Metadiario – 72 – Trekking in Sikkim (AG 1977-04)
Quattro lettere di Andrea Gobetti
Già in primavera Nella ed io avevamo deciso di iniziare una nostra attività di trekking, una piccola agenzia cui avevamo dato il nome di Mandala trekking.
Grazie alla conoscenza fatta l’estate precedente con il mito vivente Tenzing Norgay ci eravamo attivati per raccogliere un gruppo che volesse venire nel primo viaggio in Sikkim che gli occidentali potessero fare da più di 25 anni, causa chiusura delle frontiere. Ho già raccontato di come Maria Luisa Lisin Cornale mi fece conoscere il suo giro di amici di Champoluc. Alla fine aderirono ben numerosi! C’era il luminare oculista, prof. Alessandro Carones con la moglie Anna e i tre figli Giovanni, Francesco e Valeria; grazie ai Carones si erano aggiunti il dr. Francesco Malerba, stimato ortopedico dell’ospedale Galeazzi, e sua moglie Lidia, nonché il radiologo Milo Balzarini con moglie Lella e i due figli Cristina e Luca.
Per altri canali conobbi Alessandro Filippini, sì, proprio lui, l’ex-giornalista della Gazzetta dello Sport che oggi è un’autorità nella cronaca alpinistica sui social. Allora voleva a tutti i costi entrare come praticante in Gazzetta e lo presero proprio qualche settimana prima che noi si partisse per il Sikkim, dunque impedendogli la partecipazione. Ma con noi venne la sua fidanzata di allora, Gabriella Azzali, che incontrammo dietro a Porta Venezia, nella casa dove lui viveva assieme alla mamma (una donna ancora oggi attiva e autosufficiente).
Altri partecipanti erano Tullia Riccamboni, Ermanno Sagliani, giornalista e scrittore, l’anziano ma fortissimo Giacomo Anghileri, di Lecco, da Carones subito soprannominato “il signore di Lecco” e infine l’ing. Pier Aldo Mortara, amico di Lisin.
In totale eravamo diciannove persone in partenza da Linate il 17 ottobre 1977, ma a Darjeeling saremmo cresciuti a ventuno, per la presenza di Andrea Gobetti e del suo amico Gabriele Testa.
Gobetti era partito in primavera da Torino senza sapere quando mai (e se) sarebbe tornato. Sapevamo dunque perfettamente cosa era andato a fare in Asia, sulle tracce dei tanti freak che allora vi si perdevano. Sapevamo che solo la sua brillante intelligenza, arguzia, cultura e capacità di dialogo, nonché la fama del nonno Piero, potevano bilanciare il suo modo di porsi e l’evidente rifiuto della società borghese, ben rappresentata dalla maggioranza dei nostri partecipanti. Lo scontro avrebbe potuto esserci, eccome…
All’inizio dell’estate ci venne l’idea che anche lui avrebbe potuto partecipare.
Purtroppo non ho conservato copia (e forse manco l’ho fatta) delle lettere originali spedite ad Andrea in questo carteggio.
“Guardian Lodge, Kathmandu, 5 giugno 1977
Nella e Alessandro, cari fratelli dell’altra sponda, è incominciato ieri nel pomeriggio il monsone e noi si sta quieti quieti a leggere e sfumazzare nelle varie tane da sporchi drogati che la città offre. Alcuni miei precedenti compagni di viaggio (tra i quali anche mia sorella) stanno galoppando verso casa. Si sono comportati da gretti e ottusi miserabili e il malessere e poi la fuga dall’Asia sono la ricompensa. Si tratta più che altro del solito problema: egoismo, paura, violenza, fuga che colpisce chi non è molto intelligente.
Utilizza questo codice decifratore quando ti racconteranno le bellissime avventure d’Oriente, per capire che via crucis a 18 stazioni è stato il viaggio. Comunque io sono restato perché già così mi diverto parecchio, sto bene e vivo libero. Finendo con le cose brutte, ti comunico che il sacco Lafuma (modello scialpinismo non estendibile) che ho si è rivelato mica tanto buono. I difetti maggiori sono nello spallaccio che con più di 15 kg sega la spalla perché tira tutto nel cinghietto-anima centrale, le regolazioni non stanno ferme cinque minuti, manca il posto per i ramponi e il tessuto è troppo fragile. Questo è il mio parere, tenendo però conto che l’ho utilizzato per un lavoro che non è il suo, cioè il trekking. Magari con carichi sotto i 10 kg va tutto benissimo. Le ghette avevano il cinghietto troppo corto. Roba Fila e Grivel impeccabile e i Turbokitchen hanno salvato la vita a molta gente.
