Metadiario – 32 – La diretta “Renato Reali„ alla Cima di Terranova (AG 1971-004)
1970. Reduci dalla prima ascensione della via diretta sulla parete sud della Marmolada di Rocca (quella con obbligo militare mi avevano costretto a battezzare Cinquantenario della FISI e che poi diventò, con poco rispetto per i miei compagni, la “Gogna”), ci eravamo risolti qualche giorno dopo, nella prima metà di settembre, a dirigerci alla base della Cima di Terranova.
Era un progetto questo che mi stava davvero a cuore e per il quale ero riuscito a convincere almeno due dei miei compagni della Marmolada. In questa nuova avventura, oltre ad Alberto Dorigatti e Bruno Allemand, il nuovo era Heini Holzer, un compagno tanto silenzioso e mite quanto forte. Del resto la sua attività parlava ben chiaro, solitarie a tutto spiano in tempi ridottissimi e molte prime in quel gruppo di amici di Reinhold Messner, anche invernali.
Questa volta eravamo stati trattati da signori! Alla faccia dell’ecologia (di là da venire a quel tempo) i vertici delle Guardie di PS presso cui Allemand ed io facevamo servizio militare avevano deciso che dovevamo arrivare in jeep fino al limite delle possibilità del mezzo, quindi ben oltre il rifugio Vazzoler…
Il nostro progetto era di vincere direttamente la parete nord-ovest della Cima di Terranova, sfruttando una fessura-camino che si innalza 40 metri sopra lo zoccolo e con andamento più o meno verticale raggiunge la vetta. Ricordo che sullo zoccolo, non difficile ma di una friabilità quasi impressionante, carichi come eravamo dovevamo salire slegati ma a distanza assai ravvicinata, proprio per evitare i sassi che noi stessi smuovevamo in un vasto colatoio di scaglie appoggiate.
Terminato lo zoccolo, da un grande cengione osservammo da vicino quello che ci attendeva. Non era proprio prestissimo, anzi eravamo nel primo pomeriggio. Una problematica fascia gialla di 40 metri era incisa da un’unica ed esile fessurina che ci dava la possibilità di entrare nella più compatta fessura direttrice. Ci misi un po’ a superare questo primo ostacolo che purtroppo, senza pensare ad un probabile ripiegamento, la seconda cordata schiodò completamente. Dopo una seconda lunghezza un po’ meno impegnativa arrivammo ad un minuscolo punto di sosta. Qui una stretta cengia svasata ci avrebbe ospitati per la notte.
Veramente era ancora presto per parlare di bivacco, ma gli acrobatici numeri che dovetti fare nella lunghezza successiva, con un’estenuante ricerca di possibili buchi o fessure e la conseguente lentezza di progressione, consigliarono l’allestimento del bivacco. Si vedeva subito che sarebbe stato scomodo, anche con pazienti lavori di ampliamento. Alla fine, giunto alla Sosta 3, fui costretto a scendere nell’oscurità.
«Di questa notte mi è rimasta particolarmente impressa l’invidiabile tranquillità con cui Heini, al limite della cengia, ha trascorso le ore con la sola giacca a vento e un paio di moffole ai piedi. Seduto su un piccolo ripiano vi è rimasto immobile tutte la notte, come uno dei tanti rapaci che, chiusi in minuscole gabbie, attendono con rassegnazione la libertà; Heini attendeva l’alba, ma pareva non avesse molta fretta.» scrisse in seguito Dorigatti.
Il giorno dopo un repentino cambiamento di tempo ci consigliò una rapida ritirata, una spettacolare discesa di 70 m su due corde unite assieme (ah, per il nodo non c’era problema, allora non si usavano discensori perché la corda la facevamo girare attorno alla coscia e al collo…) ci depositò sullo zoccolo. Lasciata lì la corda fissa ci vollero altre peripezie per raggiungere la base, sempre a colpa della friabilità del terreno. Avvertito per radio, la guardia scelta Simeoni venne a recuperarci, sempre con il solito risparmio di cammino.
