Una via, quattro nuove ascensioni
di Ugo Pomarici
(pubblicato su sassbaloss.wordpress.com il 1° settembre 2019)
Nel caleidoscopio della letteratura alpinistica una sezione multicolore e vivida è rappresentata dalla pubblicazione delle cosiddette “nuove ascensioni”; non esiste rivista, annuario, bollettino rispettabile che non dedichi una finestra spaziosa a tale rubrica, considerata giustamente di rilevante interesse per i lettori. A voler essere tuttavia sinceri, per la redazione della rivista l’icona rappresenta, oltre che un comprensibile fiore all’occhiello, anche una fonte di grattacapi e discussioni. I grattacapi consistono nel fatto che non risulta facile stabilire se una via presentata come nuova lo è veramente o ricalca sostanzialmente percorsi già notificati in tempi anteriori; non sempre si accoppia una buona fotografia per agevolare l’identificazione del percorso, che appare spesso coincidere con altri, salvo qualche modesta deviazione, o si interseca per poi presto divaricarsi; le relazioni si suddividono equamente tra scheletriche (“su per 300 m, per parete verticale alla cima”) o ridondanti di particolari (“dal terrazzino su 3 m chiodo e clessidra in alto a d. per cordino kevlar”); sul giudizio dei primi salitori non si può far alcun affidamento in quanto del loro parto roccesco essi sono i più strenui difensori e mai rinnegherebbero la loro creatura o ne accetterebbero un declassamento a svilita variante; è pertanto giocoforza affidarsi alla sapienza dei cosiddetti “esperti di settore”, che di tutto però ben difficilmente si intendono e talvolta incorrono in qualche malaugurato scivolone.
Insomma, per curar bene questa sezione ci vuole qualcuno veramente conoscitore dei più disparati gruppi montani, dotato di buona memoria e della pazienza di Giobbe. Il compito del responsabile appare così gravoso che il buon senso e la prudenza suggeriscono l’abitudine di sorvolare su eccessive ricerche e pubblicare comunque le novità pervenute, anche se già di primo acchito ci si rende conto trattarsi più di seconda scelta che di primizia. Se non bastassero i grattacapi e le incertezze, a complicare ancor più la situazione ci si mettono anche le discussioni: complice il crescente numero di vie nuove e la difficoltà di catalogare periodicamente il materiale pervenuto, si può far vivo successivamente alla pubblicazione un forbito grillo parlante ad informare che no, di via nuova non si tratta, bisogna rettificare, perché la via l’ha già percorsa Lui, tanti anni fa, sì, l’aveva pubblicata sul notiziario sezionale oppure no, non l’aveva pubblicata a quei tempi, perché non gli interessava farlo sapere, però adesso sì, ci ha ripensato, la vuole riattribuita “custa c’al custa”. Esperienza personale: spigolo sud del Cristallo di Mezzo, 750 metri di percorso, studi accurati, informazioni, controlli sulle guide precedenti, sfoglio minuzioso delle riviste d’epoca: niente, nemmeno un cenno, parete pulita. Dunque si parte. Via percorsa, bella, divertente, soprattutto nuova. Relazione di rito su riviste italiane e tedesche, ma al momento dell’inserimento in un aggiornamento più vasto (la mitica guida Berti), da fonte attendibilissima arriva pollice verso; la via l’aveva già fatta Antonio Dimai con le baronessine Ilona e Rolanda Eötvös, sfegatate femmine, fin dal 1911, mica hanno pubblicato, figuriamoci arrampicavano sotto pseudonimo, non c’è un rigo di relazione, ma c’è un accenno preciso nel libretto della guida. Pazienza, il ricercatore abbozza (e giù un sospirone deluso: potevano anche dirlo prima, ‘sti esperti senza lasciar passare 55 anni! Proprio adesso che s’era riusciti a salire la via dovevano andare a leggersi con attenzione il libretto di Dimai!).
