ma di quale passo avanti vai farneticando!!
vuoi stare riunchiuso nei tuoi bui e fumosi bar sabaudi? Bene stacci pure ma non ti permettere di voler limitare la libertà delle persone.
Se di salto di qualità vogliamo parlare, questo deve avvenire con una limitazione delle infrastrutture che aggrediscono sempre di più la montagna banalizzandola, non certamente con una limitazione alla libertà dell’individuo.
Caro Signor Crovella, sono rimasto allibito dal suo commento, il numero 50; si rende conto della violenza delle sue parole? lei si lamenta di una costituzione a suo dire obsoleta perchè garantirebbe troppa libertà di circolazione ai cittadini Italiani?? no ma, i francesi direbbero ” j’hallucine” ! lei ha persino auspicato che detta costituzione venga rivista per far fronte a nuove esigenze (??)..e chi le detterebbe queste esigenze? lei? stia stranquillo signor Crovella, questi sono tempi in cui le costituzioni valgono meno della carta igienica (l’abbiamo visto con la pandeminchia..alla faccia del diritto di circolazione) e quelli come lei possono dormire sonni tranquilli: la vita civile, i processi democratici e le libertà costituzionali che tanto la disturbano sono finite. Per il resto che posso dirle..lei è una persona triste Crovella, è uno che passa il suo tempo libero a tentare d’impedire ai suoi simili il libero accesso ai luoghi naturali (ultima oasi e difesa che avevamo contro la follia del mondo); mi sorge spontanea una domanda adesso: ma l’autore di questo blog non gestiva un osservatorio per la libertà di frequentazione della montagna? io l’ho sempre apprezzato moltissimo per questo..ma allora vorrei proprio sapere cosa ne pensa l’autore di gente come lei Crovella (e di tutta questa discussione delirante) che flirta con i divieti, le imposizioni e secondo me non disdegna la deriva autoritaria nella quale siamo piombati da due anni a questa parte ; buona montagna signor Crovella, io continuerò ad andare dove mi porta il cuore (ovunque valga la pena insomma) alla faccia sua, delle riserve integrali, di quei padreterni dei guardiaparco e di tutti quelli che vorrebbero toglierci questo tesoro immenso che è l’esperienza della wilderness (in autonomia);
Il film e’ molto bello, non sveliamo la trama ne’ la fine per chi non lo ha visto. Volendo calarlo nel tema, ordinare vietare e punire sono certamente peggio che persuadere e ottenere il consenso. Ma se una zona geografica deve rimanere inviolata allora si deve controllare, con cio’ che ne consegue per coloro che la violano. Senno’, se non si controlla, avremmo alcuni, persuasi, che rispettano l’idea e altri, disubbidienti, no? Non avrebbe senso. In effetti come si riesca a realizzare l’inviolabilita’ mi sfugge ma probabilmente non ho letto attentamente.
Circa l’esercizio della leadership, per andare fuori tema ma su un tema tristemente attuale, andate leggervi come Napoleone risolse in un solo giorno il problema di coloro che appiccavano incendi…
Crovella. Visto che anche a te piace il cinema, se non l’hai visto ,ti segnalo “Allarme rosso” con Denzel Washington e Gene Hackman del 1995. Il tema è quello di come educare/guidare/influenzare gli uomini, in altri termini esercitare la leadership. Hollywood a volte è molto sottile nell’incarnare in personaggi diversi i contrastanti aspetti di un problema e le diverse visioni che sottendono. Fa riflettere ed anche molto avvincente. Come deve essere un buon film. Buona visione.
Scrivo molto perché mi piace scrivere, a prescindere (come diceva Toto’). Lo sa bene il povero Gogna che viene mitragliato dai miei testi. Scrivo su qualsiasi argomento, ben al di là della montagna. Scrivo in media 40-50 cartelle al giorno, a volte anche di più, sommando quelle per lavoro con quelle per diletto. Molte pagine trovano pubblicazione, altre non escono neppure dal mio pc. Quindi scrivo anche solo per me stesso. Mi piace anche “educare”, ma solo dove ci sono prerequisiti minimi da parte degli interlocutori, es allievi di scuole di montagna ecc. Sotto il profilo delle possibilità di crescita dell’umanità… sono molto scettico, è come parlare al vento. Per questo temo che l’idea in questione restera’ poverella. Diverso se si fa arrivare, con fondamenta inoppugnobili sul piano giuridico, un verbale da 5.000 euro ai trasgressori del divieto… quello sì che educa!
“Ma se ritieni il genere umano non emendabile perché impieghi parte del tuo tempo a scrivere sul blog? Al posto di andar sui monti…”
Lo strano caso del dottor Crovella e di mister Carlo.
Dear Crovella. Ultima replica anche per me che sennò questo ping pong diventa fine a se stesso. Una vera palla.
Diciamo così: la questione è, come si diceva un tempo, politica. Per mettere barriere alle strade occorre appunto una scelta politica, una maggioranza politica (nazionale, regionale, comunale, ente parco) che faccia quella scelta. E tali maggioranze si creano se il popolo elettore ha una “cultura” (brrrrrr) tale da indurlo a votarle. Il classico gatto che si morde la coda.
Comunque la mia mail e il mio cell in rete li trovi, se vuoi proseguire.
