Metadiario – 21 – La parete nord-est della Grivola d’inverno (AG 1970-01)
Il problema di una salita invernale sulla Nord-est della Grivola era evidente. La più grande salita di ghiaccio del gruppo del Gran Paradiso, un tetro scivolo di ghiaccio vivo e misto, la via aperta da Amilcare Crétier e Lino Binel il 2 agosto 1926, era ancora da percorrere d’inverno! Subito ci rendemmo conto che uno dei più gravi ostacoli era la marcia d’avvicinamento. Scartammo l’idea di partire da Cogne e passando dal bivacco Bàlzola scendere sul Gran Plateau alla base della parete, perché così facendo avremmo evitato tutta la prima parte della parete, e cioè la seraccata. Se d’estate alcuni ripetitori avevano preferito questa soluzione, noi, primi salitori invernali, non potevamo. Dovevamo fare come Crétier.
Schizzo autografo di Amilcare Crétier sulla parete nord-est della Grivola
Così alle 8 del 22 gennaio lasciamo Vieyes con gli sci ai piedi e con strettissime serpentine saliamo nel bosco alla volta delle Baite del Gran Nomenon, con la bella prospettiva di scarpinare da metri 1132 a metri 2309. I nostri carichi non sono certo leggeri e l’allenamento non è neanche dei migliori; comunque, come dice sempre un mio amico, «ci alleneremo sulla via». Per di più il Machetto, con fare serissimo, avverte che lui si fermerà ogni otto ore. Al che noi ribattiamo con auguri di buona solitaria.
Siamo in cinque. Una cordata più eterogenea non si poteva fare. Guido Machetto, di Biella, guida e maestro di sci, poi Carmelo di Pietro, di Gallarate, custode del rifugio Maria Luisa in Val Formazza, Leo Cerruti titolare a Milano di una ditta di apparecchiature elettriche, Gianni Calcagno, impiegato in un negozio di articoli sportivi a Genova, ed io. Se di tutti ho indicato la professione, purtroppo per me è impossibile. Le mie attività sono molteplici e multiformi, non facilmente classificabili, per cui è meglio rinunciare in partenza.
Grivola, parete nord-est in versione primaverile
Ci siamo uniti in tanti perché abbiamo pensato che è giusta la massima «in pochi sul difficile, in tanti sul faticoso»; così, se andando all’attacco sfonderemo fino alla cintola, ci potremo dare più facilmente il cambio; e se uno a un certo punto si stuferà di faticare come una bestia, ci saranno sempre gli altri a smuoverlo. Inoltre in cinque o anche in quattro l’umore generale è sempre migliore. Infatti si ha la fusione di cinque umorismi diversi: quello un po’ fatalistico del Machetto, l’inglese del Di Pietro, il milanese del Cerruti, il poliedrico mio. Quanto a Gianni Calcagno, con quella sua barbetta satanica, quando parla ci dà l’impressione di un avvoltoio appollaiato e gracchiante. Il suo umorismo è dunque molto funereo-tombale. Nelle sue battute c’è sempre una visione delle cose nera e tragica, naturalmente caricata, per cui si ride con la pancia per terra (pardon, sulla neve). Una ghignata dietro l’altra arriviamo finalmente alle Baite. Qui ci fermiamo a mangiare, e mentre noi quattro ci nutriamo con pappine liofilizzate e aranciate in polvere, il Carmelo di Pietro tira fuori dallo zaino lussuosissime buste di affettati vari, formaggi sopraffini, frutta fresca e genuina. Purtroppo tutti questi meravigliosi beni di consumo spariscono in velocità dentro la capace pancia del proprietario, che con molto egoismo e cinico disprezzo della nostra fame, ci elargisce poco e niente. Alle 18 ci sdraiamo sulla paglia e alle 22.30 ci alziamo. Dopo un’ora, con la luna che illumina a giorno il vallone, partiamo alla volta del fondo del vallone. Il versante nord della Grivola luccica ed è tutto argento: non stiamo faticando in salita e siamo affascinati da questa conca invernale. È tutto troppo bello perché non sia degno di essere vissuto. Siamo contenti di essere qui.