Questo nostro trekking si è snodato tra le basse valli di Jajarkot fino a Jumla per un percorso inedito con un passaggio a 4600 m su uno splendido belvedere sul Kanjiroba e il resto; è stato molto faticoso, ricco di imprevisti, di fame e di pulci. Paolo Oliaro ha provveduto a renderlo squallido e, se gli fosse stato possibile, anche competitivo. E’ veramente una delle peggiori cacche di cavallo di carabiniere che mi sia mai capitato tra le palle. Dal nascondere le medicine per me al rubare pezzi di pollo di notte, dall’andare a dormire mentre tutti si è attorno al fuoco all’imporre i più insulsi discorsi (illeggibile sue imprese), ha veramente fatto tutto il possibile per far odiare il Nepal. Mi ha poi abbandonato un bel mattino moribondo (mi aveva punto una pulce o chissà cosa che mi ha fatto diventare il braccio destro grosso come una gamba) al largo di Jumla. Ma visto che anche Giovanni Badino si torceva nella diarrea, sono riuscito a rientrare nel mondo civile. Niente male Jumla, sai? C’era una festa buddhista, e nelle vicinanze si sono accampati alcune centinaia di tibetani. Musica e riti per due giorni e grandi bevute di chang e rakshi.
Finendo con la “spedizione” l’unico, ma degno, risultato è stato il ritrovamento delle prime specie di insetti troglobi dell’intera catena himalayana, cosa che ho fatto tra un chilum e l’altro in una grotta a 5 km da Kathmandu. Per me a quel punto si poteva andare in Kashmir e nello Zanskar ma il SUINO padrone del viaggio ha deciso di dover dare a luglio un esame di legge, per far contento suo padre. Meglio, molto meglio così.
E voi cazzo fate, zio can?
Io domani scendo a Patna-Benares, poi a Delhi. Little business e vado a Srinagar dove conto di fermarmi fino a metà luglio; non so se mia madre va al Leh-Manali e da questo dipende la fine luglio e inizio agosto. Poi per settembre-ottobre ho un mezzo programma di raccolta di charas a Manali. Se mi confermate che farete il viaggio in Sikkim dovreste dirmi cosa mi costa, cosa devo fare, tutto il programma insomma. Se c’incontrassimo ne sarei davvero felice. Mi ha scritto Tiziana Weiss (che andrà nell’autunno 1977 all’Annapurna III, NdR), ma tornare a Kathmandu in ottobre non mi dice molto con tutti i bei posti che ci sono in giro. Ho visto Reinhold (Messner, NdR) e suo fratello dopo la Sud del Dhaulascoiattoli (gioco di parole con ghiri, NdR): ma più volte lo vedo, meno mi sembra geniale, anzi, sempre più impegolato con il suo totem. Suo fratello invece è veramente un ragazzo sensibile e intelligente che dopo sette anni di vagabondaggi e grandi fumate tra Sud dell’India e Ceylon si è fatto l’esperienza del Dhaula e dunque riparte per il mondo con il cuore in pace. Diciamo che è un po’ meno tedesco dell’altro, molto meno. Ora tutti e due sono in Pakistan, comunque. Ho visto il libro Due e un Ottomila con le foto di Alessandro che ormai è un classico dell’alpinismo e del Messner-feticismo e mi han detto che il mio libro (Una frontiera da immaginare, NdR) non va male.
Se mi scrivete, potete prima chiedere informazioni a Dall’Oglio. Mi interessa sapere quanto e quando sarò ricco. Ora dite agli amici (Roberto Bonelli & C.) che a Srinagar prendo uno house boat in affitto, dunque mi possono scrivere al Poste Restante-Srinagar-Kashmir-India o capitarmi addosso all’improvviso. Ho un sacco di idee e sono disponibile alle varie possibilità. Di Toti non ho più saputo nulla. Vi abbraccio, Andrea”.
“Srinagar, 26 luglio 1977
Carissimi impresari turistici, ricevuta oggi la vostra lettera, salti di gioia. Certo che vengo in Sikkim! Dati: sono nato il 30 marzo 1952, passaporto C211160, rilasciato il 7 febbraio 1977 a Torino, valido fino al 6 febbraio 1982, visa indiano 5119/77 rilasciato a Kabul il 5 aprile 1977. E qui vengono i problemi per cui non vi telegrafo ma vi mando questo aerogramma che spero arrivi in tempo. Allora io sono entrato ad Amritsar il 9 aprile e uscito a Rexault per il Nepal il 14 aprile, poi rientrato a Patna il 7 giugno: vale a dire il mio visto c’è sino al 3-4 settembre e quindi posso rinnovarlo fino ai primi di dicembre senza difficoltà, però i dati del rinnovo non li posso ancora sapere, giusto? Potrebbe anche capitare che facessi di nuovo un salto in Afghanistan o Nepal e quindi rientrassi con un visa nuovo. Sta di fatto comunque che per me il Sikkim è la cosa più importante al momento e quindi se mi dite che fare lo faccio. Per esempio, potrei uscire prima che mi scada questo visa e rientrare a ottobre facendomi dare a Darjeeling o altrove gli altri tre mesi cui ho diritto senza cambiare numero di visa (posso ancora usufruire di un’entrata-uscita). Per i soldi, se credete che siano necessari per stare con voi quegli undici giorni, dovreste anticiparli per poi chiederli a casa quando mia madre torna dall’India.