Comunque 2: ma se ritieni il genere umano non emendabile perché impieghi parte del tuo tempo a scrivrere sul blog? Al posto di andar sui monti…
A essere sincerissimo, dai l’impressione tu di non comprendere il succo di quello che ti viene detto. Ci provo un’ultima volta. Sull’efficacia dei progetti “culturali” io non credo affatto, non solo su questo tema, ma in assoluto nella vita. Per aver fiducia nella capacità di “convincere” gli altri essere umani, occorre credere nell’intelligenza di tali essere umani: ovvero se avanzi loro delle argomentazioni fondate, li “convinci”, perché “capiscono”. Ma, osservando l’umanità, ogni giorno io constato che l’umanità manca di intelligenza e quindi reputo inutile avventurarsi su quel sentiero. Prendi, a puro titolo di esempio, il sottostante commento n. 7: non riuscirai mai a “convincere” individui del genere. L’unica cosa che c’è da fare è impedire fisicamente l’accesso, trovando un meccanismo che, tecnicamente e giuridicamente, sia inattaccabile. Mettete un cancelletto d’accesso ai valloni e, se qualcuno sgarra ed entra di nascosto, fategli arrivare un verbale da 5.000 euro… una cosa così è molto più “istruttiva” che migliaia di discorsi vuoti e illusori. Specie gli italiani, poi, capiscono solo quando li si tocca sugli “sghei“. Obiettivi come quelli che ho sintetizzato mi interesserebbero, mentre ripeto che l’iniziativa in questione, per come emerge dai tuoi scritti, è, allo stato attuale, una minestrina insipida e riscaldata: già un anno fa la giudicavo un’idea deboluccia, ora è passato un anno e sei ancora a parlar delle stesse cose… Se cambi marcia, magari mi incuriosisci, se resti a menarla su cose vuote e inefficaci, ti lascio andare per la tua strada…. Ciao!
Sig Crovella non vorrei peccare di ottimismo ma le dico che l’iniziativa non è al palo.
La sua proposta è fattibile nell’ambito del piano e del regolamento del parco che sarà discusso a breve in consiglio. Ma è un’altra cosa. Correlata per certi aspetti ma altra cosa. Si chiamano riserve integrali o semi integrali e hanno come finalità la tutela di specifici habitat. Nel pngp oggi non esistono ma prima o poi è un vuoto che andrà colmato. Non si tratta di progetti culturali ma di scelte tecnico scientifiche. Altra cosa appunto.
Spiace non capirsi. Magari su un sentiero o davanti a una birra. O ai piedi della piramide del Monveso
Nell”articolo qui sul blog dell’ottobre 2020, a livello di commento della redazione, si avanzava l’ipotesi che l’iniziativa potesse, allora, indirizzarsi verso la Becca di Moncorve’: leggere per credere. Per quanto riguarda me, io sarei proprio per “vietare”, il pu ti è che forse non si riesce. Il cambio concreto di passo lo vedrei cosi: dal 1 luglio al 31 agosto (di ogni anno) vietare l’accesso al Monveso (lato Cogne si controlla esempio dal casotto di Arolla, lato Forzo si controlla facilmente col binocolo vallone poco frequentato storicamente…). Al limite si contingenta l’accesso degli umani con prenotazioni (tipo un giorno alla settimana) e solo tramite accompagnamento con guardiaparco. Un po’ come all’isola di Montecristo. Questo lo troverei un salto di qualità, un passo avanti. Sono iniziative giuridicamente possibili? Da verificare. Purtroppo ho i miei dubbi, stante la Costituzione in essere (libertà individuale di movimento). Altro motivo che mi convince a considerare la Costituzione ormai obsoleta, non per colpa dei Padri Costituenti, ma solo perché sono passati 70 anni e il contesto generale è radicalmente mutato. Torniamo all’iniziativa: se si possono fare passi come quello sinteticamente tratteggiato, allora è idea interessante, ma appunto occorre varare i passi concreti, vetigicandone i prerequisiti giuridici. Se invece tali passi non sono oggettivamente perseguibili, per ostacoli giuridici insuperabili, l’iniziativa dà idea di essere al palo, al massimo si rigira il mestolo nello stesso torrone…
Sig Erri grazie, però non parli più di divieto: perché non esiste ed è un fatto fondamentale.
La sttendo sulla strada del Nivolet l’anno prossimo. Senza polemica, ovviamente
Buona fine estate
Sig. Farina, premesso che le auguro i migliori successi nelle attivita’ in campo ambientale che svolge, ma, abbia pazienza, perche’ se la prende tanto? Se lancia un’iniziativa e cerca adesioni deve anche accettare che vi siano critiche, giusto? E le valuterei per quello che sono, sia che provengano da esperti del settore o da fannulloni che sanno solo criticare. Se poi lei e’ comunque convinto della sua idea, la portera’ certamente avanti senza curarsi di chi le dice che sarebbe meglio fare altro. Un saluto
Sig Enri, ma lei dove ha letto la parola “vietare”? Me lo dica perché è una informazione sbagliata. Le fake sono molto diffuse e sono fonte di guai.
Ciò detto, lei ha ragione: ci sono sicuramente cose più concrete e importanti da fare. In quest’epoca post ideologica inventare un simbolo è davvero esercizio inutile e desueto. A che servono mai i simboli?
Comunque per restare nell’ambiyo territoriale, nel parco dove sono inutilmente consigliere mi arrabatto finora inutilmente per limitare l’afflusso di mezzi motorizzati al Colle del Nivolet. Non ho mai pensato (che cavolo) a dar vita a comitato e raccoglier adesioni. Però se qiualcuno lo fa (uno a caso: lei) io le assicuro adersico all’istante e contribuisco ventre a terra.
E le assicuro non dirò: il Nivolet, ma cos’è, ci sono luoghi ben più significativi.