Il caso preso in esame è forse quello più semplice, crea qualche mugugno e basta: è la cosiddetta “riattribuzione pacifica”. Più delicata risulta la “riattribuzione d’ufficio”: il sig. Rossi, dopo aver aperto una via nuova, dove ha trovato durante il percorso tracce inequivocabili di passaggio precedente, siccome non sa di chi tali vestigia possano essere (ignoti ? pagani? alieni?), deduce di aver pieno diritto a registrare a proprio nome l’apertura della via stessa: “res relicta, res nullius”, dunque roba sua. È quanto accaduto sulla Nord del Pelmetto salita da Alessandro Masucci e Paolo Micconi il 12-13 settembre 1962 e che Bruno Crepaz e Flavia Diena ripeterono il 12 settembre 1964 attribuendosene la salita, pur avendo trovato sul tratto più difficile e obbligato chiodi privi di cordino, il che stava a dimostrare che qualcuno da lì doveva pur essere passato. Ci volle l’intervento del vecchio saggio presidente della Sezione di Fiume, Aldo Depoli, competente per territorio a ristabilire con un bell’articolo la verità e ridare a “Cesare” Masucci quel che il giovanotto si era guadagnato sul campo dell’onore (1).
Sempre restando in tema di difesa d’ufficio, il sig. Bianchi, pur sapendo perfettamente che un suo competitore, da lui peraltro ben identificato, è già passato di là e ha lasciato segnali più evidenti del suo transito, dopo aver concluso con grandi sforzi la ripetizione della via stessa, si presenta sul palco in veste di “primo salitore”, perché le dichiarazioni dei precedenti “apritori”… non sono state sufficientemente supportate da battage pubblicitario. La polemica per la prima salita del Pilastro Sud della Marmolada coinvolse alpinisti di grande levatura quali erano Luigi Micheluzzi, Walter Stösser e Tita Piaz. Ci volle tutta l’autorevolezza del Diavolo fassano a far ammettere allo Stösser, sia pur molto a malincuore e dopo qualche tempo, di aver trovato i chiodi di Luigi Micheluzzi sul percorso.
La casistica delle appropriazioni di vie nuove comprende anche il caso di multiproprietà; le cordate pretendenti salgono competitivamente quasi in parallelo, a venti metri una dall’altra e concludono l’ascensione ex-aequo.
Come potrà quindi essere etichettata la Via dei Tetti alla Cima Ovest di Lavaredo? Via degli Svizzeri o Via degli Scoiattoli? Dovrà essere attribuita a Hugo Weber e Albin Schelbert o a Benjamino Franceschi e Candido Bellodis? Domanda difficile ma a cui bisognerà pur saper rispondere, se si vuole far cenno in futuro alla via stessa. E non è cosa saggia lasciare ai posteri la sentenza perché, l’esperienza insegna, si innesca un processo di aggrovigliamento ancor più marcato che porta alla fossilizzazione di nomi ed eventi non esatti.
Alla base di tutto questo trafelato tramestio da parte dei felini arrampicatori sta l’aggiudicazione dell’ambito trofeo della prima ascensione, lo sbandieramento del simbolico velo imeneo che avvolge la roccia, psicanalitico retaggio dell’immaginario collettivo alpinistico mutuato dall’usanza rustica di esporre al balcone il lenzuolo nuziale dopo la prima notte di nozze. E di importanza vitale per l’alpinista fornire prova inconfutabile della precedente integrità della “sua parete” per poter così far risaltare maggiormente il valore della violazione e il merito del conseguente dissolvimento di virtù. “Se no la xe vergine, no la volemo!” reclamano a gran voce i rocciatori. Ma le generazioni di rampichini si susseguono incessantemente e le immacolate cime, punte e pareti, abbondanti nei tempi felici dei pionieri, cominciano a scarseggiare. Per cui comincia a farsi strada l’idea che quand’anche la svergognata meta non possieda più la dote precipua per cui gli eroi la corteggiano così assiduamente, la nobile schiatta alpina si adopera ingegnosamente per riplastificarla. Già percorsa? That’s no problem! Puntigliosi esperti si dannano l’anima per mettere in forse la primitiva conquista, insinuando dubbi, sbandierando schizzi, esibendo foto. Il lillipuziano strapiombo nord del Campanile di Val Montanaia è emblematico per il fiume di inchiostro che ha fatto scorrere e le risme di carta stampata sprecate. E’ salito il nostro eroe, o no? Ha messo le mani dentro o fuori la fessura? “Sotto i chiodi Fanton Casara campa, sopra i chiodi Fanton il senatore Tissi vola” canticchiano sornioni, i proci assiepati sotto la ridipinta parete attendendo il loro turno per l’assalto. Ultimamente, sempre per dar nuovi spazi alla schiera dei “primi salitori”, è venuta di moda l’usucapione; su strutture rocciose già intersecate da numerosi itinerari un cuculo trapanatore, insediatosi abilmente su vie altrui, pianta un chiodo qui, uno spit là, intreccia un cordone colorato, dipinge una freccetta alla base e si attribuisce la parete così personalizzata, pubblicizzandola sperando che il pacifico possesso ultraventennale gliene consenta la definitiva aggiudicazione.
