Ha ancora senso pensare di ingolfare le montagne con impianti di risalita che deturpano l’ambiente e favoriscono i soliti noti? I concetti di sostenibilità ed economia di montagna possono avere una diversa interpretazione che non sia quella di portare la città nelle terre alte? Tra la Val Seriana e la Val di Scalve una serie di comitati e collettivi stanno prendendo in mano il loro futuro, contrastando un’opera di cui non si sente il bisogno, vincendo le resistenze di un territorio che ha visto nel suo sfruttamento l’unico modo di creare valore.
Una storia anacronistica
(il collegamento sciistico Colere-Lizzola, Val Seriana)
di Cesare Epis, per terre Alt(r)e
(pubblicato su Nunatak n. 77)
Si dice che le opportunità nascano nei momenti di difficoltà. Deve essere proprio così; chi affronta i problemi ha l’occasione di prendere slancio dalla situazione negativa, così da poterne diventare attore in prima persona, e non colui che per volontà calate dall’alto, subisce la decisione di altri senza prendersi la possibilità di comprendere e partecipare al processo decisionale.
Il collettivo terreAlt(r)e nasce in Alta Val Seriana proprio per rispondere a questa esigenza. Per diventare protagonista del territorio che vive, per dimostrare che il gruppo, quando animato dalla volontà comune, può diventare uno strumento attraverso il quale una comunità trova espressione. La difficoltà scatenante questo processo si presenta all’incirca un anno e mezzo fa, tra la primavera e l’estate del 2024, e si chiama collegamento sciistico Colere-Lizzola. Questo è il nome, ma nasconde al suo interno uno spettro di criticità ad ampio raggio, temi che sono i più attuali possibile e che si presentano nel tempo e nel contesto perfetto per essere esaminati.
A dir la verità non stiamo parlando di nulla di nuovo, quello contro cui ci opponiamo è un progetto vecchio quarantacinque anni, che si ripresenta sulla scena valligiana per la terza volta, seppur con modalità e personaggi differenti.
Una cosa non cambia: la visione dell’ambiente montano come elemento strutturale di sfruttamento economico, promettendo benessere in cambio di una trasformazione radicale del territorio, del suo tessuto sociale e delle regole di un turismo divenuto sempre più esclusivo e alla costante ricerca del comfort. Stiamo parlando del rapporto dell’uomo con la natura, di quell’equilibrio che dovrebbe essere sempre garantito quando si contemplano i processi di estrazione e gli elementi che per natura vivono quegli spazi, come flora e fauna; ma stiamo parlando anche dello sfruttamento industriale del territorio per fini meramente consumistici, che creano valore e profitto solo per pochi, rovinando il tessuto sociale di tanti.
Nella primavera di un anno e mezzo fa però, tutto è ancora solo una voce, si sa che il progetto potrebbe essere riportato in auge, ma non si conosce la veridicità di tali voci. Si sente parlare di nuovi impianti, nuove piste ed addirittura di un tunnel che attraverserebbe una montagna, il Pizzo di Petto, per permettere di collegare due stazioni sciistiche esistenti (a dir la verità di una resta poco più che il cadavere) e creare un comprensorio di una cinquantina di chilometri.
I promotori in breve escono allo scoperto, e sui quotidiani provinciali rilanciano il progetto vecchio di più di quarant’anni forti della condizione secondo la quale sono i privati a mettersi a capo del progetto di rilancio dell’economia delle terre alte bergamasche. I nuovi filantropi sono pronti a rispondere alle esigenze dei montanari, di quella parte di popolazione che non si fa troppe domande, tanto l’importante è che si portino soldi, nel pieno rispetto di quell’idea che da sempre muove l’uomo di montagna verso lo sfruttamento del territorio. Salvo poi dimenticarsi della bellezza che si lascia alle spalle, e della tranquillità che rende le terre alte così accattivanti per chi dalla città viene a vivere l’illusione momentanea della vita bucolica di montagna.