Lo, me ne rendo conto, avrei dovuto evitare questa inutile polemica, ma come la sua anche la mia reazione è dettata da umana condizione. E quindi fallace.
Vede in questi miei 50 anni di attività in campo ambientale sa quante volte mi sono sentito dire: “ma cos’è sta roba che fate, con tutto quel che c’è da fare. Ecco, c’è da fare un comitato per il Nivolet. La aspetto, mi raccomando, non mi deluda.
Campagna di comunicazione e raccolta di adesioni per vietare l’accesso ad una cima che nessuno conosce e magari impedendo al solo abitante in zona di raggiungerla? Ma di che’ stiamo parlando? Abbiate pazienza. Se si vogliono fare iniziative serie devono essere concrete ed avere un effetto positivo. Se no non servono a nulla e rimangono le tante parole al vento che vengono fatte. Mi sembra che l’azione piu’ concreta e con effetti immediati che si possa perseguire di questi tempi sia la chiusura al traffico di molte valli, o tratti di esse. Per rimanere in Vda, val veny, val ferret, valsavaranche a meta’, la strada per il piccolo san bernardo si ferma poco sopra la thuile, tanto d’estate e’ frequentata solo da motociclisti che certo non hanno esigenza di espatriare ma solo di far rombare il motore… in valtournanche si segue l’esempio di Chamois e Cheneil con almeno altre 3/4 localita’ che potrebbero essere chiuse al traffico…. e via dicendo. Questo sarebbe un cambio di passo, per cui aderire.
“Per questo sono anche io convinto che l’iniziativa della Montagna Sacra, se vuole essere davvero utile e credibile, e’ ora chiamata ad un notevole cambio di passo”.
E certamente amico Crovella. Di questo siamo convinti ed è per questo che sta iniziando una campagna di comunicazione, comprensiva di raccolta di adesioni con apposita mail montagnasacra22@gmail.com. Ma la lunghezza del passo è direttamente proposrzionale anche alla quantità e qualità delle adesioni, ed è per questo che ti invito a lasciare il tuo scranno situato su qualche cima solitaria e scendere tra noi mortali che cerchiamo tra difficoltà e inevitabili contaddizioni di fare qualcosa. Se poi pensi come mi pare che sia tutto inutile… allora è inutile anche scrivere sui blog.
Scusa franchezza. La Becca di Moncorvè non c’entra nulla non so da dove sia saltata fuori.
Cordialità
Il problema dell’affollamento NON è tanto in termini di fastidio a danno del singolo. C’è anche quel problema ma se il singolo è astuto sa trovarsi i suoi spazi incontaminati. Esempio: ieri ho fatto una gita a 35 km da Torino in un vallone dove in tutto il g ho incrociato tre sole persone (più 3 stambecchi). Il principale problema dell’affollamento è invece l’impatto antropico sull’ambiente. Per questo sono anche io convinto che l’iniziativa della Montagna Sacra, se vuole essere davvero utile e credibile, e’ ora chiamata ad un notevole cambio di passo. Se l’obiettivo resta ancora solo quello di far discutere, come precisato in un commento, la cosa è un po’… miserella. Voglio dire: di sta idea se ne sente parlare da un annetto e siamo ancora al voler solo far discutere? Per quello basta un articolo a firma singola, come infatti gia’ avvenuto in passato. Per es qui sul blog è gia’ uscito un articolo mi pare nell’ottobre 20, con oltre 50 commenti, e un altro articolo nel gennaio 21, con oltte 20 commenti. Più o meno il contenuto di tali articoli, sempre di T. Farina, era lo stesso illustrato ai gg nostri, con l’unica differenza che un anno fa si proponeva, come Montagna Sacra, la Becca di Moncorve’ (un dentino se visto dalla vicina normale del Granpa), mentre ora si propone il Monveso. Ma più o meno la proposta era la stessa già un anno fa. Ora, o si riesce a fare un salto di qualità (es chiudendovl’accesso a vette di rilievo) oppure resta un po’ un rimenarsela sugli stessi concetti. Temo che il divieto effettivo sia un’ipotesi non compatibile con il ns ordinamento giuridico (diritto costituzionale di movimento), per cui l’idea, che già mi aveva lasciato perplesso un anno fa, ora mi pare ancor più eterea… Ma tanto, come ho illustrato nell’articolo do ieri sui cervi, a tutti questi problemi ci sta già pensando la Natura…
Molto bello l’intervento n. ro 41. La cima destinata al “sacrificio” parrebbe già di per sé poco frequentata, pertanto poca spesa e tanta resa. Perché i promotori non chiedono di “chiudere” una montagna più gettonata? Magari il Gran Paradiso stesso, per un anno o due, per meglio far comprendere il problema? Ovvio, questa è una provocazione. In merito poi ai commenti sul “fastidio” dato dalla presenza di un numero notevole di persone in montagna e sulla necessità di eliminare le infrastrutture occorre dire che se si vuole, é possibile trovare ancora percorsi non eccessivamente battuti. Ovviamente si tratta di zone non troppo ambite dai “collezionisti ” di cime. Una cosa valida da fare, per filtrare il numero dei fruitori, é quella di recensire su internet il meno possibile. Chi avrà più spirito esplorativo e curiosità andrà alla ricerca del tracciato mentre gli altri si accontenteranno delle gite più classiche. Resta il fatto che se un sentiero non viene percorso tenderà a perdersi, pertanto una giusta e ragionata fruizione dovrebbe essere tollerata anche dai più intransigenti.
21, Loris.
Grande!