L’attività arrampicatoria è stata sempre condizionata dalla ricerca ossessiva del percorso mai percorso prima, la traversata più esposta, lo strapiombo più sporgente che c’è, ma soprattutto dalla necessità assoluta del protagonista di pubblicizzare l’exploit, notificarlo alla folla per raccoglierne il consequenziale plauso. E il narcisismo, insito in forma più o meno marcata nell’animo di ogni alpinista, la molla che lo catapulta sul palcoscenico e lo spinge ad esibirsi e il rendersi visibile quanto più possibile. La via nuova è lo strumento più sonoro per colpire la fantasia, acquistare notorietà, riscuotere ammirazione. Quante più vie nuove uno apre tanto più è conosciuto nell’ambiente, mentre colui che le vie le ripete soltanto non riesce ad affermare così prepotentemente il proprio, anche più elevato, valore.
I pochi addetti stampa che si sono interessati a Vittorio Penzo (2), alpinista veneziano degli anni ’50, conosciuto (poco) per alcune solitarie di spessore, dopo essersi soffermati sulle sue doti arrampicatorie che lo ponevano fra i migliori rocciatori dolomitici dell’epoca, hanno tutti più o meno concluso “Peccato che abbia fatto solo cinque vie nuove. Poteva fare molto di più (3)”.
La frase la dice lunga sul metro utilizzato per valutare l’alpinista; esso si basa sul numero di vie nuove aperte e non sulla difficoltà delle vie ripetute.
Eppure Penzo era stato fra i primi rocciatori a riprendere dopo la guerra gli splendidi itinerari in libera di Emil Solleder, Attilio Tissi, Renzo Videsott, Giuseppe e Antonio Dimai, Gino Soldà. Ma ciò non conta molto. Mentre importante, fondamentale è il numero delle vie aperte. Ettore Castiglioni 200, Gabriele Franceschini 180, Severino Casara 140. Ottimo! Vittorio Penzo: 5. Solo? Ma come si fa? Che delusione!
A parte il fatto che di vie nuove Penzo ne percorse nove e non cinque, forse fu lui stesso a non ricercarne altre in quanto una di queste sue travagliate creature, forse la più bella esteticamente, patì vicissitudini e risvolti a dir poco originali, tali da farlo riflettere su vantaggi e svantaggi di portare a compimento salite di tal genere. Nata da un tentativo di ripetizione e rivelatasi a posteriori “prima” a tutti gli effetti, la via nuova di Penzo e Renzo Torresan sulla parete sud-ovest del Sass d’Ortiga restò a lungo ignorata, quindi declassata dai compilatori di guide, dubbiosi della sua esistenza, a variante di una via aperta quindici anni e pubblicata venti anni dopo, e ancor oggi, malgrado il ristabilimento della verità con la revisione del battesimo della via, tuttora misconosciuta. Si tratta di una “querelle” poco nota, curiosa nel suo intrecciarsi di eventi e di notizie che, pur a distanza temporale rilevante dalle salite, non può ancora considerarsi conclusa in quanto mai affrontata con rigore.