29 luglio 1971, il mio compleanno. Avevamo fretta di portare a termine questa salita: e la stagione non ci facilitava, come anche gli impegni di lavoro. Era un problema così evidente che temevamo qualcuno ce lo portasse via. Allemand non poteva essere dei nostri, e questo rincresceva a tutti: Aldo Leviti, compagno di Dorigatti in tante altre occasioni, aveva preso il suo posto. Soltanto alle 2.30 di notte riuscii ad arrivare alla dependance del rifugio Vazzoler. Avevamo le ore contate, impegni di lavoro di due di noi ci ponevano dinnanzi a qualche difficoltà: o si passava quella volta oppure il problema era da rinviare, con tutto ciò che ne conseguiva, vista la corda fissa che da quasi un anno pendeva lassù, chiaro invito per tutti.
Alberto e Aldo erano arrivati al rifugio già nel pomeriggio, e Heini li stava già aspettando; passarono alcune ore ridendo e discutendo, parlarono della misera attività di quel pessimo inizio di stagione, parlarono pure di Enzo Cozzolino, caduto proprio nei paraggi circa un mese prima.
Alla stessa cosa pensavo anch’io, salendo da solo e di notte. L’ombra di Enzo era leggera ma persistente.
Il tempo di completare la divisione dei pesi negli zaini, verificare che ci fosse tutto, poi partimmo ancora di notte, per poter salire sullo zoccolo alle prime luci dell’alba. Volevamo assolutamente passare e in fretta.
Dopo lo zoccolo, faticammo nuovamente sulla lunghezza schiodata l’anno precedente; un pilastrino instabile si staccò e sfiorò Alberto, lasciandogli un segno sul volto.
In un tempo abbastanza breve arrivammo al nostro bivacco e finalmente potemmo riutilizzare le corde che erano rimaste là. Ne avevamo portate due invece di quattro. Il terreno vergine ci serbò particolari difficoltà anche se non inaspettate. Nella fascia centrale le difficoltà diminuirono sensibilmente, però la roccia di nuovo non era molto buona e l’attenzione doveva essere perciò raddoppiata. La sensazione di avvicinarci alla fine della parete ci moltiplicava le forze, la progressione si faceva sempre più spedita, anche grazie al comando alternato: così, quando la giornata volgeva ormai al termine, quasi ci illudevamo di sfuggire al bivacco in parete. Alla base di una fessura stretta e strapiombante sembrava di poter uscire grazie ad un piccolo pertugio: era necessario andasse avanti Heini, che aveva una statura davvero adatta a quel genere di cose. Il buco poi si rivelò per fortuna un po’ più grande del previsto.
Alle 22 circa la via diretta era una realtà. La tensione delle ultime ore era scomparsa, non ci interessava se il bivacco era scomodo e ventoso, eravamo felici come ogni alpinista può immaginare, le nostre emozioni ci accomunavano a tutti coloro che come noi trovano nella montagna i propri valori guida.
La notte si sonnecchiò, si parlò un poco, ma per lo più ognuno era assorto nei suoi pensieri. Si pensò di dedicare la via al comune amico Renato Reali.
Ci disturbava il vento, anche se ci eravamo trovati qualche protezione. L’indomani scivolammo veloci lungo la valle del Giazzèr, grandiosa, interminabile; al suo sbocco, alzando lo sguardo sulla Busazza accennavamo già a qualche nuovo problema.
RELAZIONE TECNICA
Cima di Terranova 2900 m – parete nord-ovest (Gruppo della Civetta) – 1a salita direttissima, via Renato Reali
Dalla base alla fine dello zoccolo si segue la via Livanos oppure si segue un marcato canalone che scende dalla parte sinistra della parete gialla. (II e III con passi di IV). Roccia friabile. Si attacca circa 50 metri a sinistra della via Livanos-Gabriel-Da Roit in corrispondenza della prima grande fessura delle tre che solcano la parete. Questa prima fessura parte dalla vetta della Terranova e con andamento verticale solca tutta la parete fino ad interrompersi 40 metri sopra lo zoccolo dando poi luogo ad una esilissima fessura gialla friabile e discontinua nel mezzo della parte gialla.