Le insegne luminose attirano gli allocchi
Vengono promosse due assemblee pubbliche nei paesi interessati dalla questione, Valbondione e Colere. Ci sono quasi tutti, il responsabile degli impianti (RSI, Rossi Silvio Impianti), i sindaci e i progettisti. Manca solo lui, il grande banchiere benefattore, alias Massimiliano Belingheri. Colui che parteciperebbe privatamente a parte dello sforzo economico, originario della Val di Scalve e attualmente residente a Londra, dove vive e gestisce attività finanziarie che lo rendono uno delle persone più ricche d’Italia con uno stipendio di 6.477.048 euro secondo i dati del 5 gennaio 2023 del sito calcioefinanza.it, per un patrimonio stimato in 109 milioni di euro secondo milanofinanza.it.
Si evince fin da subito che gli schieramenti sono ben delineati. Anche fisicamente, all’interno delle sale, la contrapposizione è ben distinta. I pro e i contro sono tutt’orecchi, pronti a recepire ogni informazione riguardante il progetto. Viene fin da subito palesata la sudditanza nei confronti del banchiere filantropo, vero eroe e salvatore della patria, colui che è pronto a rinunciare a parte del suo patrimonio per rilanciare la valle e la vita dei suoi abitanti.
La tensione è palpabile ma la sala è immobile, nessuno batte ciglio. Il progetto viene spiegato nei suoi dettagli tecnici e i favorevoli all’opera fanno leva sulla creazione di valore, sulla spinta economica che ne trarrebbe l’indotto, e sul fatto che finalmente una persona seria sia pronta a investire direttamente sul territorio parte del suo guadagno. Ecco, questo tema a differenza degli altri non viene direttamente affrontato, viene fatto intendere per sommi capi, fluttua nell’aria come se il Salvatore in arrivo dal cielo col suo malloppone carico di soldi si stia assumendo in toto il rischio economico dell’investimento.
La sala si scalda, in molti sanno che c’è molto di più, e per questo a grande richiesta viene chiesto di esporre i numeri in tutta la loro complessità. Il costo stimato del progetto è già indicato dai promotori in 79 milioni di euro, di cui 28 a carico del settore privato e 51 da finanziamenti pubblici. Si ragiona su interventi della regione Lombardia, del Ministero del Turismo, di Invitalia e della Banca Europea. Viene esplicitato che RSI manterrebbe la concessione degli impianti per 60 anni e che, stando ai loro calcoli, in due anni i lavori verrebbero eseguiti.
Altro tema caro ai promotori è la rivalutazione degli immobili, il cui valore subirebbe un’impennata grazie al nuovo collegamento. Questo discorso è in piena antitesi con il tema del ripopolamento: chiunque voglia un domani comprare casa nei due poli del comprensorio vedrebbe i costi lievitare, rendendo di fatto impossibile agli abitanti l’acquisto della prima casa. Gli appartamenti verrebbero lasciati a ricchi facoltosi venuti da fuori, che li sfrutterebbero come casa vacanza, senza dare un sostanziale contributo all’economia del territorio.
Non si fa nessun riferimento alle infrastrutture necessarie al raggiungimento della stazione (strade e parcheggi), come niente si dice del fatto che i rifugi di Lizzola verrebbero bypassati dai nuovi impianti. O meglio, la patata bollente viene passata agli enti pubblici. Se servono strade e accessi potenziati, questi sono di competenza della regione, e non di RSI.
Si alzano i primi mugugni, le prime domande indiscrete, i conti non tornano e persino i pro notano che il piano ha delle falle. Ma non è importante, l’opera è strategica, rilancerebbe la valle e salverebbe Lizzola dallo spopolamento.
Da qui in avanti tutto va in caciara, gli scontri verbali, le urla, e i primi insulti. Non ha più senso continuare, la situazione è polarizzata e così, il mitico sindaco di Valbondione (di cui Lizzola è una frazione) camerata fasciodestroide di lunga data e avvezzo a prendersi spazi televisivi anche nazionali, con un gesto scenico scioglie l’assemblea e rimanda tutto a chissà quando.
Una formalità o una questione di qualità?