Se i pochi lettori che hanno resistito allo sproloquio introduttivo hanno ancora voglia di seguirci, possiamo ripercorrere assieme le circostanze e le incalzanti rivendicazioni delle salite di questa caratteristica parete, facilmente riconoscibile dalla Val di Primiero in virtù della sua liscia forma a mo’ di pan di zucchero, messa ancor più in risalto nelle ore meridiane dai raggi del sole declinante.
6 settembre 1931 – La forte cordata bellunese di Francesco Zanetti, Aldo Parizzi e Attilio Zancristoforo lascia un appunto sul libro del rifugio Treviso (4) dando scarna notizia della prima ascensione alla parete sud-ovest. Nessuna pubblicità viene data alla salita né alcuna relazione viene stesa. Quattro anni più tardi, nella sua ineguagliabile guida, Castiglioni ignora la segnalazione ed indica “l’arditissima parete sud-ovest di gran lunga il problema più interessante della Val Canali (5)”.
27 agosto 1939 – Riccardo Della Piazza (di Fiera di Primiero) e Francesco Vittorio Bianchi, “gufino” bolognese, affermano di aver superato la parete sud-ovest. Pubblicano una relazione dettagliata della loro salita sulla Rivista Mensile del CAI corredata da una foto con tracciato (6). Dalla lettura del racconto si rileva che il capocordata è volato sul punto cruciale della via, un pronunciato strapiombo, che sono stati utilizzati chiodi (senza specificarne il numero), ma nessuno di essi è stato lasciato in sito. La classificazione di tale salita viene fatta rientrare intorno all’estremamente difficile (sesto grado).
3 agosto 1946 – I veneziani Vittorio Penzo e Renzo Torresan partono per ripetere la via di Della Piazza: ma già dal secondo tiro di corda non si trovano più con la relazione in loro possesso e sono costretti ad andare su a naso: dopo aver superato il tratto più arduo dove il Della Piazza dice di essere volato, si trovano dinanzi un diedro liscio e strapiombante; Penzo lo tenta, ma lo trova ostico e non riesce ad andare oltre: scende e pensando di trovar terreno più facile verso lo spigolo, che già conosce avendolo percorso l’anno prima in solitaria, traversa obliquamente lungo una cornice ascendente per circa cinquanta metri, utilizzando sette chiodi ed uscendo sulla via già nota laddove un grosso masso squadrato salda il pilastro all’ultimo risalto. Torresan seguendolo lascia due chiodi per dimostrare l’avvenuto passaggio. Dopo aver confrontato la loro esperienza con il Della Piazza ed aver ottenuto dallo stesso risposte evasive o comunque non soddisfacenti, i due ritengono di essere i primi salitori della parete e danno pubblicazione della loro salita sulla Rivista Mensile del CAI del 1946, nonché avviso sulla Cronaca del Gazzettino di Venezia; la notizia della salita appare anche sulla neonata rivista triveneta Alpi Venete.
Il percorso seguito da Penzo nella sua prima del 1946. (Anche questo tracciato non segna con esattezza la traversata a sinistra verso lo spigolo Kees-Wiessner, NdR).
15 ottobre 1961 — Samuele Scalet e Aldo Bettega di Fiera di Primiero salgono la parete sud-ovest. La relazione di tale salita è presentata come prima ascensione sei anni più tardi nella Rivista Mensile del CAI del 1967 (7). Il titolo dell’articolo è Una parete a sorpresa. Sorpresa di che? Ma di aver fatto una via nuova! E dove ? “Quasi non crediamo che tutto ciò sia vero: una via diretta, nel centro di una bella parete vergine, alta 400 metri, e ben in vista è una fortuna piuttosto rara negli anni Sessanta”.
1974 – Viene pubblicata la guida Val Canali – Arrampicate ed escursioni di Ludovico Cappellari e Renzo Timillero. Alle pagine 19/22 viene riportata la cronistoria delle ascensioni di Della Piazza e Penzo esprimendo alcuni dubbi sulla loro realizzazione. A pag. 87 viene descritto l’itinerario della parete sud-ovest attribuendolo “tout court” a Scalet e Bettega (le relazioni delle vie di Della Piazza e Penzo non sono riportate). Come mai? Semplice: Timillero e Cappellari, alpinisti di rango, si rendono conto che il tracciato delle tre vie è unico, salvo la lunga traversata finale della via di Penzo.
