Un’escursione al Colle Sià

Dalla prolifica penna di Gian Piero Motti sono da riportare, per una visuale completa della sua opera, alcune monografie che illustravano zone escursionistiche a lui ben conosciute. Un’escursione al Colle Sià è stata la prima a essere pubblicata, molto descrittiva e con un testo non molto tecnico, che qui riportiamo integralmente. A questa seguirono altre due monografie: Itinerari estivi dal rifugio Gastaldi (pubblicata su Rivista della Montagna, aprile 1971, GPM 019) ed Escursioni in Val Grande di Lanzo (pubblicata su Rivista della Montagna, luglio 1971, GPM 022), delle quali ci limitiano a rendere consultabili gli articoli originali in pdf.

Un’escursione al Colle Sià (GPM 014)
di Gian Piero Motti
(dal primo numero della Rivista della Montagna, giugno 1970)
Le foto sono riprese dall’articolo originale e sono di proprietà del Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Prima di cominciare ad arrampicare ho imparato ad amare la natura, mi sono innamorato della montagna in tutti i suoi aspetti, dal prato di fondovalle, alla grangia nei pascoli, al colle tra le rocce. Per anni ho macinato chilometri su e giù per sentieri e mulattiere, per creste e valloni. Le montagne, quelle alte, quelle difficili, le guardavo dal basso, con grande rispetto e anche con tanto timore. Le ho desiderate, mi ci sono avvicinato a poco a poco. Ma la foresta, la fontana, l’odore della grangia, le tracce degli animali sulla neve, il rustico ponte, non li ho dimenticati.

All’occhio del turista la Valle dell’Orco si presenta selvaggia, dirupata, con un non so che di antico e di ottocentesco. Forse è il ricordo delle case di caccia reali, forse il ricordo di strane figure di cercatori d’oro che setacciavano meticolosamente le acque dell’Orco, l’eva d’or, alla ricerca di qualche pagliuzza lucente, forse il ricordo dei magnin, gli stagnini rinomati e conosciuti in tutto il Piemonte.

Profonda, incassata, offre sempre paesaggi decisamente occidentali, severi e grandiosi, quadri e vedute dove predominano le linee geometriche dure e spezzate, i contorni ruvidi e aspri: caratteristiche comuni, d’altronde, anche alla gente. Ma è soprattutto inoltrandosi nei lunghissimi e meravigliosi valloni secondari che si scopre l’anima della montagna piemontese, il paesaggio forse un po’ triste e melanconico, ma altamente suggestivo, delle nostre montagne.

Già prima di giungere a Ceresole non mancano motivi d’interesse. Uscendo dall’abitato di Noasca è bene fermarsi a osservare l’ultimo imponente salto della Cascata di Noaschetta, alta 32 metri e suddivisa in sei salti. Dalla carrozzabile in pochi minuti si raggiunge un sentierino un po’ scivoloso che permette di passare in una curiosa cavità della rupe dietro l’acqua che precipita.

La strada prosegue verso Ceresole e s’innalza con una prima serie di fitte e ripide serpentine. Quindi passa sotto una caratteristica volta formata da due immensi macigni, in un ambiente estremamente aspro e grandioso: tutt’attorno è un caotico ammasso di blocchi di ruvido gneiss, dalle forme spigolose e ardite, mentre più in alto la valle è rinserrata tra pareti giallastre levigatissime, segno evidente dell’azione assai potente dell’antico ghiacciaio. La strada entra nella gola cupa e selvaggia, e s’innalza con stretti e ripidi tornanti a sinistra del torrente che, chiuso tra enormi blocchi di roccia, rimbalza con una serie di imponenti cascate. Percorsa una strettissima galleria, la strada passa tra massi enormi e quindi, con meravigliosa vista sul gruppo delle Levanne e sul lunghissimo canalone di neve e di ghiaccio scendente dal Colle Perduto, si adagia nel grande bacino di Ceresole Reale, contornato da fitte foreste di larici e di pini lambite dal grande lago artificiale che occupa gran parte del bacino.