Buon giorno a tutti, sono Lonati Loris, abitante di Forzo, alpinista amatoriale, amante della montagna, amante della mia valle, del parco, di ogni essere vivente e ogni elemento che costituisce questo luogo che io chiamo casa. La maggior parte del mio tempo libero lo passo a scalare montagne, mai una volta nella mia vita ho pensato di conquistare, ma come disse Messner, lassù non portò bandiere, ma solo le mio orme che presto il vento cancellerà. Come già detto, il vallone di Forzo è uno dei più aspri e selvaggi di tutte le valli del parco, dislivelli imponenti, pochissime relazioni di salita, tracce pressoché inesistenti. E a me piace proprio perché è così. L idea di “incentivare il turismo”, istituendo una montagna sacra, be porterebbe semplicemente a dissacrare questa valle, dove non vi è parcheggio quando la locanda in paese è piena. Quindi nuovi lavori, nuove asfaltature, chissà magari un giorno anche una seggiovia? 🤣Tra l altro, in diversi documenti che ho trovato a riguardo, ho notato che i promotori nemmeno sanno quale sia il monveso dato che in due foto viene indicato monveso, la vicina punta di Forzo, e il col della muraille rouge. In un altro invece in lontananza dalla pianura torinese veniva indicata punta gialin, dato che il monveso è coperto da piata lazin. La prossima volta mettete le foto giuste, altrimenti dovrò vergognarmi anche di esser salito su altre montagne, oltre che al monveso 😂.
Come ho avuto gia’ modo di scrivere in passato, passo un po’ di tempo estivo nella zona del Monte Bianco lato italia. Le valli ferret e veny di giorno sono infrequentabili per cui, per chi vuol fare una sana gita ( gita come si diceva quando ero bambino, non trekking hiking e sciocchezze simili) o ti svegli presto ed alle sei sei gia’ in giro oppure arrivi sempre alle sei ma del pomeriggio e stai fino a che arriva il buio.
Alla sera le valli recuperano il loro silenzio e penso sempre che oasi sarebbero se fossero chiuse al traffico. Chi vuole parte a piedi da courmayeur. Io non so se il business ne risentirebbe cosi tanto considerando tutti quelli che in queste valli non ci vengono perche’ nauseati dal traffico e che invece potrebbero tornate proprio di fronte ad una decisione piu’ selettiva. Sono pessimista come Crovella circa la grande massa. Chissa’ se un giorno arrivera’ qualche mente illuminata e con la forza per mettere in pratica certe decisioni. Sono convinto anche io che se non ci pensiamo noi ci pensera’ la natura. In queste due valli i segnali che non comandiamo noi ci sono gia’ stati e belli forti e altri sono li’ li’ per svelarsi.
per questo credo che piu’ che azioni simboliche ci vogliano decisioni concrete. Anche perche’ cio’ che e’ troppo simbolico temo abbia un effetto ancor piu’ controproducente sulla grande massa…
credo che il 99 per cento di chi invade le valli in estate neppure sappia dove e’ questa cima, figurarsi se si interessa al messaggio che vuol portare.
ps
li dico ancora una volta, evitiamo di criticare chi sale il Bianco o altre cime di corsa dicendo che quello la montagna nemmeno l’ha vista, primo perche’ come diavolo possiamo sapere noi cosa passa nella testa e nel cuore di quella persona, secondo perche’ e’ un bell’esempio di come si puo’ andare in alta montagna usando poco e niente rifugi strade e cose simili. Penso che fra i frequentatori della montagna sia fra quelli che disturba meno. Se poi vogliamo trovare difetti a tutti i costi… ah beh… allora..
La differenza di vedute dipende dalla diversa fiducia che si nutre nell’umanità: voi promotori avete fiducia nella possibilità di far ragionare l’umanità (e per questo meritate quanto meno ammirazione), io invece ci ho messo una pietra sopra, definitivamente. Ci penserà la natura a regolare i conti, basta esser pazienti ed aspettare…
Carlo Crovella, che la proposta susciti una reazione “uguale e contraria”, ovvero che ci siano persone che proprio per questo saliranno il Monveso, è stato messo in conto. E certo ci sarà chi vanterà le gesta sui social, ma questo alla fine farà gioco: scopo della proposta è soprattutto far discutere e questo almeno in parte è già un risultato conseguito.
Circa l’educazione delle “masse”, non bastano incendi e catastrofi in serie figurati una proposta culturale. Dipenderà anche dalle adesioni, e anche la tua potrebbe servire… ciao
Trovo l’idea poco utile allo scopo in quanto intrisa di ideologia . Dopo una premessa corretta :intensità (numero di persone) e frequenza (ricorrenza temporale) del fenomeno, si passa ad aspetti soggettivi : le modalità più o meno nobili con cui si frequenta la montagna. Ritengo ideoligico dare un grado di invasivitá maggiore a un trail runner rispetto ad un presunto esteta passeggiatore. I parametri con cui si misura l’invasività devono essere ben definiti ..forse un gruppo di naturalisti su un sentiero potrebbero essere più invasivi di una cordata di alpinisti in una parete recondita in inverno .In realtà la premessa ha in sé la soluzione: rendere difficili gli accessi ripristinando l’ambiente naturale ( meno infrastrutture rifugi,strade,funivie ,ripopolamento predatori) . Forse serve più pragmatismo e meno filosofia,in caso contrario di crea un ulteriore sport di montagna …ma forse limitando l’accesso a montagne sconosciute e poco frequentate riusciamo a lavarci la coscienza senza urtare il pragmatismo di chi di montagna vive…è non parlo dei contadini.