E veniamo a cose più allegre: sono andato in Ladakh ma, giunto in quel di Dras, l’epatite mi ha rovinato, cacca bianca e occhietti gialli quindi in dodici giorni non ho visto molto, sembrando piuttosto lo spettro dell’Olandese Volante illeggibile. Ora qui a Srinagar in ottima compagnia sull’houseboat Robin Hood attendo la mamma tra un chilum e una pipa. E mi riposo. L’epatite comunque non deve essere stata very strong.
Mi spiace per Heini Holzer e Claudio Barbier (entrambi da poco deceduti in due tragici incidenti, NdR), specie il primo, mentre le altre notizie (finish Tenti, Trento) e la lettera mi hanno fatto molto piacere perché mi pare siamo tutti incamminati su una buona strada. Se dopo il Sikkim qualcuno resta in Asia conti pure sul mio braccio (non ancora coperto di buchi). L’unico buco me lo sono fatto fare all’orecchio dove ho ficcato un orecchino tibetano piccolo. Dillo al Bonelli che è ora che parli meno e si orecchinizzi di più. E GPM (Gian Piero Motti, NdR) adesso perché non scende nel girone degli uomini? E’ bello, sapete, quanto viaggio, veramente un viaggiare, non so quando terminerà e ho tanta voglia di abbracciarvi tutti e quattro (+Toti e Chicco). Ricapitolando, attendo a Srinagar la vostra risposta, per poi poter agire di conseguenza, fate in fretta, se tutto è a posto e bastano poche parole, telegrafizza. Infatti non so i miei spostamenti, ma in linea di massima sarò all’appuntamento di settembre. Quanto ad attrezzatura da montagna sono abbastanza a posto.
A Leh c’erano splendidi arcobaleni circolari attorno al sole, dicono che vederli faccia diventare un po’ meno fessi. Boom Shakar Garibaldi (nuovo grido di guerra)! Vi abbraccio e bacio passionalmente la signora […]. Andrea”.
“Leh, 8 settembre 1977
Illustre coppia di sbandati, non sarei qui a scrivervi, bensì su uno scomodissimo camion, se la festa dell’addio a Leh non fosse stata tale che i festeggiati partenti alle 5 in the morning hanno mandato al culo il trek e si son fatti un altro chilum. Il raccolto è cominciato e il fresco giunge sublime dal Pakistan e dal Kashmir. Anche Toti, Chicco e Gabriele sono qui: abbiamo salito il Namya S. (5700, che vista!) e girato con calma e sballo tra Hemis, Alchi e altre delizie ladakhe. Stavamo tutti a Sankar village da famiglie tibetane particolarmente affettuose (l’epatite è un ricordo). Ora comincia la lenta migrazione verso Darjeeling con le prossime tappe: Manali, cui io dovrei arrivare in bus e Toti con un trekking. Tutto per voi, s’intende. Toti ti scrive, credo abbia bisogno di una giacca imbottita. Per me, credo, dovreste portare (oltre a un po’ di $) il copriobbiettivo della seconda macchina fotografica, qualche rullino a colori, qualche altro accendino, lamette buone, vitamine in pillole, Bonelli e un litro di quello buono. Se arriva inoltre qualche sporca figura di drogato che ti dà dei soldi da portare in India è un favore che se potete fare dovrebbe alleggerire la delicata situazione finanziaria di una nobile figura di stravolto illeggibile. A Srinagar ho visto Dorigatti e C., molto simpatici. Alberto mi ha lasciato scritto che al Nun Kun è andato tutto bene e che lui non è arrivato in vetta. Bene! Credo sia giunto il momento anche per Alberto delle scelte decise, e credo possa volare molto in alto, visto il tipo. Spero che il mio visto sia ok, ieri a Leh mi hanno prolungato di altri due mesi il soggiorno. E dopo, uomini delle filibuste?
Dopo il Sikkim? Che si fa? Toti ed io accarezziamo varie idee e nutriamo le segrete speranze che drogati marci di hascish e di Tibet qualcuno degli amati si fermi. Penso comunque che per me il viaggio è ancora giovane e prima o poi arriverà l’ora della discesa sul grande Oceano Pacifico, ma non subito, con calma, un po’ d’inverno sull’Himalaya penso non faccia poi così male. […] Per il resto bella gente, indiani illeggibile, tanta musica, gran mangiate, un po’ di illeggibile sometimes.