Da qui parte la nostra storia. Il collettivo terreAlt(r)e nasce una sera di primavera durante una riunione del GAC orobici e-Retici, dove GAC sta per Gruppo d’Acquisto Clandestino. Questa combriccola nasceva alcuni anni prima tra la Val Seriana e la Val Camonica (da qui i termini orobici e retici) con l’obiettivo di diventare un gruppo d’acquisto informale e inusuale. Tutti potevano portare argomenti e temi al tavolo della discussione, perché oltre che ad acquistare prodotti, si affrontavano anche le questioni politiche inerenti ai prodotti stessi. Il fine era quello di prendere le decisioni rappresentando non la maggioranza, bensì l’intero gruppo. Questo metodo è estremamente più laborioso, ma anche dentro a terreAlt(r)e dà l’opportunità a una singola decisione di diventare anche una presa di coscienza, in modo tale da farsela propria e assumersela come scelta consapevole maturata in un processo iper-democratico e comunitario. Oltre che comprare cibo da canali non convenzionali, il gruppo era attivo anche nel Mutuo Aiuto e nel mantenimento di un orto che faceva da collante tra le varie realtà dei partecipanti.
Quella sera però fin da subito la necessità si è fatta impellenza. Noi tutti eravamo chiamati a occuparci della questione comprensorio, come GAC o come altro, ma era ben chiaro che da quel momento ci saremmo trasformati per diventare quell’esperienza in grado di dare voce a chi si dà per sconfitto, a chi non trova la forza di esporre la propria idea per paura di essere solo, a chi non ha i mezzi per informarsi se non quelli della propaganda.
La prima mossa era obbligata: dovevamo fare rete e capire se ci fossero realtà affini che potessero aiutarci nella comprensione di quello che andava fatto. Per nostra fortuna il tema era già caldo e qualcuno si stava già muovendo. Per vie traverse partecipiamo a una riunione promossa da “Orobievive” sul tema comprensorio. Parlare di questa realtà ci riempie sempre gli occhi e la mente di speranza, perché quella che troviamo all’incontro è una squadra formata da una decina di componenti, arzilli professoroni e tecnici che da più di quarant’anni si battono per contrastare quelle iniziative che minano la stabilità ambientale e sanitaria della valle. Stiamo parlando dei due precedenti tentativi di unione tramite comprensorio delle stazioni sciistiche in questione, ma anche della lotta affinché le scorie prodotte da una ditta specializzata nel trattamento di materiali di scarto delle acciaierie, fossero effettivamente valorizzati e gestiti in maniera meno pericolosa, oltre a tante altre lotte minori che hanno come substrato di base l’ambientalismo e la tutela del territorio e della salute.
Restiamo stupefatti: loro dalla folta presenza di giovani, ma anche noi che già pensavamo di esserci impegolati in una cosa più grande delle nostre possibilità, con un lavoro da fare immane e con competenze che non eravamo sicuri di avere. Invece questi veterani della lotta ambientale in bergamasca sanno già tutto, hanno preparato documenti e hanno informazioni che noi probabilmente avremmo ottenuto in mesi. Siamo in buone mani, entrambi, e ci diamo a vicenda una forza incredibile; nasce un sodalizio che unisce diverse generazioni e le rende complementari, diventando stimolo l’una per l’altra.
Andiamo a scuola da Seriana Ambiente, costola valligiana di Orobievive, ai tempi presidio in loco e forza propulsiva delle rivendicazioni ambientali sul territorio. Quella sera ci viene passato il testimone, e la potenza di quel gesto ci unisce ancora di più. La mancanza di energie e altri fattori fanno rinunciare queste persone alla partecipazione attiva, ma quello che ci lasciano è molto: è uno sguardo che sa di fiducia, quella che ripone la gente con un obiettivo nelle generazioni più giovani.
Pian piano le coscienze si svegliano e in valle c’è fervore, le informazioni che facciamo trapelare tra le persone e i luoghi di aggregazione creano dibattito e voglia di discutere. Noi dal canto nostro ci troviamo almeno una volta a settimana per decidere cosa vogliamo essere e come far sì che l’argomento diventi di dominio pubblico. L’importante è che se ne parli, e che la popolazione non si svegli una mattina con le ruspe che spianano la strada sui pendii immacolati della val Conchetta.
Tessere relazioni di questo tipo in una valle industriale come la nostra non è semplice. Il soldo la fa da padrone, il territorio è il mezzo da sfruttare per soddisfare un bisogno nato dopo il boom economico, quando la valle rifioriva di industrie e attività, tutti avevano un lavoro e il paradigma casa-lavoro-famiglia era la sacra trinità materialista, simbolo del progresso e del benessere.