1974 – Viene pubblicata la guida Pale di San Martino – Volume Secondo di Gabriele Franceschini e Bepi Pellegrinon, edizioni Tamari. A pag.78 si legge: “Penzo e Torresan, credendo di aprire una via nuova, ripetono grosso modo la via Della Piazza… Scalet e Bettega aprono un nuovo itinerario a sin. di quello trovato da Della Piazza”. Quindi per Franceschini gli itinerari sono tre: nella parte tecnica le relazioni vengono rimaneggiate, la via Della Piazza viene spostata a destra, la via Scalet diventa via principale e la via Penzo diventa una variante finale della Scalet, fra l’altro considerata (giustamente) illogica perché meno diretta e più difficile della Scalet stessa.
20 settembre 1986 – La cordata feltrina di Aldo de Zorzi e Silvio Boz ripete integralmente la via Penzo-Torresan, trova uno dei chiodi lasciati sulla traversata e conferma le difficoltà così come denunciate dalla cordata. Viene dato rilievo alla ripetizione con un trafiletto su Le Alpi Venete (8) e si avanza un timido accenno di riattribuire la priorità della salita alla cordata veneziana.
9 luglio 2002 – Parlando fra amici, e considerando la possibilità di fare qualche arrampicata in Val Canali, qualcuno candidamente propone di salire la via “Scalet” al Sass d’Ortiga. Sale la ribellione, il vaso è ormai colmo e trabocca, urge definire la situazione prima che la stessa si cancrenizzi irrimediabilmente e soprattutto prima che venga alla luce la nuova guida delle Pale di San Martino (2035?) (Qui l’autore si riferisce alla futura guida Pale di San Martino Est, di Lucio De Franceschi, Collana Monti d’Italia, pubblicato poi nel 2009, NdR).
Assumendo il compito di relatori, predisponiamo la seguente istanza ufficiale di revisione, articolata in cinque ipotesi, con l’esposizione dei relativi pro e contro.
1) I primi salitori sono Zanetti, Parizzi e Zancristoforo
Pro: erano arrampicatori fortissimi e certamente all’altezza delle difficoltà opposte dalla parete. Avevano ripetuto nel 1930 la Rossi-Simon alla parete nord del Pelmo (prima italiana), aperto molte vie nuove di equivalente difficoltà, facevano parte del gruppo di punta degli accademici di Belluno.
Contro: Se l’avessero salita avrebbero senza dubbio redatto una relazione, e l’avrebbero pubblicata nell’Annuario CAAI 1927-1931, che compendia l’attività degli accademici italiani di un lustro e dove figurano vie nuove degli stessi alpinisti nello stesso periodo di minor difficoltà. Nello stesso giorno indicato per la salita due di loro (Zanetti e Parizzi) sono impegnati su un itinerario nuovo alla Torre Sprit, poco distante dal Sass d’Ortiga, di forte difficoltà. L’onnipresenza è tuttora prerogativa degli dei ma non ancora appannaggio degli alpinisti. Castiglioni, di cui era nota la pignoleria, era in contatto con il gruppo dei Bellunesi come lui appartenenti al CAAI e se trovò, come Franceschini ha riferito, il biglietto in cima o l’annotazione sul libro del rifugio, sicuramente non tralasciò di verificare l’attendibilità della notizia. Il fatto che abbia indicato nella sua guida che la parete, a tutto il 1935, doveva essere ancora salita costituisce la prova più evidente che i bellunesi non effettuarono la salita.
SASS D’ORTIGA – BELLUNO: 3 a 1
2) I primi salitori sono Della Piazza e Bianchi
Pro: pubblicano subito sulla Rivista Mensile il resoconto della loro salita corredandola con una fotografia; il tracciato sostanzialmente coincide con il successivo percorso della via Scalet.