Libri, libri piccoli e belli, ecco di cosa avrei bisogno: sentite Reaglie (la frazione in collina torinese dove Gobetti abitava, NdR).
Cara Nella, l’idea di vederci tra neppure un mese e mezzo, a Darjeeling, sparati via per l’Asia sembra una favola, visto che, amato Sandro, di solito il tipo di esperienze che si fanno fuori dall’Italia sono grandiose, ma ci vuole una buona vecchia storia di demenza, mucchio selvaggio e amicizia alle spalle per tirarne fuori il succo (allucinogeno). Basta con le farneticazioni. Bacio, Andrea”.
In seguito deve esserci stata almeno un’altra comunicazione, forse un telegramma, di cui però non ho memoria. E infine:
“Srinagar, 13 settembre 1977
Caro Sandro in Milano gladiatore, turisti di merda ne ho visti un casino in un bel Ladakh, un Ladakh in equilibrio, diciamo, e questa è l’unica consolazione (?!?) di un povero vecchio confusionario tagliato fuori dai suoi affetti più cari. A parte gli scherzi mi spiace per il Sikkim, ma evidentemente doveva andare così e non sento nessuna possibilità positiva rispetto a un tentativo a Delhi tra le scimmie vestite a festa. Domani quindi vado a inscimmiarmi a Manali anche perché il raccolto è incominciato e la roba buona (ne stavo fumando ieri un bel pezzo in gentil compagnia e con la lettera tua e di Marina Mancini) è proprio un’altra cosa e ho voglia di scrivere e sentire musica pazza per un po’.
Per i miei programmi futuri ora è il casino (anche perché sono carico di stronzate da montagna), ma con tutta probabilità scendo con Toti a Darjeeling per il 18 ottobre e quindi ti prego di portarmi giù i dollari e robine piccole che ti darà Marta; l’altra possibilità (ci dovrebbe essere una lettera di Tiziana Weiss a Manali) è che io vada a Pokhara per trovare la banda Santon sull’Annapurna III (possibilità non entusiasmante ma simpatica). Qui ho trovato Alberto Dorigatti con gli altri prima del Nun Kun: in seguito mi ha lasciato detto che è andato tutto bene anche se lui non è balzato con tricolori vari fino alla vetta. Mi ha fatto molta impressione perché era in uno stato lucido-sconvolto, con da una parte la realtà in cui si era cacciato (Heini Holzer, lo choc di Delhi e il Nun incombente) e dall’altra una volontà di rapporti, di capire e di cambiare unitamente alla solita “finezza” (espressione “mottiana, chiarisco) e intelligenza. Se lo vedi salutamelo di cuore.
Te ancora ti posso capire che, come ti dissi due anni fa, ti piace tanto cercare che non trovi quello che cerchi, ma lo sai; quell’ammasso invece di elementi esplosivi e non altrove conviventi se non in località Roberto Bonelli, cosa cazzo sta aspettando a venire giù per l’Asia? Almeno mi scriva un indirizzo, ci sarebbero delle belle cose da fare e vedere. Così è morto Giorgio Bertone: è stato pianto? Non so quanto la consapevolezza logica e glaciale della sua estrema solitudine possa ancora aiutare Reinhold ad avanzare per quella strada. E Demichela, l’erede di Gervasutti, lo sa che chi si spacca il culo in Romania o ad Avigliana ci lascia veramente molto più stravolti che se ci copre di merda con un giorno di dimostrata, logica superiorità? Te mi parli di lavorare, caro Sandro, di opere e cose che toccano le più profonde corde del mio cuore (bel nome il Mandala).
Mi fai pensare ad amici, a situazioni, a serate, a nastri, dischi, bottiglie, tante novità, rapporti brevi ma intensi con chiunque fosse a tiro in un ritrovo. I giorni in cui ero felice di venire a Milano, e scrivevo e flirtavo con Mary e di tanto in tanto, chissà perché, quel mondo mi cascava addosso e vivevo la peggior angoscia sulla comprensione di un movimento ciclico da cui come nuotando in un chewing-gum si cercava in ogni momento di uscire. Non era più il ’75 e i paragoni, propri delle ciclicità, pesavano. Pesava Gian Piero, la Demande, Bismantova, il Mucchio Selvaggio, P.B.: e più indietro vecchie spranghe e bottiglie sino all’alba per rubare una figa o assoggettare un uomo avevano il loro peso, per cui mi accadeva di evocare sempre più spesso fantasmi della parte alta del ciclo precedente: Massimo, gli scontri, gli agguati, il nostro essere i duri fra i duri, i più cattivi di una società omicida.