Toni, il vs concetto non devi spiegarlo a me, ma al “popolo bue” e soprattutto convincerlo… Nella nostra attuale società, una proposta come la vostra, che io non osteggia per nulla sul piano ideologico, dall’opinione pubblica viene interpretata come un “divieto”, cui ribellarsi per definizione, in nome del totem “diritti individuali” (diritto di andare dove ci pare, di fare quel che ci pare, di pensarla come ci pare, ecc ecc). Leggi alcuni commenti e avrai conferma di quello che sostengo. Per questo meccanismo, io sono scettico rispetto all’efficacia della proposta: rischia di stuzzicare più il nervosismo dei “liberisti puri”, bastian cuntrari per definizione, che insegnare rispetto per la Natura. Cmq, auguriamoci che io abbia torto e che, invece, la vs iniziativa “educhi” davvero la massa. Io ne dubito, ma… staremo a vedere come andrà, non c’è altro da fare. Ciao!
Amico Crovella, ma l’hai letto il documento? Ci vedi la parola “divieto”? Nei parchi, siano di montagna di pianura di mare o collina, i divieti alla fruzione scattano in caso di riserva integrale motivata dalla necessità du tutelare uno specifico habitat. Tra l’altro nel Parco nazionale Gran Paradiso ad oggi non ci sono riserve integrali (purtroppo!!!), ma solo divieti temporanei: es non arrampicare le cascate della Valnontey per il nido del gipeto.
Questa è una proposta simbolica, un progetto culturale, che secondo taluni sarà anche una c….a, ma non si parla di divieti. E il green pass non c’entra un tubo. Buone camminate
E’ una proposta dal puro valore simbolico. La montagna è già ridotta, per molti ad una palestra dove esprimere la propria bravura. E’ di oggi la notizia di uno che ha salito il Bianco da Chamonix in poco più di sei ore, andata e rfitorno; quello il Monte Bianco e la montagna non li ha nemmeno visti. Alpinismo significa salire le montagne per ammirarle ed apprezzare la natura. Eliminare i rifugi poi non serve, molti degli attuali alpinisti già li evitano compiendo salita e discesa in in giornata (a parte alcuni 4000). Si dice poi che lupi, orsi, cinghiali, vipere e quant’altro hanno il diritto di ripredersi il loro spazio naturale. cioè i boschi. va bene, ma quale sarebbe il luogo naturale per l’uomo? I grattacieli?
E dopo Australia e Amazzonia è l ora della Siberia in fiamme.
Povero pianeta ricco di stronza velocità.
Quando si parla di tutelare l’intero pianeta, e non solo della “montagna”, è musica per mie orecchie. Ma non è mettendo dei divieti che lo si ottiene (guardate i piagnistei di questi giorni di chi non vuole il green pass e i relativi divieti in caso di assenza della carta – no a teatri, ristornati al chiuso, concerti, stadio ecc). La psicologia umana è fatta in modo tale per cui mettere dei divieti fa venir ancora più voglia di andare proprio “lì”, lì dove è vietato. I divieti non raggiungono lo scopo di tutelare. L’unica è render tutto più scomodo. Se l’essere umano, specie occidentale, deve “sudare” e superare disagi e fastidi, si tira indietro: è ormai provato. Questo vale in montagna come al mare, in Europa come in Polinesia. Per tutti questi motivi io sono sempre stato contrario alla cosiddetta globalizzazione, fin da quando si è palesata (20 anni fa circa): la facilità di spostarsi, trovare punti di appoggio, interlocutori ecc ecc ecc è la prima forma di inquinamento. Rendiamo tutto più “difficile” e alleggeriremo il pianeta.
Da aderente al comitato promotore mi permetto 2 considerazioni.
La prima in particolare riferita a Carlo Crovella. Montagna Sacra ha l’ambizione di non limitarsi alla sola montagna ma il messaggio del progetto si riferisce al Pianeta nel suo complesso. La questione è quella del limite che ormai abbiamo superato. Ovunque.
Per quanto attiene Cominetti che se non sbaglio è guida alpina… parlare di esibizionismo dopo aver partecipato allegramente a C… al vento mi pare perlomeno singolare. Perlomeno.
Caro Marcello, come contribuivano le ragazze, in soldoni, alla Giornata di Ca**o al Vento?
P.S. Mi sa che qui stiamo per scatenare le ire alessandrine.
e pensare che noi avevamo creato il gruppo TAFANI DELLE APUANE
Comunque se c’erano anche delle amiche, allora direi: cazzo e PASSORE al vento.
Guai a lasciare gli italiani senza leggi da infrangere, ne andrebbe di mezzo l’incolumità di tutti i loro amministratori, dall’ultimo al PRIMO. Quando uno ha la panza piena se ne fotte di tutto e di tutti e niente più lo riguarda, permettendo così ai manovratori di continuare ad agire indisturbati. Delinquere non è un diritto e tanto meno un dovere! Chi tollera l’illegalità è perchè ci convive e di sicuro non perchè fa il poliziotto. Sempre più “Panem et circenses”.
Il 14 Luglio 1976, con un gruppo di amici e amiche, istituimmo il Giorno mondiale del Cazzo al Vento che celebrammo denudandoci puntualmente per diversi anni. Il nome potrebbe far pensare a una roba sessista per soli uomini ma nella realtà parteciparono anche delle ragazze. Il Giorno mondiale del Cazzo al Vento oggi è rimasto un ricordo ma, ogni tanto, i componenti di quel gruppo di amici e amiche lo festeggiano ancora se si incontrano. Non se ne parla neppure sui social (credo) e la notizia non è mai stata ufficializzata. Ognuno faccia sacra la montagna che più gli piace e non lo dica in giro. Se vuole divulgare la notizia è un malato di esibizionismo.