Alla conservazione di questo habitat pressoché unico ha contribuito in massima parte l’organizzazione del Parco nazionale del Gran Paradiso. Sotto la stretta e attenta sorveglianza dei guardaparco, hanno potuto così svilupparsi nel loro ambiente più congeniale una flora e una fauna tali da essere degne di una considerazione, di una visita, di un rispetto e di uno studio ben più ampi di quelli di cui godono ora.

Osservare da vicino branchi di camosci e di stambecchi, partecipare dei loro giochi sulla neve, delle loro battaglie amorose, delle loro esercitazioni sui brevi salti di roccia, seguire le lunghe scivolate sul ghiaccio delle buffe marmotte, vedere con quanta cura le madri dei camosci e degli stambecchi insegnano ai piccoli ad arrampicarsi sulle rocce e nei canali di neve, aiutandoli e sospingendoli con le corna: sono tutti spettacoli indimenticabili in cui si perde completamente la nozione del tempo.

La recente costruzione della bellissima strada (1) che conduce al Colle del Nivolet permette di penetrare nel parco per un buon tratto. Tuttavia la zona del Nivolet è ai margini del parco e gli animali, sovente spaventati dal clacson delle macchine e dal frastuono dei turisti che non sempre rispettano le più comuni norme di civiltà, rifuggono un po’ la zona e si rifugiano nei settori più interni. Comunque, soprattutto all’inizio della primavera alpina – in maggio, quando la neve rende ancora impraticabile la parte alta della strada – e di giorno feriale, quindi con uno scarso o quasi nullo movimento automobilistico, è possibile imbattersi in branchi di stambecchi che pascolano ai margini della carrozzabile, sovente poche centinaia di metri a monte del gruppo di grange detto Chiapili di sopra. L’importante è non fare alcun rumore, scendere dall’auto con calma e con calma ancora maggiore avvicinarsi al branco degli animali. Se questi si accorgono della vostra presenza e vi fissano, è necessario rimanere immobili e non fare alcun gesto improvviso che possa spaventarli. In caso contrario spariranno in un attimo dalla vista, rifugiandosi in qualche zona più alta. Invece, ricorrendo a qualche accorgimento e con molta pazienza, si può giungere quasi in mezzo al branco e ritrarre in fotografia alcuni esemplari molto da vicino. Naturalmente si rende utile un teleobiettivo, che facilita enormemente le riprese da lontano.

Se gli stambecchi si abitueranno alla presenza dell’uomo nel loro branco, sarà possibile restare anche alcune ore a vedere come si svolge la vita di questi straordinari animali e godere di uno spettacolo indimenticabile.

Non sempre però si è così fortunati da incontrare gli stambecchi ai margini della strada; il più delle volte è necessario andare a cercarli nei valloni laterali.

Sempre nel periodo che va da maggio all’inizio di giugno, è possibile incontrare numerosi branchi di stambecchi e anche di camosci risalendo da Ceresole Reale il vallone che conduce al Colle Sià 2274 m, posto sulla cresta discendente dal Courmaon e comunicante con il vallone del Roc. La gita al Colle Sià è quanto mai raccomandabile: si svolge su un’ottima mulattiera ben segnata e con lievi pendenze. È quindi effettuabile anche da una famiglia con bambini piccoli, non abituati a lunghe camminate. Esiste la possibilità di fermarsi a metà percorso in un magnifico pianoro, ricco di sorgenti e di fontane, per consumare la colazione.

Dalla frazione Prese di Ceresole si segue la carrozzabile per circa dieci minuti (a piedi) e dopo due strette svolte si imbocca a destra, nei pressi di due villette, una mulattiera segnata con il minio, che sale in un magnifico bosco di larici con percorso a metà costa. La mulattiera è riconoscibile per l’indicazione “Bivacco Ettore e Margherita Giraudo” posta all’inizio, nei pressi della carrozzabile. Si sale nel bosco con marcia comoda e piacevole; già nella parte bassa del lariceto è facile incontrare, a inizio di stagione, branchi isolati di stambecchi.