E in tutte le storie che furono c’era potenza per galvanizzarmi all’infinito, esaltazione per erigere il mio monumento a 25 anni, ma non la forza di muovere un passo. Quando partii, partii come gli altri (grazie, Paolo!) per quel viaggetto che possa riassettare le proprie azioni (Kathmandu…), per un paio di idee nuove da contrabbandare in Italia, il fumo nero e magari la lira di una nuova libertà economica. I sogni veri erano stati rigorosamente censurati. Ho avuto la soddisfazione di lasciar fare all’Asia quello che doveva. Attraverso la competizione si è passati alla violenza e perdita finale di amici d’Italia, col popolo freak ho perso del tempo e guadagnato del danaro, col fumo e la dieta ho rallentato i ritmi, con storie d’amore mi sono disteso, col Ladakh ci ho pensato sopra e intanto mi sono accorto che ero veramente cambiato, che l’evoluzione andava avanti giorno per giorno allegramente e che realmente sto vivendo meglio qui che in Italia. Da questo stato di cose materiale e mentale, penso di poter cominciare a fare cose simpatiche, a divertirmi (l’allegria è il sale della vita e il miglior antidoto preventivo all’eroina) con gente che ha cominciato a passare lo stadio delle grandi paure e con cui pertanto si può cominciare ad avere un rapporto. Rari anche qui, ma non quelle miserande bande di sballati (Gogna e Gobetti i maggiori esponenti dell’alpinismo giovanile illeggibile) che in fin dei conti siamo noi in Italia, per numero e possibilità. Vorrei tanto quindi che si potesse fare un pezzo di strada assieme e magari il Sikkim con tutti i problemi e l’ufficialità della cosa (disse la volpe all’uva…) non era l’occasione migliore per il re-incontro. Se ti fermerai magari dopo il trekking, però… Arrivederci a Darjeeling o il 18 ottobre o dieci giorni dopo. Per Nella non aggiungo nulla: ora devo andare a pescare. Ciao, Andrea”.
Il trekking
I preparativi per il trekking in Sikkim mi assorbirono completamente e rinunciai ad ulteriori arrampicate. Non soffrivo di questo, anche perché leggevo molto e mi isolavo facilmente. Avevo la testa nelle lontane valli del Kangchenjunga, la montagna dei cinque tesori.
Tutto andò meglio di quello che l’ultima lettera di Gobetti lasciasse intendere. Partiti da Milano Linate il 17 ottobre ostacolati da un nebbione fittissimo, non solo c’incontrammo regolarmente a Darjeeling nel pomeriggio del 18: Andrea e l’amico Gabriele erano riusciti a prolungare il visto di soggiorno in India, dunque potevano essere con noi.
Mentre Gabriele si è presentato per l’incontro in albergo con tutti noi vestito più o meno normale, Andrea sfoggiò la sua migliore mise da frikketone, capelli lunghi alla D’Artagnan un po’ trasandato, camicia e pantaloni di lino indiano, per fortuna freschi di acquisto o di bucato. Nella ed io avevamo “preparato” i nostri compagni con descrizioni di Andrea che lasciavano trasparire il nostro amore per lui ma anche il timore delle sue esagerazioni. Ma è ora che la smetta su questo tasto, perché in effetti tutto andò bene, non solo durante la prima serata ma anche negli altri giorni passati a faticare, a viaggiare e vivere tutti assieme. Fino al commiato, con noi diretti a Calcutta, la città che avrebbe stravolto ulteriormente la nostra visione del mondo.
Il nostro sirdar, Tenzing, fu impeccabile. La sua piccola agenzia di trekking cominciò con noi italiani il suo bel cammino. Lavoro che lui mandò avanti fino alla morte, avvenuta nella sua città, Darjeeling, il 9 maggio 1986, meno di dieci anni dopo. Al ritorno comprai da lui e mi portai a casa la più bella thangka tibetana che io abbia mai visto al di fuori dei musei: un tipico arazzo a olio su tela che ancora oggi mi fa compagnia discreta nel mio studio in mezzo all’enormità dei miei libri.
Durante il trekking non avemmo alcun inconveniente, tutto filò liscio come l’olio: il nostro scopo era di raggiungere un buon punto panoramico sul Kangchenjunga, la terza montagna del mondo. Arrivammo al fondo di una valle dal quale il colosso si vedeva già. E tutti erano contenti. Ma Pier Aldo, Maria Luisa, Ermanno, Giacomo, Tullia, Gabriele, Andrea, Nella ed io il 25 ottobre coronammo il trekking con la facile salita dello Dzongri Peak 4450 m. Ascensione che gli altri non vollero affrontare perché chiaramente affetti dall’emicrania del primo giorno in quota. E non c’era il tempo per una seconda giornata.