La Montagna Sacra mi sembra che pressappoco sia come l’Anno Internazionale della Montagna dichiarato dall’ONU o come le Dolomiti patrimonio dell’umanità dichiarate dall’UNESCO o come l’alpinismo Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO.
E come mi sembrano tutte queste cose? Qui devo fermarmi, altrimenti Gogna giustamente mi censura.
Non sono assolutamente d’accordo!
Innanzitutto perchè non si può proibire chiunque a salire su di una montagna; secondo perchè e uno scimmiottamento del Monte Kailash in Tibet ritenuto sacro per motivi prettamente religiosi; e per ultimo, l’impegno per la tutela deve essere rivolto a “tutte” le Montagne.
Alle volte un simbolo smuove le coscienze molto più di qualsiasi piccola azione pratica, quindi questa operazione va sostenuta perchè fattibile, a costo zero e realizzabile da subito, sicuramente dovrebbe essere amplificata e pubblicizzata correttamente affinchè possa raggiungere lo scopo che si prefiggono gli ideatori. In questo progetto non vedo niente di impositivo, non mi sembra essere un cavallo di troia per porre dei limiti alle libertà individuali ma pone dei quesiti ed obbliga a riflettere. Qui sembra che molti concordino sulla necessità di migliorare e “selezionare” la frequentazione delle nostre montagne proponendo l’introduzione di difficoltà attraverso la riduzione degli accessi facilitati ma per ottenere seriamente un’inversione di rotta accorre cambiare le menti e questo è un modo per iniziare questo percorso che sarà non facile nè breve. Io taglierei comunque dalla proposta la frase “Se qualcuno riterrà di dovere comunque salirci, renderà pubblica la propria insensibilità e il proprio egoismo.”
“Se qualcuno riterrà di dovere comunque salirci, renderà pubblica la propria insensibilità e il proprio egoismo.” Questa cosa qui assieme a quest’altra:”L’istituzione del Monveso a “Montagna Sacra” comporterebbe quindi l’esclusione umana da un’area (l’intera piramide) già attualmente frequentata in modo limitatissimo a fini alpinistici ed escursionistici. C’è però da ritenere che proprio la sua istituzione costituirebbe un “unicum” attrattivo, per una fruizione turistica responsabile e a distanza, particolarmente rilevante per la Valle di Forzo.” Mi fanno sorridere…in italia siamo veramente insuperabili nelle operazioni di facciata ma concretezza zero…invece di togliere le auto dal nivolet o gli elicotteri per gli sciatori portiamo turisti “responsabili” in un posto tranquillo di suo…magari migliorando la viabilità di accesso e istituendo un servizio di navette…
Leggendo l’articolo sembra che la montagna destinata a diventare “sacra” e quindi inviolabile, sia già poco frequentata. Così facendo non saranno molti a lamentarsi. Piuttosto, invece, si rischia di alimentare la schiera di quelli che la vorranno salire in barba al divieto. Interessante invece il concetto di approcciarsi all’ambiente alpino in modo rispettoso, senza perseguire aspetti sportivi estremi. La montagna non dovrebbe essere un parco giochi ma un luogo da visitare con il dovuto rispetto.
<Innovativa e meritevole proposta promossa da persone sensibili ai valori della natura certamente minoranza che non sara’capita da molti,ma ci sono momemti in cui chi puo’ e sa arrivare prima deve iniziare, agire ed avviare un processo che solo col tempo potra’ produrre una maggioe attenzione all’ ambiente naturale e montano e soprattutto avviare l’educazione al limite. Inoltre importante e’ il realei, ma ben venga anche il simbolo che ha nocaratterizzato la nostra specie
Il patentino ci vorrebbe per fare i figli. Si eliminerebbero molti problemi alla radice. Ma i problemi, si sa, danno lavoro a molti incapaci. Si deve conservare la capacità sentimentale per disubbidire.
Mi sembra una bella iniziativa: spostare il punto di vista “ dalla conquista” alla “rinuncia”
Non so se come “uomini” siamo pronti a comprendere questa grande differenza. Purtroppo il nostro egoismo è forte e si nasconde dietro qualsivoglia giustificazione. Leggo che a detta di alcuni è un sacrificio inutile: però è un piccolo passo verso un modo di rapportarsi con la natura in maniera differente, meno cannibale. potrebbe dare vita a mondi e modi differenti. ed è davvero un piccolo sacrificio.
Piu’ che scalarla ci vorrebbe molta gente che la abita e la tenga come si dice in veneto” da conto”.Utopia?intanto la massa cannibale… da Sacra a mas-sacra.
Fabio lo ricordo benissimo. E la mia paura è che, con la scusa della sicurezza, per la prevenzione degli incidenti, si voglia ritornare a qualcosa di simile.
Gia qualcuno pochi anni fa, in Abruzzo voleva imporre l’obbligo della guida alpina.
Alberto, ricordi che in Unione Sovietica esisteva la patente per scalare le montagne?
Il trucco è un pò alla volta così nessuno o pochi ci fanno caso
Guarda Fabio che di patentino per la montagna o accompagnati da un professionista è già un po che qualcuno ne (s)parla
Più che un luogo simbolo mi pare che istituire questa montagna sacra da evitare come un tabù rappresenti più che modo per cercare di liberarsi la coscienza deelle nefandezze che tutti i giorni (v9olontariamente o involontariamente) perpretiamo.