Si attacca la fessura e la si segue sino ad uno scomodo nicchione (40 m, 19 ch., 16 rimasti, A2 con un passo di VI). Sosta 1.
Uscire leggermente a sinistra del nicchione e proseguire nel camino 15 m poi uscire a destra e traversare 6 m sino ad un buon terrazzino (20 m, 2 ch., 1 cuneo, IV e V poi un passo di A1, ancora IV+). Sosta 2.
Obliquare a sinistra 20 m, poi diritto in fessura 15 m (14 ch., V, A1 e A2). Sosta 3 su staffe.
Continuare nella fessura per circa 15 m sino ad una grotta (12 ch., A2 con passo di V). Sosta 4.
Uscire dalla grotta a destra e proseguire nella fessura camino per 40 m sino a piccoli terrazzini (10 ch. A2 e V+). Sosta 5.
Continuare nel diedro 10 m sino ad un buon terrazzo (5 ch., 1 cuneo di plastica, A1 e A2 con uscita di IV+). Sosta 6.
Traversare 15 m a sinistra poi obliquare a destra in un canale (35 m, II e III). Sosta 7.
Continuare nel canale per 30 metri (II e III). Sosta 8.
Traversare a destra 10 m poi salire un camino nascosto leggermente obliquo a sinistra e salire poi per gradoni (30 m, III+). Sosta 9.
Salire un camino a campana e la fessura seguente (25 m, IV-). Sosta 10 su terrazzo, chiodo di sosta tolto.
Traversare a sinistra 12 m e salire nel camino sino ad una strozzatura con masso incastrato (40 m, III con un passo di IV+, 1 ch.). Sosta 11 nel camino.
Salire sotto una strozzatura, traversare 5 m a sinistra e poi direttamente sino dove la parete si abbatte. Salire poi alla base del camino verticale (40 m, III e IV, alcuni passi di IV, 1 ch.). Sosta 12.
Diritti nel camino 35 m poi traversare a destra 4 m ad un terrazzino (IV, V e V+, un tratto di A2, 6 ch., 1 cuneo). Sosta 13.
Salire una fessura 5 m, poi per gradoni alla vetta (40 m, IV poi II e III). Sosta 14 in vetta.
Salita effettuata il 30 luglio 1971. Ore di salita impiegate circa 16. Bivacco in vetta. Salita a comando alternato da: Alberto Dorigatti, Alessandro Gogna, Aldo Leviti, Heini Holzer.
800 metri (400 + 400 di zoccolo). Difficoltà: ED (VI). Tutti i chiodi impiegati sono rimasti in parete salvo specifica menzione. Totale 71 chiodi, tolti 3, 2 cunei.
Alberto Dorigatti s’incaricò di raccontare questa salita sulla Rivista Mensile del CAI.
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Interessante un piccolo dettaglio: Intitolare una via su gentile suggerimento del corpo militare di appartenenza( da leggesi ordine ???mah!)Basterebbe fare un censimento dei nomi delle vie e degli alpinisti che le hanno aperte e della loro appartenenza o meno a Corpi Alpini militari.Passabile che le vie abbiano nomi dedicati a ricorrenze storiche , concili ecumenici , anniversari, se invece sono state dedicate a Ufficiali comandanti superiori ..mmmm .. forse ci scappava poi una licenza premio? Un encomio solenne?? chissa!..
Grazie, Carlo. Contraccambio gli auguri.
Buon Natale a tutti. 🎄🎄🎄
Bellissimo! A proposito di che cos’è l’andare in montagna… ben oltre i “confini” di un semplice sport. A questi livelli, chiaramente, siamo al top del top e non è pensabile che tutti gli alpinisti si muovano cosi. Però lo spirito è lo stesso anche a livelli tecnici inferiori, se però l’impostazione ideologica è di questo stampo. Buon Natale a tutti!