C’era una bella atmosfera tra noi tutti, si crearono amicizie: certo i giovanissimi stavano più volentieri tra loro e ciascuno aveva le sue lievi preferenze. Ricordo in particolare il rapporto che si creò tra noi due “direttori” e la coppia Cornale-Mortara, ma posso dire che ci fu un grande scambio con tutti. Era forse la prima volta che vivevo un trekking così particolare. Il merito era di tutti, compreso anche il grande Tenzing (che ovviamente dovette raccontare molto della sua grande impresa all’Everest con Edmund Hillary…).
Durante il trekking Andrea Gobetti, che fumava in continuazione ed ostentava a tutti la sua filosofia e le sue scelte, non si era comportato male. Solo alla fine del viaggio fui costretto a trattarlo male. Voleva rimanere in Asia ancora sette mesi. Io invece dovevo tornare subito in Europa e riprendere immediatamente la mia scalata del mistero. Andrea tentò di inviare in Italia un discreto pacchetto di “roba” cercando di convincermi che se l’avessi nascosto nei miei scarponi da montagna nessuno avrebbe potuto accorgersene.
Girando per le caotiche vie di Calcutta, Kundalini mi si era del tutto risvegliato. Dopo la sconvolgente visita di quella città, rientrammo regolarmente a Milano il 2 novembre.
Al nostro ritorno non si contarono gli inviti a cena che ci scambiavamo. Dopo qualche tempo ricevemmo anche l’invito di Pier Aldo, accompagnato da un suo scritto che, per la sua particolarità, merita la pubblicazione qui:
“Vercelli, 28 novembre 1977
Carissimi Ornella ed Alessandro, la nostra ormai è una collaudata amicizia e vi attendo con piacere a Refrancore per riscaldarla. Questo breve scritto è particolarmente ispirato da voi, con una certa invidia per il mestiere che con tanto entusiasmo e tatto perseguite. Avremo piacevoli discorsi da scambiarci”.
Elogio del Trekking
di Pier Aldo Mortara
(novembre 1977, di ritorno dal Sikkim con Ornella e Alessandro Gogna)
La vocazione è sempre quella: da vagabondi ad ulissidi terragni in vena di orizzonti.
Pazienti alla fatica di ogni passo come conviene ad una specie che scelse il camminare.
L’umiltà di mezzi naturali è vera medicina in evasione da aggregati sempre più inquietanti.
Scontate, anche a cura d’altri, le ultime prevaricazioni aeroportuali, ci si oblia colla droga sottile d’avventura a fantasie sofisticate.
Qui nel Sikkim gli ultimi cedri himalayani, immani braccia onuste di agonia, scolpirono con ferocia la loro millenaria identità.
Le larve umane, costrette senza volto nei ghetti di Calcutta, l’hanno spesa a distillare religioni di rinuncia.
Disperate finalmente di non saper morir la propria morte in onta al Karma od altra alchimia di salvataggio senza dio.
Evoluzione?
Forse un fato di abbandono incombe in questa culla su vite tanto estreme. Norma di vicenda del pianeta.
Psichedelico trekking!
Invece di fischiare col respiro o riandar versi appresi là nei banchi, qui si ritmano illusioni di veggenza.
Le tube dei lama che hanno volti parenti alla malizia dei nostri contadini.
Le donne che vorremmo aver sedotte per riportarne i tratti e le movenze nell’astiosa rincorsa occidentale.
Ogni pasto, ogni tana coi suoi grumi di terra sotto al dorso, ogni rabbrividire ad un lavacro, si veston di memoria.
I fuochi per cantare nella sera, i risvegli di gelo, l’irrompere del sole al limbo dei sacconi frugati nell’angusto della tenda.
La malavoglia degli arti intorpiditi in attesa di musica per l’erta che si accende.
I volti, che appartati si assumono i pesi e le cure d’alimento, aspettano fedeli un nostro cenno con sorriso ogni ora più scoperto.
Si imparano compagni e sentimenti, si traman revisioni del futuro.
Poi, oltre una colma aggrovigliata di brumosi tronchi, tralucono i biancori.
Non credo ad etichette in tanta suggestione, ma i nomi che traboccan dall’attesa ci scatenano a nutrire gli obiettivi, come potessero intender l’emozione.
La meta ci appartiene, sempre più remote le torbide caselle cittadine.
Liberi predoni, non d’asfalto e privilegi da mercato, ma del palmo di terra che ci avanza.
Baluginar di gloria all’orizzonte.
Più in alto il respiro ci soverchia.
Quando dal catino del Khumbu superiore, si azzardano guardate siderali è già siglato il compimento.