Come dire per trecentosessantaquattro giorni faccio ciò che voglio e l’ultimo mi comporto……
Personalmente la trovo un’iniziativa condivisibile. Certo, ha una valenza simbolica: concordo che sarebbe auspicabile, e più efficace, attuare degli interventi strutturali per rendere la montagna meno antropizzata, ma questo al momento è quello che si può fare. E comunque mi pare che parlare di “fanatismo liberticida” sia un pochino eccessivo…
Alberto, la tua battuta sul Green Pass per la montagna potevi tenerla per te!
Di questi tempi temo che qualcuno ti possa prendere sul serio. Qualcuno di coloro che tutti i giorni ci dicono: “Vi stiamo dando tante bastonate sul groppone, ma lo facciamo per il vostro bene, anche se voi – ignorantazzi e ingrati – manco lo sapete”.
Dall’anno prossimo Green Pass per salire sul Giovo?
Il nostro Alessandro ci ha appena rivelato di essere un “crovelliano” puro. Ebbene, sí, dopo tanti anni di GognaBlog lo confesso: lo sono pure io.
In montagna – incredibile dictu – bisogna andare a piedi. Ma non con altri duecentoquarantasette.
… … …
P.S. Alessandro, ho letto varie volte delle tue scorribande invernali sul nostro Appennino: Giovo, Rondinaio, ecc. Chissà, forse un giorno ci siamo incrociati.
non nego che quando un pò di tempo fa venne fuori questa proposta di avere una cima simbolo di una montagna irragiugibile come se fosse un luogo sacro, una specie di mondo perduto negato all’impronta umana, ne fui attratto.
Poi riflettendo e confrontandomi con altri, mi son detto: Alberto che fai vuoi limitare la libertà, tua e degli altri!?!?!?
Le montagne sono simbolo di elevazione e di libertà che sempre più stanno cercando di limitare con mille divieti e permessi.
Presto s’inventeranno un green pass, un patentino anche per andare in montagna. E lo giustificherrano dicendo che è per il nostro bene. Per essere più liberi come stanno facendo con il covid.
Come si faccia a dire di essere più liberi mettendo delle altre limitazioni, non l’ho ancora capito.
Comunque, volete una montagna più selvaggia? Come giustamente scrivono Alessandro e Carlo, iniziate a smontare le infrastrutture. Basta con segnaletica, strade, impianti, rifugi, alberghi. Fate sudare di più la gente. Fate che ognuno se la guadagni.
Sarò il primo, nel caso a forzare la mano e salire sulla montagna scelta come simbolo; questo pseudo ecologismo da quattro soldi (che adesso ci ritroviamo esaltato all’ennesima potenza con il “pacchetto covid”) nasconde un pericoloso fanatismo liberticida tra l’altro condito dalla più bieca ipocrisia; non volete la gente in montagna? bene, inziate a togliere funivie ed alberghi a 4000 metri di quota..ah ma quello non si può fare perchè andiamo a toccare il Dio denaro vero? meglio auspicare divieti, riserve integrali ed altre bestialità secondo voi; ve lo dovete mettere in testa una volta per tutte: non avete alcun diritto di regolamentare la natura selvaggia ne limitarne in alcun modo l’accesso; l’unica via percorribile e moralmente accettabile è quanto proposto da Carlo Crovella: renderla più scomoda, punto; la “selezione” che tanto vorreste (ma in fin dei conti la vorrei anch’io) ci penserà la montagna stessa a farla..per il resto finitela di farneticare e fare la corte al clima autoritario ed integralista nel quale siamo finiti da un anno e mezzo a questa parte (guarda caso tutta la narrazione covid strizza l’occhio volentieri a questa propaganda ambientalista secondo la quale “non possiamo più permetterci di vivere come prima); comunque, io andrò dove mi pare,quando e con chi..le montagne sono e rimarranno spazi di libertà.
Mi piace molto l’iniziativa ma, al contrario di alcuni dei commenti che mi hanno preceduto, mi permetto di sottolineare che mi piace proprio perché è fortemente simbolica: attira l’attenzione e contribuisce a sollevare il problema più generale, ad accendere il cervello e riflettere, a discutere di conseguenza ulteriori azioni concrete.
E credo non possa che essere simbolica. Per due ragioni.
1. Ciò che accade ALLA montagna dipende in piccola percentuale da quello che accade IN montagna (certo, incide), ma dipende soprattutto da quanto accade lontano dalla montagna, anche a 10mila km di distanza. I fenomeni in corso sono globali, innescati da dinamiche fisiche che legano tutti gli ambienti del Pianeta e che non si risolvono ‘chiudendo’ uno spazio
2. Conoscere al meglio un habitat, un ambiente, un luogo è il modo migliore per preservarlo. Lavorare sulla cultura, la conoscenza, la bellezza, la passione, la scienza… Certo, è difficile e richiede risorse e impegno che tutti voi mettete da anni ma che possiamo pensare di ampliare e rafforzare (consapevole che, a volte, l’umanità non ci incoraggia ad avere fiducia).
Credo che dopo 5 anni di mancata frequentazione di TUTTA la montagna noi avremmo il risultato opposto: non conoscendola, non apprezzandola, non vedendola e non sentendola, quasi nessuno la sentirebbe ‘parte di sé’ e quindi si ridurrebbe (ulteriormente) il numero di persone che si impegnano per tutelarla, con risultati ancora peggiori. ‘Quella cosa interessa a quei 4 lì, cosa me ne frega a me…’.