La fitta foresta che si attraversa è costituita essenzialmente da larici, l’albero resinoso più diffuso delle montagne piemontesi, sulle cui pendici s’inerpica fino a quote molto elevate, al livello degli alti pascoli e delle pietraie. Con il pino montano e l’abete rosso, o peccio, forma delle foreste caratteristiche per le diverse chiazze di colore, variabili dal verde brillante al verde scurissimo e cupo nelle zone in cui predomina il peccio.

Il sottobosco del lariceto è occupato da rododendri, sempre verdi e riconoscibili per i bellissimi fiori rosa. Non mancano numerose piantine di mirtilli, ricche a stagione avanzata delle gustosissime bacche violacee. Si esce quindi dal lariceto per sfociare in un largo pianoro di prati e di pascoli, punteggiato qua e là dagli ultimi larici, posto veramente incantevole, disseminato di gruppi di grange, con ampia vista sulle cime della Valle dell’Orco. All’inizio della primavera alpina, quando si disciolgono le nevi, è possibile ammirare estese e splendide fioriture di crochi, alcuni dei quali vengono fuori forando il sottile strato di neve in scioglimento componendo quadretti di delicata bellezza. In seguito spunteranno primule e anemoni e più tardi i non-ti-scordar, o miosotidi, con i loro cerulei fiorellini.

Nel vasto pianoro sicuramente s’incontrano moltissimi stambecchi, discesi dalle quote più alte, ancora fortemente innevate, in cerca di erba e di arbusti. Il pianoro, dove sgorgano ottime fontane, è raggiungibile in un’ora di marcia da Ceresole.

La mulattiera prosegue con comodo tracciato e, sempre ottimamente segnata, sale per pascoli più ripidi verso altri gruppi di grange. Piegando a sinistra e seguendo un sentiero meno marcato, si giunge in un valloncello pietroso e selvaggio, dove sovente è facile incontrare i camosci.

Ci si avvicina così alla zona occupata da grandi pietraie, le ruvide morene silicee dove abbondano le sassifraghe di ogni specie e dove è possibile ammirare i meravigliosi e caratteristici cuscinetti della Silene acaulis, verdissimi e punteggiati di graziosi fiorellini.

La zona, selvaggia e tutta sassi, viene a poco a poco occupata da vegetazioni di piante pioniere che iniziano la colonizzazione graduale di questi ambienti ancora poco ospitali per la vita vegetale.

Continuando per la mulattiera principale, dopo aver rasentato due piccoli e graziosi laghetti, si raggiunge in breve una larga depressione erbosa, il Colle Sià. In tutto poco più di due ore di marcia da Ceresole.

Dal colle si gode di un’ampia e magnifica veduta sul gruppo del Ciarforon, della Tresenta, della Becca di Monciair e sul vicinissimo Courmaon che si presenta con un affilatissimo spigolo verticale, al centro di una imponente parete triangolare rossastra e compatta.

La discesa si compie lungo la mulattiera utilizzata per la salita.

Ricordo infine di rispettare rigorosamente il regolamento del parco, soprattutto per non arrecare danno al patrimonio naturale e per non disturbare gli animali. Tra l’altro, è assolutamente proibito introdurre cani nel territorio del Parco.

Nota della redazione (1): quella che Motti definisce “bellissima” strada, inconsapevole a quel tempo di ciò che avrebbe portato la mania costruttrice di strade in ogni luogo, è oggi soggetta a parziale chiusura al traffico privato.

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Un’escursione al Colle Sià ultima modifica: 2017-04-24T05:28:24+02:00 da GognaBlog

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1 commento su “Un’escursione al Colle Sià”

  1. Ho apprezzato, come quasi tutti gli articoli di Motti. Ricordano un tempo in cui internet era un miraggio e le informazioni mi arrivavano tramite le guide cartacee o appunto gli articoli della “Rivista” che acquistai dal 1980 al 1984.

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