Grivola, prima ascensione invernale della parete nord-est, via Crétier
Alla base della seraccata lasciamo gli sci e, legati, cominciamo a salire alternando a tratti di ghiaccio, altri di neve fresca. La seraccata è alta 700 metri e quindi la parete intera arriva ai 1400. Poi sprofondiamo sempre più nella neve e sul Gran Plateau l’avanzata è lentissima. Alle otto di mattina attacchiamo la crepaccia terminale e il lunghissimo pendio. Per fortuna non dobbiamo scalinare e saliamo abbastanza veloci. La pendenza è sui 55-60 gradi. Il tormento peggiore è dato dalle continue spolverate di neve fresca che il vento ci fa turbinare intorno. Gli aghettini di ghiaccio battono con violenza sulla pelle del viso e persino sugli occhi che in certi momenti bisogna tener chiusi. A tre quarti della salita, dopo una diagonale a destra, stiamo fermi un’ora e mezzo ad aspettare che Gianni Calcagno superi un diedro di roccia marcia e innevata. Un capolavoro! Machetto dice che il sesto grado non era in programma… Poi ancora un po’ di lunghezze di corda, ed eccoci in cima, in tempo per veder sparire il sole. Il vento furioso non ci lascia in pace, così il primo non aspetta l’ultimo e si butta invece nella discesa lungo la cresta est. La mano ce la daremo dopo. A cento metri dalla vetta, è quasi buio, e prepariamo il bivacco. Per salire avevamo impiegato otto ore e mezza, per scendere quei cento metri e preparare il bivacco c’è voluta ancora un’ora e mezza nella bufera…
Grivola, prima ascensione invernale della parete nord-est, via Crétier, alba dal bivacco Bàlzola
Un piccolo ripiano quasi sul filo di cresta, scavato nella neve. Appena ci siamo sdraiati nel nostro sacco, ci appisoliamo, lasciando Calcagno al fornello. Ma anche lui può fare ben poco in queste condizioni. Il risultato è orribile. Mi viene in mente che prima della scalata mi avevano invitato a Sauze d’Oulx, a un convegno di esperti di alimentazione che discutevano sul “Menù ideale dello sciatore e dello sportivo in montagna”. Avevo fatto inorridire tutti, scienziati e gastronomi, raccontando che cosa mangio io durante le ascensioni: «Dunque, per ragioni di peso non possiamo portare roba troppo abbondante. Non ci rimangono quindi che i prodotti liofilizzati, le pappine per bambini, per esempio, e le aranciate in polvere. Abbiamo un fornellino a gas butano e facciamo sciogliere della neve: all’acqua cosi ottenuta, che però è poverissima di sali, aggiungiamo l’aspartato di potassio e di magnesio, ottenendo cosi qualcosa di abbastanza simile all’acqua potabile. Poi versiamo lì dentro le pappine: il gusto per noi adulti è tremendo, però sono molto nutrienti. E’ un po’ ridicolo, lo ammetto, mentre si è appollaiati su una cengia a 4.000 metri, leggere sulle scatole del nostro pranzo: “Quando spuntano i primi dentini aumentare la dose” o raccomandazioni simili».
Leo Cerruti e Gianni Calcagno, Grivola, alba del 25 gennaio 1970 al bivacco Bàlzola dopo la prima ascensione invernale della parete nord-est
Questa volta, per risparmiare sul peso, non abbiamo neppure quelle buste di salumi già affettati che vendono i supermarket: di solito le mettiamo sotto la maglia, così non gelano e possiamo mangiare qualche fetta di prosciutto. Anche il formaggio grana è valido perché, poverissimo di acqua, impiega più tempo a gelare. Ma questa notte non ne abbiamo neppure un morso, non ci rimangono che i liofilizzati per lattanti che l’acqua non riesce a sciogliere bene in questo casino di bufera.