Sembra che ora le cose stiano cambiando pure qui. Le difficoltà economiche e produttive, la delocalizzazione e il sovrappopolamento dei fondovalle portano il ripensamento dei bisogni. Essere critici non viene più visto solo come andare ostinatamente controcorrente, ma diventa anche una possibilità per ripensare al posto in cui si vive, in maniera più armonica ed equilibrata.
Sulla spinta del dibattito si unisce sempre più gente al collettivo, c’è chi decide di restare e chi di andare, ma lo zoccolo duro che ancora oggi è sempre presente è composto da una ventina di membri. Siamo il gruppo, ma siamo anche amici, compagni e famiglia, anche quando litighiamo e ci sono temi che ci fanno bestemmiare.
Partecipiamo a conferenze e andiamo a trovare scrittori, blogger e attivisti che supportano la causa. Realtà della valle come Ape, Legambiente o il FAB (Flora Alpina Bergamasca) ci garantiscono una cassa di risonanza enorme, una collaborazione di fiducia e un aiuto nella divulgazione e nell’organizzazione degli eventi che ampliano la famiglia.
In breve decidiamo che è il momento di scoperchiare il vaso di Pandora. Organizziamo un’assemblea pubblica a Clusone, nel mezzo di mille difficoltà perché ottenere una sala per un dibattito con un tema così scottante è veramente difficile. Preti ed amministratori ci mettono i bastoni tra le ruote, ma c’è anche qualcuno che spinge affinché ci sia libertà di poter esprimere le proprie idee. L’obiettivo non è la critica ostinata al progetto, bensì l’analisi del fenomeno in toto. Bisogna parlare di turismo, di lavoro e di abitare in valle.
Partecipano alla serata una ricercatrice dell’Eurac, l’Accademia Europea di Bolzano, che espone le potenzialità del territorio montano ripensato nell’ottica di salvaguardia e valorizzazione dell’esistente. L’ingegner Angelo Borroni che sviscera numeri e costi dell’opera, nonché una serie di informazioni relative al progetto, con tanto di chiosa finale che riscuote assensi e applausi sinceri da parte di tutta la sala. Un abitante della Val di Scalve espone la relazione tra valle e popolazione. Luca Rota, scrittore e blogger, incanta letteralmente il pubblico portandolo a un livello di coscienza e consapevolezza riguardo quello che siamo come persone di montagna, attori principali delle scelte e decisioni a proposito dei luoghi e di chi li abita.

È un successone, gente stipata ovunque (all’incirca 350 persone in una sala da 200), applausi scroscianti, alcuni sembrano in preda all’estasi nel vedere che persino in val Seriana l’argomento non è più un tabù. Serviva come l’aria una serata così. Serviva dimostrare che manca solamente la volontà di trattare certi temi. Siamo usciti da quella sala tutti più forti, rinfrancati e con un’energia indescrivibile. Persino a fine serata, quando il camerata sindaco di Valbondione è salito sul palco per inveire contro quanto detto, il pubblico ha risposto “presente”, forse non rispettando propriamente il protocollo, ma palesando il bisogno di dimostrare il proprio dissenso in maniera aperta. Questa piccola vittoria ha reso noi più consapevoli, e loro certi che non faremo la fine del Lago Bianco al Passo del Gavia. Lì un giorno, all’insaputa di tutti, un’impresa ha iniziato i lavori di sbancamento e intubazione delle acque del lago, senza ottenere i permessi necessari. Sono stati fermati da un manipolo di ragazzi come noi che, a proprie spese, è riuscito a bloccare i lavori nonostante il danno fosse già fatto. Non lasceremo che nessuno si appropri di un solo metro di terra senza passare prima sulle nostre idee.
Si ripropone un’assemblea in Valle di Scalve organizzata dal gruppo: “No comprensorio Val di Scalve”, anch’essa col pienone. Contemporaneamente, grazie all’aiuto di un’amica giornalista, finiamo sulle maggiori testate nazionali che trattano il tema in maniera più imparziale dei giornali valligiani o di provincia. L’argomento finisce sul Fatto Quotidiano, sul Corriere della Sera e su riviste a tema ambientale e sportive come Terra Nuova o Skialper. Insomma, diventa per circa un mese un argomento potenzialmente alla portata di tutti.