Dolci pascoli ove appagarsi del fiato a segno della vita ed attendere inerti come nello stadio che altri trascini la bandiera in quel tormento.
I passi del ritorno sono adulti.
Il sortilegio sfuma in chiaroscuri di speranze spente ed ozi di sereno.
Germi a nostalgie di spazio ove ogni incontro si illumina in prezioso Namasté.
Riusciremo ad ovattare di ricordi il nostro ruolo nella mensa di soprusi a cui si torna?
A Milano, il lavoro ci assorbì in modo tale che di andare in montagna non si parlava neanche. Facemmo la conoscenza di un grande personaggio, il ticinese Romolo Nottaris, guida alpina ma futuro grande impresario dell’articolo sportivo nella sua confederazione elvetica. Ne avrebbe fatta di strada il ragazzo, sia in montagna che negli affari. Il 17 dicembre andai con lui a fare un giro sulle nevi di Airolo, con salita alla Forcella Cristallina, traversata ad altro intaglio e discesa su All’Acqua. Con noi c’erano anche l’amico Tiziano Tito Zünd, assieme a Paolo, Severo e Sergio.
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È sempre molto difficile mentre si è immersi negli eventi cogliere ciò che resterà come significativo di un’epoca e di una generazione e ciò che cadrà nel dimenticatoio come cascame. I discorsi che facevano gli “anziani” in quegli anni, sia in città che in montagna, io li ricordo come spesso poco lucidi nel cogliere cosa stava succedendo davvero, a volte fissati su dettagli di folklore di poca rilevanza, visti in prospettiva. Pochi erano quelli che cercavano di individuare con apertura mentale il filo che si dipanava tra molte contraddizioni e mode passeggere, destinate a durare un’estate come le canzoni. Oggi, dopo quasi 45 anni, guardando indietro e con i capelli bianchi, vediamo più chiaramente la trama e lo spirito di quel tempo. Anch’io sono impressionato da alcuni fatti di cronaca contemporanea, tipo Ciro Grillo o Genovese, ma ho paura di fare lo stesso errore e di rischiare di confondere lucciole per lanterne. È tuttavia un’arrampicata dura e impegnativa, anche perché non viviamo da dentro, ma solo come osservatori esterni, la vita di una generazione diversa dalla nostra. Perciò cerco di essere molto cauto: i segnali sono diversi e non ci sono solo bambinoni, avidi e violenti, col pisello fuori o le ragazze un po’ confuse e poco attente ai rischi di certe frequentazioni. Ognuno di noi conosce penso decine di situazioni,familiari e non, ben diverse nel loro significato e nella traiettoria che indicano.
Ieri sera ho visto in TV la trasmissione di Giletti. Giletti era mio compagno di liceo, stesso anno ma sezioni diverse, e ne abbiamo combinate di tutti i colori, con riferimento ai parametri del tempo (fine dei 70). Dal bowindo della casa dei suoi, in pieno centro a Torino, tiravano uova marcr sui cortei dei “comunisti”. Ci pareva esser degli eroi di trasgressione. Ieri sera alla sua trasmissione, si parlava del gruppo Grillo junior e delle loro performance in Costa Smeralda estate 19. Ho fatto il raffronto. Che differenza! Non emetto giudizi morali né tanto meno pareri giuridici, solo una constatazione sociologica, storica. Il nostro divertimento era tirare uova, giocate a calcio e tentare di arrampicare bene, oggi i 20enni si fotografano con i cosi sballonzolanti sul viso delle ragazze. Da quello che leggo sulle cronache hymalaiane, sia alpinistiche che dei trekking, più o meno si registra analoga differenza. Allora cercatori di sé, alla Gobetti, magari fumatissimi, ma genuini, oggi cercatori di performance consumistiche e superficiali, spesso comprate. Ben vengano gli scritti salaci di Gobetti e Gogna, hanno un’anima umana che oggi non rintraccio più nelle generazioni più giovani non solo inmontagna . Mi sento vecchio, ma Gobetti-Bonelli-Gogna, pur nelle loro differenze, riescono ancora ad allietarmi la vecchiaia dello spirito. Buona serata a tutti.
Cominetti. Vero. Oggi si alternano. Gli indigeni mi dicono essere la macaia quello strano stato del tempo e dell’anima uggioso, nuvoloso, che non si sa bene dove vuole andare e che si colloca tra la malinconia e la tristezza, alternando luce, nebbia, umidità diffusa. Mi piace molto il concetto: assomiglia alla nebbiolina autunnale che alligna dell’animo di quelli che stanno oltre le colline come il notaio di Asti, ma è più sottile, sospesa nell’aria, perché viene dal mare, non dal piattume sempre uguale della campagna, il che cambia un po’ le cose, anche senza i gamberoni rossi e la luce al parabris.