Dopo questo triste e magro pasto ci rinchiudiamo nei sacchi-piuma. Sono le sei di sera: non è facile neppure addormentarci, ma alla fine la stanchezza vince e piombiamo tutti e cinque in un sonno profondo. Mentre dormiamo ci cadono addosso venti centimetri di neve fresca e non ce ne accorgiamo. Ci svegliamo la mattina alle otto: vedo i miei compagni, ma manca Carmelo Di Pietro. Ci mettiamo a chiamarlo e finalmente un mucchio di neve, poco lontano da noi, si muove: era là sotto e non aveva sentito, addormentato com’era, le nostre voci. La neve è entrata nei sacchi piuma, ma per fortuna non si è sciolta perché siamo ben sotto allo 0°. Alla mattina ne abbiamo abbastanza del bivacco a 3900 metri e cominciamo subito a scendere al sole che però non scalda neanche un poco. Il vento ha aumentato la violenza; a volte ci sono delle raffiche che buttano giù se non si è pronti a ristabilire l’equilibrio. Crestine da percorrere a cavalcioni, una corda doppia, lunghi giri sotto cresta, salti ghiacciati, ci troviamo la strada per il Colle dei Clochettes dove a 3447 metri c’è il bivacco fisso Mario Bàlzola. Finalmente, alle 16, lo raggiungiamo. Siamo stanchissimi, soprattutto perché storditi dal vento. Il più è fatto, ma non siamo molto tranquilli e non dormiamo bene, perché ancora non è finita. La mattina del 25 con 5 corde doppie scendiamo sul Gran Plateau e affrontiamo la seraccata con la paura delle scariche.
Guido Machetto, 25 gennaio 1970, al bivacco Bàlzola, di ritorno dalla prima invernale della via Crétier-Binel alla Grivola
– Questa è una di quelle scariche di ghiaccio che oscurano il sole! – dice Guido Machetto togliendosi i ramponi.
A parte che di sole in questo momento non se ne vede, anzi abbiamo un bel cielo promettente abbondanti nevicate, lo spettacolo cui abbiamo appena assistito ci ha messo i brividi. A tutti, meno che a Guido Machetto. Stavamo scendendo velocemente sotto la grande seraccata della Grivola e purtroppo occorreva effettuare una lunga diagonale. Per di più ieri aveva nevicato e sicuramente la massa di neve fresca avrebbe spinto il ghiaccio sottostante, provocando certo scariche della fronte del ghiacciaio. Ci aspettavamo quindi un po’ di tiro a segno. Verso le 11.30 con immane fragore era arrivata la prima, passandoci davanti a pochi metri, nel canale che noi stavamo per scavalcare. Un’intera casa di ghiaccio, tonnellate e tonnellate che precipitavano con furia bestiale e cieca. Con il cuore ancora in gola, appena cessata la valanga, eravamo passati attraverso il canale, fidando che almeno negli immediati cinque minuti successivi, non si sarebbe verificata un’altra scarica. Infatti abbiamo avuto il tempo di attraversare, di scendere ancora e di raggiungere gli sci che avevamo lasciati all’attacco due giorni e mezzo prima. Quand’ecco che mentre ci togliamo i ramponi un rumore sordo e potente ci fa guardare in alto. La seconda, molto più grossa della prima!
Solo agli sci ci stringiamo la mano, con le sopracciglia incrostate di ghiaccio.
Con gli sci ai piedi scendiamo abbastanza velocemente nel vallone del Gran Nomenon, fino ad arrivare alle baite. Qui incontriamo due guardiaparco, Pierino Rava e Giacomo Guglielmetti, che son venuti fino qui con le racchette di neve e il radiotelefono a vedere cosa era successo di noi. Insieme facciamo un gran pentolone di tè. Era parecchio tempo che non potevamo bere a volontà! Poi la discesa a Vieyes, con le mie cadute a ogni curva. Ne ho contate 33, poi ho smesso (di contare, non di cadere). Fra marce di avvicinamento, attacco alla parete, bivacco e discesa fino al fondo valle abbiamo impiegato circa 87 ore, da auto ad auto.
Vieyes (Valle di Cogne), in fila indiana di ritorno dalla prima invernale della Nord-est della Grivola, 25 gennaio 1970: Calcagno, Di Pietro, Cerruti, Gogna, Machetto
Diciamo subito che a mezzogiorno del 25 gennaio sulla nostra sorte si era incominciato a nutrire grosse preoccupazioni, tant’è che il sottotenente dei carabinieri Centonze, attraverso il suo comando, aveva richiesto dopo un intervento nella Grivola un elicottero del Centro di soccorso aereo di Linate. Il clima di suspence era giustificato dal fatto che avevamo lasciato a Vieyes le nostre auto, allo sbocco del vallone del Nomenon. Quelle due vetture (una «125 Fiat» targata MI F20341 e un camioncino «Volkswagen» targato VA 263944) abbandonate per giorni ai bordi della strada, avevano finito per impensierire i valligiani sulla sorte dei cinque giovani che la proprietaria di un’osteria di Vieyes aveva visto partire giovedì mattina, con gli sci in spalla, in direzione del vallone del Nomenon.