Per l’estate (s’intende estate 2025, NdR) abbiamo già in programma una serie di eventi che contemplano camminate e incontri per ricordare alla gente che noi ci siamo e che, per parlare con maggior cognizione, i posti si devono conoscere e frequentare. Continuiamo a pensare che la maggior parte dei favorevoli all’opera vedrebbero le loro convinzioni spegnersi nel momento in cui si trovassero di fronte al paesaggio immacolato del Pizzo di Petto o del Mare in Burrasca.
Dal canto nostro la critica non può fermarsi alla mera contrarietà al progetto, dobbiamo essere portavoce di un’alternativa, di un modo di intendere la montagna che sia più in sintonia con le realtà che popolano il territorio. Per questo motivo siamo promotori di tavoli di lavoro sul tema, e partecipiamo a bandi che possano aiutarci a comprendere meglio il fenomeno che contrastiamo. Questo sodalizio ci sta insegnando tanto, non solo in termini di competenze, ma anche dimostrandoci che la nostra è di fatto un’esperienza politica che potrebbe un giorno trasformarsi e ampliarsi ad altri ambiti interessati dallo sfruttamento e dal consumismo delle risorse. Risorse che sono di tutti, e da tutti vanno godute, specialmente quando la soddisfazione arriva da un rapporto autentico e di interscambio con la natura stessa.

E’ difficile stabilire la linea che separa gli affari dal furto
La controparte però non si muove troppo, e non si capisce nemmeno se agisce sottotraccia. Di tanto in tanto compare sul quotidiano della provincia un articolo, eppure tutto tace. Trovare informazioni riguardo al loro agire è complicato, si sa solo che gli amministratori locali sono favorevoli, ma allo stesso tempo l’iter burocratico non progredisce. Si esprimono i rappresentanti regionali, sempre a favore, ma anche in questo caso con poca convinzione, o comunque palesando il fatto che i tempi si stanno allungando e che recepire le quantità di denaro della componente pubblica non è nemmeno così scontato. Sembra quasi di doversi scontrare contro un’idea, una possibilità, che di fatto è lì, ferma e assopita, ma che non possiamo escludere, perché sappiamo che un giorno si risveglierà e noi dovremo essere sul pezzo, pronti come da un anno a questa parte a rendere le persone coscienti e partecipi del loro destino.
La lotta, intesa come resistenza, ha nel pensiero la sua teoria, e nella partecipazione la sua realizzazione. Fare in modo che tutti abbiano gli strumenti per essere partecipi del proprio destino è l’unica maniera per far sì che le scelte vengano fatte dalla collettività, e che il processo democratico di cui i politici e gli imprenditori si fanno portavoce trovi realmente espressione per tutte le classi sociali. Non da meno, l’ecologia dovrebbe essere il fondamento per pensare alle politiche di relazione tra gli uomini e l’ambiente che li ospita. Solo in questo modo saremo in grado di far convivere uomo e natura, creando l’equilibrio che ci permetterebbe di coesistere in armonia nello spazio che abitiamo.
Il progetto
Il progetto prevede cinque nuovi impianti (due telecabine, due seggiovie e una funicolare in un tunnel lungo 450 metri scavato sotto il Pizzo di Petto), due nuove piste e un bacino per l’innevamento programmato di 60.000 metri cubi. Il tutto senza menzionare la costruzione di nuove strade per il trasporto del materiale e gli scavi necessari per interrare gli impianti di innevamento e i servizi tecnologici, necessari al funzionamento della grande opera. I nuovi impianti si svilupperebbero tra quota 1800 m e 2200 m e, secondo il cronoprogramma presentato, i lavori sarebbero dovuti cominciare ad aprile 2025, termine irrealistico nonché passato. L’iter burocratico infatti stenta a decollare, e il project financing e la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) non sono ancora stati presentati alle istituzioni competenti.