Pasini, scusa se ti correggo ma la MACAÎA non c’entra con la pioggia. In italiano si può tradurre con l’espressione “tempo da terremoto”, in uso in certe regioni. È la “scimmia di luce e di follia” cantata da Paolo Conte.
Vere e belle le tue considerazioni sull’articolo. Idem per quelle di Crovella.
Probabilmente il fratello di Reinhold non era Günter ma uno degli altri.
È vero quello che dice Crovella su questo bellissimo racconto, sull’atmosfera gobettiana ma aggiungerei che proprio quest’ultima contribuisce a mostrare il vero, e più bel, lato dei trekking himalayani. Molti credono che sia come andare a camminare collezionando passi, cime e luoghi ma in verità la vera essenza sta nel vissuto personale. Questo stesso trek lo percorse mia allora moglie Agustina, guidando un gruppo, a fine anni ’90 mentre io ne guidavo un altro sull’Ama Dablam. Ci eravamo incrociati in aeroporto a Bangkok per pochi minuti dopo qualche mese di viaggi per la nostra agenzia di trekking e spedizioni. Erano tempi diversi e intensi. La sua guida locale, manco a farlo apposta era nientemeno che il figlio di Tengsing, Jamling.
Quanti parallelismi eh!?
Grazie.
Interessante spaccato di un’epoca e di una generazione. C’è tutto lo spirito del tempo o quasi: il sempre forte richiamo sui giovani europei dell’Oriente, delle sue montagne e della sua cultura, il nascente business dei viaggi avventura, il fumo e i piccoli traffici legati al suo commercio, la borghesia cittadina delle professioni con casa in montagna e le propensioni “esotiche” e “spartane” di un suo segmento, lo spirito imprenditoriale di giovani avventurosi e entusiasti che ancora potevano pensare di trovarsi un piccolo spazio nel mondo del trekking, che poi ha assunto dimensioni quasi industriali con la discesa in campo di grandi risorse e capitali, gli eredi ribelli ed eccentrici delle grandi famiglie dal cognome famoso alla ricerca di se stessi in un mondo molto lontano dalle loro origini, nella più classica e antica tradizione della nobiltà britannica. Manca la dimensione politico-sociale ma era probabilmente sottotraccia nei discorsi conviviali. In me ha suscitato un’emozione di malinconia, ripensando ad un’epoca con tratti sicuramente tragici e violenti ma con forti passioni, desideri e curiosità. Ma forse l’epoca non c’entra e c’è di mezzo più una fase della vita che ogni generazione attraversa, a suo modo e nelle condizioni di contorno dettate dalla storia. La malinconia, comunque, non la tristezza, è una bella emozione. Ha un gusto agro-dolce, in particolare in una giornata di pioggia e di macaia.
Bellissimo articolo, dalla lettura molto “gustosa”: non mi capitava da tempo di ridere così a crepapelle!
Alcune osservazioni: 1) conosco Gobetti da 40 anni, sempre grazie a quel miracolo irripetibile che fu il CDA (editore della Rivista della Montagna), una specie di porto di mare dove incontravi di tutto, ma in un clima di soave allegria e spensieratezza. Andrea ed io abbiamo approcci alla vita che sono opposti e forse addirittura conflittuali, eppure siamo sempre stati in allegro confronto e reciproca stima. E’ una questione di intelligenza, ancora oggi ci scambiamo salaci commenti sul mondo che va a rotoli, specie in montagna. Di questo articolo, il paragrafo più gobettiano è, a mio parere, il seguente:
Te ancora ti posso capire che, come ti dissi due anni fa, ti piace tanto cercare che non trovi quello che cerchi, ma lo sai; quell’ammasso invece di elementi esplosivi e non altrove conviventi se non in località Roberto Bonelli, cosa cazzo sta aspettando a venire giù per l’Asia.
2) Molta della “gustosità” di questo articolo si incentra sulla riproposizione (pubblica) di pensieri, nomi, fatti, dati sensibili… tutte cose la cui divulgazione, oggi, io NON trovo affatto disdicevole, anzi. Mi domando, tuttavia, se con l’attuale sensibilità del politically correct (che io detesto ancor più di Gobetti) tutto ciò non sia border line, o forse addirittura un passo oltre il confine del legittimo… tutto molto “gobettiano”, sia come gioco sia come sfrontatezza di sfida…
3) Confesso una smagliatura nella mia conoscenza della cronaca alpinistica dei quegli anni. Al Dhaulascoiattoli, c’era un Messner-fratello? Non può esser Gunther, scomparso al Nanga Parbat nel ’70. O forse di tratta di uno dei tanti “giochi” di Gobetti, per cui usa fratello anche in assenza di rapporto anagrafico di parentela?