Metadiario – 38 – Lo Spigolo nord-est della Brenta Alta (AG 1972-003)
Nel marzo 1972 era capitata un’occasione molto promettente: Beppe Tenti, un intraprendente geometra torinese, titolare di Alpinismus International, quindi vulcanico organizzatore di viaggi extraeuropei, si accordò con Nella per avere una sorta di segreteria a Milano. Avevo incontrato Tenti la prima volta a Viozene nell’estate 1967, quando questi organizzava una gita con i soci del CAI UGET di Torino allo scopo di prepararli all’imminente viaggio che avrebbero fatto al Kilimanjaro. Dopo questa sua prima esperienza di organizzatore, Tenti si dedicò a tempo pieno a quell’attività che ancora non aveva il nome di trekking. Nel 1969 gli inglesi organizzarono il primo trekking al campo base dell’Everest, seguiti a ruota dal nostro. In breve tempo Beppe creò una rete di clienti pronti a seguirlo ovunque. Erano i tempi in cui Beppe, non appena riceveva un nome e cognome di qualche interessato grazie ai moduli che distribuiva e faceva stampare, si precipitava a quell’indirizzo senza neppure perdere tempo a contattare la persona telefonicamente. Così riusciva ad allacciare un rapporto di fiducia con grande facilità, le riversava addosso tutto il suo contagioso entusiasmo e il gioco era fatto. Aiutarlo in quest’impresa significava iniziare un rapporto che avrebbe potuto condurci a vedere finalmente un po’ di terre lontane e magari trarne qualche sostentamento.
Come prima esperienza infatti Nella andò in Afghanistan nell’agosto 1972, al seguito della spedizione di Tenti al Noshaq 7492 m. Mia moglie tornò entusiasta dell’Afghanistan e del corridoio del Wakhan: il paese allora era davvero magico, basta ricordare che ancora vi regnava Mohammed Zahir Shah. Costui, salito al trono nel 1933 fu costretto nel 1973 a rifugiarsi esule a Roma. In quell’estate quindi, l’Afghanistan era ancora immerso nella sua quiete medioevale, ignaro dei decenni che di lì a poco lo avrebbero insanguinato (e ancora non è finita).
I viaggi programmati con Beppe Tenti e qualche soldo che facevo con le serate mi convinsero che forse potevo permettermi il lusso di non lavorare più per la Lange. Eravamo ai primi di luglio e, guidando il mio gioiello verso la valle di Non e Mollaro, pensavo a come fare per liberarmi. A colloquio con l’amministratore delegato, dopo aver ascoltato paziente ciò che lui aveva da dirmi, candidamente gli dissi che sì, ero interessato, ma che il mio stipendio doveva essere triplicato. Lessi negli occhi del mio interlocutore la delusione di chi sapeva di aver preparato un buon collaboratore, aver investito su di lui, ma di dover subire lo smacco di un rifiuto. D’altra parte io ero sereno, con loro mi ero trovato bene: ma non volevo rinunciare alla mia piena libertà per un piatto di lenticchie. Così sparai una cifra che naturalmente fu giudicata fuori dal mondo. Anche la Demetz, saputo come era andata, era delusa e dispiaciuta. Ma quel pomeriggio me ne andai certo di aver preso la decisione giusta. Era l’11 luglio e avevo appuntamento con Miller Rava, Piero Ravà e Aldo Anghileri a Madonna di Campiglio. Ci avrebbe pensato lo Spigolo nord-est della Brenta Alta a farmi passare eventuali dubbi.
Per la cronaca, ai primi di agosto ricevetti una telefonata dal Collini in persona: la Lange avrebbe accettato le mie condizioni! Risposi che ormai ero in ballo per altri impegni. Mi presi due o tre giorni, poi telefonai il mio definitivo rifiuto.