Contro: I due alpinisti non hanno tradizione di altre salite alle spalle. A parte questa via, null’altro di altrettanto difficile risulta nel loro curriculum alpinistico. Affermano di aver usato chiodi, ma nessuno di essi è stato lasciato, su un percorso in cui Penzo, che non era certo un chiodatore, ne impiegherà ben 11 e che Scalet affronta munito secondo le sue stesse dichiarazioni di uno zaino pieno di chiodi e staffe. La relazione che i due hanno redatto non risulta seguibile sul terreno. Alle richieste di chiarimento il Della Piazza non offre risposte esaurienti.
SASS D’ORTIGA – PRIMIERO UNO: 4 a 1
3) I primi salitori sono Penzo e Torresan
Pro: tre quarti della via sono stati superati su tracciato originale; mancano solo due lunghezze all’uscita. Sotto il diedro finale, che Penzo non riesce a superare, i due si imbarcano in una traversata ancor più difficile. Sul passaggio più arduo lasciano due chiodi, di cui uno viene ritrovato in ripetizione. Scrivono la relazione sul libro del rifugio, la pubblicano sulla Rivista Mensile, sul Gazzettino e su Le Alpi Venete, dando una pubblicità tale all’ascensione che di più non si potrebbe.
Contro: non sono riusciti a salire diritti sulla parete terminale e hanno deviato dal tracciato ideale. Hanno risolto il più bel problema della Val Canali, soffiandolo alle guide di Fiera.
VENEZIA – SASS D’ORTIGA: 3 a 2
4) I primi salitori sono Scalet e Bettega
Pro: sono riusciti a salire l’ultimo tratto dritti laddove Penzo aveva deviato. Sono di Primiero.
Contro: hanno ignorato le precedenti relazioni che davano per salita la parete. Sono partiti con un sacco pieno di chiodi e staffe. Hanno atteso sei anni per dar notizia della salita.
SASS D’ORTIGA – PRIMIERO DUE: 3 A 2
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Tutto ciò premesso, balzando evidente nel raffronto la supremazia della tesi a favore di Penzo-Torresan, si richiede ad una giuria imparziale di emettere un verdetto definitivo di autenticazione di via nuova così formulata: parete sud-ovest, via centrale: Penzo-Torresan con variante finale Scalet-Bettega pubblicando tale scritto sulle riviste specializzate con il rilievo che merita.
Le cartelle si sono riempite via via di circostanze, nomi, date, schizzi, fotografie a comprova della tesi che doveva essere sostenuta, ma quasi alla fine la mano è diventata incerta, greve; un’ipotesi inquietante ha cominciato a serpeggiare nella mente, si è fatta pian piano strada ed ha reso vacillante la redazione delle ultime righe. È come se un macigno fosse montato sulle dita e impedisse di continuare a scrivere, di arrivare alla considerazione finale; un’idea ossessiva, martellante. Perché tutti hanno dichiarato di aver salito per primi la parete? Perché nessuno ha rinunciato? Per la centesima volta la foto della parete misteriosa viene passata all’esame, anche se si conoscono a menadito le rugosità, gli anfratti, le protuberanze. E mentre lo sguardo vaga su per le serpeggianti strisce, arriva folgorante la rivelazione e cade la benda dagli occhi.
Tutte le cordate citate hanno realmente salito in prima ascensione la parete, e tutte quelle che con essa si cimenteranno saranno poste nella medesima esaltante condizione di primi salitori. Perché (nessuno ci aveva finora pensato, ma è l’unica spiegazione sensata) la convessa parete del Sass d’Ortiga è incantata. Mano a mano che gli alpinisti ne superano le rilevanti difficoltà, tiro dopo tiro le tracce di passaggio si cancellano, i chiodi piantati si sfilano da soli e vengono ritirati da piccoli operosi gnomi che li occultano rinserrandoli nel cavo delle rocce. Gli alpinisti vincitori, dopo aver depositato la relazione di rito, masticando lentamente una razione di foglie di loto, non riescono più a ricostruire con lucidità la fatata avventura i cui contorni sfumano lentamente nelle brume del tempo. I redattori delle rubriche delle riviste alpine e i compilatori di guide della Val Canali, dimentichi di aver già pubblicato nel passato altre relazioni, continuano col sorriso sulle labbra, senza obiezione alcuna, ad accettare segnalazioni di nuove vie sulla stessa parete e, così operando, riescono a soddisfare la vanagloria degli alpinisti che vogliono fregiarsi della conquista del “più interessante problema della Val Canali”.