La zona interessata dai futuri cantieri è sotto protezione della rete Natura 2000, rete di siti di interesse comunitario (SIC) e di zone di protezione speciale (ZpS) creata dall’Unione europea per la protezione e la conservazione degli habitat e delle specie, animali e vegetali, identificati come prioritari dagli stati membri dell’UE. Incredibilmente (ma nemmeno troppo), al tempo della costituzione di queste zone di conservazione furono lasciati dei canali di passaggio che, guarda caso, sono in corrispondenza delle potenziali nuove piste da sci, come se animali e vegetali potessero scavalcare le nuove infrastrutture passando da una zona all’altra.
Inoltre, di queste aree fa parte il cosiddetto “Mare in burrasca”, zona compresa tra Presolana e Ferrante che si incontra passando la Val Conchetta in direzione del Pizzo di Petto. Il Mare in Burrasca è un ambiente dove il carsismo e la flora alpina creano uno spettacolare paesaggio, unico per la sua estensione: un dedalo di rocce, massi, buche, crepacci e doline. È stato riconosciuto come l’area protetta più ampia e uno dei terreni più importanti della Lombardia alpina, grazie alle sue peculiarità in termini morfologici e di habitat. Il terreno carsico è naturalmente incompatibile con la creazione di bacini di raccolta, che richiederebbero impermeabilizzazione con materiali plastici destinati a diventare inquinamento a macro e microplastiche. I pannelli solari flottanti saranno poi posizionati a nord-est (quindi in gran parte dell’anno all’ombra), esposti a neve e gelo.
Gli impianti di Colere e Lizzola partono a una quota di 1050 e 1250 metri. Negli ultimi anni, con il cambiamento climatico, nei due paesi si poteva arrivare sciando solo per pochissimi giorni a stagione, rendendo inutilizzabili le piste che partono da quota 1500/1600 m. I nuovi impianti e le nuove piste verrebbero costruiti a una quota maggiore, ma sarebbero inutilizzabili quando il resto delle piste non è fruibile. A Lizzola infatti si prevede di costruire un solo impianto di risalita, senza una stazione intermedia che permette invece attualmente agli sciatori di tornare in paese tramite gli impianti, quando a valle non c’è neve sufficiente per scendere con gli sci. Questa eventualità negli ultimi anni è estremamente reale.

Sono pochissimi i giorni in cui un utente degli impianti può permettersi il lusso di arrivare con i propri sci al parcheggio. Resta di fatto una bella chimera quella dell’ampliamento del demanio sciabile a 50 chilometri, dato che le parti basse del comprensorio sarebbero di fatto difficilmente innevabili. Le proiezioni a 50 anni prevedono il 40% di giorni di neve in meno e un innalzamento di 500 metri della copertura nevosa stagionale. Ricordiamo poi che a oggi per innevare 1 km di pista sono necessari 40/50 mila euro a stagione. Insomma, stiamo parlando di un’industria che dichiara fallimento ancora prima di cominciare, e che ha come àncora di salvataggio quei finanziamenti pubblici che dovrebbero essere usati per ridurre davvero lo spopolamento delle valli, creando servizi che tutti possano utilizzare.
A sostegno del progetto i promotori portano, oltre agli argomenti di natura economica, anche quelli della sostenibilità (13 piloni invece dei 42 attuali a Lizzola, l’utilizzo del bacino anche per la produzione di energia tramite pannelli fotovoltaici flottanti e la possibilità di utilizzare l’acqua in caso di incendio). RSI (capofila del progetto) ha opzione per rilevare gli asset (seggiovie, accessi e piste) degli impianti di risalita di Lizzola, a condizione che venga realizzato il collegamento, rinnovando le seggiovie in quota. La presentazione dei progetti di sviluppo è consultabile al link: https://www.colere.it/nuovi-impianti.
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Parlare ancora di sviluppo dello sci con il casco obbligatorio è da idioti. Siamo giunti davvero all’ultimo stadio. Povero sci.
Mi auguro che non finisca male come il progetto Salati-Indren-Cresta rossa ad Alagna : una mini funivia ( Salati-Indren ) costruita per la caparbietà di qualcuno , spese superiori al progetto iniziale e come chicca finale gli obbrobri edilizi dei vecchi impianti che sono rimasti lì . Buona fortuna .
…..ma alla fine, David vince sempre contro Golia?