Il lavoro con la Lange era davvero impegnativo e con le nuove responsabilità mi avrebbe lasciato ancora meno tempo. Per colpa degli impegni, dopo la salita della Terza Pala di San Lucano, ebbi modo solo di andare il 17 giugno con Nella e la nostra cagnetta Skippy alla Rocca Provenzale in Valle Maira. Salimmo tutti e tre in cima, allo scopo di confezionare un altro facile itinerario per la Domenica del Corriere. Quel giorno feci anche un tentativo poco convinto con Piero Danusso (Pierin Mani di Fata) allo spigolo sud di Punta Figari. Il giorno dopo, sempre per la Domenica del Corriere e ancora con Nella e Skippy, eravamo andati sulle innevate montagne dell’Altopiano dei 13 Laghi di Prali. Salimmo in vetta al Cappel d’Envie passando per la Porta Cialancia.
Sullo Spigolo della Brenta Alta
(scritto nell’agosto 1972)
Partiti dal rifugio Brentei, arriviamo alla Bocchetta del Basso. Pochi metri in discesa sul versante della Busa degli Sfulmini e lo vediamo, chi per la prima volta, chi per la seconda. È uno spigolo meraviglioso: lo potremo fare? È qualche anno che il mondo alpinistico gli gira attorno, ma nessuno l’ha mai attaccato. Eppure è così evidente… Forse il pensiero di dover adoperare chiodi a pressione ha sempre raffreddato gli iniziali entusiasmi. Ed è un peccato che vedendo quello spigolo subito si pensi a forare, senza neppure sospettare che si possa passare in arrampicata classica.
Per tagliare corto scendiamo lungo il canalone di neve fino all’attacco, che non si può confondere. Lì arrivati, due sorprese: primo, la neve copre almeno quattro metri di roccia, tutto lavoro in meno da fare. Secondo, una fila di chiodi che va verso l’alto, in obliquo a sinistra. A giudicare dalla quantità dei ferri, dovevano essere difficoltà serie. Strano, non sembrerebbe, almeno per questi primi metri che si vedono bene.
Siamo tutti e quattro contenti, all’attacco di una via nuova, compagnia affiatata, chiodi che vanno su… Miller Rava sforna spiritosate, Piero Ravà cerca affannosamente la macchina fotografica, l’Aldino Anghileri si pulisce gli occhiali. Quanto a me, la mia massima preoccupazione è di trovare il mio posto al sole. Abbiamo deciso infatti che oggi saliranno Aldino e Piero per primi, perciò vorrei sdraiarmi per un’oretta a godermi un po’ di sole, così avaro in questa stagione.
Nel primo tiro i chiodi sono uno dietro l’altro, tutti nuovi. Aldo non li tocca neppure o quasi e dopo venti metri trova altri 13 (!) chiodi collegati da cordini: è chiaro che lì i nostri predecessori hanno abbandonato. Piero si muove sul nuovo e subito l’arrampicata diventa entusiasmante. Prima dritto sul filo dello spigolo, poi, dopo una traversata, ancora dritto; e così via. Dopo cento metri di arrampicata tutti e quattro scendiamo con tre corde doppie. Ed è quasi buio.
L’unico a conoscenza delle nostre intenzioni è Bruno Detassis, ma questa sera preferiamo scendere al più vicino rifugio Pedrotti.
Il giorno dopo concludiamo poco: Miller ed io attacchiamo, superiamo di una ventina di metri il punto massimo: un temporale ci fa retrocedere. Non solo, una doppia si rifiuta di scorrere. Miller ed io facciamo a pari e dispari. Perde e sale 40 metri con i nodi Prusik (non abbiamo Jumar o Heibler) per liberare le corde. Finalmente, fradici, tocchiamo la neve del canalone. Si ritorna a casa. Lasciamo tutto il materiale lì, sperando che nel frattempo nessuno faccia scherzi, e sempre sotto l’acqua raggiungiamo il rifugio Brentei e Madonna di Campiglio.