La solare parete della magica cima assurge così ad archetipo di struttura rocciosa autogenerantesi, dove le vie aperte si chiudono automaticamente subito dopo la salita, consentendo così a tutti gli aspiranti la gioia e gli onori di una vittoria preclara, ed attribuendo ai compilatori di guide future il potere di verginizzare senza soluzione di continuità le pareti dei monti per far sì che esse permangano, grazie alle “prime infinite”, fonti di inesauribili problemi alpinistici.
Note
(1) De Poli Aldo, Novità alpinistiche sul Pelmetto – Le Alpi Venete, 1965, 127.
(2) Vittorio Penzo (Venezia 1923-2000), Accademico del CAI. Grande arrampicatore solitario, equiparabile agli altri solitari del suo tempo Cesare Maestri, Armando Aste, Marino Fabbri, Karl-Heinz Gonda: le sue imprese più note: Croda Marcora, Vie Dimai e Dibona; Cimon della Pala, via Andrich; Agner, parete nord, via Jori.
La sua attività, svolta con riservatezza e modestia, abbraccia più di vent’anni di salite ad alto livello e rispecchia una passione per i monti che cesserà solo con la sua scomparsa.
(3) – De Battaglia Franco-Marisaldi Luciano, Enciclopedia delle Dolomiti, pag. 400; Pianetti Danilo, 100 anni di storia dell’alpinismo veneziano; Cappellari Lodovico-Timillero Renzo, Val Canali Arrampicate ed escursioni.
(4) – Secondo Cappellari e Timillero in cima, secondo Franceschini e Pellegrinon sul libro Ascensioni del rifugio Treviso.
(5) Castiglioni Ettore — Pale di San Martino, ed. CAI TCI ed. Guida Monti d’Italia 1935, pag. 278.
(6) – Rivista Mensile del CAI, 1939/1940, pagg. 167-168.
(7) – Rivista Mensile del CAI, 1969, pag. 458.
(8) – Le Alpi Venete, autunno/inverno 1988/89, pag. 253.
Ancora sulla Sud-ovest del Sass d’Ortiga
(botta e risposta tra Gabriele Franceschini e l’autore)
La guida Gabriele Franceschini, con riferimento allo scritto di Ugo Pomarici, scrive:
“L’articolo di Ugo Pomarici: Una via, quattro nuove ascensioni sarebbe più adatto titolarlo Una variante (la Penzo-Torresan) e due prime ascensioni (la Della Piazza fino al diedro finale, ancora da confermare, e la Scalet-Bettega). Solo Samuele Scalet può avvalorare o meno la veridicità della via Della Piazza. Le altre due vie (di Renato Gobbato con Alberto Serena e Walter Cadò e dello stesso Gobbato con Giorgio Zanon) sulla stessa parete non sono in discussione e la prenotazione di Zanetti, Zancristoforo, Parizzi non è mai stata effettuata. La parete sud-ovest del Sass d’Ortiga, data l’ottima qualità della roccia, è percorribile alpinisticamente con difficoltà fino al IV+. Anche i primi venti metri del diedro finale sono sempre dello stesso grado, mentre l’uscita al diedro di trenta metri sono di V+ (ciò per informazioni della guida Davide De Paoli e dell’avvocato Luca Gadenz). Nella parete v’è inoltre una variante di Renzo Timillero e un’altra ascensione di Aldo Leviti, che ha superato la parete sulla dirittura della Scalet-Bettega, uscendone lungo il diedro finale.
Il Pomarici riporta fra virgolette, ma solo parzialmente, quanto scrivo a pag. 78 della mia guida del 1974 (ed. Tamari): “Il tre agosto 1947 V. Penzo e R, Torresan credendo di aprire una via nuova ripetono grosso modo la via Della Piazza dalla quale divaricano a sinistra lungo una cornice che li porta al masso incastrato dello spigolo ovest, via Kees-Wiessner”. (La data esatta è 3 agosto 1946, non 1947, NdR).