Poi si era appreso che non si trattava di cinque sciatori ma di cinque alpinisti, con la mia presenza: dubbi a questo punto non ne potevano più esistere. I cinque avrebbero affrontato la parete nord-est della Grivola, mai percorsa in pieno inverno. La parete nord-ovest, della stessa montagna, meno proibitiva, era stata vinta anni addietro, d’inverno, dalle guide di Aosta Franco Garda e Sergio Giometto.
Vieyes. Gogna e Machetto al ritorno dalla 1a invernale della Nord-est della Grivola, 25 gennaio 1970
I giornalisti interrogano la guida alpina Vincenzo Perruchon, di Cogne, ex campione di sci di fondo, che dice: «Le condizioni della montagna non sono certo le migliori, il freddo in alto nella notte va oltre i 20 gradi sotto zero. Soffia anche il vento. Di giorno, per il sole, la minaccia delle valanghe è sempre presente. Non riesco a spiegarmi perché quei cinque tardino tanto a scendere. Domattina daremo inizio a perlustrazioni». Poco dopo è anche giunta una notizia, che è apparsa sulle prime decisamente agghiacciante. Un guardacaccia del parco del Gran Paradiso aveva trovato ad alta quota un paio di scarpe, un portafogli e le chiavi di un’autovettura. La segnalazione giunge a Cogne attraverso la radio ricetrasmittente delle guardie del parco.
Seguono veri momenti di angoscia, nel corso dei quali è richiesto, come già detto, da parte dei carabinieri l’intervento dell’elicottero di Linate. Poi la notizia si corregge: «le scarpe, il portachiavi della vettura sono state trovate assieme ad altro materiato in una baita del Nomenon. Ciò significa che gli alpinisti hanno lasciato nella baita alcuni effetti personali per riprenderli al ritorno della scalata.
Per questo motivo quando, abbastanza stancucci, arriviamo a Vieyes, vicino alle nostre auto staziona un gruppetto di giornalisti e curiosi. Noi li preghiamo di andare tutti alla vicina osteria per poter bere qualcosa di caldo». Finalmente cominciano a sciogliersi i ghiaccioli della mia barba “da patriarca armeno”, come la definisce in quell’occasione Nino Giglio della Gazzetta del Popolo.
A chi ci fa i complimenti, rispondiamo: “In fondo si è trattato solo di un allenamento…”. Poi ci chiedono quali sono i nostri programmi futuri, così noi, pensando all’Integrale di Peuterey in inverno diciamo che staremo otto giorni in parete ma non ci sbottoniamo di più: «Ne riparleremo a cose fatte».
Il 19 febbraio 1970 cerchiamo di dare corpo ai nostri programmi: assieme a Leo, Guido e Gianni parto dall’ingresso del traforo del Monte Bianco. Carichi all’inverosimile scendiamo verso il Ghiacciaio della Brenva. Sono le 19 e nevica a larghe falde. Dopo un’ora di dispersiva marcia alla fronte del Ghiacciaio della Brenva abbiamo il coraggio di rinunciare. Vista l’entità ridicola dei progressi registrati, questo non si può certo ricordare come il primo tentativo per salire la Cresta Integrale di Peuterey. Ma di certo è una delle “gite” più stupide che io abbia mai fatto.
Alessandro Gogna in partenza per il militare
Che cosa resta dell’ardua Grivola bella?
Avete ammirato il suo splendore in quella fotografia degli anni Venti? Pochi giorni fa mi sono imbattuto invece in un video dei tempi moderni: la parete NE era tutta secca.
Ho avuto un mancamento.
Bel racconto condito con la usuale dose di auto-ironia che lo rende molto godibile!
che bel racconto! quanta umiltà e insegnamenti da questi scritti così “veri”