La sera del 18 luglio 1972 siamo di nuovo al rifugio. Dopo cena abbiamo un bellissimo scambio d’idee con Bruno Detassis, su molti argomenti: sicurezza, purezza dell’arrampicata, il perché delle prime. Infine ci promette un fiasco di vino se faremo «quello» spigolo. Così abbiamo un motivo in più per non rinunciare.
Il mattino del 19 Aldo, Piero ed io ci avviamo verso il sentiero delle Bocchette: Miller non è con noi, purtroppo è stato trattenuto a Biella dal lavoro.
Diamo un’ultima occhiata alla parte finale dello spigolo, dove pensiamo ci siano le massime difficoltà. Vediamo che è questione di 40 metri; il resto dovrebbe essere abbordabile. Per una settimana abbiamo vissuto con lo spauracchio di quel tratto. Sarebbe veramente un peccato per colpa di pochi metri impossibili.
Attacchiamo, e nel primo pomeriggio siamo su terreno nuovo. Vado un po’ avanti io, poi ancora l’Aldo. Arrampichiamo molto, ma guadagniamo poco dislivello, perché le traversate a destra e sinistra non mancano. Finalmente raggiungo il pilastrino, proprio sotto la famosa placca di 40 metri. Per farla breve alle 21,30 sono ancora impegnato sulla placca, alla folle velocità di un metro all’ora.
Sotto premono per il posto da bivacco, ma qui non c’è neppure da mettere un chiodo decente, altro che bivacco!
Quando proprio l’oscurità è completa, sono ormai sceso dai miei compagni, circa venti metri sotto al punto in cui ero prima. Ci «accomodiamo» sulle staffe, il tempo minaccia fulmini e grandine, per tutta la notte continua a lampeggiare e spruzzare acqua. L’alba è grigiastra. Mancano quindici metri all’uscita.
È la volta di Piero, che parte piuttosto deciso. Da sotto ogni momento lo disturbiamo chiedendo quanto gli manca. In effetti è esasperante aspettare che arrivi un rovescio d’acqua, mentre mancano solo tre o quattro metri…
– Attenti, ché esco in libera – è la frase liberatoria. Le corde scorrono tre metri di colpo e lo spigolo è fatto. Quando tocca a noi, con gli zaini sulla schiena, piove forte.
Ma ormai non ci interessa, altre sei lunghezze e siamo sulla cresta finale, due ore più tardi al Brentei.
Il fiasco di vino, la folta barba e la pipa di Detassis ci aspettavano.
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Bellissima via non facile, bella intuizione del grande Gogna e Co..ripetuta il 4 Luglio 1983..
Sì sulla placca c’era un rurp che sono riuscito a non sollecitare e circa 15 anni fa era davvero un passo chiave. Una via bellissima, ma che freddo su quella parete! Un capolavoro di gogna e Co.
questo spigolo della Brenta è meglio conosciuto come “spigolo Gogna” . Evidentemente nel gergo comune ha preso il nome dell’aprtitore forse più conosciuto.
Domanda ad Alessandro: ma gli avete dato un nome alla via?
Che bella via ! Mi ricordo di averla ripetuta nel 1981 o 82 con un particolare passo in artificiale subito dopo una sosta “tirando” un chiodino mooolto precario e infisso per metà…. chissà se c’è ancora.
Una linea magnifica che meriterebbe più ripetizioni.
Bravi ai primi salitori che con i “galibier” non dev’essere stato facile….
Che freddo in un vecchissimo inverno di giovanissimi con Giovanni e che pestare neve fin sotto lo spigolo, poi no, ma per poco.
E Giovanni mi aveva fatto bere un Karkadè ed ero stato malissimo 🙂
Bellissimo racconto, tratto da “Un alpinismo di ricerca”, con qualche aggiunta. D’altronde l’attività del “nostro” è sempre stata poliedrica e straordinaria. In effetti colpisce nelle foto la quantità di neve in piena estate. Bei tempi!
Che tempi! notare quanta neve, sia in Val Maira (giugno) che all’attacco dello spigolo (metà luglio). Bel racconto, come sempre