Egregio Pomarici, non è corretto riportare solo parzialmente frasi di altri virgolettate senza rispecchiarne compiutamente il pensiero. Infatti riporti fedelmente fino alla “via Della Piazza” concludendo il mio pensiero con tue deduzioni, solo di parte.
1945 – 1946 – 1947 dormivamo io, Vittorio e Renzo nel fienile di Malga Canali. Quel 3 agosto i due amici arrivarono a tarda notte. L’indomani mi raccontarono la loro soluzione della parete sud-ovest, conclusa seguendo una variante di raccordo con lo spigolo Kees-Wiessner e successivi 80 metri.
Subito dissi che avevano aperto una variante di raccordo con lo spigolo Kees-Wiessner e che per affermare che la Della Piazza non esiste dovevano ripeterla. Cosa che Vittorio non fece mai pur avendomelo promesso. Poi nel 1961 Samuele Scalet e Aldo Bettega risolsero il problema della Sud-ovest dell’Ortiga”.
Gabriele Franceschini
Ugo Pomarici replica:
“Se potevo avere ancora qualche fugace dubbio sul magico influsso che la parete del Sass d’Ortiga esercita sugli alpinisti, la lettera di Franceschini me l’ha definitivamente fugato. Anche Gabriele sembra patire della sindrome del fiore di loto, che da essa e dalle sue storie emana.
Data l’accusa di “scorrettezza”, riporto integralmente quanto da lui scritto alla fatidica pagina 78 della sua Guida e di cui avevo estrapolato un periodo significativo ai fini della comprensione del suo atteggiamento nel 1974, condiviso anche da Cappellari e Timillero: “Molta confusione si è creata attorno agli itinerari di questa parete e solo ora pensiamo di poter dire una parola definitiva attorno al dedalo di itinerari che si è creato lungo essa. La prima scalata della parete si deve a Zancristoforo, Zanetti e Parizzi il 6/9/1931 per itinerario ignoto, II 27/8/1939 R. Della Piazza e V. Bianchi aprono una via veramente ideate al centro della parete, Il 3/8/1947 Penzo e Torresan credendo di aprire una via nuova ripetono grosso modo la via Della Piazza dalla quale divaricano a sin. per una visibile cornice obliqua che conduce al masso incastrato dello spigolo O. Il 5/10/1961 S. Scalet e A. Bettega aprono un nuovo itinerario a sin. di quello trovato da Della Piazza che si salda nelle immediate vicinanze della vetta a quest’ultimo itinerario”.
A distanza di 30 anni Franceschini nella sua precisazione e a parziale modifica della stessa, scrive:
“La Zanetti-Parizzi-Zancristoforo non è mai esistita”; la Della Piazza è ‘via confermata’ fino al diedro terminale della Scalet; la Penzo-Torresan non è via nuova ma variante ad una via che non è però la Della Piazza; la Gobbato Zanon non è più variante alla Della Piazza, bensì via autonoma”.
Nel mio scritto, basato non solo sulla scorta delle relazioni, delle fotografie e degli schizzi, ma anche su una memoria vergata a quattro mani da Penzo e Torresan, mi è sembrato di poter affermare che il tracciato delle tre vie dichiarate aperte sostanzialmente coincidesse fino alla base del diedro terminale e che di unico tracciato inferiore si potesse parlare con due soluzioni finali: l’uscita Penzo per la cornice e l’uscita per il diedro finale. Considerata la difficoltà del tratto avevo ipotizzato che il primo salitore potesse esser indicato in Scalet. Franceschini è di altra idea, ma sempre per ipotesi. Ai posteri la sentenza. A me interessava rimettere in ballo la versione ufficiale, ricordando nel contempo un forte e modesto alpinista.
Ugo Pomarici
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Comunque sono state scoperte antenate delle galline che erano vivipare, solo successivamente (ipotizzano per una riduzione dei predatori e minor dispendio energetico) divennero, e rimasero, ovipare. Quindi domanda ha finalmente una risposta 😁
E io che credevo la sincerità una virtù ormai solo alpinistica🤭🤭
Si potrebbe dire: è nato prima l’uovo o la gallina?
I chiodi a volte sono come i funghi, spuntano…