Proviamo a pensare a cosa sia accaduto per secoli ai fondali marini, sconosciuti, ostili e infrequentabili per l’essere umano: un disastro di cui solo oggi iniziamo a renderci conto.
Forse, ma per i fondali è comunque stato il contrario, ci sarebbe qualche risultato in termini di riduzione dell’inquinamento (inteso in varie accezioni) ma pochissimo o niente in termini di rallentamento di quelle dinamiche che mettono a rischio la montagna e il resto dell’ambiente: nessun habitat è indipendente.
Sicuramente, interventi di regolamentazione e difesa sono necessari (ci sto anche lavorando, proprio perché sono convinto che non si possano portare 10mila persone, ma nemmeno 5mila, in un weekend su aree ristrette e delicate), ma favorendo la ‘buona’ fruizione sotto ogni punto di vista e non la semplice chiusura totale.
Saluti.
Il messaggio è da sottoscrivere, ma proprio da sottoscrivere!!
Ancor più se si avesse il coraggio, il GRANDE, GRANDISSIMO CORAGGIO di applicare il principio ad una montagna simbolo del Parco: Gran Paradiso, Ciarforon, Grivola, Herbetet …. allora sì che il messaggio sarebbe veramente uno schiaffo in faccia al modo consumistico di USARE le montagne come luogo di svago, invece di luogo dove COMPRENDERE la natura (e sé stessi …).
Purtroppo sto solo vaneggiando. Cosa ci propone invece il mercato? 2900 persone tutte insieme ad ‘Abbracciare la Presolana!!!’:
https://www.ecodibergamo.it/stories/bergamo-citta/e-ufficiale-labbraccio-nel-guinnesspresolana-ora-non-perdiamo-lo-slancio_1250788_11/#:~:text=L'Abbraccio%20%C3%A8%20riuscito%20a,a%20questo%20ambiente%20per%20tutti.
Proprio quello che ci vuole, per giunta paludato da pseudo-pseudo-pseudo (n volte pseudo …) ambientalismo ….
Che abisso di diversità di concezione nella frequentazione della montagna, ma che abisso !!!
Cosa ne pensate?
Massimo Silvestri
Mi sembra davvero troppo e simbolica come iniziativa. Tra l’altro, se si vuol dare spessore all’iniziativa, perche’ non scegliere una vetta piu’ frequentata? Comunque a mio avviso non servirebbe a nulla. Servono gesti concreti non sinbolici. In questo sono d’accordo con Crovella, tutto quello che puo’ fare selezione in fondo valle ben venga. Ma temo non sara’ mai un percorso condiviso dalla maggioranza. La gente vuol frequentare le valli, andare in vetta con un minimo di confort, non e’ disposta a rinunciare se no ditemi voi perche’ c’e’ un business su tutto questo. Esiste perche’ la maggioranza lo chiede. Se la maggioranza chiedesse di avere montagne senza strade rifugi funivie allora certamente la montagna si ripulirebbe. Sono pessimista.
Idea sacro-santa non solo da condividere ma anche da esportare ad altri luoghi preziosi prima del solito “troppo tardi si poteva fare” …l auto celebratosi Sapiens non ha minimamente pensato 100 anni fa a non devastare per i sacri confini o a invasare intere valli per profitti elettrici da ricostruzione post bellica annullando fauna flora e cultura alpina.Cogliamo l attimo,anche piccole cose hanno una simbologia grande e chissà possano dare un esempio e una impronta per i prossimi camminatori della montagna.I dubbi guardando la grande inciviltà dominante però restano.
E’ un’iniziativa interessante, molto. Però proprio per questo deve essere più partecipata, discussa e diffusa. Non solo frutto della sensibilità degli esperti.
Nonostante la mia ammirazione per Toni Farina e la sue posizioni “ecologiste” e nonostante le mia visione ancor più radicale della sua (almeno per quello che lui esprime pubblicamente), io ripropongo le mie perplessità sul progetto specifico. Ciò non significa che sono contrario o che agirò “contro” il progetto: semplicemente non ritengo che sia l’obiettivo chiave cui puntare. L’articolo spiega bene che il concetto di “montagna sacra” non ha nulla di religioso, ma io continuo a essere convinto che (almeno per i prossimi 20 anni) il concetto non sarà capito dalla popolazione e che la decisione sarà vista solo come un divieto autoritario, frutto della dittatura ecologista contro i (“legittimi”, secondo costoro) diritti a muoversi liberamente. Insomma, una presa di posizione anticostituzionale agli occhi del popolo bue. Temo che la reazione negativa produrrà risultati peggiori delle aspettative che animano i promotori. Per carità, spero di sbagliarmi. La mia perplessità poggia sulla mia considerazione estremamente negativa dell’umanità nel suo insieme: inutile cercare di farla ragionare, è una facoltà che non le appartiene. Io focalizzo un altro progetto che ho sintetizzato con “più montagna per pochi”: far tornare le montagne, fin dal fondo valle, più scabre e faticose, togliendo strade, impianti, rifugi, cartelli, spit… Se la montagna bisogna sudarsela (magari mettendoci 2-3 gg per arrivare in vetta, laddove oggi sui fa tutto in giornata grazie a strade e impianti), inevitabilmente si crea una seleziona naturale e vedremo mena umanità sui monti. Infatti l’abbondante frequentazione umana (non solo della montagna, ma di ogni spazio) presuppone “comodità”: se invece c’è “scomodità”, quasi nessuno si inoltrerà… Detto ciò, lancio un in bocca al lupo a Toni e compagni.